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Nel vecchio ospedale


di Calmatlantica
22.11.2017    |    9.646    |    4 9.2
"Ora non è più la fantasia che bussa alla porta ma un ricordo..."
E’ successo. Finalmente è successo. Adesso che ci penso quasi ho il dubbio. Il dubbio se quelle immagini che mi scorrono in testa sono ancora il frutto di una fantasia o se si tratta di un ricordo, un incredibile, entusiasmante, roboante ricordo che si sovrappone alle fantasie antiche e oramai esauste. Ma se guardo quella sedia, se guardo il pavimento, non ho più dubbi…
Nella vita c’è sempre un prima e un dopo: prima del primo giorno di scuola e dopo il primo giorno di scuola, prima del servizio militare e dopo il servizio militare, prima di avere fatto l’amore per la prima volta e dopo aver fatto l’amore per la prima volta. Il prima gonfio della pesante leggerezza di sogni, fantasie, aspettative; il dopo carico della lieve pesantezza di immagini, sensazioni, voci e rumori che risuonano in testa.
Questa volta il prima ha come cornice un luogo. E’ un luogo certamente non bello, sicuramente tetro nel suoi vecchi toni verdi e bianchi, sicuramente vergine, o forse no, chissà; certamente complice. E’ il luogo dove è scaturita la fantasia, il vecchio ospedale, quella vecchia ala ovest, con quei lunghi corridoi, lassù in cima, che il pomeriggio si spopolano, lasciandomi li per qualche ora, spesso stanco, più spesso annoiato. E’ li che ho pensato al rumore di passi; tacchi di donna; bussano alla porta, lei e lui, lui e soprattutto lei. “Buongiorno Dottore”, “prego accomodatevi”, sguardi, parole, gambe di lei velate, gonne, seno che ammicca, un cenno di intesa. Io mi alzo, giro la scrivania, sono dietro di lei, mani che scivolano su un corpo femminile proprio in quel luogo dove nessuno può immaginare. Più e più volte si è ripetuta quella scena nella mia testa. Di solito mi svegliavo prima che il mio corpo reclamasse una soddisfazione che non mi sentivo di dargli in quel luogo dove il dovere pesa più del piacere.
Un giorno decido di squarciare quel velo sottile tra fantasia e realtà, voglio dare corpi e volti a quei personaggi che bussano alla porta dei miei desideri. Scrivo, sapete dove, messaggi brevi ed espliciti, un pò a caso, non mi aspetto nulla, voglio solo capire se e come qualcuno mi risponderà e se una fantasia del genere può trovare interesse.
Numerini rossi sopra la piccola icona a forma di busta: mi hanno risposto. Pochi ma mi hanno risposto. Alcuni divertiti, alcuni incuriositi e poi lui che pare più interessato e comincia a farmi domande; io rispondo e ne faccio a mia volta; lui risponde e avanti così finché ci scambiamo il contatto skype. Per settimane ci divertiamo a parlare di lei; poi whatsapp dove mi manda delle foto. Sono foto di pelle bianca e liscia, lingerie raffinata, seni di……femmina, lembi di sottoveste sollevati per eccitare il desiderio del maschio. Mi piace ma quelle parti isolate non mi bastano io ho bisogni di volti, occhi, capelli e…….storie per eccitarmi. Le storie che lui mi racconta mi piacciono, sono, ovviamente, loro storie, non sempre mi eccitano ma mi piacciono: sono gente vera, si diverte, gioca, è gente a cui piace sentire il proprio cuore che batte.
Quasi quasi un incontro ci sta…. e anche loro ci stanno… c’è un però: realizzare la mia fantasia vorrebbe dire espormi, farmi riconoscere, è rischioso per quanto affidabili siano. Pensiamo ad un luogo neutro per una prima conoscenza. Sembra facile ma conciliare le esigenze di tre persone non lo è per niente, sia per luogo (occhi indiscreti ovunque) che per disponibilità di tempo (ah il lavoro!). settimane passate a proporre, rifiutare, controproporre ma niente. Arriva Natale. Siamo tutti più buoni e mettiamo la trasgressione in naftalina (si fa per dire).
Gennaio, anno nuovo, propositi…..vecchi…
Ci cerchiamo, abbiamo voglia. Il tarlo della fantasia ha scavato in ognuno di noi gallerie nuove e c’è la voglia di percorrerle. Io e lui le condividiamo quasi quotidianamente, con lei non ho mai avuto contatti se non tramite lui. È giusto, la coppia sono loro, io sono il terzo. Dubbi, dubbi e ancora dubbi, sarà la cosa giusta? Ma lei mi piacerà veramente? Insomma, i soliti dubbi.
La curiosità, il desiderio, la voglia di brividi prevale. È deciso: nessun incontro interlocutorio, ci vediamo qui e quel che sarà sarà, oramai ci conosciamo a sufficienza.
Febbraio, decidiamo di incontraci. Fissiamo la data. Un mercoledì pomeriggio dopo la fine del mio orario. Darò indicazioni il giorno stesso. Febbraio mese dell’influenza! maledizione! lei ha la febbre. Rimandiamo. L’occasione mancata aumenta il desiderio. Un paio di giorni e ci accordiamo per il mercoledì successivo, sempre dopo il mio orario. I giorni passano il momento si avvicina, non ci sono intoppi stavolta. Il giorno prima comunico luogo e modalità oltre al numero di telefono.
Mercoledi. La mattina sono io a non sentirmi in perfetta forma, membra pesanti, un pò di mal di testa ma queste sensazioni passano sullo sfondo rispetto alla curiosità al desiderio, alla voglia di tuffarmi in una fantasia che si prepara a diventare reale.
Arriva in pomeriggio, la tensione sale. Sono un pò preoccupato, sto giocando col fuoco, lo so. Penso a tutte le possibili strategie in caso di imprevisti: se arrivasse un collega improvvisamente? Peggio, l’addetto alle pulizie? Dì mercoledì non viene mai, chissà. Per fortuna in stanza c’è il bagno, al limite li infilo li e poi vediamo. Arriva un messaggio: partiamo ora, abbiamo una (e mi dice la marca di un’auto asiatica molto di moda) bianca, sono puntuali, mezz’oretta e saranno qui. Ora il conteggio alla rovescia è partito, non ci si può fermare, si va sulla luna.
finisco il mio orario, passo il badge, ma non me ne vado, ripercorro i corridoi ormai vuoti e riprendo l’attesa. Dalla finestra posso vedere il parcheggio e guardo, apro nervosamente una rivista scientifica che non riesco a leggere e poi guardo di nuovo. Cosa ci fa il direttore sanitario in parcheggio a quest’ora? Chi sta aspettando? Sta di fatto che è li. Speriamo che non gli chiedano indicazioni qualora dovessero arrivare, speriamo che io non sia costretto ad andare a prenderli in parcheggio, si insospettirebbe. Che gli racconto? “Le presento i colleghi….. “ “stiamo organizzando un convegno, si vuole aggiungere?” Mentre me la racconto e rido tra me e me, si sposta verso la parte del parcheggio che sfugge alla mia visuale.
Arriva proprio quell’auto bianca, a quell’ora il parcheggio è mezzo vuoto e si vede bene. L’andatura lenta è propria di chi esplora un ambiente per la prima volta e cerca un parcheggio adeguato lontano da occhi indiscreti. Scende una bionda, dalla finestra all’ultimo piano vedo una figura di donna coperta da un soprabito nero, capelli che scivolano lisci sulle spalle. Si è sicuramente lei, o almeno lo spero. Lui più o meno come la descrizione, altezza media, moro. Sono loro: “siamo arrivati” io veloce digito: “aspettatemi in atrio”, voglio evitare il direttore sanitario.
Ascensore, corridoi vuoti con ambulatori chiusi, atrio, incrocio i loro sguardi, con un cenno mi faccio notare. Solo qualche sguardo distratto di qualche degente ai distributori automatici di caffè o di gente frettolosa che si reca a pagare il ticket per qualche visita specialistica. Il direttore è rimasto fuori, meglio così. Mi faccio seguire velocemente lungo i corridoi e raggiungiamo l’ascensore. Protetti dalle porte automatiche che si chiudono. Possiamo guardarci con calma e parlarci. Lei è bellissima ma veramente bella come non avevo osato immaginare. Bionda occhi azzurri, sguardo angelico e calmo, assolutamente calmo come fosse la cosa più naturale del mondo, D’altra parte nessuno di noi fino a quel momento poteva dire con certezza cosa andassimo a fare. Lui sportivo, padrone della situazione, occhi brillanti di chi ha voglia di giocare e si diverte a farlo. Dimostrano entrambe sicuramente meno anni dei 48-50 che han detto di avere.
Raggiungo Ia mia stanza, intorno stanze vuote, corridoi vuoti, mi sento sicuro. Mi siedo. Loro, tolto il soprabito, si siedono davanti a me esattamente come ho fantasticato molte volte. Come fossero una delle miriade di coppie che mi è capitato di vedere.
Iniziano a parlare. Vedo le gambe di lei velate da calze nere. Il vestito nero che la fascia, i tacchi, la pelle liscia del viso e gli occhi azzurri che mi scrutano. I discorsi sono un pò i soliti, quando abbiamo iniziato a giocare, esperienze precedenti, lei aggiunge che ha scoperto molte cose a cui non aveva mai pensato compresi i rapporti saffici, e le piacciono, molto.
Più del contenuto dei discorsi, in quel momento contano i piccoli gesti, le posture, gli sguardi. E’ stato chiaro: se sarà il caso, deciderà lui quando e come, in base alla reazione di lei. Io devo attendere un segnale per cui sto seduto e chiacchiero come se fossimo su un vagone di un treno in attesa della fermata, consapevoli che quel treno potrebbe anche tornare indietro alla partenza.
Invece no quel treno non tornerà indietro. Dopo una decina di minuti di chiacchiere, un attimo di silenzio, lui porta deciso e veloce la sua bocca su quella di lei e lei l’accoglie fremente. Le mani di lui scivolano sul corpo di lei e cominciano ad abbassare le spalline del vestito. Mi alzo, faccio un pò di penombra e chiudo la porta a chiave (non si sa mai). Mi siedo nuovamente per ammirare i seni di lei che bianchi e tondi splendono davanti a me liberati dalla prigionia del reggiseno. Apro la patta e cerco il mio uccello. Sono ancora preso dalla tensione e forse dal malessere fisico mattutino e stento a sentire l’abituale turgore, anzi. Finalmente sta accadendo, ma il mio "lui", proprio ora, è in “ritardo”.
LUI intanto ha lasciato le labbra di lei e le sta leccando le tette, si riempie la bocca delle sue tettone mentre lei porta la testa all’indietro facendo dondolare la sua chioma bionda fresca di parrucchiere e il suo bel viso comincia ad essere solcato da espressioni di piacere. Lui mi fa un cenno, è il momento in cui posso avere accesso a quel banchetto di piacere, il “volatile” ancora non si è deciso a librarsi in volo e rimane appollaiato, non mi è difficile capirne il motivo ma lo trovo inaccettabile. Lui le alza la gonna e si infila tra le sue cosce, scopro l'assenza assoluta di qualsivoglia indumento intimo oltre che di peluria: pelle liscia, accogliente e calda; fica nuda, bagnata e aperta. Quella bella fica scompare sotto il viso di lui mentre lei, sempre seduta sulla sedia, inizia a gemere. Che tette splendide ho in mano, le sento sode, calde. Avvicino la bocca, sento i capezzoli turgidi, dritti contro la mia lingua. Le dita di lui stantuffano sempre più veloci e lei è costretta a coprire i gemiti dell’orgasmo, il primo, con una mano. Evidentemente si conoscono bene. Infatti, lui non si ferma li e continua a stantuffare e a leccare mentre lei continua a tenere la mano davanti fino ad arrivare a morderla. Lei si gira verso di me, che sono in piedi al suo lato sinistro, cerca il mio cazzo con la mano. Mano liscia, con dita affusolate, unghie lunghe smaltate, ho un brivido.
La tensione ancora mi gela, il cazzo si sveglia ma poi si gira dall’altra parte…. Sono intrappolato tra la mente che gioisce per quello che vede e il cervello che vuole oscurare quelle sensazioni così estranee ad un luogo così austero.
Lui si alza e, mentre si slaccia i pantaloni, con un cenno del viso mi invita ad occuparmi della fica. La guardo, penso che potrei scottarmi toccando un vulcano in eruzione, penso che potrei annegare tuffandomi in un oceano che ribolle di piacere. Scelgo di scottarmi e le mie dita affondano nel cratere, esplorano in cerchi concentrici i bordi ribollenti di quella meraviglia. Il cazzo di lui, intanto finisce dritto dritto nella bocca di lei. Gemiti di lui e gemiti, strozzati, di lei. Che tette sto vedendo, ballano davanti a me al ritmo del pompino che lei sta facendo a lui. Che fica vorace tra queste due cosce larghe e frementi.
Il cazzo questa volta si è deciso e da segni di vita. Anche quello di lui ha preso decisamente vita, tanto che alza lei e le chiede di girarsi, lei si appoggia con le mani allo schienale della sedia, busto inclinato in avanti, tette che dondolano, lui la penetra da dietro, forte, diversi colpi di reni colmi di desiderio e voluttà ed è il secondo orgasmo, sempre strozzato da una mano davanti alla bocca. Lei si gira, per nulla fiaccata dall’orgasmo ed inizia a spompinarlo, lui in piedi, pantaloni abbassati. Un minuto e lui le dice “prenditi sta sborrata” e lei ingoia, tutto, fino all’ultima goccia. Lei si siede sulla sedia ma non è finita qua, ora ha deciso di occuparsi di me: allunga le mani verso il mio cazzo, avvicina la bocca, mi spompina. Quanto è brava! Sento le sue labbra che scorrono lungo la mia asta, sento la sua lingua che mulina intorno al glande, siiiii. Gemo, sospiro, geme anche lei perché lui ha ripreso a infilarle due dita in fica e li fa andare su e giù forte, sento il rumore. Ora si aiuta con le mani, mani sull’asta lingua sul glande. Scosse mi pervadono il corpo, sto per venire, glielo dico, la bionda sospirando per il ritmico su e giù del suo amico, sembra in spasmodica attesa del prodotto del mio piacere, la cappella rossa e grossa non si fa attendere: bianchi fiotti sbrodolano felici sulle accoglienti mani di lei, scivolano lungo le sue dita bianche e ben curate e gocciolano giù sul poggiolo della sedia e poi a terra. Ho sborrato un sacco e lei è sembrata gradire.
Che comodità il bagno in stanza; ci riprendiamo, ci rivestiamo, recuperiamo le nostre sembianze quotidiane dopo la concessione al piacere che non conosce remore. Seduti di nuovo; chiacchiere; situazione strana: riprendiamo a parlarci come avventori di un bar che iniziano a conoscerci, quello che è accaduto prima ora sembra stato solo un sogno condiviso ma mai realizzato.
E’ ora di andare, li accompagno, usciamo dall’atrio del vecchio ospedale, le giornate hanno iniziato ad esser più lunghe e c’è una luce diversa, più armoniosa, la chioma bionda di lei si allontana leggermente mossa dal vento.
E’ iniziato il “dopo”, quante volte ancora nella mia mente si affollano immagini di quell’incontro e quante volte quella sedia è li a farmi sentire le stesse scosse che mi ha provocato quella straordinaria bocca. Ora non è più la fantasia che bussa alla porta ma un ricordo. E una speranza: quella di ravvivarlo….
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