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Lui & Lei

La sua Troia - Finale - Parte I: Vestizione


di NoOne8
01.08.2022    |    5.468    |    3 9.0
"Porta solo il telefono e mi raccomando, sculetta come la battona che sei..."
Quella mattina estiva, il sole era più clemente del solito. Fu proprio il delicato abbraccio dei suoi raggi sulla pelle di Serena a svegliarla dolcemente.
Con pigrizia, la donna si stiracchiò, accogliendo quel gradevole tepore, allungando una mano dall’altro lato del letto, dove trovò solo un cuscino.
Marco deve essersi già alzato, pensò, sedendosi sul bordo del letto per infilarsi le ciabattine nere con tacco regalatele dal marito.
Si alzò con calma, ancheggiando verso la cucina, sentendo il tessuto leggero del baby-doll accarezzarle i glutei tonici. Era convinta che avrebbe trovato il suo uomo intento a bersi un caffè o a preparare la colazione, ma si sbagliava. Infatti, sul tavolo, trovo già tutto apparecchiato per la sua colazione: una tazza di caffè ancora caldo, un bicchiere di spremuta d’arancia, fette biscottate, burro e diverse marmellate. Appoggiata al bicchiere, vide una busta chiusa, indirizzata a lei, al suo interno vi era una lettera, che Serena volle leggere subito:
“Buongiorno e buon anniversario piccola,
Quest’anno ho deciso di organizzarti una sorpresa… particolare. Se obbedirai a tutti gli ordini e ti comporterai bene, vincerai il tuo premio; in caso contrario invece, sarò costretto a punirti. A ogni modo, sono sicuro che ti divertirai.
Come prima cosa, mangia la colazione che ti ho preparato. Quando hai finito, mandami una tua foto.
A più tardi puttana.
Il tuo Padrone,
M.”
Dopo aver letto il biglietto, la donna lo poggiò sul tavolo accanto al piatto, piena di domande.
Che cosa avrà organizzato? Quali saranno gli ordini? Ci riuscirò?
Sentì un misto di ansia, anticipazione ed eccitazione crescergli dentro. Da quanto avevano modificato le loro dinamiche di coppia, ovvero da quanto era diventata la sua troia, Marco era diventato imprevedibile.
Dopo le prime esitazioni però, si ricordò di come negli ultimi mesi, tutto ciò che lui le aveva fatto vivere le fosse sempre piaciuto, sfidandola ad affrontare i limiti che si era imposta, solo per scoprire che dietro quei cancelli che le aveva spalancato si celassero per lei piaceri che prima trovava semplicemente inconcepibili, ma che invece la facevano godere come non avrebbe mai pensato di poter fare.
Rincuorata da questo pensiero, riuscii a mettere da parte le preoccupazioni della vecchia Serena e sentì distintamente la sua nuova persona, la troia, anzi, la Sua Troia, emergere.
Mangiò la sua colazione con appetito e curiosità verso ciò che Marco le aveva preparato per la giornata.
Dopo aver finito, tornò in camera per specchiarsi, studiandosi da ogni angolazione per decidere come scattare la foto che le era stata richiesta. Notò le gambe affusolate salire fino alle sue chiappe sode, il suo vitino di vespa, che con una curva pericolosa portava l’attenzione al seno gonfio, nascosto dal leggero tulle del baby-doll, le labbra carnose, di cui il marito amava approfittarsi. Così, si riscoprì incredibilmente sexy. Quindi, si mise in posa, spingendo indietro il bacino per far sembrare il culo più gonfio, piegandosi leggermente in avanti per esaltare la scollatura e schiudendo le labbra con fare invitante. Così sì, che l’avrebbe fatto arrapare. Click.
Preparò la foto per Marco, aggiungendo la didascalia: “Buon anniversario, Padrone. Spero che la foto sia di suo gradimento.”
Dopo aver toccato il tasto Invia, rimase immobile a guardare lo schermo, sentendo crescere in sé l’anticipazione per la risposta che avrebbe ricevuto. Entro pochi secondi, la donna venne soddisfatta.
“Sotto la mia scrivania troverai un pacco. Aprilo.”
Secco, brusco, senza darle la minima soddisfazione per la foto che gli aveva appena mandato. Quel modo di fare così distaccato, deciso e superiore la faceva impazzire. È per questo che sono sua, si disse.
Serena si recò subito nello studio del marito, dove trovò una scatola nera, di medie dimensioni, nella posizione indicata. Poggiata sulla scrivania, su un lato, scorse un’altra busta, contenente un altro biglietto come quello della colazione.
“Una brava troia deve vestirsi in modo adeguato. Indossa tutto il contenuto di questo pacco e nient’altro.
Quando sei pronta, mandami un’altra foto.
Il tuo Padrone,
M.”
Curiosa di scoprire quali abiti avesse preparato per lei, la donna scoperchiò immediatamente la scatola, rimanendo a bocca aperta quando ne vide il contenuto. Compresa la sfida che il suo uomo le aveva lanciato, decise di portare il pacco in camera da letto per vestirsi.
Dopo essersi spogliata del tutto, prese il primo indumento della confezione. Le calze a rete autoreggenti che Marco le aveva preparato erano a maglia larga, di quel genere che una donna elegante non indosserebbe. No, queste non sono calze per una signora, queste sono per una puttana, pensò Serena, arrotolandosi la prima nella mano per infilarsela.
Indossate entrambe, la donna si alzò per specchiarsi, notando come le fasciassero bene le gambe, senza scadere nell’eccesso. Sicuramente erano volgari, ma non c’erano dubbi che esaltassero la sua figura.
Quindi, estrasse il secondo oggetto dalla scatola, una mini gonna nera plissettata. Appena presa in mano, Serena si rese conto di un dettaglio non trascurabile: era vertiginosamente corta. Questo le fu confermato una volta indossata. Nel migliore dei casi, la gonna le avrebbe a mala pena coperto il culo. Girandosi davanti allo specchio infatti, vide come a ogni passo, o anche solo piegandosi di poco in avanti, la parte inferiore delle natiche venisse subito messa in mostra.
Il terzo indumento era probabilmente il più casto della confezione. Si trattava di una bralette di pizzo nero, che giustamente aderiva a tutte le sue curve, mostrandole con un gioco di trasparenze molto sexy. L’unico problema era la dimensione e l’altezza delle coppe, che le stringevano il seno, gonfiandolo, coprendole a mala pena i capezzoli. Una mossa sbagliata con questo e sarò a tette di fuori, pensò la donna.
La scatola ormai era quasi vuota. Tolte le scarpe, Serena le studio, girandosele tra le mani. Il tacco era di almeno quindici centimetri, giustificato da un plateau che, a occhio, le sembrava alto circa tre o quattro centimetri. Si allacciò i cinturini neri lucidi, in tinta con il resto della calzatura, intorno alla caviglia e quindi si alzò in piedi, vacillando.
Mi ci dovrò abituare!
Serena era solita indossare tacchi alti, ma non era affatto abituata a camminare su dei trampoli di quel genere.
Il penultimo articolo era un rossetto. Passandoselo davanti allo specchio, la donna pensò che fosse di una punta di rosso veramente troppo accesa. Volgare, pensò ancora una volta. Ma ormai aveva capito il gioco del marito e il risultato che voleva ottenere.
Finalmente, tirò fuori l’ultimo oggetto, senza rimanere troppo sorpresa. Era una butt-plug di acciaio semplice, dalle dimensioni anche abbastanza ridotte, soprattutto rispetto all’ultima che le aveva regalato. Evidentemente non era interessato tanto a farle dilatare l’ano, quanto a far sfoggiare tra le chiappe quella finta gemma bianca a forma di cuore.
Serena allargò le gambe, piegandosi in avanti e alzandosi la gonna sul culo, quindi si bagnò le dita sfruttando il flacone di lubrificante sul comodino e lentamente cominciò a passarle intorno al buchetto, spingendo con il medio per aprirlo e penetrarsi leggermente. Come sempre, prepararsi per la butt-plug risvegliò anche la sua figa, che adesso sembrava gridare: “Anche a me! Anche a me!”
La donna sfilò il dito dall’ano e scese fino alle labbra, passandosi il dito in mezzo, sentendo quanto anche solo il processo di quella vestizione era bastato a farla bagnare. Dopo pochi secondi di quel piacere, si ricordò del plug e che la sua missione non era ancora finita. Prese il giocattolo che aveva poggiato sul letto e lo puntò contro lo sfintere, cominciando a spingere con delicatezza. Tra la lubrificazione e la dimensione ridotta, riuscì a farla entrare senza troppi sforzi.
Finalmente pronta, Serena tornò allo specchio per vedere come funzionava l’ensemble. Non c’erano dubbi sulla sua volgarità, era vestita come una puttana da strada, ma era altrettanto indiscutibile che fosse, come le avrebbe detto chiunque l’avesse vista, “fregna”.
La donna si girò di spalle, guardando il culo tirato su da quei tacchi vertiginosi e le gambe ancora più slanciate di quanto non lo fossero già normalmente. In effetti, con quella minigonna sarebbe bastato anche un passo più lungo del normale per rivelare la butt-plug e un sobbalzo le avrebbe fatto esplodere il seno fuori dalla bralette.
Serena rimase incantata per alcuni secondi davanti alla sua immagine. Si sistemò il seno, si allisciò la gonna, curvò le labbra rosso fuoco in diverse espressioni, giungendo alla conclusione che così acchittata, anche lei si sarebbe voluta scopare. La sua mente quindi volò subito a fantasticare quello che le avrebbe fatto Marco e il calore tra le gambe si fece ancora più intenso.
Prima che la situazione potesse sfuggirle di mano, la donna decise di scattarsi la foto richiesta. Rimanendo allo specchio, allargò le gambe, si abbassò leggermente le coppe del top, mostrando i capezzoli a metà e si alzò la gonna, rivelando la figa nuda e depilata. Spalancò la bocca tirando fuori la lingua e con il telefono scattò una foto al suo riflesso, inviandola al suo padrone con la didascalia “La tua puttana è pronta.”
Anche stavolta, la risposta non si fece attendere troppo. Il nuovo messaggio si presentò entro pochi secondi sullo schermo:
“Brava, adesso sei veramente una zoccola pronta per battere. Scendi, usa le scale, non l’ascensore, e percorri la via fino all’incrocio, dove troverai un SUV nero con i finestrini oscurati. Sali dietro. Porta solo il telefono e mi raccomando, sculetta come la battona che sei.”
Serena strabuzzò gli occhi. Devo veramente andare in giro come una mignotta? Se mi dovesse vedere qualcuno che conosco? E come faccio a fare le scale con questi zatteroni?
Dopo i primi momenti di esitazione, cominciò a fare mente locale.
È una mattina di agosto, la città è deserta, quasi tutti i condomini sono in vacanza. Saranno a mala pena duecento metri quelli che devo fare. E poi, cazzo sono bella. Non posso vergognarmene, anzi, devo andarne fiera.
Ripensò a quanto le aveva detto il marito quella sera, dopo averla inculata nel parco: “Sii orgogliosa di essere la mia troia”. E lei lo era, davvero. Facendosi coraggio, strinse la presa intorno al telefono e uscì di casa.
I primi scalini furono i più difficili. Serena non era abituata a quei quindici centimetri in più di altezza, né tantomeno al plateau dei tacchi. Li scese con attenzione, tenendosi al corrimano, provando a capire come doveva distribuire il peso.
Con ogni passo, la butt-plug le ricordava di essere saldamente nel suo culo, provocandole una sensazione strana, ma piacevole, che continuava ad alimentare l’eccitazione accesa prima.
Pianerottolo dopo pianerottolo, finalmente arrivò fino all’ingresso del palazzo, senza aver ancora incontrato un’anima. Adesso sarebbe stato più difficile. Ma quell’esercizio di scendere a piedi le era stato utile. Essendo un luogo appartato, aveva potuto acquisire più confidenza con le scarpe e ora riusciva a camminarci con maggior disinvoltura, quasi come avrebbe fatto su qualsiasi tacco alto.
Uscita dal portone, si diresse subito verso il marciapiedi, contenta che anche l’ingresso del condominio fosse deserto. Abitavano in un quartiere residenziale abbastanza tranquillo e in questo periodo era veramente deserto. Sulla strada però sarebbe stato diverso.
Infatti, non appena fece i primi passi verso la macchina nera che vedeva in lontananza, un’altra auto la incrociò, suonandole il clacson mentre la superava per dimostrare il proprio apprezzamento.
Coglione, pensò Serena continuando a camminare, non affatto sorpresa di essere stata notata in quella mise.
Passo dopo passo, il suo incedere si faceva sempre più sicuro, tronfio. Ormai, stava camminando a testa alta quando un’altra macchina, questa volta nella sua stessa direzione, si accostò a lei.
“Ciao bella, quanto vuoi?”
La donna si girò per guardare in faccia il suo interlocutore. Era il passeggero, un ragazzino a mala pena patentato, insieme a un coetaneo alla guida.
“Più di quanto vi possiate permettere”, li liquidò subito, senza rallentare.
“Quanto sei acida, ma che ti brucia il culo?” Rispose lui.
“Mi sa di sì Daniel, guarda che chiappe che ha, io glielo avrei già sfondato!” Si unì l’altro principe.
“Ti piacerebbe, mi dispiace ma vado solo con uomini, i ragazzini come voi non li tocco.” Ribatté Serena, cominciando quasi a divertirsi per la sua interpretazione.
“Dai, almeno un pompino!” Pregarono i due.
“Carini, supplicate pure, proprio come dei veri uomini! Smammate va…” Li stroncò.
“Vaffanculo, puttana!” Le urlarono, prima di sgommare via con l’ego ferito.
Sentire quella parola, puttana, usata in quel modo, la fece sorridere. Perché in fondo, neanche troppo in fondo, lei si sentiva una puttana, amava quando il suo uomo la appellava in quel modo. Si bagnava quando Marco le dava della cagna. Le piaceva l’umiliazione e la sottomissione che implicava. Godeva a essere scopata e abusata come una troia. Ma forse, pensò, solo un uomo con la U maiuscola sa come e quando usare quelle parole. Ed era incredibilmente felice di averne trovato uno.
Con quel pensiero fisso in testa, percorse gli ultimi metri verso il SUV nero con le gambe bagnate. Quindi, aprì lo sportello e salì in macchina.

Continua...
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