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Gay & Bisex

IO NON SO PARLAR D'AMORE


di boreetoah
19.08.2015    |    4.279    |    21 9.4
"Mi girasti sulla schiena e mi mettesti a conoscenza della tua raffinata arte di dare piacere..."
Premessa: un altro tentativo. E’ un po’ lungo. Qualcuno potrebbe piangere.

Dicevi di amarmi. Io non capivo. Pensavo avessi bevuto troppo.
Ci conoscevamo da bambini. Abitavamo vicini e cominciammo presto a giocare insieme. Poi le elementari, le medie e le superiori. Sempre insieme. Amici del cuore. Sapevamo tutto l’uno dell’altro. Non ci eravamo mai nascosti niente. Avevamo scelto anche la stessa università. A un paio d’ore dalla nostra cittadina, tanto che decidemmo di prendere in affitto un bilocale. Un pomeriggio, a casa tua, parlando di quello che ci aspettava nel nostro futuro, me lo dicesti. Mi dicesti che ti piacevano gli uomini. Lo avevi capito da molto tempo, ormai, e non volevi mentirmi. Mi avevi mentito fino ad allora, quando, nei nostri discorsi, l’argomento principale era il sesso. Il sesso con le donne. Fu come accendere la luce e squarciare il buio. Io lo sapevo. L’avevo sempre saputo. Eravamo così in simbiosi, che i tuoi silenzi, i tuoi sorrisi forzati, i tuoi sguardi sfuggenti avevano detto più di mille parole. Non dissi nulla e, forse tu lo interpretasti come un segno di disprezzo. Coi tuoi ti eri già dichiarato e loro ti avevano dato tutto il loro appoggio, questo sarebbe bastato ad affrontare il mondo. Ma non te ne fregava niente del mondo. Tu volevi affrontare me. Avevi paura di farmi schifo. Temevi che non volessi più vederti. Non sai quanto mi sono risentito per quelle frasi. Come potevi pensare che fossi così meschino da rinnegare il mio migliore amico perché era gay! Mi riscossi immediatamente e ti abbracciai forte, più forte che potei. Mi abbracciasti anche tu e restammo così per un tempo indefinito,mentre sulla tua guancia che sfiorava la mia sentivo scendere una lacrima.

Cominciò la nostra carriera universitaria, tu iscritto a giurisprudenza, io a medicina. Lo studio ci assorbiva e il tempo per divertirsi era limitato, ma il sabato sera era intoccabile. Pub e discoteca. Io, da buon etero incallito e con nessuna voglia di impegnarmi, correvo dietro un po’ a tutte le belle ragazze, tu … Beh tu conquistavi un maschietto dopo l’altro. Eri bello. Alto più della media, fisico asciutto e scattante, un viso dai tratti regolari circondato da capelli neri e ondulati. Occhi grandi e castani la cui dolcezza ti scaldava il cuore. Eravamo d’accordo che ognuno di noi poteva portarsi a casa il proprio partner; io ne approfittai spesso, tu non lo facesti mai. Dicevi che non intendevi condividere tutta una notte con chi non avresti mai amato. Ti rifiutavi di fare sesso completo per questo. Aspettavi il tuo uomo. Mi raccontavi di quello che facevi con loro: seghe, pompini, ditalini. Io non capivo, come sempre, e tu mi confortavi dicendo “Chi non prova, non capisce”.

E così passarono due anni. Un sabato sera, uno dei nostri sabati “pausa dal sesso e dedichiamoci a noi”, tornammo dal pub più alticci del solito. Tu avevi davvero esagerato ed eri decisamente brillo, tanto da non riuscire a reggerti da solo. Arrivammo a casa, distante poche centinaia di metri, e una volta dentro ti portai in camera. Dio, com’eri sbronzo! Ti sfilai la maglietta, tu ondeggiavi e dopo averti abbassato i jeans, ti feci sedere sul letto perché non cadessi. Mi misi in ginocchio tra le tue gambe per toglierti scarpe, calze e pantaloni, mentre ti prendevo in giro per le tue condizioni. Alzai il viso e incrociai il tuo sguardo, impaziente,risoluto e ardente. La tua mano dietro la mia nuca avvicinò le nostre fronti e fissandomi con quello sguardo parlasti.”Io ti amo, Sergio. Ti ho sempre amato.” Dicevi di amarmi. Io non capivo. Pensavo avessi bevuto troppo. Il mio respiro si spezzò, tu chiudesti gli occhi. Mi alzai e ti aiutai a coricarti coprendoti col lenzuolo. Mi avviai verso la porta, ma tu, con la voce impastata, mi chiamasti.”Sergio, resta con me, ti prego. Ti prego”. Percepii nelle tue parole un bisogno disperato. Al diavolo, eri il mio migliore amico. Tornai indietro, mi spogliai e, solo con i boxer, mi sdraiai accanto a te. Rimanesti immobile, forse per paura di rovinare quel momento, poi, come ad un segnale invisibile ti girasti sul fianco verso di me appoggiando il tuo viso sulla mia spalla. Col braccio sul mio petto, crollasti addormentato immediatamente, come se un senso di pace a lungo anelato ti avesse finalmente invaso. Il tuo respiro solleticava il mio capezzolo dandomi un piacere che non ho più dimenticato. Posai una mano sulla tua testa accarezzandola, ti baciai i capelli, “Buona notte, Mattia”. Stavo bene. Non pensai più ad altro.
Mi svegliai con una piacevole sensazione di quiete. Aprii gli occhi e a poco a poco realizzai. Non eri al mio fianco. Girai lo sguardo e ti vidi seduto a qualche metro. Ti eri infilato la maglietta della sera prima e mi guardavi. Il viso pallido, gli occhi spalancati e pieni di timore come quelli della preda di fronte al cacciatore.” Ho detto qualcosa di sbagliato ieri sera” balbettasti. “Che dici, Mattia, non hai detto niente di sbagliato. Siamo amici!” “No. Tu non sei un amico per me. Non lo sei più da molto tempo.” Rimasi senza fiato. Cosa avrei potuto dirti? “Senti Mattia …”, “Io ti amo.” Quella frase, detta da sobrio, mi annichilì.”Vedi, non riesco più a nasconderlo. Non ce la faccio più. Non so da quanto tempo ti amo. Non riesco a ricordare la prima volta che il mio cuore ha accelerato il battito guardandoti. Eravamo ancora bambini, forse. Ma quand’è che un bambino capisce di essere innamorato? Quand’è che un bambino ha coscienza dell’amore? Io non lo so. So solo che non riesco a ricordare quando non ti ho amato.” “Mattia,io …” “Lo so. Non devi dire nulla. Non è colpa tua. Io sono quello sbagliato, il diverso …” “Mattia, smettila!” ti interruppi infuriato. Anche se mi avevi sconvolto, non ti avrei mai biasimato.”Mattia, tu sei il mio migliore amico,non hai detto niente di cui vergognarti, che c’è di sbagliato a voler bene a …” “Baciami”. Adesso ero preoccupato. Non ti avrei mai fatto del male, ma da lì a baciare un uomo, anche se era l’uomo che significava di più nella mia vita,c’era una bella differenza. “Scusami”. Mentre lo dicevi, il tuo sguardo sofferente mi evitò. Cristo! Avevi bisogno di me, mi avevi chiesto solo una semplicissima cosa; un bacio, che cos’è un bacio quando ci si vuol bene. E io non volevo dartelo. Ma che razza di persona ero? “Vieni”. Te lo dissi facendoti segno di sederti sul bordo del letto. Lo sguardo che mi lanciasti non lo dimenticherò mai. Stupore, gioia, gratitudine. Amore. Ti muovesti lentamente, come se avessi paura di spaventarmi. Quando il tuo viso fu all’altezza del mio, ti avvicinasti fin quasi a toccare le mie labbra. Aspettavi il mio permesso? Temevi che mi tirassi indietro? Azzerai le distanze. Il contatto con le tue labbra mi sconvolse. Erano morbide! Le più morbide che avessi mai baciato. Sentii il tuo gemito soffocato, immediata mi partì una fitta al basso ventre. Ti separasti da me per darmi piccoli bacetti leggeri . Dolci e delicati. Umidi. Volevi di più. Con la lingua percorresti soavemente le mie labbra. Non so quanto durò, ma la tua tecnica era talmente squisita che, a un certo punto, sospirai e ti diedi la licenza di ispezionare la mia bocca. Fu un saccheggio. Nessuna donna mi aveva mai gratificato di una tale bramosia. Mi allontanai di colpo. Tu pensasti che era ora di smettere, ti avevo dato abbastanza e la mia espressione sconvolta ne era la prova. Ma avevi frainteso il mio turbamento. “Grazie, davvero, grazie” . I tuoi occhi erano così pieni di beatitudine, mentre ti alzavi … Ti presi per il braccio e ti feci sdraiare sul letto, mettendomi sopra di te tra le tue gambe. I nostri membri erano già così duri! Che sensazione sublime sentirti eccitato contro di me, per me. Ora eri tu a guardarmi sconcertato. Mi abbassai lentamente sulla tua bocca e mi diedi da fare affinché il mio bacio fosse altrettanto soddisfacente del tuo. Apprezzasti. Ma tu eri l’esperto, sapevi cosa fare di un uomo. Mi girasti sulla schiena e mi mettesti a conoscenza della tua raffinata arte di dare piacere. Cominciasti ad adorare il mio corpo. La tua lingua incontrò approfonditamente ogni mio centimetro di pelle. I baci sul mio viso, la punta della lingua che perlustrava le orecchie, i morsi sui lobi. Succhiasti le dita delle mie mani, assaggiasti l’afrore delle mie ascelle, mi lasciasti impertinenti succhiotti sul collo. Ti dedicasti a entrambi i miei capezzoli con imparziale avidità leccandoli e poppandoli come un bimbo. Ti perdesti a ricoprire di baci il mio addome mentre una mano accarezzava l’interno coscia. Mi sfilasti i boxer e senza dare soddisfazione al mio membro smanioso di attenzioni, scendesti fino ai piedi. Per equità succhiasti tutte le dita, aspirando i miei odori e godendo nel lapparmi le piante e i dorsi. Entrambe le gambe furono a stretto contatto con la tua bocca, mi baciasti i polpacci e l’incavo delle ginocchia arrivando a stuzzicarmi fino all’inguine senza mai sfiorarmi il pene. Mi facesti girare. Quei baci sulla nuca! Avevi trovato il punto esatto, quel punto speciale che mi faceva impazzire. Quanti baci su tutta la schiena, su ogni singola vertebra fino ad arrivare alle natiche sulle quali ti tuffasti senza risparmiarmi nessun trattamento speciale. Carezze, baci, leccate, strizzate, sculacciate. Ero talmente in estasi che niente mi stupì. La tua mano s’insinuò delicatamente nello spacco. Un lento movimento su e giù mi sfiorava il buchetto che frastornato da tutto quel piacere, non ebbe tempo di risentirsi per quell’impudico trattamento, ma, anzi, desideroso di riceverne ancora si rilassava sempre più e, spinto dal bacino, si protendeva verso quel dito curioso. Affondasti la lingua tra quelle pieghe grinzose e cominciasti a leccare ingordamente. Fino a quel momento avevo emesso gemiti di apprezzamento e sospiri di piacere, ma a quel contatto strepitai vivacemente”Oooooh, ooooddddiooo miooooo!” sollevando di scatto la testa e lasciandola ricadere sul cuscino senza fiato. Mi baciasti la chiappa e ti sentii incurvare le labbra in un sorriso. “Disgraziato, vuoi uccidermi?”. Un altro bacio, un altro sorriso. Abbandonasti il mio sedere, volevi che durasse ancora. Le dita si dedicarono al perineo. Sarebbe stato meglio se tu fossi rimasto al mio culetto poiche sensazioni ancora più stordenti mi attanagliarono. Decidesti che la mia tortura era durata a sufficienza. Tornai supino. Finalmente guardasti il mio membro. Avevi un’espressione incredula, come se quello che vedevi fosse un miraggio. Ciò mi lusingò. Parecchio. Sentirsi così desiderati, lusinga chiunque. Cominciasti dai testicoli. Li prendesti in bocca delicatamente e uno per volta li ricopristi di saliva e li succhiasti. Soddisfatto del tuo lavoro, ti spostasti alla base del pene e con la lingua ne percorresti tutta l’asta arrivando fino al glande completamente esposto sul quale deponesti un bacio di presentazione. Senza perdere tempo, lo prendesti in bocca leccando e ciucciando. Ero allo spasimo. Ti abbassasti ad ingoiarlo tutto. Non potevo più resistere. Rimanesti col naso tra i peli del mio pube per quella che a me sembrò un’eternità. Stavo per venire, te lo dissi. Ricominciasti a fare su e giù sempre più velocemente. Esplosi. Fu un’apoteosi. Non ti staccasti di un millimetro, ingoiando tutto. Ti guardavo beato. Tu mi ricambiasti, aprendo la bocca per farmi vedere che non avevi sprecato nulla. Eri un porcellino. Ti stendesti sul mio corpo per darmi un bacio che sapeva di me. Poi, appagato scivolasti al mio fianco,accarezzandomi il petto. Ero in totale deliquio, ma era il mio turno di darti piacere. Volevo farlo, lo desideravo, ma non sapevo se ne sarei stato capace. Tu, dolcissimo amore mio, mi guardasti con tenerezza e mi dicesti che man mano avrei saputo cosa fare, che mi sarebbe venuto spontaneo. Allora, cominciai ed esplorai il tuo bellissimo corpo di ragazzo,perfetto e profumato, dolce e forte allo stesso tempo. Cercai di ricordare tutte le cose meravigliose che mi avevi fatto e le ripetei mettendo tutta la passione e il desiderio che sentivo per te. Ebbi successo. Anche tu gemevi e sospiravi e quando passai al tuo bellissimo sodo culetto stringesti le lenzuola tra i pugni. All’improvviso mi sfuggisti. Rimasi male. Pensai di aver sbagliato qualcosa. Ma no, avevi un’altra sorpresa. Quanto mi hai amato quel giorno! Mi dicesti di mettermi a schiena in giù. Mi prendesti in bocca l’uccello che, tornato duro per l’eccitazione, svettava come l’asta di una bandiera. Lo ciucciasti un po’ e dopo ti mettesti a gambe larghe all’altezza del mio bacino. Cominciasti a scendere.”Mattia, Mattia sei sicuro? Io non l’ho mai fatto , le mie donne non hanno mai voluto. Ti farò male, è doloroso …” “Shhhhh, io ti voglio”. Fu bello sentirselo dire. Io ti voglio. Non serviva altro. In quelle tre parole c’era tutto: amore,passione, desiderio,dolcezza. Una dichiarazione d’intenti alla quale non potevo tirarmi indietro. Ti appoggiasti. Cominciasti a lasciarti scivolare forzando l’ano. Vedevo il tuo bellissimo viso trasformato dal dolore, ma c’era una tale determinazione che rendeva affascinante ciò che stavi facendo. Cercavo di aiutarti sostenendoti per i fianchi. Ci volle un po’ di tempo, ma poco per volta scendesti sempre più, finché di botto ti trovasti seduto sul mio pube. Rimanemmo senza parole a goderci quel momento. La tua prima volta, la nostra prima volta. Eravamo ambedue preda di sensazioni travolgenti. Ognuno di noi aveva una percezione unica e diversa, ma per entrambi il piacere era indescrivibile. Cominciasti a muoverti piano, roteando anche il bacino. Quando la sensazione di fastidio diminuì notevolmente iniziò la vera e propria cavalcata. Tu gestivi il tuo piacere elargendolo a me. Acceleravi e rallentavi per far prolungare l’eccitazione il più possibile, ma dovesti arrenderti, l’orgasmo era vicino. Ti chinasti su di me a darmi un bacio intenso sollevando il bacino in modo che io potessi darti gli ultimi colpi mentre tu mi venivi incontro. Mi spinsi dentro di te disperatamente, cercando di trasmetterti tutto il desiderio che provavo per te. Venni inondandoti. Uno degli orgasmi più copiosi che abbia mai avuto. Subito mi seguisti spargendo tutto il tuo seme sul mio addome e sul mio torace. Continuasti a baciarmi, abbandonandoti su di me. I nostri respiri ansimanti si perdevano nella bocca dell’altro. Con voce spezzata mi dicesti”Ti amo”. Non risposi. Non ero preparato, tu capisti.

Da allora, per cinque mesi, fu la gioia assoluta. Ci davamo completamente. Io volli provare a donarmi e tu mi prendesti con una delicatezza e un’attenzione che non dimenticherò mai. Quando giacevo tra le tue braccia dopo il piacere, mi sentivo completamente appagato, al sicuro. Come se quello fosse il posto dove avevo sempre voluto essere. Ma quando mi dicevi ti amo, non riuscivo a ripetere le stesse parole. Rispondevo : anch’io. Ogni tanto scherzavi su questo e capivo che un po’ ti mancava la piena partecipazione del tuo uomo. Mi giustificavo dicendoti che non sapevo parlare d’amore,come nella canzone,non riuscivo a dar voce alle mie emozioni. Tu sbuffavi imbronciando le labbra in quel modo incantevole che mi faceva impazzire e mi davi un bacio.

Quella domenica dovevi tornare a casa dai tuoi per il compleanno di tua sorella. Di noi non avevamo parlato ancora a nessuno, non ci era sembrato importante. Bastavamo a noi stessi. Eri andato da solo. Ti guardavo affascinato mentre coi tuoi pantaloni neri, la tua maglietta rossa e il giubbotto di pelle tenevi il casco al braccio e ti avviavi. Ti accompagnai in garage a prendere la moto. Con i capelli neri , mossi dal vento mi sembravi un eroe. Te lo dissi, ne ridesti. Non resistetti e ti diedi un bacio. Poi una certezza mi folgorò “Quando torni ti stupirò!” . Mi guardasti con tutto il tuo amore, pensando chissà a che cosa. E mi sorridesti di nuovo.
A casa pensai a come te l’avrei detto. Durante la cena? Appena rientrato? O forse a letto mentre ci facevamo le coccole? Intanto mi organizzai per preparare l’atmosfera giusta. Una bottiglia di vino, candele, lenzuola pulite, qualcosa di dolce. Saresti rientrato alle 19.00. Non vedevo l’ora. Pensavo alla tua faccia quando ti avrei detto “Mattia ti amo”. Guardai l’orologio. Sempre in ritardo. Alle 19.25 suonò il telefono. Lo sapevo, che avrà combinato? Era tua sorella. La tua adorata moto ti aveva portato via da me. Per sempre. Sentii artigli gelidi che mi strapparono il cuore dal petto e lo gettarono lontano.

Sono passati due anni e io non riesco più a parlar d’amore.


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