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Diario Agosto 2003


di HeleneHoullier
16.07.2023    |    678    |    6 9.7
"Sorrise amabilmente ai primi che incontrò all’interno della veranda, lasciandosi baciare su ambedue le guance; le furono da subito consegnati alcuni pacchetti..."
Una serie ripetuta di tonfi, sordi e penosi, era tutto quello che gli ospiti della festa ricordavano; solamente in pochi si erano spinti fin dentro al salone, ad osservare ciò che stava accadendo in quegli istanti.
“Tuo padre ti ha fatto davvero … un culo così” le disse all’indomani Jeanne, senza davvero alcuna sensibilità. E come risposta Hélène si limitò a ricordarle che il signor Eric non era affatto suo padre.


Primo episodio

Pascal Delors aveva diciannove anni compiuti da poco, e lavorava tutte le mattine come fornaio in un negozio non lontano dalla scuola dove le ragazze frequentavano il loro terzo anno di liceo artistico.
Coi suoi guadagni si era comperato una moto scintillante e rumorosa, una bellissima motocicletta grigia con la quale veniva a prendere Jeanne tutti i giorni alla fine della scuola; Hélène si era perdutamente innamorata di lui da diversi mesi, e nonostante lei e Jeanne fossero amiche di lungo corso, aveva preso a odiarla e ad invidiarla.
Prima di allora, mai le era successo, di provare una attrazione fisica ed un incomprensibile trasporto mentale di quel tipo; Hélène era turbata e confusa, travolta da sintomi che sapeva riconoscere molto bene oramai: il fremito lungo la schiena che le scendeva giù fino a girarle in mezzo alle gambe, provocandole caldo e sudore; si accentuava nelle giornate d’estate, ed anche questo Hélène lo aveva imparato bene negli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze.
Pascal di contro non si curava minimamente di lei; non la degnava nemmeno di uno sguardo. Probabilmente era anche la differenza sociale a tenerlo a distanza, dal momento che Hélène apparteneva ad una famiglia ricca e borghese, mentre Jeanne e le altre ragazze erano sicuramente di provenienza e origini assai più semplici.
Che la famiglia di Hélène fosse piuttosto abbiente, lo si poteva comprendere bene ogni qual volta la madre veniva a prenderla all’uscita della scuola, con un fuoristrada vistoso e potente, e coi suoi cappotti di pelliccia altrettanto facoltosi.
Suo padre Hélène invece non l’aveva mai conosciuto; era un celebre avvocato con famiglia di Liegi che, una volta sessantacinquenne aveva messo incinta la giovane segretaria e madre di Hélène, Dominique; pare che non lo avessero fatto molte altre volte prima di allora, e che la cosa non si sarebbe mai più ripetuta. Ma da quel momento in avanti la vita della giovane madre di Hélène sarebbe cambiata per sempre: coperta di averi e di privilegi per buona parte della sua carriera, aveva dovuto però rinunciare fin da subito, a vedere il genitore della sua piccola. Fino a venire a sapere dopo non troppi anni, della sua inattesa scomparsa.
Si era sposata con un uomo poco più che trentenne di nome Eric Pérez, un architetto piuttosto serio e impegnato, dal quale aveva avuto come seconda figlia la piccola Bianca; insieme s’erano trasferiti al centro di Liegi in una bella casa situata vicino al giardino botanico.
Lì Hélène era cresciuta nella bambagia, viziata e coccolata da tutti, senza alcun tipo di preoccupazione; da bambina sognava di diventare una ballerina, ma aveva dovuto ben presto ripiegare sullo studio del canto per via della corporatura non proprio snella che la natura le aveva concesso; ascoltava tantissima musica ed aveva un autentico debole per il cantante Ricky Martin, di cui possedeva diversi poster appesi nella sua camera da letto.
Si era voluta iscrivere al liceo artistico: da bambina si dilettava con il disegno su tela, e tutti quanti le avevano pronosticato un radioso futuro come pittrice; benché avesse poi smesso di dipingere, l’era rimasto tuttavia un vivissimo interesse verso la pittura e verso l’arte in generale, al punto che non disdegnava affatto di farsi accompagnare dalla madre ogni tanto a vedere un museo, oppure alcune mostre.
Hélène era molto legata a sua madre, mentre verso il signor Eric nutriva un sentimento di timore e rispetto, unito a non poca indifferenza e ad un discreto ma percettibile distacco. Era pur sempre il suo patrigno, e non l’amava allo stesso modo di sua sorella Bianca; ma nella casa in Rue Courtois le cose filavano lisce e tutto sembrava apparentemente in perfetta armonia; finché un bel giorno Hélène non compì i suoi quattordici anni, e qualcosa in lei sarebbe cambiato per sempre, lasciandole un marchio indelebile.


Secondo episodio

La casa in Rue Courtois 28 veniva addobbata a festa, dalla solita e sempre solerte cameriera marocchina Floreanne e dalla signora Dominique; anche la sorellina Bianca si stava dando piuttosto da fare, aiutando la madre e la cameriera nell’appendere alcuni festoni assieme ad un gran numero di palloncini, disposti dappertutto sia sul soffitto dell’ingresso che nell’ampia veranda.
Il signor Eric, nel frattempo, stava guardando la televisione, nell’elegantissimo salone arredato tutto quanto in legno di noce, in rara ed assoluta tranquillità.
Era il 5 ottobre e come ogni anno era giunto il momento della festa di Hélène, divenuta quattordicenne da soli tre giorni. E la festeggiata andava in quel frangente preparandosi in camera sua, rimirandosi tutta quanta dentro lo specchio.
Aveva il viso salubre e paffuto, con lineamenti allegri, piccoli occhietti neri e capelli altrettanto scuri, lisci e lunghi.
Il fisico abbondante le aveva causato imbarazzo fin da bambina, e quel giorno sembrava ancora più sproporzionato e sgraziato del solito, coi seni piccoli e bianchi penzolanti e due fianchi comodi e larghi, a coronare un addome perfettamente rotondo come quello di una mucca.
Hélène si vestiva in modo coraggioso, era stata la madre a educarla in questa maniera, aiutandola nonostante tutto a coltivare un poco di narcisismo e di femminilità: indossava sempre la gonna, e per quel giorno speciale si era fatta comperare un improbabile tubino tutto intero senza spalline, piuttosto elasticizzato e con una sola cerniera lungo la schiena, di vivace color arancio con le pieghette orizzontali.
Era probabilmente un tantino esagerato per lei, ma la signora Dominique le aveva anche suggerito di indossare una leggerissima giacchetta di lanetta bianca, che le ricoprisse le spalle e che lei non avrebbe mai dovuto togliersi di dosso.
La vera novità era però il delizioso completino in intimo di pizzo vaporoso, in delicato color carne, che le aveva regalato il giorno prima la sua compagna di banco Edina.
Il reggiseno era sottile e sembrava in realtà una specie di piccolo corpetto, rigorosamente sprovvisto di spalline per adattarsi al vestitino comperato apposta per la festa; le mutandine invece presentavano un filino sottilissimo sul didietro, coronato da una delicata nuvola in pizzo morbido, a forma di fiore, che insisteva leggermente sotto alla gonna. Edina lo aveva scelto insieme con lei girando alle Galeries, cercando di convincere l’amica a non indossare più delle mutandine di cui si notassero i segni sotto i vestiti. Era una compagna di banco timida e silenziosa, ma osservava tutto e a quanto pare questo dettaglio non le era affatto sfuggito.
I primi ad arrivare furono alcuni zii, che Hélène incontrava esclusivamente una volta all’anno, nella circostanza della propria festa; Floreanne li accolse nella veranda e di lì la signora Dominique li condusse in salone, costringendo di fatto il marito a spegnere la televisione durante il notiziario. Hélène era ancora chiusa in camera sua.
Quando poi soggiunsero anche le prime compagne della scuola di canto, accompagnate dai genitori, la signora Dominique salì la rampa di scale e bussando alla porta, disse ad Hélène di affrettarsi: quest’ultima obbedì ed indossando un paio di ballerine nere senza il tacco, si incamminò in silenzio, muovendosi in modo leggermente innaturale e goffo, tutta impacchettata dentro al proprio vestitino.
Sorrise amabilmente ai primi che incontrò all’interno della veranda, lasciandosi baciare su ambedue le guance; le furono da subito consegnati alcuni pacchetti con i regali, che Hélène ripose sul tavolo in attesa che Floreanne li prelevasse per portarli tutti dentro al salone. Come da tradizione, avrebbe infatti scartato i regali solamente dopo avere spento le candeline.
La scuola di canto si trovava nei pressi della chiesa di San Giacomo, ed annoverava una ventina di ragazze, tutte adolescenti comprese tra i dieci e i diciott’anni. Anche la piccola Bianca, che aveva compiuto dieci anni da due mesi esatti, era stata iscritta alla scuola per quella stagione. Le prove si svolgevano tutti i mercoledì ed i sabati pomeriggio, e normalmente in periodo primaverile veniva organizzato un grandioso saggio all’interno della cattedrale, con tutte le ragazze vestite allo stesso modo.
Per la festa di compleanno di Hélène, le giovani del coro che erano state invitate, avevano di comune accordo deciso d’indossare la loro divisa; così che tutta quanta la veranda dopo una ventina di minuti pullulava di camicie bianche e di gonne nere quadrettate in grigio.
In quell’istante soggiunsero anche le tre amiche di sempre: Jeanne, Nicole e Sonia, senza alcun accompagnatore. Eppure, Hélène aveva specificato molto bene nel bigliettino d’invito, che erano assolutamente benvenuti gli eventuali amici o i fidanzati. Ma del tanto atteso Pascal, non vi era in quel momento nessunissima traccia in giro per la casa.
Dopo che era passata circa un’ora, si presentò finalmente anche Edina, assieme al fratello diciassettenne Maxime; quest’ultimo l’accompagnava dappertutto, al punto che era stato presente con loro anche la mattina precedente, durante lo shopping intorno a Les Galeries; le aveva scortate senza entrare con loro dentro al negozio di biancheria intima.
Aveva l’aspetto annoiato e infastidito, a quanto pare era il padre di Edina ad imporgli di andare sempre in giro con la sorella. Ma apparentemente quel pomeriggio, vedendo Hélène e soprattutto le sue amiche vestite e truccate in maniera leggermente più ricercata, s’era finalmente destato in lui un certo interesse: si atteggiava a persona adulta, parlava con disinvoltura con Jeanne, la quale era sicuramente la più carina del gruppo, e con Sonia che assieme alla biondina andava e veniva spesso dal balcone al piano di sopra, sul quale era consentito fumare.
Hélène lo osservava con riserbo e attenzione: si domandava come mai nessun ragazzo si fosse mai fatto avanti con lei e sulle prime provò un bel po’ di tristezza; poi rifletté sul fatto, che la medesima condizione riguardava anche un bel po’ di sue compagne, tra le quali ad esempio Nicole e pure Edina. C’erano evidentemente alcune ragazze più desiderabili di altre, e lei faceva inesorabilmente parte della seconda fascia.
Vennero spente le luci, e finalmente fece il suo ingresso nella veranda, la grande torta tutta decorata e farcita con la crema chantilly ed il cioccolato; Floreanne aveva acceso tutte e quattordici le candeline bianche, dopodiché aveva lasciato il carrello nelle mani della signora Dominique, la quale raggiunse il centro della sala e chiamò a gran voce Hélène.
Quest’ultima si unì a lei, mentre il signor Eric apparve improvvisamente di lato, con una grossa macchina fotografica dall’aspetto professionale appesa al collo; fece cenno alla moglie e alla figliastra di disporsi dietro alla torta, e subito prese a scattare alcune foto; Hélène soffiò con forza ridendo di gusto, e finalmente Floreanne accese di nuovo la luce, dileguandosi rapidamente.
A quel punto tutti quanti i parenti e gli amici si accalcarono attorno ad Hélène e alla madre, attendendo che il signor Eric scattasse una fotografia con la festeggiata, e prelevando i loro piattini con la torta; e lei, Hélène, stava perfettamente al gioco, sorridendo amabilmente con un viso radioso e le guance rossicce; aveva forse anche bevuto del vino bianco assieme alle amiche, cosa alla quale non era certo abituata.
Le ragazze del coro intonarono un canto di auguri, disponendosi davanti al carrello con la torta, ed Hélène fece cenno di volerle abbracciare tutte quante; avevano delle voci bianche meravigliose, e non sfuggì certo a Maxime il fatto che un paio di loro erano anche molto carine. In realtà in quel momento il fratello di Edina si era avvicinato proprio alla festeggiata, ed intratteneva con lei un’amorevole discussione incentrata proprio sul tema del corso di canto.
Forse Maxime sperava che Hélène potesse presentargli le proprie compagne del coro, cosa che quest’ultima si sarebbe ben guardata dal fare; benché il fratello della sua vicina di banco non rappresentasse esattamente il suo tipo ideale, in quel momento la ragazzotta aveva preso a desiderarlo.
Si atteggiava così a dama morbida e sensuale, tenendo le mani delicatamente chiuse sul grembo, ed oscillando mollemente sulle due caviglie incrociate.
Fu notata da tutte le amiche ed anche dalla madre, la quale ad un certo punto porse a lei e a Maxime due porzioni di torta, invitando la figlia ad andare a ringraziare alcuni parenti che l’attendevano al centro della veranda per consegnarle il loro regalo.
Maxime ricominciò subito a guardare le ragazze del coro, ma poi rivolse anche le sue attenzioni verso la cameriera Floreanne, che aveva preso ad entrare ed uscire di frequente dalla sala; non l’aveva affatto notata prima di allora, era una puledra dal colore della pelle olivastro, con occhi e capelli scurissimi, e due gambe tornite avvolte in neri collant.
Edina dovette redarguirlo, dal momento che la fissava in modo insistito, soprattutto in tutta la sua metà inferiore.
Maxime si rivolse alla sorella dicendo: “Le donne di colore sembrano fatte apposta … guardala bene, sembra una schiava per fare sesso…”, e si mise a ridere di gusto; inseguiva Floreanne con lo sguardo, e quest’ultima dovette senz’altro accorgersene, al punto che prese sorprendentemente a ricambiarlo, in modo pudico ma altrettanto evidente. Era forse la prima volta che un ragazzo le dava ad intendere di desiderarla, ed in quel momento la sua femminilità emergeva prepotentemente, con una forza inarrestabile.
La signora Dominique fu informata da un’altra signora, verosimilmente una loro parente, di questi strani atteggiamenti notati da parte della cameriera; la prese così in disparte nella cucina, e minacciandola la costrinse a starsene nascosta per un bel po’ di tempo; a quanto pare la signora sapeva anche usare le cattive maniere quando era necessario.
Iniziò l’apertura dei regali, ma Hélène era inquieta: aveva veduto Maxime allontanarsi da lei e seguire con lo sguardo Floreanne; forse per la prima volta nella sua vita, ella s’era sentita vicina all’idea di poter avere un ragazzo; prima che quel sogno tanto assurdo quanto inutile si dissolvesse nello spazio di un solo istante. Adesso fingeva di sorridere, mentre scartando i doni tirava fuori scatole di profumi, libri d’arte, guanti in pelle o sciarpe di lana; Floreanne riprese ad entrare nella veranda, per prelevare i piattini lasciati in giro con gli avanzi della torta.
A quel punto, alcuni invitati cominciarono a congedarsi, salutando dapprima la signora Dominique ed il marito, che si erano stabiliti sul divano del salone con alcuni zii, ed infine abbracciando e baciando la festeggiata; la situazione nella veranda era di grande confusione, dal momento che alcuni palloncini s’erano staccati dal soffitto, ed un gruppetto di cuginetti stava giocando rincorrendosi e gridando.
Fu quindi non notato da molti, l’arrivo di Pascal nella casa; Hélène lo vide che egli era già abbracciato a Jeanne, e avvertì improvvisamente uno scatto nel ventre. Quest’ultimo, come era suo solito, non l’aveva nemmeno salutata, nonostante si trattasse della sua festa di compleanno; Hélène si sentiva in quell’istante sola, abbandonata e desolata.
In quel momento Edina e Maxime erano improvvisamente spariti, stavano discutendo animosamente sul balcone; si era sparsa la voce che quest’ultimo si fosse chiuso in bagno assieme alla cameriera, ma nessuno sapeva se fosse vero o se si trattasse d’una semplice invenzione da parte di qualche compagna maliziosa, uno stupidissimo dispetto rivolto ad Hélène per il gusto feroce di ingelosirla.
Ma tutto ciò rese la festeggiata ancora più tesa e nervosa, al punto che bastò un’improvvida ed infelice battuta della sorella Bianca, la quale definì davanti a tutti Hélène con l’infamante epiteto di cicciona, per causare l’irreparabile. La festeggiata, mentre andava lentamente sorseggiando un’aranciata dentro ad un bellissimo bicchiere del servizio in cristallo, ebbe la malsana idea di tirarlo in faccia alla piccola sorellina, bagnandole tutto quanto il viso e la camicia, e soprattutto causando la rottura in mille pezzi del pregiatissimo bicchiere.
Improvvisamente il silenzio scese sulla veranda, mentre Bianca prese subitaneamente a piangere come una disperata; la prima ad accorrere fu la signora Dominique, che si dispose in mezzo alla scena, con le due sorelle ai lati. Chiese in modo perentorio ad Hélène: “Cosa diavolo hai combinato a tua sorella?!?”; e questa biascicando rispose, prendendo a piangere a sua volta: “Bianca m’ha detto … mi ha detto che sono solo … solo una cicciona”, e si mise una mano sul volto.
La signora Dominique ruotò il busto, e mollò un ceffone fortissimo alla sorellina più piccola, facendola urlare e piegare sulle ginocchia per il dolore.
Soggiunse anche il signor Eric, che aveva sentito le urla dal salone e che aveva visto la moglie alzarsi e correre di scatto; osservò la scena e chiese a quest’ultima che cosa fosse successo; nessuno osava parlare, solamente le amiche della scuola ogni tanto si facevano scappare qualche risolino, senza comprendere fino in fondo la gravità della situazione.
Il signor Eric non si scompose affatto, quando la signora Dominique gli raccontò quanto era accaduto; certamente il bicchiere di cristallo aveva un discreto valore, ma soprattutto era stato il gesto di Hélène a mettere in serio pericolo la sorellina, avrebbe potuto farle veramente molto male, tirandole quel bicchiere dritto sulla faccia.
Non era la prima volta che le due sorelline litigavano, e negli ultimi mesi situazioni simili si erano verificate con crescente frequenza; ma mai s’era arrivati al punto che le due venissero alle mani o che vi fosse un qualsiasi tipo di pericolo per entrambe. Ed Hélène per parte sua, si era sempre comportata come una ragazza modello, obbediente e doviziosa, salvo ogni tanto negli ultimi mesi mostrare alcuni timidi sintomi di ribellione verso la madre; ma nulla di particolarmente preoccupante.
Il signor Eric parve riflettere velocemente sul da farsi, mentre tutto intorno gli ospiti della festa tacevano e lo guardavano; era evidente che avrebbe dovuto fare qualcosa, dare ragione o torto ad una delle due sorelle, le quali non la smettevano di piangere all’unisono, in modo un tantino esagerato.
Si rassettò con la mano destra il mento ed i piccoli baffi, dopodiché la sollevò indicando il lato opposto, e disse: “Hélène! Con me, in salone! … Subito!”.
La signora Dominique prelevò la festeggiata trascinandola con sé, finché non giunse ad un passo dal signor Eric. Tutto nella veranda riprese normalmente, ed anche Bianca si ricompose dopo il sonoro ceffone ricevuto. Hélène precedette il signor Eric a testa bassa, senza aggiungere altro.
Furono Edina e Sonia le prime che osarono avvicinarsi alla porta del salone, trovandovi il signor Eric seduto comodamente sul divano, e la figliastra in piedi di fronte a lui, tutta incartata nel proprio vestitino color arancio.
Questi parlava lentamente, e di tanto in quanto sembrava sorriderle, ma le sue parole non erano altrettanto amichevoli: “Sei proprio una stupida bambinona, non cresci mai…”; dopo di che aggiunse: “Avrei dovuto sistemare le cose molto prima… tante altre volte in passato, avrei dovuto farlo”.
Lì le amiche compresero che Hélène era sul punto di venire seriamente punita, ed iniziarono a guardarsi tra di loro in volto, preoccupate; il signor Eric non si era accorto della loro presenza, ma la madre di Hélène invece le notò, ed entrando frettolosamente nel salone insieme a Bianca, ebbe anche la premura di scusarsi con loro, per quanto stava accadendo.
Il signor Eric riprese: “Non cresci mai … lo sai che potevi fare davvero molto male a Bianca?”, e si aprì i polsini della camicia piegandoseli per bene lungo gli avambracci.
Hélène taceva e continuava a piangere, mentre la sorellina si era messa tutta sola in un angolo e gemeva ancora, anche se in modo più sommesso e silenzioso.
“Ti prego … non me le dare” osò biascicare Hélène, la quale aveva capito benissimo, che cosa le stava per accadere.
“Cosa dovrei fare allora?” le disse digrignando i denti il signor Eric; ed aggiunse: “Con le bambinone stupide come te, è davvero inutile parlare …”.
Edina guardò Sonia, che le corrispose con una smorfia preoccupata.
“Le bambinone come te … comprendono solamente una cosa, non è vero stupida?”; si riferiva chiaramente, alle botte.
Le amiche speravano che la faccenda si risolvesse così, con una semplice ramanzina; ma il signor Eric non sembrava affatto intenzionato a lasciare andar via Hélène, non prima di averla almeno catechizzata e spaventata per bene; quest’ultima si teneva le mani strette sulle guance, e singhiozzando lo implorava: “Ti prego … ti scongiuro, non lo farò più”.
La signora Dominique provò a lenire la situazione, ordinando alla figlia maggiore di scusarsi con Bianca; ed Hélène si volse alla sua destra, spostandosi i capelli con il viso in lacrime, ed espresse qualche timida parola di scuse verso la sorellina. Quest’ultima si asciugò il viso e rispose con un ghigno sadico e supponente; aveva capito bene, che molto a breve sarebbe arrivata per lei la definitiva rivalsa.
Ma al patrigno, quel solo gesto evidentemente non bastava, e continuando la sua infinita predica, disse: “Da oggi in questa casa si fa come dico io, si riga dritto … spero solo che quella di oggi sia la prima e l’ultima volta che devo ripeterlo”.
Saranno stati almeno dieci minuti che Hélène era in piedi, immobile e goffa, con le gambe che le tremavano.
Solamente a quel punto, esaurite tutte le premesse, il signor Eric chiarì le sue intenzioni: “Adesso inizia a comportarti come si deve stupida… e senza fiatare con le mani sollevati per bene quella gonna … E qui sulle mie ginocchia, subito!”.
In realtà Hélène fece un passetto indietro, e le amiche videro il signor Eric alzarsi di scatto dal divano, afferrarla per un braccio, e trascinarsela come un peso morto rovesciandosela sul grembo. Le bloccò il braccio destro lungo la schiena, trattenendola immobile con la presa forte della sua mano sinistra; e con la mano destra le sollevò in un solo istante la gonna, che essendo tutta elasticizzata, si accompagnò docilmente attorno ai fianchi larghi e tremolanti.
Rimbalzò fuori un sederone enorme, pallido e molle; Edina riconobbe le mutandine succinte comperate il giorno prima, provò un senso profondo di desolazione verso la sua amica.
Il signor Eric dovette meravigliarsi nel vedere quelle mutandine così sottili, ma non si scompose affatto, in fondo il suo compito sarebbe stato di gran lunga più facile; aprì allora il braccio destro e disse: “Lo sai che questa volta te le sei meritate … e adesso Eric ti fa… il sederone”, e le assestò uno sculaccione fortissimo, colpendole ambedue i glutei assieme, facendoli schioccare all’unisono in modo penoso.
Hélène emise un timido urletto, “Oooh …”, e parve subito disporsi meglio, adagiando la pancia comoda sui pantaloni del suo patrigno, aggrappandosi con la mano sinistra ad una gamba del divano, ed irrigidendo la povera schiena.
Fu subito colpita per la seconda volta, con una scudisciata potente, che le fece rimbalzare il gluteo destro; e poi immediatamente una terza sferzata sul gluteo sinistro. Prese subito a piangere sommessamente e a gemere.
Il signor Eric voleva umiliarla e deriderla, e le andava dicendo: “…Perché non parli più … stupida?”, e giù un altro sculaccione; “diamine, dì qualcosa cretina…”, e poi subito un’altra scudisciata fortissima, che la fece vibrare tutta quanta fino giù alle scarpette.
Hélène penzolava con la testa, nella posizione del castigo, con le caviglie sollevate da terra. Il signor Eric continuava ad aprire la destra, rovesciandogliela sul didietro molle e sgonfio; ora quel sederone, completamente esposto, vibrava in continuazione, come una povera palla di gomma.
I gridolini della festeggiata si alternavano alle percosse, senza alcuna soluzione di continuità: “…ooh … Oo-ooh…”.
E già i primi segni rosa si andavano formando su ambedue i glutei sfatti e tristi, mentre il filino le rimaneva dritto nel mezzo immobile, con la nuvola in pizzo ridicolmente inutile; quello slippino non serviva davvero a niente, né la proteggeva affatto dall’impeto degli sculaccioni. Il signor Eric gliene diede tantissimi, tra cui due sferzate a breve distanza, facendole sollevare il capo ed ululare di dolore.
Altri ospiti si erano avvicinati a vedere la scena, ed anche i ragazzi non avevano resistito alla curiosità; Maxime poteva sentire addirittura il pene tirargli sotto ai pantaloni, mentre assisteva ridendo a tutto quello schifo. Pascal osservava mano nella mano con Jeanne, mentre quest’ultima apparentemente gongolava. Anche Bianca sembrava adesso divertirsi, nel vedere la sorella maggiore subire il giusto castigo davanti a tutti.
Il signor Eric le mollò la mano destra, ed Hélène immediatamente la mosse verso la gamba dell’uomo che la reggeva salda sulle ginocchia, per tenersi meglio; sembrava volersi adagiare e stare più comoda, mentre il povero didietro, oramai sempre più arrossato e deforme, rimbalzava tutto il tempo. Abbassò il capo e fu colpita di nuovo.
Ripresero i tonfi sordi e penosi, senza alcuna soluzione di continuità; una decina di colpi consecutivi, interrotti solamente dagli urletti disperati di Hélène; alcuni molto ben riusciti, come testimoniava lo schiocco rumoroso dei glutei della poveretta, altri più ovattati. Quando lo schiocco era più fragoroso, Hélène squittiva a tratti come una scimmia; era un vero fracasso, e tutti quanti nella casa si erano perfettamente resi conto, che la festeggiata le stava finalmente prendendo.
Qualcuno pensò di andarsene, e la signora Dominique dovette così accompagnare diversi ospiti alla porta, mentre il castigo andava avanti ininterrottamente; chiedeva scusa a tutti per quanto era successo, sembrava vivamente costernata.
Ad un certo punto, il signor Eric decise che quella punizione davvero esemplare, poteva finalmente concludersi. Senza aggiungere nulla, mollò la presa lungo la schiena di Hélène, dopodiché alzando una volta ancora la mano destra, le disse: “E adesso fila via, in camera tua!”. La poveretta si inarcò sospingendosi sulle ginocchia di lui, e quando fu in piedi, con la gonna ancora sollevata attorno ai fianchi larghi, mostrò a tutti quanti, il proprio sederone gigantesco, deturpato e molle, con due vistosissime macchie rosse; si poteva udire in tutta la casa, un pianto dirotto di bambina.
Le aveva prese per la prima volta nella sua vita, era stata punita con gli sculaccioni davanti a tutti quanti i parenti e agli amici proprio durante la sua festa di compleanno; il signor Eric glielo avrebbe ricordato infinite volte di lì in avanti, per redarguirla o semplicemente per minacciarla, anche se non si sarebbe mai più ripetuto.
Rimase così in piedi a lungo, con la gonna sempre sollevata attorno ai fianchi e con le chiappone molli tutte arrossate in bella mostra; gemeva ancora in modo penoso.
Si sistemò la gonna a fatica, prima di allontanarsi; salì le scale tra gli sguardi ironici e divertiti di tutti quanti, e di qualche amica compassionevole come Edina, la quale non trovò tuttavia nemmeno una parola che potesse consolarla.
La festa si concluse così, molto prima del previsto.


Terzo episodio

Gli occhi marroni di Pascal, quelli li aveva incrociati di soppiatto, mentre era completamente annichilita, fradicia di lacrime e travolta dalla vergogna. Si era rassettata a fatica ed era filata via su per le scale, ma quegli occhi così intensi, seri e profondi, l’avevano scrutinata, giudicata, umiliata senza pietà ed infine, quasi certamente derisa.
Le parole di Jeanne dell’indomani, fuori dalla scuola, glielo avevano semplicemente confermato; i commenti ed i risolini delle amiche e delle compagne della scuola di canto, lo sguardo compassionevole dei parenti e dei cuginetti e tutto il resto: quel pomeriggio, lei lo avrebbe ricordato per sempre; Hélène lo comprese chiaramente, non appena salì le scale, subito dopo essersi rimirata tristemente dentro lo specchio.
Si era vista con gli occhi di tutti quanti gli altri; si era sfilata di dosso la giacca di lanetta bianca, che le teneva molto caldo, ed infine aveva tirato nuovamente su, la gonna stretta ed elasticizzata; il tubino arancione righettato sembrava un fascione di stoffa arrotolato tutto intorno al busto e ai fianchi della poveretta, mentre il triangolino delle mutandine le ricopriva il monte di Venere rigonfio, con intima delicatezza.
Si volse, e quello che vide nello specchio non lo avrebbe mai più dimenticato: il filino color carne era quasi invisibile, in mezzo a due glutei rigonfi e sudati, che a malapena respiravano dopo tanta oppressione. Entrambi erano attraversati da una chiazza ovale rossiccia, da cima a fondo, e nel mezzo una macchia ancora più vistosa, quasi tumefatta.
Pianse amaramente per diversi minuti, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lì, da quel sederone triste e butterato; mentre sentiva un senso indicibile di vergogna e di sconfitta montarle dentro: era stata veramente una stupida ed aveva ottenuto quello che meritava.
Si presentò a scuola che ancora le faceva molto male, impacchettato stretto sotto ad una lunga ed insulsa gonna di tessuto blu, riparato solamente da un casto paio di mutandone bianche. Prima ancora d’udire l’infelice battuta dell’amica Jeanne, la quale volle apparentemente infierire su di lei, fu la sempre attenta e discreta Edina, a provare a lenirne almeno in parte il dolore: le rivelò d’essere stata punita anche lei dal padre allo stesso modo, durante una sciagurata villeggiatura, non più tardi di tre anni addietro.
Erano i maschi quelli che più sembravano volerla umiliare, con i loro atteggiamenti vaghi e ironici; e mentre Pascal parcheggiava la sua moto con totale indifferenza nei pressi del luogo dove le ragazze andavano chiacchierando di cose assai futili, ecco che un altro paio d’occhi scuri, ma stavolta di gran lunga più profondi, volitivi e perfidi, parevano scrutarla da cima a fondo, in modo irrispettoso.
Erano quelli di Maxime, che aveva preso a chiamarla culona, senza che lei se ne accorgesse, in maniera tutt’altro che simpatica o divertente. A scongiurarlo fu più volte Edina, la quale sperava che la situazione non degenerasse ulteriormente: infatti, il fratello di lei s’era tremendamente invaghito ed era fortemente attratto dalla cameriera marocchina e dalle altre ragazze, che cantavano nel coro assieme ad Hélène; e per tale ragione, egli fingeva adesso di corteggiare la poveretta, prendendola inutilmente in giro.
Benché Edina facesse di tutto per impedirlo, suo fratello aveva così preso a trattare Hélène con scellerata confidenza. “Quella stupida culona della tua compagna…” diceva spesso, “mi deve far incontrare di nuovo Floreanne e le sue amiche”, e rideva di lei in modo davvero orrendo e fastidioso.
Hélène invece, da brava illusa qual era, gli credeva; la sua afflizione non durò che una decina di giorni, fintanto che non le scomparvero anche le ultimissime tracce della punizione subita. Accettò così l’invito di Edina al bistrot vicino alla scuola, in un freddo pomeriggio di fine ottobre.
Hélène scelse una stretta gonna nera che le scendeva fin poco sopra le ginocchia, un paio di calze intere leggermente contenitive, ed un bellissimo paio di stivaloni in pelle; completava il tutto un delicato maglioncino color panna, che si abbinava all’impermeabile del medesimo colore.
Maxime invece non si cambiava molto spesso, e quel pomeriggio aveva ancora indosso gli stessi jeans, la stessa felpa di marca e la medesima giacchetta imbottita in pelle color camoscio visti all’uscita della scuola poche ore prima.
Si sedettero accanto alla vetrina, attorno ad un piccolo tavolino quadrato rialzato su alti sgabelli, mentre Edina faceva la parte di reggere loro il candelabro; evitò tuttavia di sedersi nel mezzo, costringendo di fatto la sua amica a farlo.
Aveva imposto a Maxime, di evitare qualsiasi riferimento alla sciagurata festa di compleanno, e questi si attenne alla disposizione; ma dal momento che il suo intento era quello di provare a rivedere Floreanne, oltre che di incontrare le altre compagne della scuola di canto, egli pensò bene di esordire dicendo: “Cosa farete di bello per Natale? …anche la tua famiglia parte sempre tutta assieme per le vacanze?”; era una domanda preparata per bene, e chiaramente Hélène non ne colse per nulla la doppiezza. Mentre andava leggendo il menu dei dolci, senza molta enfasi rispose: “Non abbiamo ancora programmi … anche se abbiamo una villetta dalle parti di Namur e qualche volta ci andiamo”.
Maxime non soddisfatto riprese: “Ma tua sorella viene sempre con te, partite sempre tutte assieme?”. Nulla di fatto, Hélène non cadde nel tranello nemmeno stavolta, ed il tentativo di comprendere se per qualsiasi caso la cameriera rimanesse da sola durante le feste, non portò alcun risultato.
Edina ovviamente cambiava sempre discorso, e ci volle qualche minuto affinché suo fratello potesse riprendere l’attenzione delle due ragazze; introdusse allora l’argomento del corso di canto, e fingendo un improbabile interesse verso le voci bianche, disse sorridendo: “Quando vi esibite in pubblico con il vostro coro? Sarebbe bello potervi ascoltare…”; ed anche questa volta Hélène, che forse intuì quale fosse la finalità del fratello di Edina, rispose in modo da deluderlo: “Il saggio dovrebbe essere a maggio anche quest’anno … alle prove non facciamo venire mai nessuno”.
Allorché Maxime con un cambio repentino del proprio atteggiamento, prese nuovamente a blandirla in modo esagerato, complimentandosi con lei per il suo maglione. Hélène corrispose istantaneamente mutando in maniera altrettanto immediata le proprie reazioni; fino al punto di mettergli addirittura una mano sulla spalla, mentre parlava della sua toilette, che ella stessa sorridendo definì infinita.
Maxime guardò allora la sorella, e ridendo disse: “Anche Edina non scherza affatto per nulla …”, dopodiché affrontò un tema leggermente più scabroso: “… e ne avete comprate diverse, di mutandine, quel giorno?”.
Questa volta il viso di Hélène si fece scuro; era evidente come in quel momento il fratello della sua amica volesse umiliarla: certamente le aveva vedute per bene anche lui, quelle stupide mutandine, mentre il giorno della festa ella veniva sculacciata con tutta quanta la gonna sollevata.
Edina provò a risolvere l’imbarazzo, fingendo di ridere: “Non sono cose di cui ti devi interessare”, e chiuse così il discorso; ma Maxime adesso guardava Hélène in modo vagamente sadico, mentre a quest’ultima veniva servito un dolce al cioccolato con il caffè; prese a mangiarlo lentamente, senza smettere di ascoltare i futili discorsi di Edina, che provava sempre ad evitare ulteriori situazioni di difficoltà.
Ma quello stupido tranello ordito ai suoi danni, così inutile e perverso, non sarebbe potuto durare più di tanto; chiunque avrebbe capito che Maxime coltivava un doppio fine.
Con sano tempismo, nel mese di novembre finalmente gli si presentò l’occasione giusta per incontrare Floreanne: Edina fu invitata un giorno a studiare a casa di Hélène, per lavorare con lei ad una piccola ricerca per la scuola.
Maxime per la prima volta da quando vi era stato costretto, si mostrò assolutamente felice di accompagnare e di venire a riprendere la sorella; e così rimise piede nell’appartamento in Rue Courtois.
Ma l’atmosfera era decisamente differente, rispetto al pomeriggio della festa: quella casa era incredibilmente scura ed austera, e la cameriera marocchina sembrava da parte sua, piuttosto triste, trascurata e dimessa. Il fratello di Edina non si trattenne molto all’inizio, probabilmente si rese conto che la signora Dominique andava scrutando con attenzione il modo in cui lui e Floreanne si scambiavano gli sguardi, in una situazione di totale freddezza. Del signor Eric non vi era in giro nessuna traccia, era un architetto piuttosto affermato e lavorava spesso in altre città e perfino all’estero.
Quando Maxime si ripresentò, dopo circa quattro ore, per riprendere e riaccompagnare a casa la sorella, aveva preparato un minuscolo bigliettino con il proprio numero di telefono, e riuscì furtivamente a passarlo nelle mani della cameriera mentre quella gli porgeva la sua giacca. Tuttavia, lo sguardo di Floreanne era sempre afflitto, e sembrava rivelare fino in fondo, tutta la sua impossibilità di fare qualsiasi cosa senza il consenso della propria padrona; non aveva nemmeno un telefono tutto per sé, e parlava il francese in modo precario e con un accento quasi incomprensibile.
Era assalita da continui momenti di strana voluttà, non aveva mai avuto un uomo in vita sua, nonostante la propria carnalità tanto vistosa ed esuberante; e ne soffriva.
Così fece in modo che l’irreparabile accadesse: dopo solamente un paio di settimane la scellerata cameriera, con più incoscienza che coraggio, inopinatamente osò chiamare Maxime con il telefono di casa, mentre era da sola; quegli si trovava a sua volta in casa, e Edina si rese immediatamente conto di quanto di strano stava accadendo. Il fratello, infatti, s’era chiuso in camera sua per parlare, e la sorella non trovò nulla di meglio da fare, che origliare la loro conversazione. Maxime parlava in modo lento, usando parole chiare e semplici; e ad un certo punto si sbottonò: “Domenica pomeriggio sei sicura? Tutti quanti vanno a vedere il teatro? Alle sei devono andare al teatro?”.


Quarto episodio

Edina non voleva dargli ad intendere di averlo ascoltato, e Maxime fu molto abile nel dissimulare la cosa, al punto che quella domenica fu addirittura venuto a prendere da un suo amico, per non destare davvero alcun tipo di sospetto in casa.
Per quattro giorni di fila non si era masturbato, e questa per lui era una vera novità: come risultato adesso sentiva gli attributi gonfi come non mai, esplodergli dentro ai pantaloni, ricolmi di sangue e non solo. Anche Floreanne si era preparata per bene all’incontro: aveva messo da parte il suo vestitino da cameriera e lo aveva atteso in silenzio, con una strana sottoveste chiara indosso e le sue calze autoreggenti nere, senza alcuna mutandina sotto, né alcun reggiseno.
Erano entrambi diciassettenni, impacciati ed inesperti, e sulle prime l’atteggiamento di Floreanne era stato freddo e innaturale; ma al solo frusciare della sua morbida sottoveste, la passione aveva travolto Maxime, con un’erezione potente difficile da nascondere, quando i suoi occhi avevano incrociato la pelle scura di lei: aveva le cosce scoperte.
Avevano parlato pochissimo, prima che lui la baciasse, cingendole i fianchi e tastandole il didietro in modo insistito e prolungato; lì si era reso conto in maniera esplicita, che la cameriera non indossava null’altro al di sotto. S’era così appoggiato a lei sul davanti, facendola trasalire con la massa calda e dura che nascondeva dentro ai pantaloni.
Erano finiti dapprima nella veranda, dove lui aveva provato con veemenza a farla piegare sul tavolo, venendo però respinto da lei con un ultimo gesto di timidezza e di paura; era tuttavia riuscito a sollevarle un lembo della sottoveste, intravedendo finalmente il frutto rotondo e perfettamente umido nascosto in mezzo alle gambe di lei.
La cameriera aveva preso l’iniziativa in modo sorprendente, spostandosi con tutto il corpo bagnato di sudore, dentro il salone. Si era accomodata sul divano, lo stesso dove Hélène era stata punita, divaricando le gambe con la schiena appoggiata ad uno dei due braccioli; Maxime a quel punto si era aperto i pantaloni, estraendo un pene enorme, rosso di sangue e di umori, già pronto per l’amplesso.
Si era avvicinato, dapprima strusciandola in modo inelegante e frettoloso; poi però aveva finalmente trovato il punto più caldo e morbido, laddove le labbra fradicie di lei sembravano già vibrare di paura e d’emozione: aveva spinto un poco alla volta, ma capito bene il gioco l’aveva poi affondata senza grazia, facendole molto male e schiudendola del tutto, fino a toglierle senza alcuna remora la verginità.
Avevano fatto l’amore per diversi minuti, raggiungendo l’orgasmo in maniera spasmodica e veloce ben due volte, in un delirio di passione intenso e profondo, dopodiché si erano rassettati e rivestiti di gran fretta; Floreanne aveva lasciato alcune macchie di sangue nei pressi del divano, mentre del seme di Maxime, giallo e abbondante, restava ben più che uno spruzzo in giro, perfino sulla parete alle spalle.
La signora Dominique aveva scoperto quelle tracce al suo rientro, ma aveva deciso di occultare tutto fin da subito e di tenere quell’incommentabile fattaccio per sé: da donna a donna voleva mettere le cose a posto con la sua scellerata cameriera in maniera pacata ed esemplare.
Né Hélène, né la piccola Bianca e né tantomeno il signor Eric, avrebbero mai saputo nulla, di Floreanne e di quello che aveva combinato in giro per la casa quel pomeriggio.
Ma nella prima circostanza in cui la signora Dominique si trovò perfettamente da sola con lei, mise subito in chiaro con la cameriera alcune cose: dapprima, l’avrebbe licenziata non appena lei avesse compiuto i diciotto anni, il 26 di febbraio. Si fece poi dire da lei, chi fosse stato ad averla posseduta, e le impedì in modo categorico, di telefonare e di avere qualsiasi tipo di rapporto con tale persona. Ed infine, le diede il battipanni, come tante altre volte era successo in passato: le ordinò di piegarsi con la pancia lungo il tavolo della cucina, e sollevandole il grembiule e la gonna, le abbassò sia le calze che le mutandine, senza alcun rispetto né alcuna pietà.
Nel frattempo, quella stessa domenica un altro vorace atto di sesso era stato consumato con grande passione, in casa di Pascal, nella circostanza del compleanno di Jeanne. Al contrario della povera Hélène, alla biondina non era toccata in sorte alcuna spiacevole punizione, e la sua festa si era conclusa in modo assai più gradevole, nell’alcova del piccolo monolocale situato dalle parti di Le Carré.
Qui Pascal l’aveva fatta sua per due volte, con dolcezza, causandole altrettanti orgasmi intensi e prolungati. Si può dire che fra di loro si fosse venuta a creare un’intesa davvero straordinaria: lei si comportava come una piccola Lolita impertinente e dispettosa, e non lesinava alcun tipo di trattamento al suo ragazzo; gli concedeva non di rado la bocca, e pare che in una passata circostanza avesse perduto anche la dolorosa verginità del suo forellino posteriore.
Lui di contro la rispettava e non la tradiva mai con le altre; era un ragazzo introverso e semplice, senza grilli per la testa: le chiedeva unicamente di soddisfarlo, possibilmente diverse volte alla settimana, e nelle maniere più saltuarie e inattese, come al cinema o nei bagni pubblici dei bar; e lei puntualmente si prestava a saziarne le voglie, svuotandolo pienamente, e facendolo liberare delle proprie energie. E quel pomeriggio le cose erano andate proprio così: lui le aveva dapprima donato un collier di Swarovski, un regalo abbastanza costoso; lei si era presentata vestita unicamente del collier e delle sue scarpette nere con il tacco, nell’ampio spazio tra il televisore ed il divano in finta pelle rossa.
Era finita con le gambe all’aria, trattenuta dallo stantuffo rigido e severo di Pascal, che l’aveva dapprima spinta come del pesto dentro ad un mortaio, e poi dopo diversi minuti di tormento e di incontenibile piacere, le era venuto copiosamente in mezzo ai seni bianchi all’insù. Le aveva servito del vino rosso con alcuni pasticcini comperati apposta per lei, ed avevano brindato per il suo compleanno.
Dopodiché avevano ripreso, con la biondina che lo aveva dapprima ridestato con la mano e con la bocca, ed infine gli offrì le terga, facendosi sprofondare con dolcezza, fino a lasciarlo venire con tutto quanto il membro esausto e sgonfio sopra il sedere, lungo la schiena bianca.
L’indomani era il primo di dicembre, e tutte le amiche della scuola riunite davanti al cancello, si complimentarono con Jeanne per i suoi quattordici anni compiuti il giorno prima; se solamente Nicole, Hélène, Edina e le altre compagne di classe, avessero potuto vedere coi propri occhi, la maniera impetuosa e decisa con cui il suo ragazzo l’aveva festeggiata per bene in quel monolocale, sarebbero sicuramente morte tutte quante all’istante, per la curiosità e per l’invidia.
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