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Gay & Bisex

Il papà di Marco


di Ale_gentleman
09.05.2023    |    32.480    |    37 9.9
"Non capivo se fossero di Marco o di suo padre..."
Non ne voleva proprio sapere di allentare la morsa, quel maledetto caldo. Le vacanze estive, inchiodato in paese senza nemmeno una settimana al mare, passavano lente e vischiose come il miele che cola. Dopo pranzo, quando mio padre s’addormentava sul divano e mia mamma lavava i piatti guardando Rete 4, io sgusciavo a casa di Marco. Stavamo sempre insieme, andavamo in giro in bici, tiravamo sassi nei fossi, il paese deserto del pomeriggio era il nostro feudo da esplorare.
Il più delle volte, però, stavamo a casa sua, perché c’era l’aria condizionata. Tanto i suoi non c’erano mai. Mangiavamo patatine ascoltando i successi dance che, quando mi capita di riascoltare, spandono nostalgia: era l’estate di The Summer Is Crazy, di Freed from Desire, e di quel remix di Wrong degli Everything But The Girl.

Poi, da un giorno all’altro, le nostre giornate cambiarono. I genitori di Marco gli imposero di trovarsi un lavoretto estivo, e lui iniziò a fare turni come commesso al supermercato. Mi preoccupai: dove sarebbero finiti i miei pomeriggi al fresco? Ma lui mi rassicurò: ero di famiglia, potevo andare comunque a casa loro il pomeriggio. Ai miei non lo dissi: avrebbero di sicuro protestato, sapendo che passavo ore nella casa vuota di altre persone.
Ovviamente, nei lunghi pomeriggi che passavo solo in quel salotto, in mutande, immerso nella luce sonnacchiosa degli scuri accostati per riparare la casa dalla canicola, mi ammazzavo di seghe. La solitudine mi faceva sperimentare: mi venivo a volte sulla pancia, tra i primi peli vicino all’ombelico, altre volte schizzavo fino alla bocca. Un giorno mi misi in una posizione da capriola, e mi venni in bocca: fu la prima volta che bevvi. In un’occasione mi sentivo particolarmente estroso, mi misi in doccia e mi pisciai addosso. Mentre lo facevo ebbi un’erezione, e passai subito a masturbarmi. La casa di Marco, insomma, diventò il teatro del mio autoerotismo, e si tramutò nella mia mente nel luogo del sesso. Il solo pensiero di andarci mi eccitava, mi faceva venir voglia di trasgredire.

Un pomeriggio, ricordo che era fine luglio, ebbi l’idea: nella loro cesta della biancheria sicuramente ci sarebbero state delle mutande. Al solo pensiero, mi eccitai. Avrei potuto annusarle mentre mi masturbavo. Poco importa se fossero state di Marco, che era un bel moretto, magro e definito, e con il quale, nonostante l’amicizia, avrei fatto di tutto, o di suo padre, un quarantenne basso e muscolosetto, con delle gambe possenti e degli avambracci pelosi che mi davano sempre un brivido. Non mi sbagliavo: la cesta era piena di panni sporchi. Frugai, finché trovai dei boxer maschili. Non capivo se fossero di Marco o di suo padre. Forse del secondo, perché mi parevano grandi. Non appena le annusai, il mio pensiero fu confermato: avevano un aroma forte, adulto. Alla prima zaffata mi ritirai, un po’ disgustato. Ma, subito, dal mi pube giunse un segnale contrastante, una vibrazione di eccitazione. Riavvicinai i boxer e mi lasciai andare. Il mio pene si era già animato, e non potei fare a meno di iniziare a toccarmi. Quell’odore era sesso, era possesso, era maschio, era vigore. Mi fermai, interdetto. Sentivo un istinto nuovo, un languore differente. Mollai il mio pene, e iniziai a carezzarmi il buchetto dell’ano. Senza pensarci, presi un po’ di sapone liquido, lo passi sul mio piccolo orifizio, e iniziai a giocare con la punta delle dita. Mugolavo di piacere, mentre mi stringevo le mutande sulla bocca e sul naso.

Di colpo, un rumore attirò la mia attenzione. Passi. Ma non si stavano avvicinando, si stavano allontanando. C’era qualcun altro in casa. Come un cretino avevo lasciato la porta del bagno aperta e costui, venendo dal corridoio, mi aveva visto.
Con l’ano che pulsava, il cuore a mille, e le mutande ancora in mano, iniziai a sudare freddo. Chi poteva essere? Marco? Sua nonna, che abitava di sotto? O uno dei suoi genitori, rincasato prima? Ad ogni modo, che figura. Con che faccia avrei potuto farmi rivedere?
Dopo qualche minuto, ripresi il controllo. Ormai ora fatta: tanto valeva andare di là in salotto e capire chi mi avesse visto. E tanto, poi, mica avrei potuto rimanere in bagno per sempre! Mi ricomposi e tentai di trovare il coraggio, di darmi un contegno. Dopo altri cinque minuti, riuscii ad uscire dal bagno.

Il salotto era ancora nell’ombra, ma era deserto. La cucina, pure. Tornai indietro, verso le camere. Quella di Marco: vuota. L’ultima era quella dei suoi genitori. La porta non era chiusa, ma mezza aperta. Mi avvicinai, facendo attenzione a non fare rumore. Mi affacciai, in modo da vedere la parte iniziale del letto matrimoniale. Anche qui penombra. Però riuscivo comunque a distinguere delle gambe sul letto. E le riconobbi subito. Conoscevo quei polpacci alti e pelosi, la caviglia sottile e nervosa; e conoscevo bene anche quel piede, perché era stato nelle mie fantasie masturbatorie più volte. Un po’ piatto, non troppo lungo, ma nel complesso armonioso. E, anche se non potevo vederlo da lì, sapevo che sul dito grosso c’era quel ciuffetto di pelo che mi faceva impazzire…
“Cazzo, ripigliati!”, mi dissi. “Il papà di Marco ti ha sgamato e tu stai qua a pensare ai suoi piedi! Deficiente.”
Entrai un po’ di più nella camera.
«B-Buongiorno, signor Lorenzo.»
Silenzio. Che dormisse?
Feci per ritrarmi, quando la sua voce mi gelò.
«Ciao, Nicola.»
Il tono sembrava normale. La voce era impastata, indolente, come se lo avessi appena svegliato. Che sexy. Mi rigirai verso di lui. Forse non si era affacciato in bagno. Forse non aveva visto nulla. Lui continuò.
«Come stai?»
«B-Bene. Non volevo disturbarla.»
Silenzio. Feci un altro passo e, mentre i miei occhi si abituavano di nuovo alla penombra, iniziai a distinguere il suo corpo. Era a torso nudo, in pantaloncini. Un piccolo raggio filtrava tra le imposte e accarezzava il pelo biondiccio del petto. Ma… vedevo male o la mano era sul pacco?
«Ero in bagno e ho sentito dei rumori. Non sapevo che sarebbe rincasato così presto.»
«Me ne sono accorto.»
Il tono era cambiato. Era venato di ironia. Cazzo, aveva visto tutto. Mi sentii avvampare, ma per fortuna lui non se ne poteva accorgere.
Ero paralizzato. La vergogna mi attanagliava e volevo uscire dalla camera, ma non riuscivo. La sua voce, bassa e divertita, la luce sul pelo, la mano sul pacco, il caldo, le sue gambe… Iniziavo ad avere un’erezione. Mi trovai a maledirmi, perché non era certo quello il momento. Deglutii, cercando qualcosa da dire, un modo per uscire.
«Vieni qui» ordinò.
Esitai.
«Vieni, dai.»
Come ipnotizzato, mi accostai al letto. Non mi ero sbagliato: si stava massaggiando il pacco.
«Non stare in imbarazzo. Alla tua età è normale voler provare cose.»
«Io… Non sono…»
Il cuore mi picconava il petto, salivazione azzerata.
Lo sentii fare una risatina. Mi prese la mano, e se la mise lì, proprio sul pacco. Attraverso la tela dei pantaloncini lo sentivo duro, grosso. La mia mano tremava, stavo per ritrarmi, ma ero eccitatissimo.
«Dai, stenditi qui con me.»

Mi stesi accanto a lui. Ero rigido, imbarazzato. E, mentre sentivo il mio braccio che toccava il suo, la sua peluria che strusciava sulla mia, ancora rada, il mio pene si inturgidiva.
«Sei sudato», disse, alitandomi addosso e carezzandomi la fronte. La carezza si tramutò in una presa, che mi fece voltare il viso verso il suo.
Mentre la sua lingua assaporava la mia, sentivo tutto vorticare: il giusto, lo sbagliato, fallo!, non si fa!, la faccia di Marco, quella di sua madre, e la mia voglia ineluttabile di perdermi tra quelle braccia, di avvinghiarmi a quelle gambe.

In un attimo, mi fu sopra. Senza capire come, eravamo nudi. Mi teneva i polsi larghi, mentre la sua lingua si cibava di me come fossi la sua preda, e non tralasciava nessuna parte di me. Il collo. Le spalle. Le ascelle. I capezzoli. L’inguine. Sentivo il suo pene duro che strusciava sul mio, già bagnato, poi sbatteva lungo le gambe, nell’incavo sotto le palle.
Poi risalì e si mise a cavalcioni della mia faccia, spingendomi il pacco verso la bocca. Sentii di nuovo quell’odore d’estasi, che poco prima avevo raccolto dalle sue mutande. Fu istintivo: non feci in tempo ad aprire la bocca, che già la mia lingua leccava la sua cappella. Era grossa e la sentivo contrarsi di piacere, soprattutto quando mi fermavo alla sua base, lungo il filetto, o quando poi scorrevo su e giù dall’asta. Iniziò a stantuffarmi la bocca. Subito gli presi i fianchi tra le mani, perché stavo per rimettere. Iniziai a dare io il ritmo, provai a rilassarmi. Stavo facendo la mia prima pompa e, dio, quanto mi piaceva! Le mie mani si muovevano frenetiche dai fianchi ai suoi glutei, torniti, che sbattevano avanti e indietro e arrivavano a sfiorare la mia erezione. Mi eccitavo sentendo la sua energia che sfogava sulla mia bocca.

Di colpo si sollevò. Mi girò e affondò la lingua sul mio sedere. Allora capii che si poteva godere quanto non avrei mai creduto. Mi titillava il buco, lo circondava, entrava qualche millimetro, mentre io sentivo ondate di piacere obnubilarmi, salire lungo tutto il mio corpo e scoppiare in brividi. Poi, si distese su di me. Baciandomi il collo, annusandomi i capelli, fece aderire il suo petto alla mia schiena. Percepivo il suo sudore, i suoi peli, la sua mascolinità che si opponeva a me, che mi bramava. Fui spaventato, quando il suo cazzo si avvicinò al mio buco. Ma non lo fermai. Lo volevo. Tanto. Lui lo capì. Entrò.
Forse non si aspettava quell’urlo. Uscì subito, spaventato.
«Ti ho fatto male?»
Io non riuscivo a rispondere, ansimavo. Annuii.
«Scusami. Vuoi che smettiamo?»
Scossi la testa e, voltandola indietro, lo baciai. Presi il suo cazzo in mano e lo avvicinai di nuovo a me.
«Fa’ piano.»
Era la mia prima volta, ma percepii che questo quarantenne maschile ed eccitato non si dominava più, non vedeva l’ora di entrare in me. Era alla mia mercé. Mi avrebbe posseduto, eppure dettavo io i tempi. Non avevo esperienza, ma comandavo io. E tutto questo mi eccitava da impazzire.
Sputò sul mio orifizio e riprovò, piano, attento. Con le mani mi teneva per i fianchi. Mi brandivano grandi, sicure. Rientrò. Sentii un bruciore, ma lasciai fare. In qualche secondo scomparve. Lui affondava sempre di più, si perdeva in me. E più spingeva e si ritraeva, più sentivo le ondate di piacere, simili a prima, ma ancora più intense.
In breve, perdemmo il controllo entrambi. Mi stava scopando duro. Ansimavamo, sudavamo, godevamo come pazzi. Quando credevo che stesse per venire, si fermò. Non feci in tempo a chiedergli il perché, che mi ritrovai a pancia in su.
«Voglio guardarti negli occhi», sussurrò.
Iniziò a penetrarmi tenendomi per le caviglie. Poi si abbassò e mi abbracciò dietro il collo. Mi baciava, mentre i nostri petti si strusciavano. Continuava a scoparmi a fondo. Io mi avvinghiai con le gambe ai suoi glutei. Lo volevo più dentro, ancora più dentro. Il mio sesso, intanto, si strusciava sul suo petto, una lenta masturbazione senza mani.
Di colpo, sentii le ondate farsi più intense, e il suo cazzo farsi ancora più duro.
«Vai, vai!», mi sentii dire, ormai una cagna senza ritegno. Quasi non la riconoscevo, quella voce.

Venimmo, con violenza, prima io, inondando i nostri inguini, e poi lui, dentro di me.
Si accasciò su di me, la faccia sull’incavo del mio collo. Rimanemmo così qualche minuto, respirando forte. I suoi capelli arruffati sfioravano il mio naso. Poi, lento, si scostò e si mise accanto a me, a pancia in su. Dopo qualche minuto, sonnecchiava.
Ricordo che pensai che facesse finta, per darmi modo di andarmene e di evitare una situazione imbarazzante. Allora, mi alzai, recuperai le mutande, e andai in bagno a lavarmi. Senza rientrare in camera, tornai a casa.
Pensavo che sarebbe finita lì. Che ci saremmo rivisti nascondendo un'ipocrita vergogna e facendo finta di nulla. E, invece, quella torrida estate avrebbe avuto altre sorprese per me.
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