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La succhiatette professionista


di nippyslurp92
10.02.2019    |    43.456    |    17 9.6
"“Mai vista una cosa del genere per le donne” dissi..."
La mia coordinatrice mi guardava dall’altra parte dell’ufficio ma io continuavo a lavorare al computer fingendo di ignorarla. Era da quando mi avevano assunta che mi aveva messo gli occhi addosso e vedevo che ultimamente cercava occasioni per farsi avanti: io avevo uno scopo preciso in mente e sapevo come ottenerlo.
“Vado un attimo in bagno” dissi, alzandomi e uscendo dalla stanza mentre un’altra collega annuiva e rispondeva al telefono.
Quando fui sulla porta diedi ad Ester, il mio capo, un’occhiata che non lasciava spazio a fraintendimenti. Una volta in bagno mi assicurai che fosse vuoto, poi appoggiai la borsetta sul lavandino e presi a sistemarmi il trucco con tranquillità, aspettando. Mentre mi mettevo il rossetto sentii la porta aprirsi e venire chiusa a chiave: sorrisi, mi girai e vidi Ester.
Non mi diede neanche il tempo di aprir bocca che già ci aveva infilato dentro la lingua mentre le sue mani mi palpeggiavano le tette. Mi strusciai su di lei come una gatta in calore ma poi mi ritrassi.
“Ti voglio da morire” ansimò lei.
“Lo so” dissi con un sorriso.
“Ti prego fammela leccare!” Sembrava disperata. “Ti farò godere, vedrai! Voglio mangiartela!”
“Te la darò se tu farai una cosetta per me” dissi,facendo scorrere un dito dalla sua bocca, al mento, lungo il collo e poi giù fino alla sua scollatura, vedendo il suo petto gonfiarsi in un sospiro.
“Ti pago se vuoi” disse.
Risi. “Ma no, per chi mi hai presa?” Prendo a massaggiarle in modo lascivo il seno, cosa che in realtà volevo fare dal primo momento che l’avevo vista dato che avrà avuto una sesta o anche di più da quello che si intuiva sotto i vestiti.
“Voglio un biglietto per entrare al Palazzo di Venere.”
Lei mi guardò un attimo perplessa e sembrò riprendere un po’ di lucidità. “È un club esclusivo, molto esclusivo.”
“Lo so bene e so che non si entra la prima volta senza invito, perciò tu me ne procurerai uno e in cambio io…” sussurrai suadente, prendendole una mano e mettendomela fra le cosce, sotto la gonna, “… io mi metterò a gambe aperte per te e potrai leccarmi, mangiarmi, succhiarmi… Farmi tutto quello che vuoi.”
“Oh sì, ma lo voglio adesso!...” disse lei cercando di toccarmi la figa.
“No, prima l’invito” replicai mettendo il broncio come una bambina viziata.
“Okay, ma mi ci vorrà qualche giorno.”
“Vorrà dire che troverò qualche avida lingua pronta a leccare il mio nettare mentre tu mi fai aspettare così tanto.”
“Sei crudele!... Va bene, dopodomani avrai l’invito, ma dopo l’ufficio verrai a casa mia, ti siederai sulla mia faccia e vedrai che ti farò godere talmente tanto che non ti interesserà più andare in quel posto per spocchiose!”
Risi e mi morsi un labbro. “Vedremo.”
Il giorno convenuto, alla prima pausa disponibile da sole, Ester mi fece vedere l’invito: un biglietto con scritte d’oro a caratteri eleganti e raffinati. Feci per prenderlo ma lei ritrasse la mano.
“Quanta fretta, gattina. Lo avrai dopo che ti sarai fatta leccare per bene” disse passandosi la lingua sulle labbra.
Sorrisi. “Tranquilla, non mi lascio scappare un servizietto se posso e poi sono una donna di parola.”
La sorpassai per andare a pranzo e lei mi diede una sculacciata.
Ester era una bella donna, molto più grande di me ma anche molto attraente: era divorziata ed era abbastanza ovvio che era alle prime esperienze con le donne dopo una vita passata a reprimere le sue voglie. In macchina, mentre guidava verso casa sua, approfittava di ogni semaforo rosso per mettermi una mano tra le cosce e toccarmi, stuzzicarmi e accarezzarmi. Le sue attenzioni non mi dispiacevano affatto e mi godevo una mano morbida e femminile che mi faceva bagnare.
Il mio vero scopo però era ottenere l’invito per entrare nel locale lesbo più chic di Milano: si chiamava il Palazzo di Venere e, nonostante il nome altisonante, era un posto quasi segreto, severamente vietato agli uomini. Non compariva da nessuna parte su Internet, tranne che su siti e forum di gente che diceva di essere pronta a pagare per sapere dove fosse o che sosteneva che fosse tutta solo una leggenda metropolitana: era davvero incredibile il modo in cui tutte le sue clienti mantenevano il segreto sulla sua ubicazione, come se quel posto fosse talmente paradisiaco da volerlo a tutti i costi proteggere da chi non era meritevole di accedervi.
Avevo sentito delle stagiste parlare di questo luogo: pare che il Palazzo di Venere fosse proprietà di una ricca imprenditrice che aveva contatti con la nostra azienda. Venni a sapere che la coordinatrice del mio ufficio, Ester appunto, era una delle frequentatrici del locale ma la cosa non era certa: avevo deciso di non tergiversare e di dare per scontato che le voci fossero vere, sfruttando l’attrazione della milf per me e ottenendo l’invito per entrare nel Palazzo. E dopo una notte di sesso con Ester ci sarei andata, oh, altro che se ci sarei andata.
Amavo le donne, le avevo sempre amate. Non che disprezzassi gli uomini, semplicemente non mi interessavano. In camera da letto la femminilità e il suo antico potere mi attraevano come una calamita e inebriavano i miei sensi in un modo che la virilità degli uomini – con i quali pure aveva fatto esperienza – non poteva neanche lontanamente sperare di eguagliare.
Non appena fummo a casa di Ester la donna mi spogliò impaziente e io la lasciai fare ma quando rimasi solo in intimo e tacchi alti fui io a prendere il controllo. Da suprema veneratrice delle tette, quale io modestamente sono, non era assolutamente possibile che quelle due angurie succose rimanessero “vergini”: le avrei leccate e succhiate fino allo sfinimento della mia signora e solo quando fossi stata soddisfatta l’avrei lasciata giocare con la mia micetta.
Le sbottonai la camicetta firmata e mi morsi il labbro quando quel davanzale da panico mi si presentò davanti agli occhi (e alla bocca). Affondai la testa tra quei pancakes mentre le mie mani risalivano dietro la schiena di Ester e le sganciavano rapidamente i reggiseno di pizzo nero, facendolo poi scivolare giù, dimenticato.
Giocai con quelle enormi mammelle, soppesandole, stringendole, godendomi quanto fossero troppo grosse per le mie mani e infine cominciai a depositare dei piccoli baci bagnati sulle areole scure, stuzzicando i due capezzoli carnosi e facendoli rizzare sull’attenti.
“Uhmm… Mi fai morire!” miagolò Ester mettendomi le mani tra i capelli mentre eravamo sul suo elegante divano di pelle.
I miei baci raggiunsero i capezzoli e cominciarono a tormentarli.
“Ti prego leccali!” disse lei e io ubbidii anche perché non vedevo l’ora.
Leccai quei bei capezzoloni lentamente e con cura, bagnandoli tutti e premendoli con la lingua. Quelli, di rimando, mi ringraziarono inturgidendosi ancora di più e invitandomi a succhiarli, cosa che feci con piacere, appoggiando le mie labbra morbide, carnose e bagnate sulla punta di uno dei seni della milf e succhiando voracemente. Cercai di essere democratica nel dedicare uguali attenzioni ad entrambe quelle bocce meravigliose ma quando spompinavo un capezzolo ero sempre divisa tra la voglia matta di non staccare la bocca da lì e l’ingordigia di slinguazzare e succhiare anche l’altro, che nel frattempo titillavo, grattavo e spremevo con le dita.
Cercai di mettermi quanta più tetta potevo in bocca, succhiavo e poi la lasciavo andare, producendo un sonoro e bagnato “Pop!” che riecheggiava nell’elegante salotto. Poi mi riattaccavo a quelle tettone e guardavo Ester che mi fissava a bocca aperta e con gli occhi velati dalla lussuria.
“Mmm… Dovevo essere io a mangiare te… Mi stai facendo impazzire… Sembra che tu mi stia mungendo…”
Volevo rispondere e dirle che era proprio quello che andava fatto a delle tette come le sue ma non avevo intenzione di staccare la bocca dai suoi capezzoloni gonfi. E comunque sono sempre stata più per i fatti che per le parole.
Ester ebbe un orgasmo e mi pregò di staccarmi dalle sue tette, cosa che feci a malincuore. Guardai quelle bocce scintillare per la mia saliva alla luce delle lampade, con i capezzoli turgidi e ingrossati a causa della mungitura, e sorrisi soddisfatta.
Ester mi sfilò le mutandine e si sdraiò sul divano; io mi misi sul suo viso prima ancora che me lo chiedesse e strusciai la mia fighetta fradicia sulla sua faccia, usando il suo naso per stimolare il mio clitoride gonfio. Lei gemeva in modo incontrollabile come quando la stavo mungendo e presto la sua lingua si insinuò tra le mie labbra, leccando il mio nettare e andando e stimolare il mio clitoride, baciandolo e succhiandolo avidamente. Io godevo e cavalcavo la sua faccia, toccandomi le tette e succhiandomele pure – cosa che potevo fare agevolmente data la mia quinta abbondante.
Quando venni lei leccò tutto il mio succoso nettare femminile.
Volevo tornare a casa ed Ester si offrì di pagarmi un taxi.
Ora che avevo ottenuto ciò che volevo ero ansiosa di andare al Palazzo di Venere e scoprire i suoi segreti, rimanerne sorpresa o delusa: ero davvero curiosa.
Quel sabato mi sciolsi i capelli morbidi, indossai un tubino nero che fasciava e stringeva il mio seno abbondante e infilai i miei tacchi neri preferiti. La gonna arrivava fino alle ginocchia, fasciando i miei fianchi larghi e facendo onore al mio fisico da BBW ma senza farmi apparire volgare. Mi presentai all’indirizzo scritto sul biglietto e tre energumeni alla porta mi chiesero impassibili documenti e invito, poi mi fecero aprire il cappotto per vedere come ero vestita. Uno di loro in particolare sembrava apprezzare le mie soffici curve e mi feci l’occhiolino che io ricambiai poi, finalmente, le porte del Palazzo di Venere mi furono aperte.
Capii subito che quei buttafuori all’ingresso sarebbero stati gli unici uomini che avrei visto quella sera: lasciai il cappotto al guardaroba e mi presi del tempo per ammirare l’ampiezza del locale la cui sala aveva una forma ampia e circolare, con un soffitto di vetro oltre il quale si vedeva il cielo buio e nebbioso dell’inverno milanese. Le luci erano soffuse e tendenti ad una piacevole tonalità rosa-viola per nulla fastidiosa: nonostante l’atmosfera intima era possibile vedere i volti delle persone e ammirare le ballerine che ballavano su un palco al centro della pista, esibendosi in erotiche acrobazie e sfoggiando costumi sensuali ma femminili e per nulla volgari. Bisognava scendere delle scale per arrivare al bar e ai divanetti disposti seguendo la circonferenza della vasta sala, i quali lasciavano comunque l’ambiente spazioso, non come le “ammucchiate” tipiche delle discoteche, mentre colonne con capitelli ionici sembravano reggere l’alto soffitto. Mi appoggiai alla balaustra ammirando tutto questo e sbirciando le frequentatrici: c’erano ragazze della mia età e donne più mature, tutte vestite elegantemente. In definitiva potevo concludere che quel posto meritava davvero il nome altisonante che portava senza diventare ridicolo.
Scesi e mi sedetti al bar, ordinando un drink e guardandomi intorno mentre lo sorseggiavo. Era difficile trovare donne che NON mi piacessero in quel mare di femminilità. Ad un tratto la mia attenzione fu colta da una bella milfona seduta tra due ragazze: le tre si alzarono, la donna più matura mise una mano intorno ai fianchi di entrambe le giovani e sparirono dietro una pesante tenda di velluto che sembrava condurre ad un altro ambiente.
Succhiai la cannuccia mentre pensavo che quel posto mi piaceva sempre di più.
“Sei sola, Venere?” mi chiese una voce femminile.
Mi voltai e vidi una ragazza mora e graziosa seduta sullo sgabello a fianco al mio.
“Per ora sì” risposi cercando di non far scivolare lo sguardo sulla sua scollatura, come sempre mi succedeva in presenza di una donna.
“Avresti voglia di provare qualcosa di nuovo?” mi chiese appoggiando distrattamente una mano sulle mie gambe accavallate.
Storsi un po’ il naso: quella ninfa voleva mungermi, e non nel modo che piaceva a me.
“Io non pago per divertirmi” dissi.
“Ma no sciocchina, qui non si paga una volta che sei dentro!” rise lei scoprendo i suoi denti bianchi.
Si alzò e mi offrì la mano.
“Vieni con me” disse ammiccante.
Non potei resisterle e presi la sua mano. Mi condusse verso la fila di divanetti e poi scostò una delle pesanti tende di velluto, facendomi entrare in un ampio corridoio. Ci fermammo davanti ad una porta e lei mi toccò a piene mani le tette.
“Oh, è così che si fa?” chiesi già eccitata.
“Ti ho vista lì tutta sola, con queste poppe meravigliose… Però non dovresti ingabbiarle così, tesoro. Credo che abbiano bisogno di un trattamento speciale…”
“Che cosa vorresti fare?” chiesi premendo le mie tettone gonfie contro le sue mani avide.
“Oh, io di tutto ma…” Sorrise maliziosa. “In realtà vorrei farti provare una vera esperta.”
“E chi sarebbe?”
“Non la vedrai” disse la ninfa. “Oltre quella porta che è una stanzetta accogliente e insonorizzata dove potrai fare tutto il rumore che vuoi. Troverai due grandi fori sulla parete, ad altezza del tuo seno: appoggiati al muro, infila queste due ragazze nei fori e lasciati viziare. Ti assicuro che non te ne pentirai.”
Mi vennero subito in mente quei cosi strani che avevo visto in qualche porno, dove gli uomini infilavano l’attrezzo in un buco e dall’altra parte c’era una ragazza che glielo succhiava.
“Mai vista una cosa del genere per le donne” dissi.
“Perché ce l’abbiamo solo noi. La Padrona ha avuto l’ispirazione in un locale di lusso in Giappone, durante un viaggio di lavoro.”
“Devo fare anche io quel lavoro, allora” commentai. “Come faccio a sapere che lì dietro non c’è un uomo?”
“Fidati, nessun uomo saprebbe usare la bocca così e comunque sai bene che qui di maschietti non ne entrano.” Smise di toccare le mie tette e per poco non protestai. “Ora dimmi, tu sei una di quelle che le ha di cristallo o ti piace ricevere trattamenti intensi?”
“Decisamente trattamenti intensi” risposi. “Ma dubito che troverò qualcuno che le succhia meglio di quanto faccia io.”
La ragazza sorrise. “Oh, questo lo vedremo. Perché non entri e lo scopri da sola?”
Aprì la porta e io, incuriosita, decisi di provare. La porta venne chiusa e mi ritrovai da sola in una stanza dalle luci soffuse e una piacevole musica in sottofondo. Sulla parete scura davanti a me c’erano due fori piuttosto larghi, come aveva detto la ragazza, e da essi si intuiva che dietro c’era un ambiente illuminato ma sembrava che non ci fosse nessuno. Mi sentivo un po’ un’idiota a dirla tutta, ma ormai ero lì e tanto valeva provare.
Abbassai il vestito e le mie tettone ringraziarono, poi le infilai nei fori sulla parete e mi appoggiai al muro.
Per qualche secondo non successe nulla poi, sentii una lingua calda leccare le mie bocce, causando l’inturgidimento istantaneo dei miei capezzoli: la lingua della sconosciuta titillò i miei capezzoli alternativamente, bagnandoli e facendoli indurire ancora di più. Sentivo il respiro caldo della ragazza sulle tette e mi venne da inarcare la schiena e premermi ancora di più contro la parete, spingendo le bocce in avanti come un invito.
Due labbra morbide e bagnate si serrarono intorno al mio capezzolone destro e cominciarono a succhiare con una maestria mai vista prima.
“Oh cazzo!” gemetti con la voce che mi moriva in gola.
Di solito non mi piaceva essere volgare ma… Oh cazzo! Era proprio il caso di dirlo. Mi leccai le labbra mentre una sconosciuta che non potevo vedere mi spompinava un capezzolo, palpeggiandomi sensualmente l’altra tetta con la mano morbida. Quando i suoi polpastrelli giocarono con la punta del mio seno mi parve di avvertire la presenza di unghie lunghe e solide. Oh sì…
Mi lasciavo andare a gemiti di puro piacere mentre mi facevo mungere il seno destro da quell’abile e sapiente bocca, spingendo contro la parete con tutto il corpo. La bocca vorace si dedicò poi all’altra mammella, leccandola per bagnarla bene e poi succhiandola a più non posso: i rumore del risucchio di quella bocca sconosciuta e la sensazione dei miei capezzoloni gonfi succhiati e tirati a tempi alterni mi faceva impazzire. Adoravo quel suono, era il mio preferito, il segno che un paio di tette, meglio se grosse e meglio se le mie, stava subendo il trattamento per il quale erano state fatte: essere succhiate.
L’unica cosa che mi dispiaceva era che quella bocca abilissima si potesse dedicare solo ad un capezzolo alla volta… Fu come se la succhiatrice sconosciuta mi avesse letto nel pensiero: le sue mani spinsero le mie tettone vicine e le sue labbra catturarono entrambi i miei capezzoli gonfi e ingrossati.
“Oh sììì…” gemetti spingendo il seno in avanti.
Lei mi mordicchiò, slinguazzò e succhiò avidamente le punte dei seni: era come se tutto il mondo fosse concentrato in quella parte del mio corpo. Era godurioso e intrigante. La mia succhiatrice tornò poi a dedicarsi ad una sola tetta alla volta e io mi spingevo in avanti, godendo mentre dall’altra parte una sconosciuta mi spompinava i capezzoli.
Gemevo senza ritegno, incitandola a continuare. In quei momenti perdevo completamente la testa: farmi mungere con la bocca da una donna era la cosa più erotica in assoluto per me, avrei vissuto con una bocca attaccata ai miei grossi capezzoloni.
La sconosciuta succhiava come una forsennata, spompinandomi senza pietà: capivo che cercava di mettersi in bocca le mie tette il più possibile, mi slinguazzava i capezzoli inturgiditi e sensibili, succhiava forte la mammella e poi la lasciava cadere pesantemente solo per riservare lo stesso succulento trattamento all’altra.
Quella era decisamente la succhiata migliore che mi avessero mai fatto: la bocca della sconosciuta si incollava ai miei capezzoli come una ventosa ingolosita e succhiava e slinguazzava alla grande, come se me le stesse mangiando, tanto che, nella nebbia che quella goduria spargeva sui miei pensieri, mi domandai se avrei ancora avuto i capezzoli quando la mia bella ninfa nascosta si fosse staccata e il drenaggio fosse finito.
Al momento però sembrava che non dovesse finire mai.
“Tesoro se continui così mi farai fare il latte… Oh…”
I versi libidinosi che facevo si mischiavano alla dolce musica di sottofondo e al suono del risucchio e delle leccate cui erano sottoposte le mie tettone gonfie.
Godevo come mai nella vita e pensavo che non me ne fregava più nulla di niente, che avrei passato il resto dei miei giorni attaccata a quella parete con una sconosciuta dall’altra parte a succhiarmi, mordicchiarmi, titillarmi e mordermi i capezzoloni in quel modo succulento.
La suzione della misteriosa succhiatrice sembrava non dovesse fermarsi mai. Io venni più volte; esausta, appoggiai le mani alla parete mentre le gambe mi tremavano.
La bocca abile e golosa si staccò finalmente dai miei capezzoli sfiniti ma ancora pronti all’uso e senza difesa; le mani della succhiatrice professionista mi palpeggiarono e massaggiarono sensualmente e in modo incredibilmente rilassante. Quella donna sì che sapeva come fare onore al seno di un’altra femmina.
D’un tratto mi parve che solo una mano mi stesse lavorando le poppe e mi chiesi cosa stesse facendo la ragazza dall’altra parte: d’un tratto lei prese con entrambe le mani prima una tetta e poi l’altra e depositò un succoso bacio a ventosa prima su un capezzolo e poi sull’altro. Poi le lasciò andare e non mi toccò più.
Lentamente mi ritrassi; le mie tettone penzolavano sensibili sul mio petto, felici di essere appena state munte per bene.
Le guardai e sussultai: i capezzoloni ingrossati e le areole erano macchiati di rossetto fucsia. Niente male. Non ci pensai nemmeno a pulirmi: mi tirai su il vestito e uscì dalla stanza con le orecchie che mi ronzavano.
La succhiatette professionista aveva firmato la sua opera. Dopotutto era arte anche quella.
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