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l'amico che mi ha cambiato, parte 3 - il punto di non ritorno


di only_a_boy
29.11.2022    |    3.753    |    9 9.9
"Iniziai così a menarmelo ripetutamente, più volte al giorno, ricordando quello che avevo fatto, continuando in questa maniera anche nelle giornate..."
Mi ero ritrovato in un punto di non ritorno. Del resto, che mi potevo mai aspettare? Una volta stappata una bottiglia è difficile, se non impossibile, far rientrare magicamente dentro lo spumante. Così fu anche per i miei desideri più intimi ed inespressi, quegli stessi che fino ad allora avevo tenuto a bada, nascondendoli anche a me stesso. Questo perché da quando il mio amico Mario si era fatto vedere nudo e mi ero ritrovato a masturbarlo fino a farlo venire, non ero più riuscito più a controllare i miei ormoni di sedicenne, resi anche più aggressivi dalla castità prolungata e dal tentativo di non masturbarmi nei mesi precedenti. Si, se ripenso al me stesso di quel periodo riconosco ora quanto ero represso, ma all’epoca cercavo solo (disperatamente e inutilmente) di "non diventare gay": cercavo di bloccare la mia sessualità, sperando che per esasperazione il mio pisello pur di sfogarsi si rassegnasse ad infilarsi tra le cosce di una ragazza: tale era la speranza di diventare “normale” che mi aveva animato, almeno fino a quella mattina a casa del mio amico Mario. Quella esperienza aveva cambiato tutto: mi aveva cambiato il trovarmi davanti il suo cazzo “così etero” (buffo dirlo ma erano proprio le parole con cui lo descrivevo a me stesso… oggi potrei nutrire qualche dubbio circa una eterosessualità al 100% di Mario, che comunque si era fatto fare una sega da me, ma all’epoca, vergine ingenuo ed inesperto, idolatravo il mio amico e credevo a tutto quello che diceva), ricevere il suo sperma sul viso... Tutto questo mi aveva irreparabilmente caricato talmente tanto di adrenalina che non fu possibile reprimermi oltre. Quella mattina con Mario mi ero limitato a farmi vedere nudo, ammirare quel fisico scolpito e poi fargli una sega, ma furono talmente tanti stimoli visivi che io non avevo neanche pensato a masturbarmi a mia volta… una lacuna a cui posi rimedio appena tornai a casa: la tristezza di sentirmi dire dal mio amico (che all’inizio si era prestato solo per aiutarmi a capire se fossi davvero gay) che non sarei mai stato etero come invece speravo, cedette subito il passo all’eccitazione adolescenziale. Iniziai così a menarmelo ripetutamente, più volte al giorno, ricordando quello che avevo fatto, continuando in questa maniera anche nelle giornate successive: avevo un bel dire a me stesso, svanita l’euforia e il bisogno di sesso dopo essere venuto, che quella sarebbe stata l’ultima volta, che sarei tornato a reprimere i miei desideri sbagliati, che avrei cercato di diventare etero. Poi, durante la giornata, la mano mi scivolava inesorabilmente sul cazzetto, che sempre si induriva e tornavo a masturbarmi e a rivivere le scene vissute con il mio amico. E, col tempo, invece di limitarmi a fare un replay nella mia mente, mi ritrovai ad intensificare i ricordi, immaginando di fare cose ancora più spinte: ricordavo il calore della sua sborra sulla mia pelle, e fantasticavo di ingoiarla, di gustarne il sapore. Ricordavo l’odore del suo pisello e bramavo di avvicinare il mio volto al suo cazzo, non mi bastava più sognare di masturbarlo ma desideravo baciarlo, avvolgerlo nella mia bocca e fargli una pompa. E mentre, chiuso a chiave nel cesso di casa, mi menavo in solitaria il cazzetto, con la mente mi immaginavo intento farmi scopare la gola dal mio amico fino a farmi schizzare direttamente dentro, con la stessa forza con cui l’avevo visto schizzarmi il volto.
E Mario? Il mio eterissimo Mario come aveva reagito a questa esperienza? Dopotutto per me era stata una tappa fondamentale, un punto di non ritorno per la mia sessualità, ma per lui – immaginavo – non poteva che essere stato un episodio trascurabile... Comunque, non avevamo avuto più occasione di parlarne: i primi giorni ho avuto paura di aver sporcato la nostra amicizia, così non lo cercai né e lui si comportò con me in maniera differente... Mi mancava, ma temevo di ripropormi o di rivederlo: mi vergognavo di essermi aperto a lui, ritenevo che ora mi disprezzasse. E i miei timori ebbero una conferma quando lo rincontrai in un’uscita con la comitiva: a malapena rispose al mio saluto, intento com’era a fare la corte ad una delle solite oche bionde che se la credevano. Quella sera, dopo aver cercato ancora inutilmente il suo sguardo, mentre ricordavo con nostalgia le nostre chiacchierate d’altri tempi, mi sentii molto triste: non so per quale masochismo ma nella mia testa l’espressione divertita che Mario aveva effettivamente assunto nel vedermi in erezione, inginocchiato e sporco del suo sperma, si era trasformata in tutt’altro: me lo immaginavo in collera, lui etero e figo schifato da me, frocio e insignificante. Insomma, sentivo dentro di me di aver perso il mio amico e nel contempo la mia continenza. Passavo le giornate da solo chiuso in casa, non facendo altro che segarmi pensando a lui, quando improvvisamente mi arrivò un suo sms (si era ben lontani dall’era degli smartphone e di whatsapp), che mi chiedeva come stessi. Da li ci ritrovammo a parlare del più e del meno, come ai vecchi tempi, come se quello che era successo tra noi non fosse mai accaduto. E se il mio pisello, che continuava a tornare in tiro malgrado le infinite seghe, non voleva dimenticare quello che c’era stato, mi resi conto ben presto che neanche Mario era interessato in tal senso: lo capii quella sera stessa quando ci vedemmo noi due per una passeggiata. Dopo le solite chiacchiere, portò lui stesso il discorso sul sesso, chiedendomi se ci fossero novità. Alla mia risposta negativa lui, come al solito, non resistette dallo spostare l’attenzione su di sé per parlare delle sue avventure: per la verità non c’era molto di avventuroso perché era solo una serie di apprezzamenti educati nei confronti di “quella zoccola” colpevole di non avergliela “data”. Comunque, sembrava tutto tornato come prima, con il suo ego che era il solo ad esistere mentre il mio si limitava ad essere un’ombra adorante. E invece, all’improvviso, quasi parlando ad alta voce, mi disse: “Euge’, alla fine tu sei ricchione, io stasera ho voglia di sfogarmi e quella puttana non me la dà, renditi utile: tanto a te il cazzo piace, sali da me”. E di nuovo, come un automa, mi ritrovai col cuore a mille a seguirlo fino in camera sua, pronto ad eseguire ogni sua richiesta: in verità non fu nulla di tanto hard che fosse all’altezza delle mie fantasticherie oramai fuori controllo, ma tornare ad ammirare quel cazzo, poterlo di nuovo prenderlo in mano per segarlo fino a farlo venire era già come proiettarmi in paradiso. Questo mio desiderio, che non riuscivo a nascondere, fu la mia debolezza nell’evoluzione del nostro rapporto: consentiva a Mario di ostentare quasi un distacco professionale verso i nostri incontri, che si verificarono sempre più spesso, riuscendo ad impostare la cosa come chi ogni volta stesse facendo una buona azione nel concedersi all’amichetto sfigato affamato di cazzo. Affamato lo ero davvero, e ogni volta non mi saziavo mai. Così, le innumerevoli volte in cui mi recavo a casa sua appena il campo era libero, il copione subiva ben poche variazioni: tranne quella prima volta Mario non si spogliò più se non nel minimo indispensabile, limitandosi a tirare fuori il pisello, seduto sulla poltrona. Io invece, trovavo il mio posto vicino a lui, in ginocchio per terra, a mia volta totalmente vestito: quando avevo provato almeno a tirarmi fuori il cazzetto per farmi una sega anche io, mi aveva subito fermato: “ao’, che te sei messo in testa? A me non piacciono i maschi, se ti vedo di nuovo quel coso duro tra le gambe mi viene moscio. Rimettilo dentro se vuoi toccare il mio”. Era questo il patto che accettai: un po' come nel nostro antico rapporto di “amicizia”, anche nel mondo del sesso io non dovevo esistere se non in sua funzione. Un'altra condizione tacita era che doveva sborrarmi addosso: veniva sempre abbondantemente ma non faceva nulla per avvertirmi o per dirigere il getto lontano da me, anzi sembrava lo facesse apposta nello schizzarmi il volto o i capelli o la maglietta e mai una volta che dicesse scusa: del resto neanche io mi spostavo o protestavo, mi sembrava dovesse andare così, che fosse quello il mio ruolo.
L'evoluzione successiva avvenne un pomeriggio in cui, mentre la mia mano faceva il suo dovere su e giù per la sua asta, mi ritrovai, senza quasi rendermene conto, ad avvicinare il mio volto al suo pisello. Fu questione di un attimo: appena meccanicamente socchiusi la bocca lui non perse tempo a farci entrare l’uccello. Fu così che la sega divenne ben presto una pompa, la prima di una lunga serie. Quella prima volta, da autentico inesperto, distratto da mille sensazioni nuove non mi resi conto dell’effetto che potevano avere i miei denti sulla sua cappella ma ci pensò lui ad insegnarmelo con una sberla e il monito “non mordere, troia”. Quel tono autoritario, quel chiamarmi con gli stessi gentili epiteti con cui si riferiva alle ragazze che puntava, mi fece eccitare ancora di più: mi misi d’impegno facendo attenzione (a momenti slogandomi la mascella pur di evitare un minimo contatto coi denti), ciucciando quel glande così grosso e andando su e giù. In quel momento neanche pensavo a come sarebbe terminata la cosa, ero troppo intento a cercare di dare a Mario tutto il piacere che desiderava, avrebbe potuto fare di tutto, come al solito. Fu lui a sfilarmi il cazzo di bocca e a tenerlo a pochi centimetri dal viso mentre si dava gli ultimi colpi di mano. Avevo gli occhi chiusi, quindi non vidi quando venne, ma sentii chiaramente ogni flotto di sborra colpirmi la fronte, il naso, le guance, trasmettendo il suo calore sulla mia pelle per poi colare giù. E mentre ero ancora con gli occhi chiusi, mi raggiunse la sua voce all’orecchio “Sei una troia, se tu fossi femmina ti scoperei a sangue ogni giorno”.
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