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Lui & Lei

Pedinamento al fiume


di Membro VIP di Annunci69.it nowap
29.11.2007    |    8.014    |    0 4.9
"Non tanto, ma fu abbastanza per farle aumentare la sensazione di soffocamento..."
Giornataccia, giornataccia, giornataccia. Enrica non pensava ad altro da quando era stata costretta a prendere la macchina per andare in ufficio. Solitamente preferiva andare a piedi: camminare l'aiutava a schiarire la mente prima di entrare in ufficio. Ma le piaceva ancora di più camminare dopo l'uscita, dopo una giornata spesa a dare ordini, a consolare lamenti, ad ascoltare i suoi dipendenti stressati. Quei passi che la portavano a casa, uno dietro l'altro, quasi meccanici erano un sostituto della meditazione che facevano le sue amiche. Col tempo aveva imparato a filtrare tutti i disturbi: clacson, odori e le altre persone e concentrarsi su di lei, sulle sue voglie e desideri, le sue aspirazioni.

Quel giorno però sapeva che non avrebbe potuto consolarsi passeggiando. Quella riunione sarebbe stata importante: doveva chiudere il contratto con un nuovo cliente dall'estero e doveva sicuramente indossare il tailleur giusto. Il che implicava anche mettere le scarpe giuste, quelle splendide che la facevano sembrare più alta e più imponente e anche più desiderabile. «E se il cliente desidera me vuol dire che sarà più facile fargli desiderare anche i servizi della mia azienda» soleva ripetere Enrica ai suoi amici. Non che non le piacesse portare i tacchi alti, ma un conto è un party altro è una giornata di lavoro.

Così si truccò e si vestì, dapprima un po' svogliata ma poi man mano che i pezzi andavano a posto sentiva che la stanchezza cedeva il posto alla grinta e alla voglia di concludere un altro affare. Così, guardandosi allo specchio con gli occhioni ben sottolineati, il reggiseno che le modellava le curve già naturalmente aggraziate sotto la camicietta, le calze sottili a sottolineare le belle gambe tornite e i fianchi morbidi avvolti dalla gonna a tubino, in fondo quei tacchi sottili pensò non senza una punta di orgoglio «Oggi spacco. Una così come fa a non farsi comprare di tutto?»

Enrica scese le scale senza fretta, prese la macchina, la sportiva preferita e si avviò in ufficio. Non ci volle poi molto a concludere la trattativa: il cliente continuava a pendere dalle sue labbra. Era stato facile: Enrica aveva saputo dominare la riunione fin dall'ingresso nella stanza. Le capitava spesso ormai, aveva imparato bene tutti i trucchi del mestiere.

Era solo mezzogiorno quando decise che non sarebbe rimasta in ufficio di più: aveva concluso un buon affare e sentiva di meritarsi un pomeriggio di riposo. E poi i tacchi erano serviti allo scopo e cominciavano a darle fastidio. Salutò il suo staff e scese a prendere la macchina. La mattinata le aveva lasciato un senso di insoddisfazione. Ultimamente le capitava più spesso: sapeva di essere una bella donna, attraente, aveva un buon stipendio e uno stuolo di ammiratori. Ma non le piaceva tanto essere temuta, fare il capo. «Sai che palle! Vorrei fare la mantenuta per il resto della vita» aveva detto solo la sera prima alla sua amica prendendo l'aperitivo.

Sapeva che una camminata le avrebbe fatto bene, ma dove? Le venne un'idea: «è ora di pranzo, vado al supermercato prendo dello champagne e del sushi e vado al fiume a fare due passi da sola». C'era un bel supermercato vicino. Accostò ed entrò nel parcheggio sotterraneo. Era così persa tra i suoi pensieri che non notò il bell'uomo a cui aveva soffiato il posto del parcheggio.

Lui parcheggiò poco lontano dalla sua sportiva e la vide aprire la portiera e scendere. Con la macchina così bassa la manovra non era facile. Enrica a volte si sentiva una foca mentre scendeva da lì, ma quel giorno, sarà stata la sua carica di energia o solo fortuna, fece un gesto di grande sensualità. Forse però non fu una fortuna. A pensarci dopo Enrica ancora non sapeva dare un giudizio definitivo su quel giorno.

Nel supermercato si diresse subito verso il negozio che poteva avere champagne freddo e lo trovò della sua marca preferita. Poi andò a prendere il sushi e tutto l'armamentario: bacchette, wasabi, salsa di soia, contenitori. Voleva trattarsi bene perché sapeva di meritarselo. Pagò e uscì di fretta. Aprì la macchina con il telecomando, mentre stava entrando notò di fianco a lei un uomo. Dapprima si spaventò, ma subito Lazzaro (così si presentò lo sconosciuto) la tranquillizzò dicendole «Ci sono rimasto male quando mi hai soffiato il posto, ma poi mi hai deliziato scendendo dalla macchina in modo così elegante: ho apprezzato molto le tue belle gambe» disse con un bel sorriso. Enrica lo prese come un complimento (e in effetti lo era). Stava per salutare e andarsene quando Lazzaro si fece avanti in modo molto deciso, la prese con un braccio intorno alla vita e prima che potesse urlare le accostò qualcosa alla pancia e le sussurrò ad un orecchio: «sali in macchina, spostati e
fammi guidare senza fare cazzate. Non ti farò del male: fidati, ti conosco e tu mi conosci bene anche se ora forse non ti ricordi di me. Ti porto esattamente dove stavi andando.»

Enrica stava per urlare ma quel sussurrare pacato, il suo profumo e quelle parole enigmatiche le fecero perdere la forza di ribellarsi. Chi era quest'uomo? Perché di colpo pensava di averlo già visto? «E perché sto facendo come dice lui, cazzo!?» pensò mentre si spostava dal lato del passeggero.

Lui uscì dal parcheggio del supermercato e le disse: «Andiamo al fiume, giusto? Ho comprato del sushi in più e lo champagne della tua marca preferita l'ho fatto mettere in fresco io a quel negozio... o pensi che lo tengano sempre in frigo?» ....

Enrica salì in macchina e nel tragitto pensò al suo appuntamento a quell'ultimo appuntamento da grande capo. Si era stufata voleva vivere la vita in funzione dei suoi ritmi delle sue passioni ed era una donna con le sue debolezze e con la sua voglia di essere presa e trasportata da un uomo. Aveva 35 anni ma sognava ancora il principe azzuro.

Mentre nella sua mente vagavano questi pensieri guardò lo sconosciuto pensando: «ma il principe azzurro poteva mica essere quest'uomo che enigmatico qui accanto a me?». Gli occhi azzurri li aveva e i lineamenti non erano certo ruvidi come ti aspetteresti da un aggressore in un telefilm. Però non aveva un cavallo bianco e non sembrava essere arrivato a salvarla. Anzi. Il fatto che il cuore le battesse a 1000 non doveva essere un buon segno.

«andiamo al fiume, c'è un'ansa dove non c'è mai nessuno... staremo tranquili e potrò farti di tutto, tanto non sentirà nessuno» disse lo sconosciuto. Enrica capì allroa che forse il giorno girava peggio di come era iniziato. O forse no. Enrica era in fase di mutamento e quello poteva essere un input superiore.

Restava comunque la paura di uno sconosciuto che la stava portando chissà dove a farle chissà che, ma con la testa pensava alle cose vecchie a quello che lei voleva eliminare. Lazzaro parcheggiò e spense il motore. non c'era nessuno, Enrica si guardò intorno. Lazzaro le parlò di nuovo con voce gentile avvicinandosi disse: «non ti preoccupare, non c'è nessuno ...». Le prese la mano e l'agganciò con una manetta al volante e lei gli rispose con voce da gran capo: «non mi fai paura». Lazzaro girò dal lato passeggero, aprì la portiera, slacciò la manetta dal volante e le agganciò l'altra mano dietro la schiena. Enrica fece per parlare ma Lazzaro le diede uno schiaffo sulla guancia e gridò: «stai zitta, da questo momento ti dico io cosa fare».

Lei lo guardo con un'aria di sfida, non accettava gli ordini e quello schiaffo le riporto alla mente vecchi ricordi, brutti ricordi. La guancia bruciava, ma Enrica non era affatto tranquilla. Nella sua mente giravano tanti pensieri. Si ricordò quando il suo ex marito in un momento di rabbia l'aveva picchiata e lei aveva promesso a se stessa che non si sarebbe mai più fatta picchiare e ora questo sconosciuto, che le aveva appena dato una sberla. Ma chi era e cosa voleva. Il cuore le andò a mille. Non aveva mai avuto la sensazione di essere seguita. Eppure questo era lì, che sapeva del suo debole per lo champagne e del suo posto preferito al fiume dove a volte andava a rilassarsi. Forse una talpa in ufficio? Un amico di amici?

Mentre pensava sentì che Lazzaro la stava strattonando imponendole di alzarsi... le tirava i capelli, altro che principe azzurro. L'aveva presa alla base del collo, afferrando una consistente ciocca di capelli abbastanza per farle sentire la sua mano forte, ma quasi sembrava un abbraccio. Enrica si sentiva soffocare. Non aveva mai più permesso a un uomo di vederla debole. se l'era promesso, ma quel giorno niente aveva senso, era fuori da qualsiasi logica. Lui la teneva in ostaggio

Il terreno non era certo adatto ai tacchi ma lui la sosteneva mentre la teneva per il collo e arrivarono sulla spiaggetta. C'erano dei bei massi piatti disposti come piccoli tavolini e poltroncine. Lazzaro fece accomodare Enrica, stappò lo champagne e poi le liberò una mano. Anzi, no, non la stava liberando. Stava armeggiando dietro la sua schiena e con i suoi capelli. «Che diavolo ...» pensò Enrica. Lazzaro le ordinò: «apri la bocca». Enrica non capiva: Lazzaro le era dietro, aveva una ciocca di capelli in mano e le diceva di aprire la bocca ?

Lazzaro le tirò allora la testa all'indietro con una mano. con l'altra teneva lo champagne. Ripetè: apri la bocca. Enrica l'aprì e fu inondata dallo champagne sulla faccia. Non tanto, ma fu abbastanza per farle aumentare la sensazione di soffocamento. Alcune lacrime le rigarono il viso............
lui allora l'asciugò tutto premuroso, la pulì tutta. Gli piaceva il suo viso e i suoi lineamenti. Lei si raggomitolo su se stessa in posizione fetale. si sentiva piccola e indifesa. Ma lui non glielo lasciò fare: le prese i capelli di nuovo e la tirò indietro urlando: «ti dico io cosa fare». Lei si senti una bambola.

Lazzaro prese a sistemare sulla pietra più grossa le ciotole che aveva comprato. Apparecchiò il sushi, preparò il wasabi e la salsa di soia. Enrica guardava attonita. Anche Lazzaro la guardava: le sue gambe e le ginocchia così in alto, ma piegate in modo così sensuale lo convincevano che chi lo aveva mandato da lei aveva ragione. Gli aveva detto che Enrica era una bella donna che andava punita e lui, da bravo professionista, aveva elaborato un po' di testa sua. Finito di sistemare il sushi Lazzaro mise del wasabi sul dito e si avvicinò alla bocca di Enrica. Le strinse le guance per costringerla ad aprire la bocca e infilò con forza il dito sulla sua lingua, spalmando quella crema fortissima sulla lingua e sul palato. Enrica cercò di spostarsi ma Lazzaro la teneva stretta, aveva il suo viso vicinissimo al suo, le labbra si sfioravano mentre il sapore del wasabi entrava nel naso e fino al cervello. Piangeva Enrica, e stavolta le lacrime erano ancora più salate di prima.
Lazzaro la baciò togliendo il dito dalla sua bocca e lei ricambiò il bacio in modo quasi intenso.

Si sentiva strana e lo guardò negli occhi. Lo vedeva come uomo non come un'aguzzino. Non era abituata a guardare gli uomini così: per lei solitamente erano da una notte e via. Da questo punto di vista agiva come un uomo: il lavoro prima e sopra tutto. Ma ora era lì e se non fosse stato per le manette e i capelli che le facevano male si sarebbe definita 'felice. Il dolore e la posizione scomoda la riportarono alla realtà. Enrica parlò e chiese: «sono scomoda, posso cambiare posizione?». Lazzaro per tutta risposta le diede un altro schiaffo, stavolta più forte del primo sulla stessa guancia che già bruciava. Lei non capiva. Lazzaro la prese di nuovo per i capelli, praticamente alzandola da terra e senza urlare le disse: «non hai rispettato le regole. tu non devi parlare fino a che non te lo dico io o non ti faccio una domanda» e la lasciò seduta in quella posizione.

«vuoi mangiare?» le chiese Lazzaro. Lei lo guardava come un cerbiatto ferito ma non rispose. Le arrivò un altro schiaffo. «vuoi mangiare? e ora rispondi». Ma lei continuava a guardarlo. «Se non vuoi mangiare allora mi farai da tavolino» disse Lazzaro. La alzò e le slacciò un polso, le tolse le scarpe e la giacca, le tolse la gonna, la fece mettere in posizione fetale a terra e poi riagganciò le manette con le mani sotto le cosce. Enrica era scomodissima adesso. Lazzaro le prese i capelli e disse: «ora appoggio tutto sulla tua schiena e mi godo il pranzo. Se fai cadere anche una sola goccia di olio pagherai le conseguenze».

Lei scosse la testa e fece come aveva detto. Enrica non diceva niente, era muta, quasi un sasso e sapeva che lui non scherzava. Mentre era piegata così sentì anche che effettivamente aveva fame ma non osò parlare. Lazzaro si versò da bere e mangiò con calma senza parlare molto. Le disse solo che era brava a fare il tavolino e che se continuava a fare la brava così le avrebbe fatto un piacere. Si accorse che a un certo punto lei era esanime:
la posizione la fame e lo stress l'avevano ridotta al minimo. Lazzaro tolse tutte le ciotole dalla schiena di Enrica e l'aiutò ad alzarsi e le offrì da bere, in un bicchiere stavolta.

«Siccome sei stata brava a fare il tavolino ti tolgo le manette così puoi bere un po'» disse Lazzaro con calma. Lei lo guardò e ringraziò ma Lazzaro la colpì così forte che le volò via il bicchiere di mano. «Non ti ho detto di parlare» urlò. Enrica piangeva molto ora, aveva il viso arrossato. Lazzaro non si curò di lei anzi ora in piedi, senza gonna, Enrica sembrava proprio una bambolina al suo comando.

Lei lo guardò e gli parlò anche se sapeva che sarebbe stata schiaffeggiata di nuovo e più forte: «ti supplico solo di non venirmi dentro». Sebbene il suo schiaffo non fosse una sorpresa, le sue parole lo furono: «Cosa ti fa pensare che voglio scoparti? Non illuderti, non te la cavi così facilmente». Lazzaro le prese un capezzolo e lo strizzò fortissimo. Lei urlò e lui la lasciò urlare ... non c'era nessuno in giro e lui era molto sicuro di sè. Enrica ripetè: «fai quello che vuoi di me ma non venirmi dentro ti supplico». Lazzaro lasciò la presa dal capezzolo e le tirò un'altra sberla: «questa è per il rumore inutile».

Lazzaro si lasciò andare e mise enrica sulle ginocchia, con le mani dietro la schiena. Era già molto eccitato, slacciò i pantaloni mostrandole il cazzo in tiro. Le disse: «ora stai zitta e obbedisci agli ordini. Fai un cenno con la testa se hai capito». Enrica fece un cenno con la testa. «Le regole sono semplici: se non mi fai sentire i denti non ti fai male, va bene? Apri la bocca e tira fuori la lingua.» Enrica obbedì con molta calma e sensualità.

Nella sua testa pensava «se io lo faccio venire con la bocca non mi riempirà la figa della sua sborra». Lazzaro le teneva la testa ferma, porse la punta del glande sulla lingua protesa di lei e iniziò a farsi massaggiare la cappella nella bocca di Enrica. Lo avevano avvisato che era molto brava. Era dolce e sensuale. Dapprima Lazzaro si muoveva lentamente ma poi piano piano iniziò a spingere più forte verso la sua gola... Enrica tentava di divincolarsi ma Lazzaro la teneva e urlava: «apri la bocca e tira fuori la lingua...ti scopo in gola» Era brava, molto brava: Lazzaro le aveva infilato il cazzo fino alle tonsille. Enrica quasi soffocava... quello stronzo le stava togliendo il respiro spingendo così in profondità, ma le teneva la testa così forte che non riusciva a spostarsi.

Dopo averle martoriato la gola così per un po', Lazzaro staccò il cazzo dalla faccia di Enrica e la sistemò come una bambola a quattro zampe col culo in aria. Le scosto il perizoma e la impalò senza pietà. Lei urlava: «no, ti prego». Lazzaro le schiaffeggiò il culo talmente forte da lascerle i segni. Poi le prese i fianchi e cosi alla pecorina come gli animali affondo l'ultimo colpo. La riempi del suo nettare, della sua vitalità, del suo essere uomo e sopratutto del suo seme. Sembrava che il suo uccello amasse particolarmente quella caverna calda e umida perchè non aveva il minimo accenno a ritirarsi e lui le restò infilato dentro per un tempo che a entrambi sembro infinito con pensieri tutti diversi.

(scritto a 4 mani con una grande porcona :))
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