Racconti Erotici > bdsm > L'Amor sincero e l'amor profano
bdsm

L'Amor sincero e l'amor profano


di Membro VIP di Annunci69.it filosofetto
09.03.2019    |    1.990    |    4 7.9
"Riprese a leccarla, e per quanto fosse leggero, a lei pareva che le consumasse la pelle a ogni passata..."
Cedi! Ti prego, cedi! Rompiti!
Fallo dai, cedi!
Deciditi, ora! Obbediscimi! Ahi m’esplode il cuore! Collassa tu, per prima!
Basta, ti prego; ora fallo, devi farlo, ferisci tu, o sarò io a rompermi…
Non riusciva più ad ascoltare, ancora, a sentire altre note, ora; le cadeva il cuore, inghiottito dal vuoto profondo del respiro che le era fuggito altrove, salvandosi in un’altra aria, più leggera e più facile.
Spaccati, corda maledetta! Non senti che la mia anima muore?!
Per ogni piccola, inutile nota che lui suonava, lei moriva d’amore e d’aspettativa.
La musica amplificava il sorriso del suo maestro di chitarra e le bendava gli occhi, portandola a sognare, trascinandola a legare ogni suo pensiero alle dita di lui, che -demonico- continuava, senza una pur minima sosta.
Ora svengo, lo sento. Io adesso cedo. Corpo bastardo, fai qualcosa. Scioglimi!
Chiuse gli occhi e s’illuse d’aver liberato i pensieri spegnendo la luce su quelle mani, su quei polsi virili, su quel laccetto di cuoio leggero e già baciato, chissà da quante.
Se soltanto quella corda di maledettissimo acciaio si rompesse…lo bacerei anche io, di scatto, ringraziandolo e curando i suoi graffi con le mie labbra. Chissà che sapore ha l’amore? L’amore vero, quello che vivrà per sempre in una eco senza soste. Io non scorderò mai questo motivo che mi stai insegnando.

Sabrina, anche oggi dobbiamo salutarci. La lezione è finita. Il tempo con te vola via in un istante. Ma stai bene? ti vedo pallida.


Guadagnato il marciapiedi, corse via verso l’auto. Finalmente respirava e il cuore le si era schiuso, riprendendo a battere, pur se con affanno. Ma lei, della sua vita, non se ne accorgeva. Il suo pensiero era rimasto là, sempre in bilico fra la fantasticheria e la speranza.
E, attraversando la strada, non vide neppur l’auto che sopraggiungeva. L’urto fu rapido e forte e le spense ogni senso.
Sei stata fortunata, sei volata a terra, ma non hai neppur un graffio! Riesci a muoverti?
Riaperse gli occhi sentendo una mano calda, solida, e delicata sotto la nuca.
Viva. Sono viva.
Così dicendo richiuse lentamente le palpebre, non per un mancamento, ma per meglio ascoltar quelle coccole.
Cerchi di star sveglia, la prego.
Sì, sono sveglia. Disse riaprendo gli occhi. Mi aiuti per favore, vorrei alzarmi.
Certo.
Mentre si meravigliava lei stessa d’essere tutta intera e senza nessun particolar dolore, le si appannò la vista per colpa di un poco di polvere e del sole. Pulendosi il viso con le mani, come fosse una bambina che neppure s’accorge della solita rovinosa caduta e subito è pronta per tornare a giocare, si ricompose e cercò di sorridere.
Vide il lungo cofano della vettura, blu scuro, basso, largo e con un’ampia ammaccatura lungo tutta la nervatura che dalla calandra risaliva al parabrezza.
Che botta, sono stata io?
Temo di sì, posso accompagnarti al pronto soccorso?
Ma anche no, grazie, sono ben intera. Son meglio io che il tuo macchinone. Disse sorridendo.
Già s’accorgeva che quel nuovo ragazzo aveva qualcosa capace di portarla al di là del male, pur senza conoscerlo, pur senza saperne nulla. La cosa non le piacque, non le piacque affatto. Chi mai s’esporrebbe subito ad accettare il passaggio da uno sconosciuto che ti ha pure appena investita? Anzi, che mai andava già pensando? Lui, ancora, non le aveva offerto nessun passaggio. Dai, scema, lamentati di qualche dolore. Fatti almeno rimborsare sta giornata di schifo!
È sicura di star bene?
Da come me lo dici ci manca solo un non potrei sentirmi meglio!
Lo ha detto davvero o sono diventata completamente scema io? -si chiedeva- Poi continuava a fissarlo, come non riuscendo proprio a capire chi cavolo fosse costui che le sbatteva le idee più di quanto non le avesse schiantato il corpo.
E lo guardava così, con una certa meraviglia, senza battere ciglia, tacendo, come un pesce lesso.
Che hai? -chiese lui, e sin a queste prime due parole parse anche una persona normale- Ti manca uno scopo che ti faccia sentire lo strumento migliore per raggiungere il tuo fine? Che hai, non ami te stessa?
Più che lessa, ora lei appariva alienata. In bilico fra il che cavolo vuole sto qua e il ma perché mi spii?
Vieni con me. Stavo tornando in hotel. Devi risarcirmi per lo spavento d’aver potuto rovinare una donna così bella.
Lei lo guardò sempre zitta, fece anche un mezzo passo per andarsene. Ma lui le offriva la mano con così tanta calma che non poté negargli la sua.
Quando il ragazzo le aprì lo sportello lei sorrise e pensò che stava di certo consegnandosi a un assassino, che l’avrebbe fatta a piccoli pezzi e gettata in pasto alle lumache.
Le lumache mangiano solo insalata.
Così lui le disse. E lei lo guardò di soprassalto capendo d’essersi affidata a qualcuno ben più pericoloso. L’auto s’accese, il motore rombò forte, la trazione posteriore li spinse da dietro come per catapultarli oltre.
La stanza dell’albergo era piccolissima, fittamente arredata, con una spessa moquette grigia, d’un grigio medio, capace d’assorbir qualsiasi riflesso d’altri colori; le pareti erano tutte finestrate, piene di luce, ma coperte da pesanti cortine d’un semplice e innocente bianco, così morbido e diverso dalle superfici nere e lucide delle consolles laccate. Il letto era rotondo, d’ottone, con una tempesta di cuscini sopra che si scontravano gli uni con gli altri. Tutto sembrava simile a una tana.
Odio questo stile -disse lui- ma a volte si ha bisogno d’una tana dove covare idee nuove.
Tu sei nuova? Di certo sei innocente. -si fermò a guardarla prima di riprendere- E mostrarsi puri è un bene o è un male?
Inizia a farmi male un po’ tutto… -disse lei-
Riposa qui un attimo, fai una doccia. Io scendo a far alcune telefonate.
Così dicendo il ragazzo uscì dalla stanza, lasciandola nel profumo intenso degli evaporatori che stavano qui e là, un po’ dovunque.
Lei aprì un armadio e cercò qualcosa di comodo da mettersi dopo la doccia. In verità era anche curiosa di spiare fra le cose di quel tipo così strano. Trovò un cofanetto di legno, con tanti intagli, lo aperse e vide che aveva un portagioie più sofisticato di quelli che si vedono nei film sulle principesse e i pirati. Per ogni cassettino c’era un diverso tipo di gemelli da camicia, dei fermacravatta d’oro e d’argento, delle spille da mettere sul bavero della giacca. Dove cavolo mi son messa?! Cercò ancora, un pigiama doveva pur averlo. Nulla, nulla di nulla. E questo un po’ le aumentò la paura, un poco la rassicurò. Dopotutto che c’è di peggio di chi si mette un pigiama con gli elefantini?!
Mutande, camicie, altre camicie e giacche, tutte con i loro pantaloni. Zero tute, calzini tutti neri e tutti uguali, zero cinture -anche questo era un bene, che le cose strette intorno al collo le faceva paura- cravatte, cravatte, cravatte.
Quasi quasi le lego tutte insieme e ci scappo dalla finestra.
Ma la doccia era bellissima, con una cascata d’acqua bollente che lui, prima d’uscire, aveva già accesa, riempiendo di vapore tutta la sala da bagno. Come resistere a un tale invito? Sabrina si spogliò in fretta, sperando che lui non tornasse più e si mise sotto l’acqua. Rimase là chissà quanto, sempre sola, sin tanto che non si dimenticò del suo ospite.
Uscì, alla fine, dopo un’ora buona. Si stupì del silenzio. Si mise l’intimo e solo allora vide che i suoi jeans erano tutti impolverati. Uscì dal bagno in mutande, controllando prima d’esser ancora sola. Lo era. Chissà se un poco le dispiacque. Prese una camicia e tornò di là ad asciugarsi i capelli. Quando finì era ancora sola.
Le facevan molto male la schiena e la gamba destra, si mise a letto. Prima però chiuse a chiave la porta della stanza dall’interno.
Quando si sentì svegliare da una bocca che le languida le mordeva il pube, attraverso le culottes, le venne subito da chiuder le gambe e urlare. Ma scoprì fra le suo cosce due occhi verdi così brillanti e vivi che cedette subito a quel piacere che le risaliva rapido per dentro, deciso a toglierle il fiato.
Che vuoi da me? Chiese lei timidamente
Ho scelto di salvarti, visto che tu sei una dea immortale. Mi va di succhiarti via tutto ciò che ti lega alla noia degli amori spontanei e del loro triste destino.
Rispose lui, senza davvero smettere di baciargliela e approfittando d’ogni parola e del dover alzare le labbra, per scostarle le mutande con le dita.
Poi iniziò a centellinar la sua lingua così magicamente che a lei parve subito d’essere sul punto di venire; dovette tossire, le si stringeva la gola. Lui ne approfittò e si tolse. Rimase come un serpente fra le gambe di lei, intento a fissarla. Il sole era sparito e la stanza s’era fatta buia. Doveva esser salito anche un forte vento; si sentivano gli alberi piegare le fronde. Gli occhi dello sconosciuto brillarono rapidamente e subito sparirono, nella breve durata d’un lampo di luce, liberatosi per un attimo nel rapido fluire delle nubi.
Sabrina ansimava; il suo ventre saliva e scendeva rapido, come l’orizzonte vertiginoso dei mari in tempesta.
Lentamente lui le mise dentro due dita e raggiunse subito quel piccolo angolo dalla pelle di serpente, fra le cui spire s’annoda il più intenso piacere d’ogni donna.
Lei venne e lui approfittò del suo parossismo per aprirla dietro e usar le dita come un uncino per tirar a sé il suo bacino.
Riprese a leccarla, e per quanto fosse leggero, a lei pareva che le consumasse la pelle a ogni passata.
E il cazzo?
Disse Sabrina, con la voce stretta fra la gola e i denti.
Lui non le diede ascolto. La fece venire ancora. Ormai aveva gli aveva bagnato tutto il viso, e il collo e le sue stesse cosce e persino il letto.
Sai ancora illudere un uomo. Sai ancora appassionarti. Non stai pensando agli altri? Non sono stati troppi? Non sei sazia d’usar l’amore altrui per conoscere te stessa? Voi innocenti siete i peggiori.
Puniscimi.
Sabrina sentì il ragazzo levarsi dal letto. Le sembrò che avesse lasciata la stanza così come era apparso. A proposito, come?
Mentre la paura e la ragione iniziavano a sostituirsi all’eccitamento, si sentì prendere di peso, alzare, metter in ginocchio e mordere il collo. Lui le accarezzò rapidamente i fianchi, spogliandola per intero. Con un dito solo le slacciò il reggiseno, con i denti lo gettò via. Lei ebbe un brivido quando le parve che lui, passandole rapido la mano lungo la schiena, avesse gli artigli al posto delle dita.
Si sentì gettare avanti, fra i cuscini. Dopo un istante lui la leccò da davanti a dietro e, poi, lungo tutta la schiena.
Il mento del ragazzo le grattò la pelle come fosse coperto d’una polvere di cristalli.

merita un seguito?
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 7.9
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per L'Amor sincero e l'amor profano:

Altri Racconti Erotici in bdsm:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni