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Gay & Bisex

Venne la voglia togliendomi una voglia


di zap13
06.12.2018    |    6.724    |    6 8.6
"È vero, mentre apro la porta incontro persino una donna che passa per la via e con la quale incrocio lo sguardo, ma me ne frego perché intanto un metro dopo..."
Il lungo racconto che segue non sarà forse particolarmente eccitante, né troppo coinvolgente. Forse addirittura potrebbe ricevere delle critiche, sicuramente col senno di poi non è stata chissà che esperienza. Questo racconto, però, è una storia vera e mi impegno perché non una virgola si discosti dalla realtà, anche se ometterò date e luoghi. Mi sono divertito ad inventare, a pubblicare racconti prima di questa – vedrete con delusione – corta avventura, ma ancora mi manca scrivere quella che potrebbe essere la pagina di un diario.
È ormai cosa datata (ok, non di secoli), ma è la storia della prima volta in cui ho avuto un “rapporto” con il mio stesso sesso. Non crediate: posso anticipare che è stato un rapporto incompleto.

Mi trovavo all’estero. Conoscevo e conosco bene la metropoli, sapevo già dell’esistenza di una piccola sauna in una via discreta. Da tanto tempo fantasticavo sull’avere un rapporto con il mio stesso sesso. Curiosità, attrazione, chissà cosa ma quel che è certo è che avevo una grande voglia di avere un rapporto sessuale con un uomo, qualunque – o quasi – fosse la sua età. Avevo voglia di ricevere e dare, in qualsiasi forma possibile. Possibilità ne esistono tante, eppure non c’era nulla che non mi bloccasse. I pregiudizi, la società, me stesso… Possiamo dare la colpa a quello che vogliamo, ma i fatti dimostrano che non sapevo prendere il coraggio in mano. Prima di tutto vi era la paura di incontrare la persona prescelta al di fuori del gioco, quando nella mia testa non stavo cercando altro che l’esperienza in quanto tale (e perché, penso ora: l’esperienza non comprende anche imparare a dividere i vari ambiti della vita, se è quel che si cerca?). Chissà perché il timore non era circoscritto alla mia cittadina, e neanche alla provincia o alla regione. Persino quando viaggiavo e andavo in città addirittura alcune ore di cammino, avevo sempre qualche blocco di sorta, quando già in tal caso, quasi sicuramente, non avrei più incontrato il mio compagno di giochi una volta varcato l’uscio. Volevo anonimato. Esperienza, si, ma anonimato. La soluzione, chi legge queste righe, probabilmente l’ha già pensata. In una parte molto minore, ero comunque curioso e pauroso di vedere quali effetti avrebbe avuto su di me una esperienza tale, se sarebbe cambiato qualcosa del mio carattere, del mio modo di comportarmi oppure no. Domande superflue (non stupide) col senno di poi, ma del tutto lecite. Aggiungiamo al calderone l’incognita della persona con la quale andare ed il gioco è fatto.

Per tanto tempo mi sono crogiolato tra pensieri e dubbi, mi sono copiosamente masturbato immaginando le tante situazioni, ma non ho fatto niente.
Ha iniziato però a maturare in me un pensiero, una soluzione che probabilmente stai solo aspettando che io espliciti: una sauna. Con “sauna” mi rivolgo generalmente ad un locale dove poter raggiungere il mio intento, con tutte le sfumature. A dirla tutta, la mia grande volntà era una dark room. Proprio come starà pensando chi legge questo racconto, anche io mi chiedevo se fossi stupido. Pericoloso sotto certi aspetti, non essendo pratico, oltre che riduttivo forse, per quella che potrebbe essere la bellezza di un rapporto sessuale. Pazienza, mi sono detto ed ho scelto questa soluzione. Sempre con i blocchi citati sopra, cercare una sauna vicina a casa oltre ad essere una impresa più che ardua era una soluzione poco allettante. Ho quindi aspettato. Sarei andato all’estero ed avrei finalmente scoperto quel luogo che già avevo individuato ma nel quale mai avevo messo piede.

Ero deciso, avevo organizzato i miei impegni ed avevo un pomeriggio dedicato a questa esperienza. Ebbene si, un pomeriggio. Il posto apriva nel primissimo pomeriggio, sapevo che ci sarei andato appena possibile, quindi un paio d’ore dopo l’apertura. Sapevo anche che lo avrei trovato mezzo vuoto ed era quello che volevo. Si, non volevo trovarmi nel mezzo di una bolgia per molti motivi: non conoscevo le dinamiche, non sapevo come comportarmi, ero comunque timido (una nota non da poco era che nessun documento d’identità mi sarebbe stato richiesto – e così infatti è andata -, neppure per applicarmi lo sconto per l’età, e l’idea dell’anonimato totale mi solleticava).
Come detto, ero motivato e tutto era organizzato bene, una spinta che è durata fino a quando… mi sono trovato davanti alla porticina del locale. Niente da fare. Trovatomi davanti alla sauna mi sono bloccato un’altra volta: vuoi per timore mio, vuoi per le poche persone passanti (ed ero in un’altra città, in una metropoli fuori dal mio paese! Quante futili paranoie). Sono passato due volte per quella stradina, fin quando non mi sono fatto coraggio e pensando tra me e me un sonoro “Ma si, vaffanculo!” ho aumentato il passo ed ho aperto la porta.

Appena la porta mi si è chiusa alle spalle, ho pensato che ormai ero in ballo, che l’investimento economico era irrisorio e che alla peggio non avrei fatto niente, in fondo il sesso non mi mancava e nel caso avrei scoperto che le mie erano solo fantasie. Eppure, dopo un paio di passi, alla fine di un corridoietto nel quale la luce iniziava a sfumare velocemente, le mie emozioni sono cambiate in modo repentino. Certamente non mi sentivo ancora a mio agio, ma una volta arrivato al bancone le luci diffuse e la penombra, unite alla cordialità di chi mi ha accolto, mi hanno fatto vivere quel luogo come un qualsiasi altro luogo “normale” (e perché dovrebbe essere anormale, d’altronde). Voltarmi sulla destra e vedere due o tre uomini camminare seminudi, i glutei che si contraevano in modo alternato, mi ha fatto in quel momento sentire come catapultato in un film, in una fantasia, in qualcosa dove non mi ero ancora visto, così che la voglia era ormai solo quella di prendere parte a questa micro-realtà.
Come accennato, il locale iniziava con un breve corridoietto dalle luci neon blu soffuse, che portava poi al bancone dove pagare l’ingresso. Un uomo sulla mezza età, discreto e gentile, mi ha dato un asciugamanto di media grandezza, una cavigliera con un preservativo ed una chiave e mi ha indicato il mio armadietto, sulla destra appena dietro di me, verso il quale sono corso senza guardare negli occhi né chi, già dentro, sbirciava i nuovi entrati, né quell’uomo che si stava cambiando. La vivevo come un qualsiasi spogliatoio dei tanti visti in vita mia.
Sapevo già cosa avrei fatto. Avrei prima di tutto fatto un giro ad esplorare il locale, per poi abbandonarmi a qualcosa che non avevo neanche più voglia di immaginare, perché ormai bastava vivere la realtà.

Sono nudo, l’asciugamano in vita. Potremmo definire “open space” il luogo dove ho pagato e dove mi sono cambiato, malgrado il labirinto di armadietti. Mi accingo quindi alla vera entrata, quella contornata da due tende rosse, e sento gli occhi che iniziano ad adattarsi alla luce.
Attorno a me c’è un silenzio bizzarro. In realtà nell’aria si sente volteggiare una soffusa musica rilassante, ma tutto è abbastanza ovattato da essere estremamente calmo. Non è la luce la cosa soffusa a colpire di più, però. Lungo quasi tutto il mio percorso, sarei stato abbracciato da un alternarsi di buio e di rosso, qualche luce bianca calda a smorzare la tonalità. Superata la porta, sulla sinistra c’era la vera e propria sauna. Era un cubo di legno come altri, sicuramente modesto come d’altronde era modesto, in metratura, il posto in cui mi trovavo. Purtroppo però spiccava un messaggio sulla finestrella: “Sauna fuori servizio”. Proseguo la mia marcia. Mi trovo in una sorta di sala abbastanza spaziosa. Sulla sinistra il piano bar, attualmente fuori servizio, che spiccava per il rosso sfumato di cui era dipinto ed illuminato. Sulla destra non più di due tavolini ma diversi divanetti. Aspettando che gli occhi ancora si abituino alla luce, scorgo ai due lati dell’ambiente due strette e ripide scale che poi scorgo essere a chiocciola e corro ad imboccarne una. Non sono impreparato: avevo letto recensioni che parlavano della dark room e del glory hole del piano inferiore. Nell’andare verso gli scalini, però, mi accorgo di passare davanti a quel che non avevo visto prima: su un divanetto, un uomo sta facendo un pompino ad un altro svaccato sul divano, che gli accarezza la testa e lo guarda compiaciuto. Si sente il rumore del suo cazzo nella gola dell’altro, il quale corre su e giù con grande piacere, è a sua volta eccitato e con una mano gli accarezza lo scroto: è la prima volta che mi trovo accanto a due uomini che stanno regalandosi piacere! Mi sono reso conto che non è però il mio momento, non mi sono accomodato accanto a loro, non ho voluto essere invanente senza sapere neanche come funziona. Però alla vista di questa scena sono certo che sul mio volto si potesse scorgere un sorriso. So che ho pensato “Iniziamo bene” in un modo tutt’altro che ironico e che mi sono eccitato. Di un’eccitazione non fisica però, ma tale da essere contento di essere finalmente lì a togliermi questo sfizio, quantomeno quello di conoscere cosa succedesse in quei locali.
Scendo le ripide scale. Davanti a me uno specchio, tutt’attorno sempre meno luce. Abbastanza poca da farmi credere per alcuni secondi di avere qualcuno che si avvicinava a me, mentre ero semplicemente io ad avvicinarmi al muro. Non ero però solo! Sulla destra, in un piccolo corridoietto, un uomo che dai lineamenti sembra ben più vicino ai settanta che ai sessanta si sta vistosamente massaggiando il pacco, ci incrociamo gli sguardi velocemente ma decido di proseguire, con il volto leggermente illuminato dalla luce di uno schermo che riproduceva un rapporto sessuale tra due uomini muscolosi, dove il più esile dei due era a cavalcioni sul grandissimo uccello dell’altro che faceva vibrare la pelle del suo buco su e giù al ritmo dei suoi forti corpi. A questo punto sto percorrendo il corridoio in direzione dell'altra scalinata a chiocciola. Sulla mia sinistra ci sono tre o quattro cubicoli, minuscole stanze nelle quali cercare un po’ di privaci. Alla fine di questi pochi metri noto in un di esse che il muro nero è interrotto da alcuni fori e capisco che mi trovo davanti alla fantomatica “glory hole”, che capisco essere niente di che. A questo punto il corridoio finisce con un bivio: sulla sinistra l’entrata all’altro lato della glory ed ancora ben pochi metri molto meno illuminati, culminanti in un’altra stanzetta che a stento riuscivo a vedere; sulla destra alcuni divanetti e altre scale strette che salivano in modo ripido al piano di sopra, chiudendo così una sorta di “cerchio” percorribile scendendo da un lato e salendo da quello opposto. Sono salito quindi da quel lato per concludere la visita.

A questo punto basta, persino l’ultimo temporeggiamento era finito. Ho deciso di lasciare agli altri l’onere di prendere l’iniziativa. Mi volto, scendo nuovamentegli stretti scalini e mi ritrovo nel grande scuro. Vado verso un angolo ancora poco visitato dove scorgo un’ombra, credo nuovamente di essere io e avanzo lentamente per non prendere una facciata e fare, oltre alla figura del novellino, quella dell’imbranato. Iniziano i giochi.
Mi si antepone una figura che riconosco come l’uomo visto per primo al piano inferiore. Il tempo di esitare faccia a faccia che… mano sul pacco. Mi sento una manata calda e delicata sull’uccello, vuole sapere cosa lo aspetta, su cosa buttarsi. Sono fermo, irrigidito. Mica da chissà quale sensazione di fastidio o di schifo, semplicemente non so cosa fare! Temporeggio un po’ e allungo una mano su di lui. L’uccello non era ancora in erezione, la mia mano era per lo più colma delle sue grandi palle. Sentivo facilmente, ma non riuscivo a vedere molto. L’unica certezza è che in men che non si dica quest’uomo si piega ed inizia a farmi un pompino. Io a quel punto ero già eccitato da parecchio, ma ho iniziato velocemente a godermi il servizietto. Prima di dedicarmi a questo, però, mi volto un attimo e come per incanto vedo due persone comparse esattamente di fianco a noi. “Ma quando sono arrivate?” Una è una sagoma massiccia, non riesco a capire niente di quell’uomo. È praticamente vis-à-vis con me, mentre la mia gamba è sfiorata dalla spalla di un altro uomo che si è tuffato a fargli un pompino.
Non so quanto tempo possa essere passato, nella mia testa veramente poco (ed in effetti credo fosse questione di minuti), ma mi ritrovo in una scena per me, fino a poco tempo prima, irreale. Ci troviamo in quattro, due riversati sui cazzi, due che si sfiorano il petto con una mano e con l’altra toccano la persona che sta facendo loro un pompino. La mia mano scorre lungo la schiena dell’uomo in ginocchio accanto a me, sino a titillare il suo buco, ma per timore di sentirmi fermare, non tento neanche di entrarvi, ma solo continuo a palpargli le chiappe piegandomi quel tanto che basta per non far smettere il mio uomo di succhiarmi il cazzo. Nel frattempo si inginocchia addirittura al nostro fianco una quinta persona, la luce rossa dello stanzino accanto lo illumina quel tanto che basta che riesco a vedergli il carnoso buco del culo, ma nessuno lo considera. Eravamo tutti occupati ed io, forse, di più, perché mentre mi godevo il mio ometto che mi succhiava la cappella sensibile, pensavo a come trovare un escamotage per fiondarmi o sul suo, o sul cazzo dell’omone a destra, al quale nel frattempo riesco a palpare il culo marmoreo come pensavo si potesse leggere solo nelle storie hot. Passa il tempo e mi rendo conto che la scena ha un qualcosa di paradossale, sembra finto. Quando inizio a capire chi mi circonda mi trovo con un ometto vecchio col cazzetto da un lato, un omone di mezza età, nero, dall’altra. Pareva, appunto, un set di un porno da due soldi, un racconto erotico zeppo di clichés, ma era invece la realtà. Era bizzarro, affascinante. Mi piaceva quasi tutto, ma per rimanere in tema di luoghi comuni, mi facevano cadere le braccia quei suoni gutturali che anche un sordo avrebbe capito essere finti, quasi fossimo realmente in un film porno e stessimo (stessero) recitando – perché si, c’è anche questo aspetto. Per quanto mi riguarda, anche se avrei voluto divincolarmi dal mio spompinatore, notavo quanto mi stesse piacendo e notavo, con una certa preoccupazione, che il piacere era troppo forte! Non stavo per venire, ma dovevo trovare un diversivo per temporeggiare. “Perché?” Mi chiedevo. “Io”, pensavo vanitosamente, “che duro tutto il tempo che voglio, che il sesso non mi manca, che ho ricevuto fior di pompini, perché sto già venendo?” Col senno di poi, penso che fosse quella sensazione adrenalinica della prima volta. Ricordo quei brevi istanti in cui si affondava il cazzo in bocca, le mani strette sulle mie chiappe, in cui mi tremarono le gambe come colte da brividi improvvisi. Chissà cosa avrà pensato ma beh… Non era merito suo, era colpa mia, ma... ben venga! Sta di fatto che riesco finalmente ad allontanarmi, voglio vedere se è così facile attaccarsi ad altre persone ma purtroppo in quei pochi metri sotterranei non c’è ancora nessuno. Torno in zona e l’omaccione si è appena staccato dall’altro uomo, che si sta dedicando a quel quinto a quattro zampe che chissà quanto ha aspettato – lo sentirò poi venire sbattuto ed emettere grida sorde di piacere. Mi chino e senza pensarci un attimo prendo il cazzo in mano. Non riuscivo a capacitarmi di quanto fosse grosso, ma non voglio dilungarmi su questo. Non sapevo chiaramente come muovermi per sembrare disinvolto, tantomeno volevo correre, perché quella occasione volevo godermela il più possibile. Inizio così a succhiare dolcemente (spero!) le palle, salgo per la sua asta che lecco come un ghiacciolo (beh, un po’ più sensualmente, capitemi) e provo a fare una sega. Era strano, tesissimo, la sensazione era sempre quella di avere in mano qualcosa di “gommoso”, come per gli altri toccati prima. Provo ad andare su e giù con la mano ma non si muoveva la pelle, così lecco ancora un po’ ed allentando la presa scorro avanti ed indietro con la mano sfruttando questa lubrificazione. Ad un certo punto, però, apro la bocca al massimo e lo prendo dentro più che posso.
A questo punto vado "a capo", sì, ma non perché voglia cambiare discorso. Tutto questo lo sto raccontando con la vanità di interessare chi volesse provare una esperienza come la mia. Sto descrivendo cose superflue ed evito i particolari delle cose che potrebbero essere più eccitanti. Non so se riesco nel mio intento, ma voglio appunto mostrare questa realtà per quella che è. La parte “magica” ed eccitante la lasciamo ad altri testi.
Ho un cazzone in bocca. Lì per lì non sento molto. Immaginavo un gusto, o qualcosa con cui giochicchiare, ma la bocca era troppo impegnata e potevo solo sperare di muovere abbastanza lingua e testa, per farlo godere. C’era un altro problema poi, non volevo che venisse. Succhio e faccio un po’ di prove: in bocca, succhio solo la punta, lo butto più in fondo possibile alla gola. Sembra tutto così naturale! Non sono più eccitato di quando faccio sesso con una ragazza, non sono affatto schifato o troppo impaurito, sono però curioso di capire le dinamiche, le tempistiche.
Di colpo, ci troviamo spostati in una cabina, che chiude a chiave. Siamo io e l’omaccione. Non so cosa voglia farmi, non so fino a cosa possa spingersi, né so come possa reagire alle mie stesse reazioni. Di colpo mi prende una sorta di paura. Provo a non oppormi, ma cerco tutt’attorno come poter fare nel caso di brutte sorprese. In effetti, se anche alla lunga qualcuno avesse sfondato la porta ad eventuali grida, non ne sarei uscito intatto. Fortunatamente, però, non capita altro che…essere messo a mio agio. Insomma, mi mette a pecora ed inizia a leccarmi il buco del culo. Lecca, soffia, se lo gusta proprio e la sensazione mi eccita da matti. Ci muoviamo, io succhio lui, lui succhia me. Mi lecca ancora il culo e…. e niente. Non sono molto partecipativo. Allora comincia nuovamente a farmi un sonoro pompino. Delicatissimo di bocca, una mano sulle palle e l’altra sul culo. Dopo un po’ di tempo vengo, facendogli piacere. Non sapendo come comportarmi né cosa volesse, per evitare situazioni ignobili, gli faccio ben capire che sto per venire, esco dalla sua bocca e me lo meno quel tanto che basta per esplodergli sul petto, lui inginocchiato davanti a me. Mi fa qualche complimento, prendiamo gli asciugamani scambiando un paio di battute per una pulita veloce e ci dirigiamo alle docce. In realtà, solo lui doveva andarsene, io ancora mi chiedo perché non sia rimasto ancora un po’ nel locale. Forse, uscendo “sporco” dal cubicolo, vedendo un po’ di gente nuova osservarci, non sapevo quale fosse la routine da compiere. Ancora qualche battuta per strappare un sorriso durante la doccia (quando noto di essere i soli a dire poche, superficiali cose. Che sia perché io, intanto, sono lontano da casa e, lui, un habitué?) e via dagli armadietti. Lo stesso viene a dirmi ancora qualcosa mentre mi vesto, forse un complimento ed un “alla prossima” o qualcosa di simile.
Consegno la chiave alla reception, asciugamano nella cesta, apro la porta ed esco dal locale. È vero, mentre apro la porta incontro persino una donna che passa per la via e con la quale incrocio lo sguardo, ma me ne frego perché intanto un metro dopo non si sarebbe ricordata nemmeno del colore del mio giubbotto.
Proseguo per la mia strada e non mi sento affatto cambiato.
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