Lui & Lei

Santuzza


di tiguardo69
09.07.2021    |    6.676    |    1 8.6
"Il mio sguardo incrociò quello della donna; era profondissimo e per la prima volta mi ritrovai a dovere essere io ad abbassare il mio, poi, come ripreso..."
Santuzza era una donna che incontrai un pomeriggio d’estate a Milano in Montenapoleone nella boutique Cartier.
Stavo lì per via del mio accendino che cominciava a fare le bizze. Lei, in un angolo della stanza stava guardando delle collane con nuovi colori che facevano dei gioielli Cartier un oggetto unico; ma più che i gioielli il mio sguardo fu calamitato dal suo “culo”.
Il culo di Santuzza era alto e sodo, lo intravedevo dalla leggera tunica di colore nocciola chiaro che ella indossava e che portava con tanta grazia, così come intravedevo il leggero profilo del perizoma azzurro che divideva, nettamente, i due glutei facendo risaltare ampiamente lo spacco tra i due. Risi cercando di immaginare, in uno dei tanti miei perversi pensieri, a come sarebbe stato eccitante farla camminare seguendola e tenendole il cazzo dentro.
Santuzza era la classica bellezza mediterranea, poi mi disse essere siciliana: corpo sinuoso, alta malgrado gli ameno otto centimetri di tacco della sua “chanel” e dai lunghi capelli nerissimi, moltissimo somigliante all’attrice Monica Bellucci.
Compì la mia “commissione” e poi mi spostai verso l’angolo dove la commessa stava continuando ad esporre, sotto gli occhi di Santuzza, altri più belli e meravigliosi gioielli. Il mio sguardo incrociò quello della donna; era profondissimo e per la prima volta mi ritrovai a dovere essere io ad abbassare il mio, poi, come ripreso vigore la riguardai ostentando un sorrisetto e facendo un leggero cenno del capo. Lei ricambiò il sorriso, ma in modo molto svagato.
«Ok» la sentii dire alla commessa «prendo questa», la vidi mettere una mano dentro la borsa e tirare fuori una American Express oro «può farmela consegnare a casa?» chiese all’impassibile commessa avvezza a trattare con clienti di quella levatura nonché con i gioielli di Cartier.
«Certamente signora» così disse prendendo il piccolo biglietto da visita che intanto la donna le aveva porto.
Dopo un paio di minuti la transazione fu effettuata e dopo avere salutato Santuzza si avviò verso la porta dove io, prontamente, mi feci trovare con la mano già sulla maniglia di pesante ottone.
«Grazie» mormorò e mai suono mi parse più voluttuoso di quello.
«Mi permette signora?» chiesi fortemente eccitato.
«Le permetto cosa?» rispose per nulla imbarazzata dal mio sguardo da animale predatore.
«Mi piacerebbe offrirle un aperitivo se ciò non l’infastidisce.»
«Cosa le fa credere che io beva?»
«Già, cosa?, ma forse gradisce un bel bicchiere di acqua Perrier con limone, oggi fa così caldo.»
A quel mio dire la donna emise una piccola risata subito seguita da una mia più corposa.
«D’accordo playboy, vada per il bicchier d’acqua, con limone, mi raccomando.»
«Venga» dissi prendendola per il braccio intuendo che lei non voleva sottrarsi alla mia presa.
Ci dirigemmo verso la Pasticceria «Cova».
Il toccarle il braccio mi trasmise una strana sensazione; capii che quella donna era molto pericolosa, che era una donna che mi avrebbe sconvolto, che sarebbe stata capace di rivoltarmi come un guanto se solo avesse voluto. Malgrado tutti questi pensieri, in fondo era quello che volevo.
«Santuzza Monti» disse a mo’ di presentazione.
«Ah si scusi, Gabriele, Gabriele Ripamonti»
«E’ da tanto che fa questo “mestiere” chiese sorridendo.
«Io?, no!, ma che dice?, non faccio il playboy, sono uno scrittore, e anche giornalista» risposi tra il serio ed il faceto.
«Scrittore?, mi sembrava di averlo già visto da qualche parte, era alla festa di inizio estate della Casa Editrice Sonzogno?»
«No, mi dispiace, ma se solo avessi saputo che li avrei trovato anche lei mi sarei fatto mandare un invito»
Rise, e stavolta con più enfasi.
Intanto eravamo arrivati da Cova, entrammo e subito i nostri corpi furono piacevolmente avvolti dalla fresca aria emanata dai condizionatori. Un “solenne” cameriere venne verso di noi chiedendoci se volevamo sedere ed avendo io annuito ci precedette verso uno dei pochi tavoli liberi. Sedemmo e ordinammo immediatamente: lei una Perrier con limone io un cocktail Martini.
«Allora Santuzza, che cosa fai per vivere?» chiesi passando da un compito lei al tu.
«Organizzo feste, convegni, incontri...»
«Ah, pubbliche relazioni?»
«Non proprio, e poi odio questo termine, e così mal usato e sfruttato. No, qualcosa di più sottile, mi piace dire la... procacciatrice d’affari»
La guardai con ammirazione. C’era qualcosa di molto sexy in quel suo modo di dire e questo non fece che attrarmi ulteriormente.
«Seduci sempre così i tuoi clienti?»
«Si!, vado dritta allo scopo, sono una manager, non mi piace perdere tempo» e detto ciò mi sfiorò la mano con un dito.
«Andiamo a pranzo insieme vuoi?» dissi passando da un formale “tu” ad un affettuoso “tu”.
«Veramente avevo un impegno precedente»
«Un uomo?» chiesi quasi molto seccato.
«Si!, il mio ex marito»
«Uhm.. che peccato»
«Però, visto che è così stronzo sai cosa faccio?, me lo dimentico» e scoppiò in una fragorosa risata subito seguita dalla mia.
«Ok allora penso che possiamo andare» dissi guardando il mio Santos Cartier.
Ci alzammo ed uscimmo per strada venendo investiti dalla calura del centro milanese.
«Ho la macchina qui a due passi in Sant’Andrea» dissi prendendola per mano.
Andammo in un ristorante di siciliani posto lungo Ripa Ticinese.
Ci accomodammo su delle comode poltroncine e dopo avere ordinato due aperitivi Santuzza cominciò a raccontarmi di lei, ma, in verità, io non la seguivo tanto, i miei occhi erano calamitati dalla sua scollatura da dove si intravedevano due seni sodi e prorompenti; sentivo il mio respiro farsi sempre più corto e dalla fine del pranzo alla richiesta del conto mi parve passata un’eternità. Uscimmo e Santuzza, vista l’ora, di pieno calore, mi chiese se potevo accompagnarla a casa.
Il tragitto sino ad una delle piccole villette di San Siro lo facemmo quasi nel silenzio scandito solamente dal CD in cui avevo inserito un disco di Phill Collins, ogni tanto guardavo la sinuosità del corpo di Santuzza e mi sembrava intravederne i contorni sotto il suo abito, ero molto eccitato ed in cuor mio speravo che la giornata non si concludesse in così modo.
Scendemmo dall’auto.
«Vieni dentro per un amaro?» mi chiese.
La guardai e notai l’ansimare del suo petto, non potevo attendere migliore richiesta.
«Ok» risposi «andiamo.»
La seguì mentre attraversavamo il praticello che ci divideva dalla porta di casa. La vidi, mentre con mano tremante inseriva la chiave nella toppa, poi entrammo.
Ci ritrovammo in un salone arredato con sobrietà dove il mio occhio allenato al bello riuscì, in poco tempo, a scorgere oggetti di mirabile fattura.
«Vieni, Gabriele, accomodati, guarda li ci sono delle bottiglie ci pensi tu?, io ho bisogno di togliermi queste scarpe, scusami un attimo, mettiti pure comodo, faccio in un momento.»
Così detto si allontanò lasciandomi alle prese con bicchieri e bottiglie.
Stavo osservando un quadro di Renato Guttuso quando lei rientrò nel salone indossando solamente una leggera vestaglia ed a piedi nudi. Si avvicinò e mi tolse di mano il bicchiere nel quale avevo bevuto, assaggiò un po’ dell’amaro Averna che vi avevo versato e poi me lo ridiede. Vidi la sua mano che si avvicinava alla patta del mio pantalone. Il mio membro, come sempre in queste occasioni, era già duro. Santuzza tirò giù la cerniera e dopo avere infilato la mano dentro estrasse fuori il mio pene prendendo a massaggiarlo ed a stringerlo.
Provavo delle sensazioni mai vissute; sentivo la mano che stringeva il pene li dove si attaccava alle palle traendo dal mio corpo quasi dei singulti.
Si avvicinò alla cappella con la bocca e vidi la lingua saettare intorno ad essa, poi guardandomi negli occhi mi sospirò: «Vieni, andiamo di là.»
Il poco tragitto della casa che ci separava dalla camera da letto si riempì dei miei abiti gettati alla rinfusa mentre le nostre bocche si univano e le nostre lingue si aggrovigliavano. Entrammo quando solo le mie mutande mi separavano dalla nudità.
Santuzza mi gettò sul letto con una spinta, poi lasciò scivolare la vestaglia e si sdraiò accanto a me cominciando a carezzarmi le cosce. Sentivo la sua mano calda scorrere su tutto il corpo e la cosa mi provocava un piacere estremo; poi, ad un tratto, vidi la mano stringere il mio cazzo, forte, molto forte, poi la sua lingua cominciò a succhiare la punta, facendola entrare e uscire dalla bocca, scendendo lungo l’asta sino a lambirne le palle. Il piacere mi stava prendendo, sentivo il respiro uscirmi a mala pena dalla bocca e cercai di divincolarmi dalla sua presa senza riuscirne; lei mi aveva prontamente posto le sue braccia sulle mie gambe in una specie di “bloccaggio” che impediva i miei movimenti e la cosa, in verità, mi eccitò ancora di più. La vidi ingoiare il pene completamente mentre lo stuzzicava con piccoli morsi.
«Ohh tesoro, ti adoro» dissi con la voce rotta dai singulti.
«Gabriele, voglio succhiarti tutto, mi piace da morire.»
«Affonda le tue unghia sulle mie spalle, strappami la carne.»
«Siiiii, mi piace la tua bocca,»
«Lasciamoci guidare dalle nostre sensazioni, toccare i nostri corpi sarà qualcosa di eccezionale, carezzarci lentamente pregustando tutto il piacere che questi ci daranno.»
Così detto mi lanciai sul corpo della donna che, come una vergine statutaria, era pronta al mio assalto; le allargai le cosce e mi gettai voracemente sulla sua figa dischiusa.
Santuzza assunse una posa indecente dovuta evidentemente al fatto che stava godendo tantissimo nel sentirsi invadere dalla mia lingua calda che molto saggiamente girovagava dentro di lei, poi come a volere prendere vigore piroettò fuori dal letto trascinandomi con lei sul tappeto della stanza, poi prese a mordermi e leccarmi i fianchi e quanto sembrò essere sazia si impossessò del mio pene e se lo infilò dentro.
Cominciò a cavalcarmi con ossessione contorcendosi sul mio corpo che adesso sembrava appartenergli, aveva abbandonato ogni pudore comportandosi come la peggiore attrice di film porno sino a quando...
«Sto venendo Gabriele, daiii, vieni assieme a me.»
Fu un attino; un poderoso colpo di reni fece si che raggiungessimo l’orgasmo che sembrò squassarci i corpi, poi lei si abbandonò sul mio corpo.
Restò sul mio corpo sudato ed ansante; sentivo il pene che mano mano che si sgonfiava usciva dal sesso di lei, e quando fu completamente fuori spostai il suo corpo adagiandola accanto al mio.

* Dedicato a Santuzza nostra amica di Annunci69.
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