Prime Esperienze
La prima sera oltre la porta


13.06.2025 |
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"Il gioco era sottile, fatto di gesti lenti e intenzioni..."
Non saprei dire con precisione quando è cominciato. Forse tutto è nato da uno sguardo, un dialogo, una fantasia che si è insediata lentamente sotto pelle, senza chiedere il permesso. Oppure era lì da sempre, sepolta sotto abitudini rassicuranti, sotto relazioni tiepide che non avevano mai osato grattare davvero sotto la superficie.Quel desiderio sottile, sporco eppure così incredibilmente umano mi ha lavorato dentro per mesi. Lo portavo a spasso ogni giorno come un segreto silenzioso. Poi, un giorno, ho smesso di combatterlo. E l’ho ascoltato.
Mi sono iscritto a un sito. Ho letto, osservato, senza mai scrivere nulla. Finché non ho trovato il riferimento. Un club discreto, elegante, frequentato da chi sapeva cosa voleva, o almeno aveva il coraggio di cercarlo. Nessun nome in bella vista, solo un invito, un indirizzo, un codice d’accesso.
Quella sera, sono arrivato con il cuore che batteva troppo in fretta. Vestito semplice, niente profumi forti, lo sguardo incerto di chi sta per attraversare una linea sottile ma definitiva. La porta era in fondo a un corridoio senza insegne. Nessun rumore, nessuna luce sfacciata. Solo un campanello e un battito di ciglia di esitazione prima di premerlo.
Mi aprì una donna, elegante, con un sorriso che non cercava di essere gentile. Era reale.
“Prima volta?” chiese.
Annuii.
“Non c’è fretta. Non si è qui per dimostrare nulla.”
Mi accompagnò dentro.
Il locale era tutto ciò che non mi aspettavo: silenzioso, accogliente, profondo. Pareti scure, velluto, profumo di legno e pelle. La musica era un sussurro, più sensazione che suono. Nessuna confusione, nessun eccesso. Ogni cosa sembrava respirare lentamente. Come se lì dentro il tempo seguisse altre regole.
C’erano coppie, uomini e donne da soli, nessuno che sembrasse smarrito. Alcuni parlavano sottovoce, altri ridevano. Ma quasi tutti osservavano. Me compreso.
Feci un primo giro, quasi timido, sorseggiando un cocktail che nemmeno avevo chiesto. Mi aggiravo tra le stanze come uno spettatore in un teatro che non conosce ancora il copione. In una sala vidi un uomo inginocchiato davanti a una donna seduta su un divano. Lei lo guardava con una calma regale. Nessun rumore. Solo pelle che si incontrava. In un’altra stanza, due donne si sfioravano appena. Il gioco era sottile, fatto di gesti lenti e intenzioni.
Sentii una voce accanto a me. Femminile. Calda.
“Sei solo?”
Mi voltai. Una donna mi stava osservando. Forse sulla quarantina, corpo morbido, capelli castani sciolti sulle spalle. Vestita di nero, semplice, ma con una sicurezza che spostava l’aria attorno a lei.
“Sì,” risposi. “Prima volta.”
Lei sorrise. “L’ho capito. Hai ancora lo sguardo che cerca l’uscita.”
Rise, ma senza prendermi in giro.
“Ti spaventa quello che vedi?”
“No,” dissi, dopo una pausa. “Mi spaventa quello che potrei volere.”
Quella frase mi uscì di bocca senza filtri. Vera. Lei mi guardò come se l’aspettasse.
“È il motivo migliore per essere qui.”
Si presentò. Disse che veniva spesso, insieme al marito, che amava giocare, esplorare. Era lì, quella sera, senza aspettative. Solo per vedere cosa avrebbe portato il caso.
Parlammo per un po’, seduti vicini su un divano di pelle. Le sue domande erano precise, ma mai invadenti. E io rispondevo. Non come si fa nella vita di tutti i giorni. Ma come si risponde quando si è nudi ,non nel corpo, ma nell’anima.
A un certo punto, senza chiedere nulla, mi prese la mano. La sua era calda, morbida, ma con una presa ferma. “Vieni con me,” disse.
Entrammo in una sala piccola, intima. Le luci erano rosse, soffuse. C’era una coppia in un angolo che si baciava profondamente, con una lentezza quasi sacra. Lei si sedette accanto a me, e non fece nulla. Solo mi guardò. “Resta,” sussurrò. “Anche solo per vedere. È il primo passo. Non serve altro.”
Rimasi. Guardai. E qualcosa in me si sciolse.
Non era eccitazione nel senso comune. Era qualcosa di più profondo. Come se finalmente avessi smesso di resistere a me stesso. Il desiderio non era un mostro da tenere nascosto. Era una parte viva, integra, sincera.
A un certo punto, mi sfiorò la coscia con le dita. Lentamente, consapevolmente. Non cercava niente. Non mi invitava. Mi stava solo ricordando che ero lì. Reale. Che avevo il diritto di desiderare.
Non ci fu sesso, quella sera. Non ne avevo bisogno. La vera penetrazione era avvenuta altrove. In un luogo intimo, profondo, che avevo sempre tenuto chiuso.
Quando uscii, molto dopo la mezzanotte, mi sembrava che la città fosse diversa. Come se il mondo fosse lo stesso, ma io no.
E per la prima volta da tanto tempo, non mi sentivo più fuori posto.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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