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Gay & Bisex

Bruxelles – Un’essenza rilassante.


di Ymex_91
21.05.2025    |    5.602    |    8 10.0
"Sento le sue dita stringermi la vita, mentre il suo cazzo affonda senza pietà..."
Avevamo pianificato tutto da settimane: una vacanza tra amici a Bruxelles, tre giorni di svago, risate e un po’ di follia.
Ma, come spesso accade, la vita ha altri programmi.
All’ultimo momento, imprevisti personali e lavorativi hanno trattenuto i miei tre compagni di viaggio. Rimasto solo, fissavo la mail con la conferma del volo e dell’hotel, combattuto tra l’idea di perdere tutto e quella di affrontare un viaggio in solitaria.
Non amo viaggiare da solo, ma un pensiero mi ha convinto: ho pagato, e a restare a casa non ci guadagno nulla.
Così, ho fatto la valigia. E sono partito.
Arrivato a Bruxelles, una città che ancora non conoscevo, ero curioso, leggermente spaesato, ma determinato a godermela. Dopo aver lasciato il bagaglio in hotel e fatto una doccia veloce, mi sono sdraiato un momento sul letto. Istintivamente ho aperto Grindr, giusto per dare un’occhiata ai ragazzi locali.
Uno in particolare ha subito catturato la mia attenzione. Il suo profilo aveva qualcosa che mi colpiva: uno sguardo deciso, un fisico che raccontava di forza e piacere, e quel piercing al capezzolo… un dettaglio che mi accende sempre.
Nemmeno il tempo di elaborare che, vedendo che avevo visitato il suo profilo, mi scrive. “Ciao”, semplice.
E’ in italiano. Mi incuriosisce. Rispondo subito. Inizia così una conversazione leggera, poi più diretta. Scopro che si chiama Ivan, ha origini toscane ma vive a Bruxelles da qualche anno.
Trentasette anni, fisico tra il muscoloso e il robusto, con braccia scolpite e una pancia appena accennata, pelo rasato, che mi fa impazzire.
Il tono della chat cambia velocemente. Ivan non ha peli sulla lingua. Foto esplicite, sguardi ammiccanti, messaggi che mi fanno fremere. Il piercing che tanto mi aveva colpito nelle sue foto ora mi sembra ancora più eccitante.
Le sue intenzioni sono chiare. E io, da solo in una città sconosciuta, perché dovrei dire di no?
Ci diamo appuntamento per la sera. Niente indirizzo, solo un punto d’incontro vicino a un incrocio tra un’università e un cimitero. L’orario è tardo, la zona… strana. Sento crescere l’ansia. Penso anche di lasciar perdere.
Ma poi riguardo le foto. E la voglia ha il sopravvento.
Il taxi mi lascia nel punto stabilito. Aspetto. Passano alcuni minuti. Forse è un fake, forse è uno scherzo.
Ma poi, da lontano, vedo un ragazzo in tuta sportiva venire verso di me. È lui. Nessun dubbio.
Il viso, il fisico: tutto combacia. Sento un sollievo caldo attraversarmi il petto.
Ci scambiamo poche parole, e capisco che anche lui aveva avuto i suoi dubbi. Forse per questo ha scelto quel punto d’incontro. L’aria è frizzante, marzo non perdona. “Andiamo da me”, mi dice con un mezzo sorriso. Non aspettavo altro.
Arrivati nel suo appartamento, mi invita a mettermi comodo. Lui si toglie la giacca, io mi siedo sul divano, sento l’imbarazzo mescolarsi all’eccitazione. È esattamente come nelle foto, anzi, meglio.
Si avvicina, mi sfiora la coscia, poi le sue labbra incontrano le mie.
Un bacio lento, umido, che si fa via via più vorace.
Le sue mani scivolano sul mio fondoschiena, indosso un jockstrap che avevo scelto apposta.
Capisce subito l’invito. Si alza e mi guida in camera da letto. Gli tolgo la felpa e sotto trovo quei pettorali che desideravo assaporare. Il piercing brilla sulla sua pelle chiara.
Passo la lingua sul piercing, lo lecco, lo succhio. Sento il suo respiro cambiare.
Gli abbasso la tuta. Sotto, niente. Nessuna barriera. Il suo cazzo, già duro e teso, sembra quasi colpirmi il volto.
Lo prendo in bocca lentamente, lo guardo negli occhi mentre affondo. È grosso, caldo, pulsante.
Ivan geme, mi afferra la testa e mi spinge con decisione. Voglio compiacerlo, lo lascio fare. Non mi trattengo.
Poi tocca a me. Mi afferra, mi spalanca le chiappe, la sua lingua affonda nel mio buco con fame. Mi stringe, mi schiaffeggia. Ansimo, gemo, non riesco a pensare ad altro. Quando si ferma all’improvviso, lo guardo confuso. “Aspetta”, mi dice con un sorriso. Accende alcune candele, la stanza si riempie di un aroma dolce, leggermente inebriante.
Il profumo mi rilassa, la mente si fa ovattata. Torna su di me, riprende da dove aveva lasciato.
“Posso scoparti?” mi sussurra. Prende un preservativo dal comodino. “Ma prima succhiamelo ancora un po’”, dice con tono malizioso. Il suo cazzo è umido, quasi gocciolante. Lo accolgo ancora tra le labbra, sento i suoi gemiti farsi più intensi.
“Ora voglio vederti mentre godi”, mi dice, spingendomi dolcemente a stendermi supino.
Le gambe in aria, lo guardo mentre si sistema sopra di me.
Quando mi penetra, un brivido mi attraversa tutto il corpo. Il suo sguardo non mi lascia, è fisso nei miei occhi.
Il ritmo aumenta, il piacere cresce, io sono completamente suo. Ma qualcosa inizia a cambiare. Una sensazione strana, come un leggero stordimento. Il cuore accelera, la testa gira. Ma non riesco a smettere, non voglio fermarmi.
Mi metto sopra di lui. Lo sorprendo. Ivan è dominante, non ama perdere il controllo. In un attimo mi spinge giù, riprende il comando, torna a scoparmi con forza, con foga, con desiderio. Mi dice che ormai il mio buco è aperto, che è suo.
I suoi colpi si fanno sempre più profondi, violenti, instancabili.
Poi si ferma, si sfila il preservativo e si alza in piedi sul letto. Il suo orgasmo esplode, un fiotto caldo mi inonda il viso.
Lo guardo, ansimante, e lui si china su di me, mi bacia con dolcezza, come a volermi condividere quel piacere.
Mi pulisce con delicatezza, poi mi prende per mano. “Andiamo a prendere una boccata d’aria”, mi dice.
Fuori, gli racconto di quella strana sensazione. “Tranquillo”, mi dice, “era solo un’essenza rilassante.
Aiuta a liberare i freni inibitori.” Lo guardo sospettoso. “Mi hai drogato?”
“No”, sorride, “ti ho solo aiutato ad essere te stesso.”
La notte è ormai inoltrata. Devo rientrare in hotel.
Ma mentre salgo sul taxi, il pensiero è uno solo: nonostante tutto… ci tornerei volentieri.

Quella notte, taxi scivolava silenzioso tra le vie semivuote di Bruxelles, mentre io, appoggiato al finestrino, sentivo ancora il calore del suo corpo addosso, il sapore della sua pelle sulle labbra, e il viso ancora umido, leggermente appiccicoso, segno indelebile di una notte che difficilmente avrei dimenticato.
Arrivato in hotel, entro nella stanza ancora inebriato da quell’aroma speziato che aleggiava nel suo appartamento, quell’essenza rilassante che mi aveva tolto ogni freno, ogni maschera. Mi butto sul letto vestito, senza nemmeno lavarmi. Sento il mio cazzo di nuovo duro solo ripensando al suo sguardo, ai suoi gemiti, al modo in cui mi aveva preso…
come se fossi stato suo da sempre.
La notte passa irrequieta. Il corpo è stanco, ma la mente ribolle.
E infatti, al mattino, è proprio un messaggio di Ivan a svegliarmi.

“Buongiorno. Come ti senti?”
“Ancora pieno di te.” Gli risposi.
“Mi piace. Ti va di rivederci oggi? Ma con calma. Vorrei viverti anche senza la fretta di ieri.”
“Eccome se mi va. Fammi solo fare una doccia… e portami da qualche parte. Ma poi, voglio tornare da te.”

Due ore dopo, camminavamo per il centro della città, come due vecchi amici, come se la sera prima non ci fossimo scopati selvaggiamente. Ivan era diverso alla luce del sole: gentile, persino tenero, ma con quegli occhi che continuavano a divorarmi anche mentre sorseggiava il suo caffè.

“Ho pensato tutta la notte al tuo culo”, mi sussurra all’improvviso, mentre camminiamo tra i vicoli di un quartiere elegante. Sento un brivido, il cazzo che pulsa nei jeans. Mi prende la mano e mi guida verso casa sua. Stavolta senza esitazioni.
Appena entrati, mi bacia come se non mi avesse mai lasciato. Mi prende per il collo, mi spinge dolcemente contro la parete, si inginocchia. Le sue mani mi slacciano i pantaloni, li abbassa lentamente e si prende il mio cazzo in bocca con una fame che mi fa tremare le gambe. La sua lingua danza, le sue labbra stringono, mi guarda dal basso mentre succhia come se fosse il suo unico nutrimento.
Quando si alza, mi lecca la pancia, risale lungo il petto e morde il mio capezzolo.

“Stavolta voglio vederti sottomesso, ma consapevole. Voglio che tu lo chieda.”
“Chiedere cosa?” gli provoco.
“Di essere scopato, come stanotte. Solo che adesso sei vigile. E lo vuoi.”
“Ti prego…”, gli sussurro. “Fammi tuo.”

Mi prende e mi porta in camera. Mi fa stendere, nudo, con le gambe aperte. Stavolta accende solo una candela, ma lascia la finestra leggermente socchiusa: entra una luce soffusa e l’aria fredda che contrasta col calore della stanza.
Prende un lubrificante profumato, lo versa lentamente sul mio buco, poi lo massaggia con due dita, prima gentile, poi più deciso. Le sue dita entrano dentro di me, due, poi tre, mi allarga con pazienza, con dominio.
Poi, si avvicina con il cazzo duro che spinge in avanti. Lo sfrega sulle mie chiappe, lo batte sul mio buco come a bussare, poi entra lentamente, centimetro dopo centimetro. Mi guarda, legge il piacere sul mio viso, e si morde il labbro.
Comincia un ritmo lento, profondo. Ogni colpo è una carezza ruvida, uno scavo nell’anima. Mi tiene le gambe sollevate, mi guarda mentre mi possiede. Io, steso come un’offerta, ansimo, gemo, lo imploro di continuare, di farmi suo ancora, ancora.
Mi prende per i fianchi, cambia ritmo, più forte, più affamato. Mi gira, mi piega a pecora, mi sputa sul buco, continua a scoparmi con violenza, ma senza mai perdere il controllo. Sento le sue dita stringermi la vita, mentre il suo cazzo affonda senza pietà.
A un certo punto si ferma, si sfila e si inginocchia dietro di me. Mi apre di nuovo le chiappe e comincia a leccarmi come se volesse inghiottirmi. La sua lingua mi scava dentro, le sue mani mi tengono fermo.
Sto per esplodere.

“Non venire”, mi ordina. “Ancora no.”
Io tremo. “Perché mi fai questo?”
“Perché voglio vederti perdere il controllo sotto di me.”

Mi prende di nuovo, stavolta seduto sul lato del letto, con me sopra con lo sguardo rivolto verso di lui.
Mi guida, mi fa calare lentamente sul suo cazzo, mi tiene per i fianchi e mi fa muovere, avanti e indietro.
Lo guardo negli occhi, lui mi prende il viso e mi bacia con una fame animale.
Il nostro sudore si mescola, il mio culo sbatte contro le sue cosce, le sue mani mi accarezzano la schiena, poi mi artigliano.

“Adesso vieni. Voglio vederti mentre mi svuoti addosso.”

Mi stringe forte il collo, chiudo gli occhi e il mio cazzo esplode tra noi, sul suo petto, sul mio, mentre il suo orgasmo esplode dentro il preservativo. Resta dentro di me ancora qualche secondo, ansimante, poi si lascia cadere all’indietro portandomi con sé.
Restiamo così, sudati, attaccati, i cuori che battono all’unisono.

“Domani parti?” mi chiede, accarezzandomi i capelli.
“Sì”, rispondo.
“Peccato. Mi ero appena abituato al tuo sapore.”
“Potrei sempre tornare.”
“O potresti restare una notte in più.”

Ci guardiamo. I nostri corpi ancora caldi, le anime un po’ meno sole.
E mentre il suo cazzo ancora molle riposa tra le mie cosce, io so già che quella non sarà l’ultima volta che busserò alla sua porta.
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