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Galeotta fu la palestra: il debito (parte 3)


di Lupen77
10.04.2019    |    8.060    |    10 9.7
"Aveva sempre la capacità di toglierci dai momenti di imbarazzo e fu una delle tante qualità che mi sorpresero di lui quella notte..."
La magia di quel istante fu interrotta da una pioggia scrosciante e corremmo verso l’auto come due bambini che avevano appena commesso una marachella.
Entrati in auto, mi accorsi che sulla barba nera di Michele giaceva una striscia bianca collosa, era il mio primo potente schizzo, mi avvicinai, la raccolsi con la lingua portandomela in bocca per poi condividerla con lui in un tenero bacio… solo allora mi accorsi che sulla patta dei pantaloni di ordinanza di Michele si stagliava una vistosa macchia umida: il porcellino evidentemente si era eccitato spompinandomi e si era bagnato… solo allora mi accorsi che lui non aveva goduto e non lo avevo manco toccato… di quante cose non mi ero accorto!!! Ero stato rapito dalla magia di quel lungo istante, come fossi stato in preda ad un sogno di cui non avevo possibilità di controllo.
Eppure Michele era lì davanti a me…
“Michele… Michele…” non riuscii a proferire altre sillabe.
“Non devi dirmi nulla, sappi solo che mi sei in debito di un pompino!” mi disse, e ridemmo entrambi. Aveva sempre la capacità di toglierci dai momenti di imbarazzo e fu una delle tante qualità che mi sorpresero di lui quella notte.
Misi in moto e mi diressi verso casa sua, non senza difficoltà visto le secchiate d’acqua che scendevano dal cielo.

Michele nel tragitto si era portato già avanti, estraendo dal giubbotto il mazzo di chiavi di casa sua e quel tintinnio mi fece balenare un’idea geniale: il destino volle che ci fosse un posto libero proprio a fianco del suo androne, parcheggiai, spensi il motore e quando mi voltai verso di lui, gli strappai le chiavi di casa dalle mani lasciandolo inebetito, aprii la portiera urlandogli “Seguimi!” e con un balzo ci trovammo davanti al portone del suo palazzo che per incanto era solo accostato, col telecomando chiusi l’auto e feci entrare Michele nell’ingresso.
“Dove hai la cantina?”
Michele ancora non aveva capito le mie intenzioni.
“Avrai bene una cantina, no?” in cuor mio speravo di sì, altrimenti avrei improvvisato qualcosa, volevo assolutamente saldare il mio debito ed ora che ero uscito dallo stato di trance in cui mi ero trovato per tutta la durata al parco, intendevo sorprenderlo come lui aveva fatto con me.

Michele finalmente si illuminò, prese le sue chiavi tra le mie mani e lo seguii in silenzio: scendemmo una rampa di scale che portava ad un pianerottolo con una porta vetrata che dava, credo, sul cortile interno; armeggiò nel mazzo per trovare la chiave giusta che aprisse una porta di ferro posta alle mie spalle, che cigolando si spalancò su una gradinata in mattoni sdruciti al fondo della quale un lungo corridoio mal illuminato col fondo polveroso in battuto di cemento conduceva alle diverse cantine di proprietà.
Si fermò davanti ad una porta in legno in cattivo stato di conservazione che Michele prontamente aprì accendendo una lampada oscillante in mezzo al soffitto: la luce era fioca, l’ambiente umido e freddo, lo spazio angusto, ma tutto sommato ordinato, un armadio aperto con scaffali in ferro era ancorato ad una parete di mattoni, qualche scatolone ammassato in un angolo ed un piccolo tavolo in ferro col piano in formica, che ricordava tanto quello di mia nonna buonanima, stava addossato alla parete di fondo.

“Hai sete? Dovrei avere della birra qua sotto!”
“Ah già che tu prima al parco avevi sete”
“Ci hai pensato tu a dissetarmi col tuo nettare” mi disse prontamente e ridemmo, “Schhhh!!! Non facciamo casino e parliamo a bassa voce, che se ci sentono gli altri condòmini sono cazzi!”.Michele prese una Moretti in bottiglia e facendo leva con l’accendino la aprì, che maschio che era: ricordai quell’unica volta che da ragazzo tentai di aprire una birra in quel modo, ruppi l’accendino e mi squartai mezzo dito!
Me la porse e diedi giù una bella sorsata, e la passai a lui che fece altrettanto, poi si diresse verso il tavolo, dove la appoggiò.
“Certo che ce ne hai messo di tempo a notarmi” mi disse.
“Perché mi corteggiavi da tempo?”.
“Sì, dalla prima volta che ti vidi in palestra”.
“E come facevi ad essere certo che io fossi gay?” replicai.
“Hai mai sentito parlare del cosiddetto gay-radar? Certe cose si capiscono, poi ne ebbi la conferma quella volta che ti sorpresi a puntare un tipo moro piuttosto belloccio e palestrato durante il suo allenamento”.
Michele mi aveva sicuramente sgamato mentre ero intento a scrutare “Spartacus”! (ndr: personaggio da me descritto nel capitolo2).
“Pensa che quel tipo me lo sono pure fatto” continuò Michele: “un paio di anni fa, una domenica pomeriggio…”
“Ecco perché vai sempre in palestra la domenica!” replicai stizzito e sorseggiai nervosamente un altro po’ di birra: “E come accadde?”
“Pressappoco come con te ieri… lui mi guardò con insistenza il cazzo sotto la doccia, lo notai, andai nel bagno turco e mi seguì: mi impugnò subito il cazzo e quando fu in tiro spinsi in basso il tipo affinché me lo succhiasse, ma si dimostrò riluttante e diede appena un paio di pompate con poca convinzione, per poi dileguarsi dal bagno turco senza dirmi una parola: insomma, un episodio di cui non ho un piacevole ricordo e pensa che ora quando mi incrocia in palestra si gira pure dall’altra parte, sto coglione!”
“Magari era solo inesperto o curioso e tu lo hai forzato a fare qualcosa di cui non era convinto, o aveva paura di essere sgamato da qualcuno! Comunque non è carino sparlare degli altri: chissà cosa dirai di me un domani, dato che sono scappato alla vista del tuo cazzone eccitato, almeno quel tizio te lo ha menato e pompato!”
Sta volta ridemmo entrambi e gli porsi la Moretti che avevo in mano.
Proseguii: ”E pensare che ho anche due applicazioni per chat gaye, ma a parte qualche personaggio a me già noto, non mi risultava che nella palestra ci fossero altri a cui piacesse il cazzo”.
“E invece proprio ti sbagli”, Michele mi interruppe: “Vedi, io non sono su nessuna chat e non frequento locali gay, eppure le occasioni non mi mancano, so cogliere l’attimo e mi creo le opportunità, proprio come con te ieri”.
“Allora devo cogliere l’attimo anch’io” e mi avvicinai a lui e ci baciammo questa volta dolcemente.
“Signore, credo che lei abbia bevuto e non possa mettersi alla guida in questo stato: devo sottoporla all’alcool test” mi disse serio, con gli occhi da furbetto.
“Guardi si sbaglia, mi dia lo strumento che glielo dimostro” risposi tenendogli il gioco.

Michele senza togliere i suoi occhi fissi sui miei si appoggiò comodamente al bordo del tavolo, armeggiò con la cintura dei pantaloni, sentii il rumore della zip e con un colpo deciso si abbassò tutto fino a metà coscia: “Signore, si applichi, lo strumento è pronto!”.
“Cazzo, qui il gioco si fa duro, in tutti i sensi” pensai, ma volevo condurre io la situazione: le mie intenzioni erano quelle di farlo morire lentamente dal desiderio e togliergli allo stesso tempo l’aria spocchiosa che aveva dipinta sul volto. Presi coraggio e mi abbassai, mentre lui continuava a mantenere lo sguardo fisso davanti a sé, nel vuoto… era evidente che la carriera militare lo aveva aiutato in questo e gli usciva naturale.
Mi inginocchiai e un piacevole afrore al muschio selvatico mi arrivò alle narici: Michele aveva avuto l’accortezza di farsi un bidet quando era salito in casa, apprezzai. Aveva il cazzo leggermente barzotto e le sue grosse palle inizialmente pendenti iniziarono a contrarsi, vuoi per il freddo della cantina vuoi per la forte tensione che Michele stava sicuramente provando in quel momento.
Il cazzo iniziò lentamente a intostarsi finché, salendo, si liberò la sua mega cappella rosata che puntava diritta verso di me: aveva raggiunto quasi la completa erezione, credo sui 16 cm, ma era mostruosamente grosso, a fungo. Rimasi in contemplazione per interminabili secondi che acuirono l’eccitazione di Michele. Impugnai saldamente l’asta, sebbene non riuscissi a chiudere il cerchio tra pollice e indice, in quanto lo aveva più largo del mio in circonferenza… inoltre la cappella debordava ai lati di un centimetro: mai visto in vita mia un cazzo così maestoso e particolare.

Alla mia presa, Michele ebbe un sussulto e la sua cappellona iniziò a pulsare ritmicamente gonfiandosi ulteriormente: appoggiai la mano libera sul suo fianco, quasi a voler tranquillizzare il mio uomo, perché avvertivo la sua emozione. Feci scorrere un paio di volte su e giù il prepuzio per ricoprire il suo glande e alla terza volta un gocciolone trasparente di precum fece capolino dal meato uretrale: un chiaro invito al quale non mi sottrassi e con la punta della lingua lo raccolsi e lo spalmai sulla mucosa rosata pulsante.
“Ahhhhh” esclamò Michele estasiato, alzai gli occhi verso di lui e notai che li aveva socchiusi per gustarsi meglio il trattamento che gli stavo praticando. Aprii le fauci più che potei e feci scivolare all’interno quella cappella stupenda per poi serrare le labbra appena oltre il suo bordo sporgente: mi riempiva la cavità orale e iniziai a roteare la lingua attorno ad essa. Michele appoggiò con forza la sua mano sulla mia che stava appoggiata al suo fianco ed intrecciò le dita con le mie: era un chiaro segnale che stava apprezzando ciò che stavo facendo e voleva dimostrarmelo.
Inspirai e tolsi la mano dal suo cazzo e lentamente lo ingoiai fino alla sua base, ma era talmente grosso che mi era impedito ogni tipo di lavoro di lingua: con la mano libera gli accarezzai i coglioni depilati, che erano talmente contratti da formare una voluminosa sacca, come una semisfera di un pallone; a quel tocco sentii le sue gambe possenti tremare, così da carezza divenne un vero e proprio massaggio testicolare.
Intanto avevo iniziato a pomparlo, coordinando il respiro con gli affondi per non soffocare e andai avanti così per un bel po’, con una mano continuavo a sollecitare lo scroto arrivando anche alla zona del perineo e con l’altra mano appoggiata al suo fianco percepivo la stretta delle sue dita intrecciate alle mie e la cedevolezza delle sue gambe, che divennero entrambe sempre più intense, sintomo che Michele stava per raggiungere il suo orgasmo.
Me ne accorsi quando i suoi grossi coglioni ebbero uno spasmo verso l’alto tale da delinearsi perfettamente nella loro forma, molto probabilmente se solo fossero stati più piccoli sarebbero risaliti su per il canale inguinale proprio come era successo a me al parco.
“ahhhrg…ahhhrg” grugnì Michele e una bordata di sborra finì direttamente nella mia gola, io mi ritrassi leggermente per poter deglutire, altrimenti sarei soffocato nel mare di latte che stava inondando la mia bocca, pur non staccandomi dal suo scettro.
Michele continuava a dimenarsi e grugnire come un maiale, finchè la sua cappella smise di pulsare, gli schizzi si placarono e il suo respiro tornò ad essere più regolare… sospesi al contempo il massaggio ai coglioni, che tornarono a distendersi, e il suo cazzo perse piano piano consistenza nella mia bocca e ne approfittai per spremerlo fino all’ultima goccia.
La mandibola era dolente, mi sollevai e nuovamente incontrai gli occhioni sconvolti di Michele, bagnati e riconoscenti, mi avvicinai a lui e ci baciammo lentamente con passione e gli passai parte del suo seme che avevo trattenuto nella mia bocca. Questo bacio durò a lungo… e fu dolcissimo.
Ero riuscito nel mio intento: Michele aveva di nuovo l’aria da cucciolo che lo faceva cosi tenero e docile, tanto da farmi impazzire di desiderio verso di lui.

“Spero di aver superato l’esame e di aver saldato il mio debito, signore” dissi appena ci staccammo.
“Ha superato brillantemente la prova e lei è un soggetto che crea dipendenza” esclamò Michele, continuando: “Sei stato sadico, volevi forse farmi morire, dato che hai impiegato un secolo prima di…”
“Lo strumento non era pronto e… poi volevo farti salire il desiderio” risposi.
“Bastardo che sei” mi interruppe sorridendo. “Sai che una volta, quando ero ragazzo, mi appartai con una tipa e quando mi vide nudo, questa scappò via terrorizzata, dicendo che lo avevo bruttissimo?”.
Io sorrisi e lui: “Tu ridi, ma questo episodio mi ha segnato e ha minato la mia sicurezza, so di avere un cazzo, come dire… strano, e che magari non può piacere a tutti, mentre penso che il tuo sia il più bel cazzo che abbia mai visto!”
Io mi abbassai e veloce aspirai con la lingua l’ultima goccia dal suo cazzo smollato, e guardandolo negli occhi gli dissi: “Non potevo chiedere di meglio, sei l’uomo che ho sempre desiderato!”.

Il commiato da Michele fu una lenta agonia perché non ci saremmo rivisti per una ventina di giorni, infatti quella stessa mattina sarebbe partito per la Calabria: erano passate ormai le 3 quando riuscimmo a staccarci dall’ultimo interminabile bacio. Quando varcai la soglia del suo portone, aveva smesso di diluviare e le stelle erano tornate a brillare in quella notte così memorabile per noi.
Sulla strada di casa mi accesi una sigaretta, avrei sicuramente raccontato quanto accaduto al mio caro amico Antonio al quale confidavo tutto di me, lui si era trasferito all’estero, ma ci scrivevamo tutti i giorni e, quando gli narravo dei miei incontri, mi chiedeva sempre: “Allora, è scattata questa scintilla, sì o no?”.
Ero certo che finalmente gli avrei risposto: “SI’!!!”.
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