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Gay & Bisex

Il Benzinaio


di Giovanni100
08.03.2021    |    19.711    |    19 9.1
"Mi avvicino e tutto d’un fiato gli dico: “mi servi tu” Dimmi quando e dove, ed io vengo..."
Questa è una storia vera. È il seguito di quanto successo qualche tempo fa dopo la mia prima esperienza a tre. Qualcosa che ancora non riesco a credere di aver fatto e, soprattutto, non vedo l’ora di poter ripetere.
Sì: voglio rivivere quanto era stato organizzato a mia insaputa. Ma prima ancora di ripetere l’incontro a tre ho bisogno di rivedermi da solo con lui, con questo ipotetico benzinaio. Non riesco a capire cosa sia, ma è come se fosse rimasto qualcosa in sospeso tra me e lui. Qualcosa che non mi è stato dato o che non sono riuscito a prendere a causa del ciclone emotivo in cui mi ero consapevolmente gettato e che da allora non smette di rombare nelle mie orecchie quando con la mente mi soffermo su alcune particolari sensazioni ed il sangue velocemente si agita andando a concentrarsi tra le gambe.
Quando ciò accade è difficile riuscire a rimanere seduti con una postura naturale; ed è impossibile continuare a lavorare. Quando i ricordi affiorano, o meglio emergono come un’eruzione sottomarina; ho poche alternative, e nessuna di queste prevede che io rimanga a casa. Per quanto poi riesca a rimediare qualche incontro di sfuggita, finisco comunque per recarmi presso il distributore di benzina sperando di incontrarlo, ma fino ad oggi non ho avuto fortuna.
Sono settimane che appena posso, vado a fare rifornimento, a comprare le sigarette, a far lavare questa cazzo di macchina in questo cazzo di posto; dovrò pur trovare una cazzo di scusa, con lo smart workin il mio consumo di benzina è crollato ed infatti metto 10 € a botta pur di avere un motivo per uscire.
Proprio ora, per l’ennesima volta, approfittando della pausa pranzo, sto per rientrare in questo cazzo di distributore. E se ho scritto cazzo quattro volte in poche righe è perché ho proprio il cazzo in mente, nella fattispecie il suo.
“Salve, devo cambiare le spazzole dei tergicristalli” chiedo in un misto di noia e disappunto per il sentore che ho di fare l’ennesimo buco nell’acqua e forse anche di iniziare a dare nell’occhio per questa mia continua frequentazione.
Risponde una voce querula, quasi femminea: “Vada all’interno, la sapranno consigliare”
Entro nel negozio interno al distributore e non c’è nessuno. Penso a quanto sono coglione e a quanto vorrei finisse tutta questa cazzo di storia, giro tra gli scaffali e gli espositori fino a quando una voce da dietro mi colpisce come una gomitata in mezzo alle vertebre.
“Dottò posso esse utile?”
Mi giro e nel rimestamento generale del sangue nelle vene lo osservo mentre sistema quanto era andato a prendere nel magazzino per posizionarlo sugli stand di vendita.
Si gira e mi guarda. Ci fissiamo. Se avessi una formazione da medico direi che gli sto facendo un’ecografia immaginando di vedere com’è fatto sotto la tuta da lavoro arancione con i marcatori catarifrangenti, Più probabilmente lui, nel ricambiare lo sguardo, sta cercando di capire dove mi ha visto l’ultima volta. In tutto il tempo intercorso tra oggi ed il nostro primo e unico incontro, sono sicuro che abbia elargito generosamente le sue attenzioni ad un numero imprecisato di femmine e maschi infojati. Impossibile che ricordi chi io sia ed in quale situazione mi abbia conosciuto.
“Anto’ bbello mio, che tte serve?” mi dice con un sorriso che lascia immaginare tutto e nulla
Come non detto. Escludendo una sua clausura, deduco di aver lasciato un buon ricordo nonostante abbia scopato di sicuro molto più di me.
Mi avvicino e tutto d’un fiato gli dico: “mi servi tu” Dimmi quando e dove, ed io vengo.
Penso di essere stato chiaro e netto. Se fossi un tossico direi che sniffo nell’aria la possibile fine dell’astinenza.
Il benzinaio abbassa gli occhi con fare dimesso e fa una pausa – panico- non capisco il linguaggio del corpo di chi mi sta davanti. La reazione che mi aspettavo è un’altra. D’un tratto la voce querula di prima stride nell’aria: “Sì, guardi, Adriano sarà da lei a breve”.
Io nel frattempo passo dal bollore degli spiriti alla ghiacciaia del timore di essere stato sgamato e aver rimediato una figura di merda delle dimensioni di Piazza del Plebiscito da dividere per due persone.
“Sì dotto’ me l’aveva detto, se vedemo ar solito posto a fine turno” e mi consegna un biglietto da visita con su scritto a penna un nick telegram.
“Ci conto allora”, annuiamo, compro le spazzole dei tergicristalli giusto per mantenere la scena ed esco.
Tempo di mettere in moto, digito il suo nick e scrivo:
“Ciao!”
Tempo 5 minuti e mi risponde
“C’hai le fregole bambocciò? Nun t’ha mannato l’amico tuo, nun m’ha chiamato. Ce sei venuto da solo a cercà ‘sta minchia.”
“Sì” rispondo a monosillabi. Ho la bocca secca, fremo e L’ha rimorchiato lui la prima volta. Avrei dovuto chiamarlo? Ma perché?” Mi rimbalzano i pensieri in testa: “Si offenderà perché non l’ho coinvolto, sono sicuro”
Non so cosa cazzo mi prenda. Sto sragionando come un adolescente che non ha invitato l’amico ad uscire in comitiva. Cosa cazzo mi prende?
“Senti, se vedemo da me tra un’ora, Tempo de na sciacquata”
“Non ti lavare” scrivo e mando senza neanche realizzare subito perché ho scritto una cosa del genere.
Il motivo però affiora istantaneamente ed è il ricordo dell’odore che avevano i suoi peli pubici quando mi scopava la gola: mi si è piantato nel cervello; insieme al resto d’altronde. Al distributore comunque aveva un aspetto lavato e curato, al più sentirò il suo odore dopo una giornata di lavoro. Ho un’erezione improvvisa: mi accorgo che ci sono cose di me che sto scoprendo solo ora.
“Bella! Allora me diverto a fatte ddu giochetti. Seguime: tra 5 minuti esco da lavoro: ho una BMW R1150GS. Do ddu’ sgasate ppe famme riconosce”
Tempo di leggere e mi passa di fronte, si ferma allo stop sgasa due volte: il segnale convenuto.
Parte. Lo seguo.
Dieci minuti di macchina in cui devo fare una certa attenzione a non perderlo. Pare che non sappia che una moto si muova con maggiore facilità nel traffico. Oppure lo sa e vuole mettermi alla prova. Sta giocando il coglione?
Durante il tragitto mi rendo conto che avrei potuto asfaltare anche un tir pur di non perdere il contatto visivo col bastardo da cui mi voglio far scopare. Ma finalmente siamo arrivati.
Vive in uno di quei condomini costituiti da torri di cemento di almeno 15 piani: l’esempio classico della periferia brutta pensata per dare case a poco prezzo e, per questo motivo: brutte a vedersi e probabilmente brutte da vivere. Mi guardo in torno, è appoggiato all’ingresso e mi guarda sornione massaggiandosi il pacco in pieno giorno. Ho la saliva azzerata e allo stesso tempo ho paura che qualcuno comprenda cosa dovrebbe succedere facendomi fare una figura di merda. Il singolare è d’obbligo. Per come si comporta, sembra quasi che a lui non freghi un cazzo della riservatezza. Oppure se la sente così sicura da volermi mettere in palese imbarazzo persino con me stesso. Indosso occhiali e mascherina e mi dirigo verso di lui.
Entriamo nell’androne e da lì nell’ascensore. Non c’è modo di dissimulare l’imbarazzo tipico di quando si condivide la salita o la discesa con degli estranei perché in un istante prende in mano la situazione.
“Abbassete e ciuccia sto cazzo”.
Con una mano mi mette in ginocchio e con l’altra mi aiuta nel tirarglielo fuori. E’ già mezzo barzotto e mi è subito chiaro perché in maniera irruenta poco prima gli avevo detto di non lavarsi.
L’odore che invade le mie narici è quello che ricordavo: afrore tipico di maschio. Così come l’odore, anche il sapore mi ritorna in mente mentre: passo la lingua sulla cappella e incomincio ad assaporare l’uomo che ho tra le mani.
Tempo pochi secondi e l’ascensore si ferma “cazzo, qualcuno potrebbe vederci aprendo la porta”, faccio per alzarmi ma Adriano mi blocca sulla parete e affonda il cazzo in gola. Lo guardo impietrito e non so se sia per il piacere o per la paura di essere visti.
“nun te ‘ncaricà, l’ho bloccata io l’ascensore. Vojo fa sentì a na zoccola del sesto piano che mme carzo quanno me va che ora sto a scopà! Sti palazzi so dde cartone, e lei ce sente bene”
Mi stantuffa la gola.
È la tromba dell’ascensore che rimanda il suono del movimento all’interno della cabina o è tutto nella mia testa?
Lacrimo, sbavo, spinge come una furia, ho i conati, si ferma. Fa ripartire l’ascensore. Probabilmente nella sua mente il segnale è stato recepito da chi doveva riceverlo. Io sono frastornato e ancora più eccitato di prima: chi cazzo è sto tipo?
Arriviamo al piano di quella che suppongo sia la sua casa. Manco a farlo apposta è l’ultimo: il sedicesimo.
Il pianerottolo è aperto e si sente il vento, apre la porta delle scale d’emergenza e mi ci trascina dentro. Queste dannate scale sono realizzate in rete d’acciaio: l’ideale per far venire le vertigini a chi sta fuggendo da un incendio ed ancora più terrorizzanti se si viene bloccati in ginocchio sulle paratie.
“A chi cazzo dovrà far sapere che sta scopando ora?” Penso mentre di nuovo il suo cazzo si fa strada dentro la mia gola senza che io possa anche solo pensare di posizionare meglio le ginocchia con la testa bloccata su una paratia metallica vista laurentina direzione il vuoto della periferia romana. daje ciuccia, nun te preoccupà, qui comando io. Ciuccia ‘sto cazzo troia!” Mi dò da fare, mi si riconosce una particolare bravura in questo, e la reazione di questa bestia credo confermi le mie qualità.
Ho la maglietta bagnata della mia saliva colata durante tutto questo tempo in ginocchio.
Tutto d’un tratto si stacca e mi solleva, mi infila la lingua in gola (ma questo tizio ha tutto grande?), si stacca e si fa seguire finalmente a casa.
Il contrasto tra l’esterno sciatto del condominio e l’interno vistosamente decorato è stridente. C’è qualcosa di familiare in quello che vedo ma non riesco a mettere a fuoco cosa. Non che sia importante, si spoglia in un attimo ed altrettanto velocemente sono di nuovo in ginocchio tra le sue gambe mentre lui mi tiene per i capelli e spinge il suo cazzo nella mia bocca comodamente sbragato su un divano di design che ha l’aria di essere piuttosto costoso per le possibilità economiche di un benzinaio.
Passo avidamente leccare tutto ciò che è alla portata della mia bocca: sento i muscoli sotto la pelle salata di sudore: addome, pettorali; mi alzo per montargli sopra e divorarlo nel vero senso della parola ma mi blocca con le braccia e spinge la mia testa verso le ascelle. Affondo tra i suoi peli ed il suo odore si spande nel mio naso e mi manda fuori di testa. Sono alla sua mercé, le posizioni sono ribaltate, è sopra di me e sento il suo cazzo appoggiarsi affianco al mio. Il suo peso su di me, una mano scende e si fa strada dentro di me andando a toccare le corde che devono essere toccate. Il tipo sa il fatto suo e le sue dita dentro di me mi fanno sciogliere i muscoli e diventare il cazzo duro come la pietra.
“Metti il preservativo e scopami duro” gli dico infoiato
“‘o decido io quello da fa’”,
Mi alza le gambe ed il culo è a sua completa disposizione. Sputa, lecca, spinge la lingua dentro ed io sbrocco “dammi il cazzo, voglio il cazzo” e con uno scatto mi metto a pecora.
Sento che apre il preservativo e fremo per averlo dentro. Ricordo come ieri quando mi ha montato e non devo attendere molto per rivivere la potenza e l’irruenza con la quale entra dentro di me e spinge fino ad entrare completamente e possedermi senza troppi riguardi.
Godo. Godo come un porco e lui ne è consapevole
“Zoccola te rompo er culo. È quello che vuoi eh? Fatte rompe ‘r culo da uno der clan evvè? E ora te lo rompo come me piace a me!” mi sbatte sul divano e pompa a bestia facendomi andare fuori di testa: entra, esce, rientra come se fossi di burro possedendomi senza riguardo alcuno. Grugnisce nelle mie orecchie. Mi manda ai matti il suo respiro affannato mentre stringe il suo braccio attorno al mio collo e si butta su di me schiacciandomi col peso del suo corpo mentre mi mette due dita in bocca per farsele leccare dopo averle tolte dal mio culo per far spazio al suo sesso facendomi sentire così totalmente suo.
Godo come un porco: non so come o quando uscirò da questa casa, ma spero sia il più tardi possibile.
Godo come un porco e non capisco più nulla; ma ora voglio riprendere in mano il gioco, e non solo quello.
Per quanto sia massiccio, anche io non scherzo. Mi sposto e ci ribaltiamo, ora sono su di lui, gli tolgo il preservativo e finalmente ho di nuovo il suo cazzo in bocca. Pompo come non credo di aver mai fatto prima, lo sento sbragarsi sul divano e prendermi la testa per i capelli per iniziare a dare il ritmo e trarne il massimo piacere. Lo lascio fare, voglio che senta che posso prenderlo tutto come voglio io e goderne IO al massimo.
“Che ciuccia cazzi che sei, che gran ciuccia cazzi, ma quanto te piace ciuccià ‘r cazzo troia?”
Ammesso che possa o abbia voglia di parlare e dunque staccarmi da questa nerchia, credo che il mio parere in riguardo sia chiaro.
Capisco che apprezza in maniera particolare quando con la lingua passo sopra la cappella e dunque alterno i passaggi dallo scroto fino a tornare in cima lasciandolo completamente bagnato. Con una mano gli massaggio i coglioni: sono grandi e sono certo siano davvero pieni.
famme arzà, vojo venì, te vojo sborrà ‘n faccia troia!”
NO! Ora decido io, e mentre si alza lo placco al muro dandogli l’illusione di potersi masturbare e venirmi in faccia, ma il finale sarà diverso: è facile per me ora capire quando sta per godere, il corpo si irrigidisce, tiene più vigorosamente i miei capelli, mi guarda “avvelenato” ma gli sposto la mano quanto basta per attaccarmi a questo cazzo che sta per eruttare e con la lingua mi faccio largo sulla cappella che assicuro con le labbra mentre gli tolgo completamente la mano.
Il verso gutturale che ricordo annuncia una serie di getti di sperma che atterrano sulla mia lingua, tra le mie labbra e sul mio mento fino a colare per terra e mischiarsi con il mio nel frattempo eruttato.
Sono stravolto. Vorrei vedermi in faccia ma posso tranquillamente immaginarmi dall’angolo dello specchio fermato a terra da due leoni dorati.
Mi guarda: “m’hai sfidato, hai voluto comannà tu. Tu forse non lo sai chi comanna qui”
Gli rispondo: “dalle parti mie si dice cumannà è mejo ca fotte ma a me è riuscito meglio: comando e fotto”
Sorridiamo. La luce del pomeriggio evidenzia le maniglie dorate delle porte istoriate simbolo di un lusso che trascende nel cattivo gusto ed ho un brivido quando mi torna in mente quella frase detta poco prima: “Fatte rompe ‘r culo da uno der clan”
Continua…
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