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Gay & Bisex

020 CUMCONTROL E LO PSICODRAMMA DELLA CHECCA


di CUMCONTROL
17.01.2021    |    3.885    |    6 5.9
"Poi… Poi non ricordo null’altro..."
Due bocchini avevo fatto.

Due bocchini in una volta sola.
Al mio ragazzo, il mio uomo per la verità, piaceva così tanto che io mi prestassi di bocca, e di culo, alle esigenze sessuali altrui.

Eravamo stati sotto il ponte, a pochi passi da un corso d’acqua che effondeva i miasmi di percolato e di fogna.
Eppure, trovai eccitante quella condizione nonostante la mia giovane età, e malgrado fossi restato chino coi gomiti sulle ginocchia a sputare gli avanzi della sborra, i due mi degnarono di una pisciata sincrona sul capo.

Forse poteva dirsi un atto di disprezzo. Forse un atto di comunione tra le parti. Non lo so.
Non mi dispiacque però, no, salvo constatare che nella minzione i due stavano lì, in piedi, reciprocamente abbracciati ed intendi a limonare. Questo mi dispiacque.
Il mio uomo non mi aveva mai limonato così. Certamente, ero fiero di offrirmi alle sue voglie malgrado mi sfasciasse il culo con una certa frequenza, ed io mi divertivo, ma quando constatai che il mio uomo fosse così audacemente in grado di limonare, mi rammaricai non poco, perché io non ero mai stato baciato così.

Quando i due si scrollarono le reciproche minchie su di me, quando cioè ne asciugarono le cappelle col bordo della mia giubba, potei sollevarmi, e non feci in tempo a guardare negli occhi lo sconosciuto, che questo ci salutò sussurrano, allontanandosi in salita verso il buio sentiero.
Koba, il mio fidanzato, mi sorrise, ed ebbe finalmente cura di accarezzarmi nonostante fossi stato pisciato con abbondanza.
Vidi la sua espressione tornarmi improvvisamente umana, e trovai il suo gesto piuttosto tenero nei miei confronti.

Risalendo, seguivo il mio uomo a passo svelto, ma la mia mente restava fissa su quel bacio.
Provai dei brividi di freddo.
Non so se questi brividi fossero ascrivibili al freddo del luogo, o al rammarico di aver assistito alla scena del bacio.
Dovevamo riprendere però il viaggio. Ci trovavamo ancora in Slovenia e la strada per Mosca era ancora lunga.
E’ da lui che andavo. Andavo a vivere da lui, si, in Russia.

Ci infilammo nella macchina e lui, voltandosi verso di me che battevo i denti non disse nulla, ma uscì nuovamente, alzò il bagagliaio e prelevò una coperta di lana bianca con cui mi avvolse rientrando in macchina.

- Scusami Koba, mi capita sempre di provare i brividi di freddo quando mi pisciano in testa
- Sei stato bravo, lo hai fatto impazzire
- Voi siete stati bravi Koba, guarda la mia lingua amore mio, guarda, è ancora tutta sborrata di te, e di lui

Lui rise, mosse la testa più volte e disse “fai schifo”
Ecco, vedi? Io in quegli istanti rividi il mio uomo come lo avevo conosciuto, un uomo buono, sorridente, e anche un pochino spiritoso.

La macchina partì, mi accoccolai e mi misi a riflettere.
Che sciocco che ero stato – pensai – a dubitar di lui fino al punto di dubitare del suo amore.
Ma di che cosa stiamo parlando. Koba era il mio uomo, perfetto, senza null’altro aggiungere, e magari faceva parte del suo mondo interiore in fondo questo piacere tutto particolare di mescolare nella bocca del proprio fidanzato i propri spermi con gli altrui spermi.
Baciare uno sconosciuto nella minzione di gruppo era poi qualcosa che aveva forse sognato da tempo, e perché mai avrei dovuto far storie se tutto questo a lui piaceva.
Quanto al bacio, avrebbe prima o poi baciato anche me in quel modo. D’altronde non era poi tanto che stavamo insieme e quindi poteva esserci da parte sua una certa esitazione, nonostante avesse già progettato di vivere insieme.
Forse dovevo smetterla di fare il tenero ragazzo per suscitare un senso di protezione da parte sua. Forse dovevo essere più scherzoso e non recitare nessuna parte. Non avrebbe retto al tempo questa mia parte del cucciolo.
Così, valeva la pena essere ciò che ero, un ragazzo spiritoso e talvolta sopra le righe.

Ma si..

La macchina andava. E come se andava. Eravamo diretti in Russia, la sua patria, o almeno così mi sembrava.
Si, perché della nostra destinazione il mio Koba volle mantenere un certo riserbo, ma era chiaro che si andava a vivere a casa sua, a Mosca.
La strada era lunga e dissestata, ma lui correva sicuro, un pochino troppo per la verità.
Eravamo a pochi chilometri dal confine ungherese, pensate. Sempre più a est dunque, senz’altro prima o poi avremmo curvato in direzione nord. Mamma mia se correva, aveva fretta di vivere una vita con me. Tutte quelle buche poi mi facevano bruciare il culettino spampanato nelle ore prima. Stavamo insieme da 36 ore, e già mi aveva scopato una dozzina di volte.
Il mio culetto doveva drogarlo, e doveva amarmi alla pazzia, sì perché non si spiegherebbe diversamente tanta voglia di possedermi.

Era buio fitto. La Slovenia, di notte, ha un ché di sinistro. Non c’era una casa in quel luogo, e tutto il paesaggio esalava bruma.
Ma checcazzo me ne fotteva a me.
Io ero con lui, il mio Koba, un uomo crudele forse negli affari del sesso, ma tuttavia protettivo con me.
Era perso di me. Si vedeva dalla velocità con cui andava su quelle strade così dissestate.
Lui mi amava, anche se a modo suo, ovvio, e bisognava sempre tenere pronto il culo, perché l’amore ha le sue urgenze.
E’ bello dare il proprio culo all’amato anche se un tantino distrutto, il culo intendo dire.
Magari ecco con qualche pomatina … Dovevano pur esserci delle buone farmacie in Russia, no?

Già mi immaginavo il nostro arrivo. Ci saremmo rifocillati. La madre magari zoppa mi avrebbe abbracciato, e mi avrebbe mostrato con gioia la sua casa scrostata ma calda di una vita semplice.
Sarebbe stato un segno di qualcosa di serio tra noi.

Come poteva essere la madre del mio Koba?.. Sicuramente doveva essere una culona pazzesca, scusate se mi esprimo così, tuttavia doveva essere molto materna. Ma che importava? Era la madre del mio uomo, e mi avrebbe accolto a suon di frittelle.
“Ragazzi andate di là che vi preparo la salsiccia” ci avrebbe detto al nostro arrivo, e noi ci saremmo rinchiusi nella penombra della camera da letto, tra madonne ortodosse e ritrattini di Stalin.
Ma soprattutto…. ci saremmo amati.
Lui impaziente avrebbe avuto una cazzo prossimo a scoppiargli nelle mutande, ma io gli avrei detto “no, amore un momentino”.
Il maschio - solo attivo - non può capire fino in fondo le esigenze del bottom.
Quando al maschio gli scoppia il cazzo nelle mutande, l’impazienza è tale da trascurare il fatto che l’oggetto sei propri desideri deve farsi quanto meno una perettina.

Ma lui, baciandomi e strappandomi via gli abiti di dosso, mi avrebbe ficcato la lingua in bocca dandomi peraltro della “Bella topolona”.
Si, lui mi avrebbe tenuto stretto stretto, infilando le mani nel mio pertugio.
Io mi sarei lasciato baciare, e lui con le lacrime di gioia mi avrebbe morso il labbro.
Pazzo. Pazzo di me sarebbe stato, incredulo che ero lì, a casa sua, tutto per lui, la cosa più importante della sua vita.

Pensando a ciò, mi sentii felice di fianco al mio uomo in quel tragitto in macchina.

- Amore puzzo?
- Di cosa.
- Come di cosa. Di piscio no?
- Un po’
- Eppure mi piace restare pisciata al calduccio. Grazie
- Fai schifo!
- Hahaha vero amoremì? Ma quanto ti voglio bene, eh? Quanto?
- …..
- Amore rispondimi no? Non essere taciturno.. Birbantaccio. Sai che mi hai proprio scassato il buchino?
- Lo hai detto tu no?
- Cosa?
- In albergo CUM. Dicevi “mi devi rompere”
- E lo hai fatto!!! Top! Adoro. Senti Koba ho pensato una cosa.
- Dimmi
- E se ti chiamassi Francesco?
- Perché Francesco?
- Ma perché… che so’ Koba pare brutto, mi terrorizza chiamarti Koba quando mi scopi. Francesco non so.. Mi sa di uomo buono, di francescano, e tu sei un uomo buono. Che dici?
- …………………
- E non risponde… Va bè, to’ guarda cosa c’è in mezzo ai due sedili Francesco….una rosa. E’ l’unico fiore del mazzo che mi hai regalato tu che è scampato alla mattanza hihihihi. Ah, sei i fiori potessero parlare….
- …..
- Amore però potresti dirmi qualcosa, no? Una tonnara amore mio. Hai fatto del mio culetto una tonnara. Matadore romantico…. L’hai scelta tu la rosa o il fioraio?
- …….
- Francesco dico a te.. Uff, quando non parli mi fai incacchiare.... Amo le rose, e questa in particolare. E’ rossa, la rosa rossa, la mia preferita, è un segno del destino?
- ……………..
- Va bene va bene, ho capito. Non ti piacciono queste smancerie.
- ……
- Uff che antipatico che sei “Francesco” quando mi fai così. E rispondimi no?

Allora gli posai la mano sul pacco ma egli me la levò.

- Non è il caso
- Scusami Francesco, hai ragione. Povero pisellone mio sarà tanto malconcio. Sono impegnativo vero amoremio? E tu non hai idea. Questo è niente.
- Cioe?
- A Mosca ci sono negozietti simpatici?
- Di che tipo.
- Pensavo di comperarmi un set di perizoma. Non di pizzo eh, sia chiaro, perché qua nessuno è Checca, ma non so, di seta inglese…. Hai presente di quelli col filino sottile?
- ……….
- Ma te lo immagini?? io e te nel lettone mentre danno l’ultimo notiziario dalla Bulgaria, e noi due abbracciati, tu che mi stacchi il cordino perché poverino avrai il cazzo che ti farà male per quanto ti verrà duro solo a guardarmi …. Allora tu mi ficchi due belle ditine, e mi sbatacchi tutta eh? Tutta spampanata…. e io che ti strillo “No amore no”… Eh? Tu ovviamente ti incazzi, ovvio, e mi ammazzi a manganellate di cazzo ma te lo immagini che storia? Ovvio che potrai sputtanarmi in tutto il quartiere, e sarai libero di chiamare chi vuoi. Proprio assassinata. Eh? Eh? Che dici.
- ……………
- Beh potresti dirmi qualcosa. Amore puoi andare più piano? Non vorrai mica perdermi ora che mi hai trovato, no?
- ……….
- Francesco ce l’ho con te! Cribbio
- ………
- Uffa non mi rispondi mai, guarda che io ho bisogno di sicurezze sai, almeno quanto te. Se mi ami devi andare più piano, amò la curvaaa!!


Allora feci quello che fa il cucciolo offeso, cosi prima o poi mi avrebbe degnato di una risposta, di una carezza e mi avrebbe sorriso. Iniziavano un po’ a mancarmi le carezze.
Così assestai la ciambella sotto il culo, con la mano mi spazzolai la giubba e poi mi impettii incrociando le braccia.
Eh sì bello, vuoi la guerra? e guerra sia. Lo avrei fatto impazzire perché era chiaro che stramoriva per me.

All'orizzonte notai un ammasso compatto di nuvole grigie. Certo, avrei potuto dire “Uhh il temporale”. Ma io niente. Zitta. Stavo aggrappato a due mani sulla maniglia del tettuccio, tosta e tesa.
Inforcammo ad una velocità pazzesca uno sterrato che io mi sentii rovesciare le budella.
Gli dissi

- Va’ piano, mi sto sentendo male
- ………

Ma niente, Koba non rispose, un fastidio guarda?!
Giungemmo poi sul ciglio di una rupe. Frenò di brutto che io andai a sbattere il musino sul cruscotto.

- Amo’ mi sono fatto la bua uffa!!

Koba spense il motore ed usci dall'auto. Si mise a guardare il fondo del precipizio con le mani ai fianchi.
Uscii anch’io dall'auto, l'aria era elettrica ed il cielo ingrigiva ogni cosa attorno a noi.
Allora feci quello che si incanta.

- Che silenzio, che pace, mi ricordo quand'ero bambino nel giard'....

Niente. Lui si accese una sigaretta. Si mise poi a fare delle potenti flessioni per terra.
Io continuavo a fare l’incantata guardando il paesaggio, sperando in un suo abbraccio. Nel mentre però, lo guardavo con la coda dell’occhio. Faceva delle flessioni potentissime.
Com'era bello nello sforzo. Lo ammiravo.
Questi russi – pensai - sono nati per la ginnastica. Povero, doveva mantenere in esercizio i reni per distruggermi il culetto tutta una vita. Si impegnava il ragazzo, e anche questo era un buon segno che tra noi tutto sarebbe filato liscio.
Poi balzò di scatto che io indietreggiai un pochino con la rosa in mano e l’altra manina sul petto.
Allora accostò sul retro della macchina e..

- Amore che forzuto che sei. Ma la macchina si muove. Basta spingere amore… amore… amooo!

La macchina aveva portato il muso sul ciglio, e quando sospinta si affacciò pericolosamente del baratro, io strillai come una pazza.
La macchina capitombolò nel dirupo spaccandosi contro gli alberi e abbattendo arbusti. Poi una potente esplosione ed io atterrita lo guardai.

- Ma... Ma... la ciambella! Oddio c’era la ciambella da viaggio…
Ma lui un niente proprio.
Allora mi feci coraggio, e gli dissi
- Dì un po’... Ma ti rendi conto cosa hai fatto?
- ……..
- Rispondimi. No, ma dico, ti dà di volta il cervello?

Proprio guarda, non ci vidi più, glie lo dissi, proprio con una rabbia ma con una rabbia che secondo me ci rimase malissimo... Gli dissi, testuale proprio..

- Tèh guarda, tèh. E adesso come riprendiamo il viaggio? La macchina, cazzo, era nuova!!

Corsi contro di lui con la rosa tutt’afflosciata e lo presi a pizzichi sulle braccia, e lui non se l’aspettava che potessi reagire. Ma lui per tutta risposta mi tirò una lorda in faccia a cinque dita che finii in terra. Proprio le labbra mi battevano, già che avevo sbattuto sul cruscotto.
Allora mi misi a frignare

- Mi devi riportare indietro, io con te non ci sto più

Poi guardai le nuvole lassù, la comprensione che non so …. e il cielo prese a far lampi.

- Francesco io voglio tornare a casa. Mi devi portare indietro, voglio tornare da Mamma e Subito!!

Lui incurante menò una scoreggia disumana.

- Cosa?????

Si, una scureggia disumana. Io rimasi di cazzo.
Dov'era finito il mio uomo bello, eh? Mi sentii smarrito, impazzito, esterrefatto.

- Francesco ma che cosa stai f…

Menò un altro trombone.
No vabbè.

Poi esplose un tuono, e io che potevo fare? Strillai. Poi ancora un tuono ancora più forte, e vennero giù goccioloni d’acqua grosse così.
Un tuono ancora e io strillai perché io ho paura dei tuoni. Con le mani in testa mi misi a girare a cerchio non sapendo più dove cazzo andare.
E Lui? Un cazzo proprio.

A questo punto, come dire…. A questo punto il ricordo si fa più vago….
Ricordo che lui mise le mani in tasca, questo lo ricordo, e incurante della pioggia gelata si diresse tranquillo verso un casolare.
Il casolare non distava molto da noi. Era un rudere malfermo tra arbusti e tutto fatto di tufi, e vecchie travi marcite cadute un po’ ovunque.
Io continuavo a strillare sotto la pioggia, e non sapendo cosa fare mi misi a seguirlo come un’oca.
Ricordo che vidi scomparire la sua sagoma nel buio fitto di una galleria, tutta di tufo, ed io, entrandovi, fui assalito da un puzzo rivoltante di bestiacce morte.
Ricordo che lo chiamavo ma lui non mi rispondeva. Come cazzo sarei potuto tornare a casa senza che almeno Francesco mi tirasse fuori da una situazione assurda in cui mi ci aveva ficcato.

Udivo lo scroscio dell’acqua e dalla volta percolava acqua piovana che passo dopo passo sentivo il fango schifoso sotto le mie scarpette. Io lo chiamavo “Francesco, Francesco”, ma di lui, un cazzo.
Al ché, procedendo a tentoni, e facendo attenzione a non spezzare la rosa in mano, vidi una lama di luce sul lato destro della galleria, una luce grigia, naturale, brutta ma se non altro meglio di quelle tenebre. Decisi di procedere a passo svelto, ed ecco che alla mia destra si apriva quella che una volta era una camera a tutti gli effetti, piuttosto ampia direi e con dei letti e delle reti di metallo arrugginito.
L’ambiente era delimitato da muri di tufo con sopra incise ovunque svastiche, falci, martelli, cazzi e culi, segno che in quel luogo comunque doveva pur esserci stata una qualche remota frequentazione, perché davvero, quel posto pareva davvero così dimenticato dal tempo.
Il mio Lui stava seduto a fumare ed io non sapendo cosa fare mi guardai attorno, sempre con la rosa moscia in mano.

Lo guardai, lui guardava fuori, nel vuoto. Adagiai la rosa su un cesso rotto buttato lì dentro da chi sa chi.
Io volevo far la pace. In tutta quella situazione lui era il mio solo appiglio del cuore, e va bene forse poteva essere pazzo, ma io lo amavo. Mi avvicinai sempre tenendomi a distanza da lui. Lui non diceva niente e io non sapevo davvero cosa fare.
Certo, potevo sedermi, ma il culo devastato dalle barbariche trombate delle ore prima non me lo permetteva, allora piegai a carponi e mi avvicinai a lui come un cucciolo, tanto che gattonando mi avvicinai alle sue cosce aperte, e scoppiai a piangere senza più dignità per me. Piansi come un bambino.

Posai una mano sul suo ginocchio.

- Amore perdonami, andiamo via, se non mi vuoi più riportami almeno a casa, da Mamma a Roma.
- …….
- Rispondimi Francesco rispondimi, te ne prego rispondimi. Io lo so che tu mi ami, cosa faresti senza di me, eh? Lo hai visto, mi hai regalato dei fiori, pensaci, dove lo trovi tu un altro come me, eh?! io sono il tuo sogno Francesco…. Francesc’..Francesco!!!!!! Makkkeccazzo stai facendo!!!!! Francesco!!!!!!!!!!

Lui s’era alzato di scatto, fini nel centro sella stanza, si sbottonò le brache, si acquattò e si mise a……
a Cacare si mise, perdio. A cacare!

Ma checcazz, stava cacando!
Oddio Oddio, fu lì che mi sentii male.
Ebbi paura. Buttai uno strillo che mi ficcai le mani tra i denti, atterrita come una Sandra Milo qualunque.

Sincrono al mio urlo si sovrappose un tuono spaventoso, ed io corsi dall’altra parte della stanza facendo un balzo sopra la cacata per non sporcarmi le scarpette già tutte lordate.
Udii dei motori e il rumore di gomme su terra bagnata. Mi affacciai.
C'erano due autocarri bianchi con uomini dentro con la barba lunga e la faccia brutta ma tanto mai brutta.
Francesco usci dal casolare. Io restai alla finestra e lo vidi che si avvicinò a loro, e si mise a parlare sotto la pioggia ai piedi di uno dei due mezzi che se ne stavano coi motori accesi.
Poi sali a bordo.
Come salì a bordo!? Oddio e io?! Ebbi le palpitazione. Udii il giro dei motore salire, e uno dei due autocarri partì.


"Francesco" urlai "Francesco" e corsi.
Presi la rincorsa, imboccai la volta del casolare, "Francesco"….uscii sul piazzale, allora degli uomini, brutti come il debito, mi trattennero, ma io li presi a graffi urlando “Francesco, Francescooo!!”
E corsi, svoltai a destra e strillai " Francesco, Francescooo, Francescoooooooo!!”
Fu lì che in piena rincorsa fui raggiunto da una mitragliata di pallottole di gomma, e finii sul fango lunga lunga, come te posso dì….'A Magnani?
N'antenata.

Due uomini vestiti come cacciatori, mi afferrarono per le caviglie e mi trascinarono via.
Montai stramorta sull' autocarro con loro.
Biascicai qualcosa, ma fui zittita perché mi fu messo in bocca un cazzo moscio che sputai, che schifo, ma poi fui rimboccata.
Poi svenni.

Poi…

Poi non ricordo null’altro.





HUNGARIAN RHAPSODY
Autobiografia di un libertino.
















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