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Dia de los Muertos


di michela00
17.02.2025    |    30    |    0 8.7
"Solo a pochi esseri umani era concesso di vivere una vita, da schiava, piena e fiera come quella che Eva aveva condotto fino alla sua età..."
Sabato, ormai penombra, le ore di luce in questo periodo dell’anno si ritirano veloci, lasciando strada al dualismo quotidiano che alterna gli unici due fenomeni di facile previsione, che gli esseri viventi imparano a riconoscere. 2 novembre, 2073, Dia de los Muertos, le festa che equilibra in un punto di contatto, il mondo dei morti con quello dei vivi, una festa ricca di colori. Vestiti e veli molto colorati, indossati però da visi solo in bianco e nero. Una festa che la candida Eva aveva imparato ad apprezzare diversi anni fa, ma che da altrettanti non si ricordava più di celebrare. E’ appena uscita dalla vasca da bagno, passa l’asciugamano sulla pelle liscia delle lunghe gambe per togliere le ultime gocce d’acqua che stavano correndo verso il pavimento, si ferma davanti allo specchio per salutare l’altra sé e dare una compiacente occhiata al suo corpo di ormai 103 anni, ancora in perfetta salute, splendida forma e grazia. Il tempo nel suo caso era stato apparentemente benevolo. Solo a pochi esseri umani era concesso di vivere una vita, da schiava, piena e fiera come quella che Eva aveva condotto fino alla sua età. Ancora davanti allo specchio, fissa lo sguardo sul muscoloso e virile petto senza peli, guarda con piacere la testa lucida e rasata mentre ascolta risuonare per casa, la voce di Tom Waits che con il suo esemplare sottofondo di musica struggente, predica sull’arrivo a breve di Gesù. E’ contenta, radiosa, si compiace che lo smalto alle unghie dei piedi e delle mani sia ancora quel blu scelto due settimane fa; un oltremare che ben risalta sulla sua pelle chiara. Indossa la cintura di castità, che aveva il permesso di togliere solo per la sua igiene personale e che aveva appoggiato sul bordo del lavandino, prima di immergersi nel suo bagno rilassante. Annulla, ormai con naturale abitudine, la percentuale di mascolinità rimasta, nonostante la disputa fra le due lei fosse pacificamente risolta da tempo. Solleva e chiude attorno al collo il pesante collare in acciaio con l’anello sul davanti che serve anche per essere messa alla catena e si dirige verso la stanza guardaroba per rivestirsi e prepararsi per la serata che la attendeva. 2 novembre, Dia de los Muertos; Eva non aveva ancora pensato alla data di quel giorno, quando, lungo il corridoio tra la sala da bagno e la stanza guardaroba, le capita di farlo. Uno spazio lungo poco più di quattro metri, ben cinque passi, luminoso, bianco, con il pavimento grigio lucido, alcune foto scattate da lei appese alle pareti, un paio di candelabri in porcellana a terra, un pouf arancione fra le due porte. Il passo rallenta, le si annebbia la vista, lo spazio si allunga a dismisura e la porta della stanza guardaroba diventa sempre più piccola. Inizia a barcollare, sente mancare il supporto delle gambe, appoggia una mano alla parete, si deve accasciare. E’ a terra e sente che il muscoloso petto non regge il lieve peso dello spettro che è tornato ancora una volta a divorarle un altro pezzo di anima, con lei che si domanda come possa averne ancora per sfamarlo. Porta le mani al viso, stringe i denti, cambia il ritmo del respiro, piange; e piangerà ancora. Cinquant’anni fa, la mente oppressa e in ansia, leggera e veloce vola a quel 2023, medesimo giorno, ancora un sentimento di gioia identificava questa data; allora. E’ stata l’ultima volta che Eva vide Miss Annie, la Padrona del tempo. Eva si sente subito trasportata a Bologna, sa già che rivivrà ancora una volta la loro ultima sessione, tuttavia senza godere e ricordare oggi il piacere che ne era derivato quella volta. Si rivede trepidante per ciò che sa dovrà accadere, dirigersi euforica del potersi abbandonare come schiava a Miss Annie, felice di poter essere come al solito una tela bianca da dipingere, o imbrattare. Ricorda bene che camminando lungo i portici della città, scandivano il suo passo le note di una canzone che diceva: non piangere/puoi fare affidamento su di me/puoi venire quando vuoi/sarò sempre nei paraggi/avevi ragione sulle stelle/ognuno di noi è un sole calante/gli edifici alti tremano… Si vede percorrere Via Santo Stefano, oltrepassa l’ingresso del Rotary Club, suona al portone, sale le scale che la dividono dal piacere estremo che per lungo tempo aveva ricercato; e per un certo tempo trovato e raggiunto insieme a Miss Annie. Viene accolta dalla Padrona trasfigurata in seconda pelle da un body verde giada e un grembiule bianco stretto intorno alla vita. Indossa un hood dello stesso colore del body. Distintive croci rosse su guanti e grembiule la qualificavano come immagine di una perversa e rigorosa infermiera in gomma. Eva aveva indossato un abito cocktail nero, sempre in latex, vestiva guanti opera e calze nere in latex, l’hood era quello nero con cinghie e bende costrittive su occhi e bocca, i sandali di allora sapeva ancora oggi, dove poterli cercare dentro al suo guardaroba, ma non sentiva più le sensazioni di quella sessione, ridotta oggi ad un penoso scorrere di un unico piano sequenza della giornata. Certo, poteva supporre di essere stata all’inizio ispezionata come sempre accadeva, sapeva di dover essere stata incatenata ed immobilizzata per riuscire a rilassarsi. L’intero set di plug neri, le uova pasquali, sicuramente saranno entrati e usciti ripetutamente dal suo orifizio dilatandolo come le piace venga fatto ancora oggi. Ricordava che a Miss Annie, una volta aperto il culo in due, piaceva accostare l’orecchio per sentire, come diceva lei, il mare. Aveva un vago ricordo dei giochi di magia delle mani di Annie che sparivano e riapparivano dal suo buco del culo, ma erano solo immagini sbiadite ormai sparite da davanti agli occhi e dalla sua testa. Poi ci furono delle frasi, delle spiegazioni non date, forse il non voler rischiare, oppure il non voler ascoltare. Ancora meno chiara era per Eva questa serie di ricordi che per anni aveva cercato di rimettere in ordine senza riuscirci, da sola. Eva saluta Annie senza sapere che quella sarebbe stata la loro ultima sessione e ultima volta insieme. Le scorre davanti agli occhi il viso di Annie che le dice: “beh se vuoi scendere ancora a trovarmi non farti problemi, io ti prendo”. E poi il corto circuito; e poi il silenzio; e poi il fango, senza confronto. Tutte domande senza risposta per Eva e solo soluzioni per Annie. Riecheggiano ancora le parole lusinghiere dell’amico Sean: “vedrai che ti dimenticherai presto di lei e fra qualche tempo non ti ricorderai più di come è sparita e si è comportata” ed Eva cercando di convincersi, rispondeva: “già, sarà sicuramente così” mentre pensava “o forse me lo ricorderò per sempre!” Toglie le mani dal viso, il respiro è controllato, la vista mette a fuoco, si rialza ferma e solida e sente che in casa rimbalzano parole e musica di una canzone che le piace: E fu così che più tardi/appena il Mugnaio raccontò la sua storia/che la sua faccia/all’inizio solo pallida come un fantasma/diventò un’ombra più bianca del pallido. E così fu… Così, ancora una volta, passò quel rimpianto.
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