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Isa: Sguardi Rubati Atto 3


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
14.05.2025    |    776    |    4 7.2
"Le portai al naso, inalando a fondo, e il desiderio mi travolse, un fuoco che mi consumava..."
Bari, ottobre 2003. La città si stava arrendendo all’autunno, ma le sere erano ancora calde, con il lungomare illuminato dai neon dei bar e il rombo dei motorini che tagliava l’aria. Dalla finestra del nostro appartamento a Madonnella, l’odore di salsedine si mescolava al fumo delle rosticcerie, e la radio sparava “Hollywood” di Madonna, un ritmo che sembrava pulsare insieme al mio cuore. Io, Andrea, avevo vent’anni, un Nokia 3310 che vibrava per messaggi di amici, e un’ossessione che mi stava consumando: mia madre, Isa. A 55 anni, era una visione che sfidava il tempo. Alta, snella, con un seno da quinta misura, tondo e sodo, che faceva girare la testa a chiunque. I suoi capelli mossi, tinti di castano, le cadevano sulle spalle, e il suo modo di muoversi – con gonne attillate, top scollati, e tacchi che ticchettavano – era come un invito al peccato. Mi ricordava Kay Parker, con quel fascino maturo che trovavo nei film porno nascosti sotto il suo letto, uno sguardo che diceva tutto senza bisogno di parole.
Dopo la separazione da mio padre, Isa era diventata un enigma. Sola, vulnerabile, ma con una fame che la rendeva pericolosa. L’avevo vista trasformarsi, prima con Marco, che l’aveva scopata in cucina mentre io spiavo, poi con Marco e Luca, un incontro a tre che mi aveva mandato fuori di testa. Avevo guardato tutto, nascosto nel corridoio, le mutandine di Isa strette in mano, il loro odore muschiato che mi faceva tremare. I suoi gemiti, il suo seno che ballava, i cazzi che la riempivano – ogni immagine era incisa nella mia testa, un fuoco che non si spegneva. Quando Luca aveva proposto a Isa di andare in un club privé, avevo visto i suoi occhi accendersi, un misto di curiosità e desiderio. “Forse,” aveva detto, e quella parola era stata una promessa. Sapevo che sarebbe andata, che voleva di più, e io volevo essere lì, nell’ombra, a guardarla mentre si perdeva.
Non potevo lasciar cadere l’idea. Due giorni dopo, trovai Marco al bar sotto casa, con una birra in mano e quel ghigno che diceva tutto. “Allora, Andre’,” disse, “tua madre è pronta per il club?” Io annuii, il cuore che mi martellava. “Convincila,” dissi. “Voglio che ci vada. E voglio esserci.” Marco rise, il piercing al sopracciglio che brillava. “Sei un malato, ma mi piace. Luca dice che il posto è una figata: stanze private, specchi, tutto quello che serve. Isa si divertirà.” Fece una pausa, poi aggiunse: “E tu, dove sarai?” Io sorrisi, un sorriso teso. “Troverò un modo,” dissi. Sapevo che il club avrebbe avuto angoli bui, porte socchiuse, magari un vetro a specchio. Ero bravo a nascondermi.
Tornai a casa con un piano. Isa era in cucina, con una camicia di seta che le scivolava sul seno e un paio di jeans che le stringevano il culo. “Marco e Luca vogliono portarci in un posto,” dissi, fingendo noncuranza. “Un club, fuori città. Musica, drink, roba elegante.” Lei alzò un sopracciglio, un sorrisetto che mi fece tremare. “Elegante, eh?” disse, e il suo tono era giocoso, come se sapesse di cosa si trattava. “Ci sto,” aggiunse, e il mio cazzo si indurì all’istante. Sapevo che non era solo un club, e lei lo sapeva.
Quella notte, frugai di nuovo nel suo cassetto. Tra il corsetto rosso e i film porno, trovai un paio di mutandine di raso nero, diverse da quelle precedenti, con un odore più intenso, più vivo. Le portai al naso, il cuore che mi scoppiava. Era dolce, muschiato, un’essenza di Isa che mi mandava in tilt. Le strinsi, immaginando il suo corpo nudo, il suo desiderio, e le nascosi in camera mia. Sapevo che le avrei usate, che quel profumo mi avrebbe accompagnato mentre guardavo. Il club sarebbe stato il mio teatro, e io sarei stato il pubblico, con le mutandine di Isa come unico contatto con lei.
Il tragitto verso il club privé fu un tormento. La Fiat Punto di Marco sobbalzava sulla statale che usciva da Bari, l’aria umida di ottobre che entrava dal finestrino aperto, portando con sé l’odore di pini e asfalto. Isa era seduta davanti, accanto a Marco, il suo vestito nero attillato che le modellava le curve come una seconda pelle. Il corsetto di pizzo sotto il tessuto lasciava intravedere il seno abbondante, una quinta misura che sembrava sfidare la gravità. I capelli mossi le cadevano sulle spalle, e il rossetto rosso catturava la luce dei lampioni, facendola sembrare una diva di un film proibito. Luca, sul sedile posteriore accanto a me, tamburellava le dita, il tatuaggio sul braccio che spuntava dalla maglietta aderente. Io avevo le mutandine di raso nero di Isa nascoste nella tasca dei jeans, il loro tocco liscio che mi faceva pulsare il cazzo. Ogni chilometro che ci avvicinava al club era un passo verso l’ignoto, e il mio cuore batteva come se volesse esplodere, un misto di eccitazione e terrore che mi consumava.
Il club, chiamato “Velvet”, era nascosto in una villa isolata a una ventina di chilometri da Bari, circondata da pini scuri e silenzio. L’insegna al neon lampeggiava discreta, ma l’atmosfera era inequivocabile: un luogo dove i desideri prendevano forma. Entrammo in un atrio con luci rosse soffuse che dipingevano ombre sui muri, specchi ovunque che riflettevano frammenti di corpi e sguardi. La musica – un remix di “Lucky Star” di Madonna – pulsava come un battito cardiaco, mescolandosi all’odore di profumo costoso e sudore. L’interno era un labirinto di lusso trasgressivo: divani di velluto nero, tende di seta pesante, corridoi che portavano a stanze private con letti rotondi, pareti a specchio, e catene decorative che pendevano come promesse. Le persone intorno a noi si muovevano con una sensualità studiata: uomini con camicie aperte, donne in minigonne di pelle o abiti trasparenti, tutti con Nokia 3310 che spuntavano dalle tasche o borse. Isa, con il suo vestito e i tacchi che ticchettavano, attirò ogni sguardo. Un uomo brizzolato la fissò con fame, una donna in latex le sorrise, e io sentii una fitta di gelosia mista a desiderio. Era mia madre, ma lì dentro era una dea, e tutti la volevano.
Ci sedemmo su un divano circolare in una sala principale, accanto a un bar illuminato da neon viola che serviva cocktail con nomi come “Peccato Mortale” o “Notte di Fuoco”. Marco ordinò un drink per Isa, un liquido rosso che lei sorseggiò con un sorriso lento, le labbra che lasciavano un’impronta sul bicchiere. “Questo posto è… vivo,” disse, gli occhi che esploravano la stanza, catturando ogni dettaglio: una coppia che si baciava in un angolo, un uomo che accarezzava la coscia di una donna su un divano vicino. Luca si sporse verso di lei, il suo sorriso malizioso. “Aspetta di vedere cosa succede dietro quelle tende,” disse, indicando un corridoio. “È lì che si gioca sul serio.” Isa rise, un suono che mi trafisse, caldo e pericoloso. “Non sono sicura di essere pronta,” disse, ma il suo tono era un invito, e Marco lo colse al volo. “Oh, lo sei,” disse, sfiorandole il ginocchio.
Un uomo si avvicinò, sulla trentina, con un fisico scolpito sotto una camicia nera aperta, i capelli corti e un sorriso che diceva sicurezza. “Posso unirmi?” chiese, gli occhi fissi su Isa. Lei lo squadrò, un sopracciglio alzato, e rispose: “Se sai stare al passo.” Lo chiamerò Dario. Poi una donna, sui trent’anni, con lunghi capelli neri e un abito di seta trasparente che rivelava curve perfette, si sedette accanto. “Sei uno spettacolo,” disse a Isa, la voce morbida come una carezza, sfiorandole il braccio. La chiamerò Sofia. Io osservavo, il cazzo che premeva contro i jeans, il cuore che martellava. Sapevo che dovevo trovare un nascondiglio, un angolo da cui spiare senza essere visto.
La tensione cresceva. Marco prese Isa per mano, guidandola verso un corridoio. “Andiamo a vedere una stanza,” disse, e Luca, Dario e Sofia li seguirono, un gruppo che sembrava già intrecciato da un desiderio silenzioso. Io li seguii a distanza, il buio dei corridoi che mi proteggeva. Trovai una stanza adiacente alla loro, con un vetro a specchio che mi dava una vista perfetta senza tradirmi. Chiusi la porta, il cuore che mi esplodeva, e tirai fuori le mutandine di raso nero. Il loro odore mi colpì come un’onda: muschiato, intenso, un’essenza di Isa che mi mandava in tilt. Le portai al naso, inalando a fondo, e il desiderio mi travolse, un fuoco che mi consumava. Mi slacciai i jeans, avvolgendo il cazzo nel raso liscio, la sensazione che mi strappò un gemito. Ogni immagine di Isa – il suo seno, la sua bocca, il suo corpo che si arrendeva – era un coltello, e il senso di colpa, quel peso che mi schiacciava, non poteva fermarmi. Ero sporco, sbagliato, ma non volevo essere altro.
Nella stanza accanto, tutto stava iniziando. Isa era al centro, con Marco che le baciava il collo, le mani che slacciavano il vestito, facendolo scivolare a terra. Il corsetto di pizzo nero le stringeva la vita, il seno che sembrava esplodere. “Cazzo, sei una visione,” disse Marco, e Isa sorrise, audace. Luca le tolse le mutandine, lasciando la fica nuda, lucida di desiderio. “Succhiami,” disse, sbottonandosi i jeans, e Isa si inginocchiò, prendendo il suo cazzo in bocca, succhiandolo con una fame che mi fece tremare. Le sue labbra scivolavano su di lui, lente e poi veloci, la lingua che leccava la punta. Poi passò a Dario, il cazzo di lui più grosso, che le riempiva la gola. “Brava, continua,” grugnì Dario, spingendole la testa. Sofia, accanto, le accarezzava il seno, poi si abbassò, leccandole la fica, la lingua che scivolava tra le pieghe. “Sei dolce,” mormorò, e Isa gemette, il corpo che tremava. Marco, eccitato, si inginocchiò davanti a lei. “Fammi una spagnola,” disse, e Isa strinse le tette intorno al suo cazzo, muovendole su e giù, la pelle morbida che lo avvolgeva, la bocca che ogni tanto leccava la punta.
Io mi segavo, il raso delle mutandine che mi sfregava, il profumo di Isa che mi soffocava. Ogni gemito di lei era un colpo, un misto di eccitazione e vergogna che mi squarciava. Immaginavo di essere lì, di toccarla, di sentirla, ma la realtà era più intensa, perché era proibita. Venni, sborrando sul raso, il corpo che tremava, ma continuai, il cazzo ancora duro, il desiderio che mi consumava. Isa era il centro di tutto, e io ero solo un’ombra, ma non potevo smettere.
Il vetro a specchio era la mia gabbia, il mio altare. Nella stanza adiacente, il buio mi avvolgeva come un abbraccio, le mutandine di raso nero di Isa strette intorno al mio cazzo, il loro odore muschiato che mi mandava in estasi. Ogni gemito di Isa era un colpo al cuore, un misto di eccitazione e vergogna che mi squarciava. Il raso, liscio e ormai fradicio della mia sborra, mi sfregava la pelle, ma non potevo smettere. Ero venuto due volte, ma il desiderio era una fiamma che non si spegneva, alimentata dai suoi ansiti, dal suo corpo che si arrendeva a ogni cazzo, a ogni tocco. Isa era al centro della stanza, nuda, il seno abbondante che ballava, la fica lucida, il culo pieno. Era mia madre, ma lì dentro era una forza primordiale, una donna che divorava il piacere, e io ero un’ombra, intrappolato nel mio peccato, desideroso di ogni suo gemito.
Sul letto rotondo, Marco aveva preso il controllo. “Ti scopo la fica,” grugnì, spalancando le gambe di Isa e penetrandola con un colpo secco che la fece urlare. “Cazzo, sì, riempimi,” gemette, le mani che si aggrappavano alle sue spalle, il seno che ondeggiava a ogni spinta. Luca, dietro, sputò sul cazzo per lubrificare e la inculò, lento all’inizio, poi più veloce, il culo stretto che lo avvolgeva. “Porca puttana, è perfetto,” ringhiò, e Isa gridò, un misto di dolore e piacere che mi fece tremare. Dario si avvicinò, il cazzo duro in mano. “Succhia,” ordinò, e Isa, con la fica e il culo pieni, prese il suo cazzo in bocca, succhiandolo con una fame che mi mandò fuori di testa. Le sue labbra scivolavano su di lui, la lingua che leccava la punta, mentre Marco e Luca la sbattevano in sincronia, i loro colpi che facevano tremare il letto. Sofia, accanto, si masturbava, le dita che scivolavano nella sua fica, gemendo piano, gli occhi fissi su Isa. La doppia penetrazione, con Dario in bocca, era un quadro osceno, e Isa era il centro di tutto. “Cazzo, sto venendo,” urlò, e il primo orgasmo la travolse, il corpo che tremava, le cosce che stringevano Marco, il culo che si contraeva su Luca, la bocca piena di Dario. Un grido animalesco le sfuggì, il respiro rotto, mentre i tre continuavano, senza darle tregua.
Io accelerai, il raso delle mutandine che mi bruciava, il profumo di Isa che mi soffocava. Ogni suo gemito era una coltellata, un promemoria di quanto la desiderassi, di quanto fossi sbagliato. Venni, sborrando sul raso, ma continuai, il cazzo ancora duro, il cuore che mi esplodeva. Immaginavo di essere lì, di sentirla, ma la realtà era più intensa, perché era proibita.
La scena cambiò. Luca si tirò fuori, e Dario prese il suo posto. “Ti inculo,” grugnì, sputando per lubrificare prima di spingere nel culo di Isa, che urlò, il corpo che si inarcava. “Cazzo, sì, scopami,” gemette, a carponi, mentre Marco si inginocchiava davanti a lei. “Succhiarmi,” disse, e Isa prese il suo cazzo in bocca, succhiandolo con avidità, le labbra che scivolavano su di lui, la lingua che lavorava la punta. Sofia si avvicinò, accarezzando il seno di Isa, pizzicandole i capezzoli, poi infilando una mano tra le sue cosce, sfregandole la fica. “Sei fradicia,” mormorò, e Isa gemette, il culo pieno di Dario, la bocca piena di Marco. Sofia si masturbava con l’altra mano, gemendo, il suo respiro che si mescolava a quello di Isa. Dario la sbatteva con furia, ogni colpo che la faceva gridare, e Isa, tra un pompino e l’altro, ansimava: “Cazzo, sto venendo.” Il secondo orgasmo la colpì, più intenso, il corpo che tremava, il seno che ballava, un grido roco che riempì la stanza. Dario continuò, il culo di Isa che lo stringeva, mentre Marco le spingeva il cazzo in gola.
Io mi segavo, il raso che mi graffiava, il profumo di Isa che mi mandava in tilt. Ogni movimento del suo corpo, ogni gemito, era un’immagine che mi bruciava dentro. Ero sporco, ma non potevo smettere. Venni di nuovo, sborrando sul raso, il respiro rotto, ma continuai, incapace di fermarmi.
La scena si trasformò ancora. Luca la fece sdraiare sulla schiena, spalancandole le gambe. “Ti scopo la fica,” disse, penetrandola con un colpo profondo che la fece urlare. “Sì, cazzo, dammelo,” gemette Isa, mentre Sofia si posizionava sopra il suo viso, la fica bagnata a pochi centimetri dalla sua bocca. “Leccami,” ordinò, e Isa obbedì, la lingua che scivolava tra le pieghe di Sofia, succhiandola con una fame che mi fece tremare. Dario, accanto, si masturbava, ma Isa, tra un gemito e l’altro, gli leccò le palle, la lingua che scivolava sulla pelle tesa, succhiando piano. “Cazzo, sei una troia,” grugnì Dario, e Isa gemette, la fica piena di Luca, la bocca che lavorava Sofia. Luca la sbatteva con furia, ogni colpo che la faceva tremare, mentre Sofia ansimava, “Sì, continua,” fino a venire, un fiotto caldo che colò sulla bocca di Isa, che lo ingoiò, gemendo. “Sto venendo,” urlò Isa, e il terzo orgasmo la travolse, il corpo che si inarcava, le cosce che tremavano, un grido che sembrava strapparle l’anima.
Il climax esplose. Marco si avvicinò, masturbandosi. “Ti sborro nella fica,” grugnì, spingendo Luca di lato e venendo dentro di lei, fiotti caldi che la riempirono, facendola gemere. Luca si posizionò sopra la sua bocca. “Apri,” ordinò, e sborrò, schizzi che le colarono sulle labbra, che lei ingoiò con avidità. Dario, accanto, sborrò sul seno, fiotti che le coprirono i capezzoli, mentre Sofia, masturbandosi, gemeva, il suo orgasmo che la scuoteva. Io ero al limite, il raso zuppo, il desiderio che mi consumava.
Poi, l’imprevisto. Marco rise, guardando verso il vetro. “Andrea, cazzo, vieni fuori!” gridò, e Luca, Dario e Sofia si unirono, ridendo. “Sappiamo che sei lì, pervertito!” Isa, ancora sdraiata, il corpo lucido di sudore e sborra, alzò lo sguardo, un sorriso appagato sul viso. “Vieni, figlio mio,” disse, la voce calda, e io, con il cazzo in mano, il raso delle mutandine che mi avvolgeva, uscii dal mio nascondiglio, il cuore che mi esplodeva. Entrai nella stanza, il cazzo duro, e mia madre mi fece cenno di avvicinarmi. “Fallo,” sussurrò, e io, incapace di resistere, sborrai, schizzi che colarono sulle sue tette, mescolandosi alla sborra di Dario. Isa rise, un suono di pura liberazione, e con le mani iniziò a spalmare la sborra di tutti – Marco, Luca, Dario, e ora la mia – sul suo corpo, sul seno, sulla pancia, sulle cosce. “Finalmente,” disse, gli occhi che brillavano, “mi sento una vera puttana.” Era contenta, appagata, ogni orgasmo un passo verso la sua libertà, e io, fermo lì, con il cazzo in mano, ero perso, eccitato e distrutto.
Il silenzio nella stanza era pesante, rotto solo dal respiro affannoso di corpi esausti. Isa era sdraiata sul letto rotondo, il corpo lucido di sudore e sborra, il seno abbondante macchiato dai fiotti di Marco, Luca, Dario, e ora i miei. Le sue mani scivolavano sulla pelle, spalmando il liquido caldo sul seno, sulla pancia, un sorriso di pura liberazione sul viso. “Una vera puttana,” aveva detto, e quelle parole echeggiavano nella mia testa, un misto di trionfo e sfida. Marco e Luca si rivestivano, ridendo, mentre Dario accendeva una sigaretta, il fumo che si mescolava all’odore di sesso. Sofia, ancora nuda, si avvicinò a Isa, accarezzandole la coscia. “Devi tornare, tesoro,” disse, la voce morbida. “La prossima settimana c’è una serata speciale, solo per i migliori. Ti vogliamo lì.” Isa rise, gli occhi che brillavano. “Vedremo,” disse, ma il suo tono era una promessa, e io, fermo con le mutandine di raso zuppe in mano, sentii un brivido. Non era più la madre vulnerabile. Era una donna che possedeva il suo desiderio, e io ero intrappolato nella sua orbita.
Tornai nell’ombra del corridoio, il cazzo ancora duro nonostante tutto, il cuore che mi martellava. Quando rientrammo in macchina, fingevo di guardare il Nokia 3310, ma la mia testa era altrove. Avevo oltrepassato un confine. Non ero più solo un’ombra, un voyeur. Avevo sborrato sulle sue tette, e lei mi aveva invitato a farlo, appagata, felice. Il senso di colpa mi schiacciava, un peso che mi soffocava, ma l’eccitazione era più forte, un fuoco che mi consumava. Le mutandine di Isa, nascoste nella mia tasca, erano un ricordo di quel momento, il loro odore muschiato che mi legava a lei. Ogni gemito, ogni immagine – il suo corpo pieno, la sua bocca su Sofia, la sborra che le colava addosso – era incisa nella mia mente. Sapevo che sarebbe tornata al club, che avrebbe voluto di più, cazzi nuovi, fiche nuove, e io sarei stato lì, a guardarla, forse a partecipare ancora. Ero eccitato, spaventato, distrutto, ma non potevo smettere. Isa era diventata qualcos’altro, e io, con il suo raso in mano, ero perso, desideroso di vedere fino a dove sarebbe arrivata.


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