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1965 Ultima estate in campagna


di Conte01
01.04.2017    |    50.099    |    8 9.5
"Eravamo due naufraghi in mezzo al mare, isolati da tutto e da tutti, probabilmente in nessuna altra circostanza questa esperienza sarebbe stata possibile..."
Solo cinquanta anni fa l’Italia era un paese completamente diverso dove ancora esistevano condizioni di isolamento legate alla mancanza di collegamenti e di mezzi di comunicazione.
In questi contesti erano normali situazioni che oggi sarebbero impossibili.
Sono figlio unico ma nato in una grande famiglia contadina; mio padre aveva tre fratelli e tre sorelle, il nonno paterno sei fratelli e tre sorelle, nella famiglia della nonna erano quattordici così arrivando alla terza generazione si contavano circa cinquecento parenti distribuiti in un’area di circa dieci chilometri.
Mio padre era a quei tempi l’unico ad aver studiato e l’unico che avesse lasciato la campagna per andare a vivere in città dove aveva conosciuto mia mamma e lavorava come ragioniere.
Io per quello che ricordo avevo passato in campagna dai nonni tutte le estati.
Arrivarci era un’impresa: due ore di treno regionale poi a piedi, verso il paese, altri sei chilometri per raggiungere la borgata e da li un altro paio sino alla casa dei nonni ovviamente era sempre possibile, se si era fortunati, un passaggio in carro.
La casa dei nonni era una grande casa colonica ed alcuni degli zii e zie vivevano la con i loro figli, gli altri parenti stavano nelle vicinanze a pochi chilometri gli uni dagli altri.
Per quello che ricordo in giro c’erano sempre mucchio di parenti ed ogni cosa era in comune.
Quell’estate avevo quindici anni ed avevo appena concluso la quarta ginnasio, per la prima volta i miei genitori avevano tentato di dissuadermi dall’andare dai nonni.
In effetti dopo i primi giorni mi ero reso conto che avevano ragione.
L’età dei giochi era finita, la banda che aveva dominato dapprima il cortile e poi più avanti i campi ed i boschi non esisteva più.
Sembrava che all’improvviso avessero tutti smesso di giocare e si fossero trasformati in adulti, mi sentivo un intruso.
Mentre cercavo di capire come comportarmi successe che un prozio, figlio di una delle sorelle del nonno, si ruppe una gamba.
Abitava in collina in una zona raggiungibile solo a piedi o a cavallo, viveva con la moglie ed i figli che però erano partiti per il servizio di leva.
In attesa che i figli venissero congedati c’era bisogno di qualcuno che desse una mano ed io ero l’unico disponibile.
Così due giorni dopo, con alle spalle un vecchio zaino militare, partii per la collina.
Per arrivare ci volevano quattro ore camminando di buona lena, in quei tempi non c’erano ne telefonini ne telefoni, le informazioni le portavano i viandanti, cosi avevamo saputo dell’incidente e così i miei nonni appresero che ero arrivato, da li passavo sotto la tutela degli zii e non ero più problema loro.
Questi zii vivevano isolati, nei paragi c’erano solo altre tre famiglie, una era una coppia di anziani poi c’era una famiglia di casari i cui due figli maschi mi erano abbastanza antipatici visto che da bambino mi avevano sempre picchiato.
La terza famiglia aveva una figlia tre anni più grande di me, quello era stato l’unico motivo per cui avevo accettato di fare quel viaggio.
La conoscevo da bambino ma intorno ai dodici anni aveva passato qualche giorno nella casa dei miei nonni e mi ero preso una cotta per lei, le stavo sempre attorno e forse ero riuscito anche a darle qualche bacio.
La vidi però il giorno dopo il mio arrivo, lei si dimostrò abbastanza sgarbata ma ancora di più sua mamma che senza mezzi termini mi cacciò via dicendo che se pensavo di poter fare il galletto con la figlia solo perché venivo dalla città mi sbagliavo di grosso.
Tornato dalla zia le raccontai la cosa e lei mi disse che le famiglie avevano bisticciato per una storia di pascolo e così capii che la faccenda era chiusa.
Lo zio stava proprio male, qualche giorno dopo la frattura aveva avuto probabilmente un ictus, anche se allora nessuno lo sapeva ed aveva smesso di parlare e ragionare come una persona sana.
Il medico che era arrivato li per la frattura era costato un patrimonio e la moglie si era guardata bene dal richiamarlo pensando che ormai non ci fosse più niente da fare.
Io dovevo badare agli animali e all’orto tutte cose che sapevo fare ma come gioco ora invece mi trovavo a lavorare dalla mattina alla sera come un mulo mentre la zia badava al malato.
In quei tempi questa mia zia doveva avere circa cinquant’anni era la classica contadina, il viso cotto dal sole la corporatura robusta ma soda con grosso culo e tette.
Era sicuramente attratta dalla vita in città e nelle nostre conversazioni mi chiedeva dei negozi, dei vestiti delle signore, delle passeggiate, delle nostra casa e delle amicizie cittadine.
Una cosa in particolare ritornava nei discorsi, per me così poco importante quanto per lei interessante la vasca da bagno.
Le avevo detto che facevamo il bagno tutte le domeniche mattina e questa le era sembrata una cosa da gran signori.
In quei tempi in quella come in molte altre case, il bagno si faceva nella tinozza due volte l’anno per Pasqua e Natale, l’idea che mia madre potesse farlo tutto l’anno la faceva morire d’invidia.
A me a dire il vero non faceva nessun piacere, infatti non vedevo l’ora di andare dai nonni per “fare il selvaggio” come diceva mia mamma.
Passò la prima ed anche la seconda settimana, il sabato mi annunciò che l’indomani avremmo fatto anche noi il bagno.
Era una stranezza che, se il marito fosse stato presente, le sarebbe costata una bella dose di bastonate ma quella donna per la prima volta in vita sua era libera e quella era probabilmente la prima decisione che prendeva.
Il giorno dopo mi svegliai come al solito alle cinque per accudire il bestiame verso le nove avevo finito.
Entrai in cucina e vidi la tinozza già piena, in inverno ci sarebbero voluti almeno sei secchi di acqua bollente ma con quel caldo ne erano bastati tre.
Mi zia aveva appena versato l’ultimo, mi invitò a spogliarmi ed entrare.
Io ero ovviamente imbarazzatissimo ma quel tono non ammetteva repliche cosi inizia a sistemare gli indumenti sulla seggiola e dandole le spalle sfilai le mutande entrando nell’acqua.
La zia mi porse un pezzo di sapone nuovo poi si avvicinò con uno spazzolone quando però si accorse che non avevo croste sulla schiena lo posò e mi insaponò con le mani.
Fu una cosa breve ma molto piacevole poi mi invitò a finire per potersi lavare anche lei.
Uscii dalla vasca avvolgendomi in un telo, uscito dalla stanza mi girai appena un istante, mi ero ripromesso di non farlo ma non ci riuscii, e vidi mia zia nuda che entrava nella vasca.
Quella fu una settimana lunghissima, mia zia non faceva che parlare di quella sua nuova conquista io non riuscivo a togliermi dalla mente il suo corpo nudo.
La domenica successiva era evidente che la cosa si sarebbe ripetuta, mia zia mi insaponò a lungo la schiena e volle anche lavarmi i capelli, poi scese anche lungo il torace fino alla pancia strusciando il suo grosso seno sulle mie spalle.
Il pisello era teso allo spasimo ed io speravo potesse coprirlo la schiuma, ma con gli occhi chiusi, per via del sapone nei capelli, non potevo sapere cosa stesse succedendo.
Quando lasciai la stanza non riuscii a resistere e mi fermai oltre la porta socchiusa, mia zia sfilò il camicione ed entrò nella tinozza restando in piedi.
La pelle era bianchissima, per prima cosa notai il culo grosso e sodo, i fianchi larghi le spalle rotonde poi si girò, per un istante vidi le grosse mammelle ed un ciuffo di peli nerastri.
“Nino non è che stai spiando”, mi prese un colpo e a razzo scappai via.
Però poi a pranzo la zia non disse nulla ed io tirai un sospiro di sollievo, forse non mi aveva visto.
Mia nonna da ragazzi diceva sempre a noi cugini e cugine che la paglia con il fuoco brucia; noi un pò si capiva e un po’ no; cioè si capiva che avesse a che fare con le porcherie, come si chiamava allora il sesso,
ma non cosa volesse dire nella realtà.
Nel nostro caso il fuoco era ormai appiccato e niente poteva spegnerlo.
La domenica successiva mi trovavo in uno stato di eccitazione tale che mi sarei gettato nel fuoco se me lo avesse chiesto.
Io speravo di poterla rivedere nuda anche solo per un istante lei invece dopo avermi lavato la schiena mi chiese di mettermi in piedi.
Le davo le spalle mi lavò le natiche e le gambe poi mi fece girare.
Mi trovai davanti a lei con l’uccello duro, lo sguardo rivolto oltre la sua testa, mi insaponò il petto poi scese lungo la pancia arrivata al pene sfiorò appena l’asta e mi insaponò a lungo le palle e l’interno delle cosce poi continuo fino alle ginocchia il resto era sott’acqua.
Finito mi passò il telo per asciugarmi.
Stavo per uscire quando mi disse, “perché non ti fermi tanto oramai mi hai vista così mi aiuti ad insaponarmi”.
Io rimasi paralizzato, la zia si sfilò il camicione ed entrò nella vasca, si immerse un istante poi si mise in piedi.
“Lavami la schiena” io inizia timidamente, “frega frega che non mi rompo” poi visto che mi fermavo all’altezza dei lombi “guarda che il mio culo non ti mangia mica”.
Quando però si voltò ricordo che restai proprio di sasso, il grosso seno, la pancia e quel grande ciuffo di peli tra le cosce erano troppo per un ragazzo di quindici anni completamente digiuno di sesso.
Mi ci volle sicuramente un po’ per riprendermi, ricordo che mi prese le mani e le porto sul seno premendole contro e facendole impastare in quell’abbondanza poi le fece scendere lungo i fianchi per ricongiungerle la sotto dove trovai che la pelle diventava viscida e scivolosa.
Poi mi lasciò giocare ed esplorare tutto quello che volevo, nel frattempo il telo era caduto a terra ed ero nudo, ricordo che uscì dalla tinozza e senza neanche asciugarsi si sdraiò sul pavimento tirandomi sopra di lei.
Io non feci nulla anche perché nulla sapevo fare ma mi ritrovai dentro il suo corpo, ricordo pensai come un lampo che avevo finalmente fatto l’amore, lei mi spingeva dalle natiche dandomi il ritmo ed io sapevo più o meno come si doveva fare.
Quello che non sapevo era che il piacere sarebbe arrivato a tradimento così in fretta.
Quasi senza accorgermene arrivai al punto di non ritorno e nonostante gli eroici tentativi di resistenza venni in pochi istanti.
Le senti gli spasmi e mi afferrò le natiche spingendomi ancora più in profondità e li versai tutto quello che un ragazzo può avere nelle palle.
Non ricordo bene cosa avvenne dopo, ricordo però che la notte mi fece dormire nel suo letto e si fece nuovamente l’amore.
Il giorno dopo, al risveglio, mi disse che voleva farmi un regalo, si abbassò verso il mio uccello e lo prese in bocca.
Anche di quella cosa avevo sentito parlare vagamente ma non pensavo fosse cosi bella, mentre la sua bocca andava su e giù lungo l’asta succhiando e leccando pensavo di morire e quando alla fine se lo spinse fino in fondo in gola mentre godevo non mi resi conto di quanto quella cosa fosse speciale.
Solo molti anni dopo scoprii a mie spese che poche donne sarebbero state disposte a farmi concludere in quel modo ma a quei tempi cosa potevo saperne.
Per me tutto era una scoperta nel senso che quelle cose non solo non le avevo mai fatte ma neanche sapevo si potessero fare.
Già forse al secondo giorno entrò nella stalla mentre mungevo si sistemo tra due vacche appoggiandosi con le mani su uno sgabello e sollevata la gonna mi mostrò il culo, siccome io non mi muovevo mi invitò ad alzarmi e prendere posto dietro di lei poi afferrato l’uccello lo guidò nella sua tana.
Così da dietro era ancora più bello mentre mi muovevo potevo vedere le sue natiche che si aprivano e chiudevano inoltre il rumore delle mie cosce che sbattevano contro il suo culo era eccitantissimo.
Con le mani su fianchi potevo dare il ritmo, non sapevo nulla dell’orgasmo femminile ma seguivo le sue indicazione rallentando ed accelerando e senza che potessi accorgermene anche lei si prese sicuramente il suo piacere.
Per dire come la faccenda le avesse preso la mano dopo aver fatto l’amore in tutti i modi un giorno mi raggiunse nella stalla si accucciò a terra e dopo avermi invitato a guardarla iniziò ad urinare poi volle essere presa così, ancora bagnata di piscio.
Dopo circa un mese un viandante portò la notizia, i due figli avevano ottenuta il congedo e sarebbero rientrati a casa.
Quella notte stessa volle fare l’amore tre volte di seguito, finito scendeva dal letto svuotava la vescica nel pitale poi tornava sopra e lo prendeva in bocca sino a che non tornava pronto per un’altra volta.
Con il passare dei giorni la capacità di resistere era aumentata tanto che ormai si faceva anche per mezz’ora di fila e lei sicuramente si stava riprendendo il suo con gli interessi.
In quell’ultima settimana si fece continuamente come non mi è più capitato.
Sarà una frase fatta ma lo faceva come se non ci fosse il domani, infischiandosene di tutto, ricordo anche di averla vista attraversare nuda il cortile e di averla presa anche lì.
L’ultima notte, facendo l’amore, piangeva di nascosto; mi volle dentro per tutto il tempo, mi disse che avrebbe ricordato quel mese per sempre.
Eravamo due naufraghi in mezzo al mare, isolati da tutto e da tutti, probabilmente in nessuna altra circostanza questa esperienza sarebbe stata possibile.
Non ci furono altre occasioni e non la vidi quasi più se non di sfuggita un paio di volte, moralmente quanto abbiamo fatto sarà inaccettabile io ovviamente non mi pento, non mi dispiaccio e dico ancora oggi con tutto il cuore,”grazie zia”.
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