Il Tecnico della Caldaia

Era una giornata tranquilla. Francesca era al lavoro, io ero solo a casa.
Faceva caldo, ero appena uscito dalla doccia. Mi piace restare leggero, morbido, un po’ esposto.
Indossavo un paio di leggins corti grigi, aderenti, senza mutande sotto. La stoffa sottile lasciava intravedere il contorno del mio sesso, piccolo e a riposo. Sopra, una canottiera bianca, aderente anch’essa, che scopriva un po’ il petto e lasciava le spalle libere.
Mi sentivo vulnerabile, ma in un modo che mi eccitava.

Suonò il citofono.
— “Controllo annuale impianto termico, condominio. Posso salire?”

Aprii la porta. Un uomo maturo, avrà avuto una cinquantina d’anni.
Alto, tarchiato, spalle larghe, mani grosse, voce bassa.
Appena mi vide, mi scorse da capo a piedi.
Fece un mezzo sorriso.

— “Tutto a posto… o quasi. Devo controllare un attacco dietro la lavatrice. Ti spiace accompagnarmi?”

Lo seguii nel bagno. Mi chinai per spostare l’asciugatrice. E lì lo sentii… il suo sguardo fisso sul mio culo.
Mi voltai appena.
Lui non distolse lo sguardo.
Si avvicinò. Troppo. Il suo respiro era caldo.
— “Scusami… ma sei sempre vestito così quando sei solo?”
— “Dipende…” dissi a bassa voce.
— “Sai che hai un culo da leccare…?”
Rabbrividii. Rimasi in silenzio.

— “Ti piace essere guardato, eh? Con questi pantaloncini da femminuccia… senza mutande. Così aderenti che si vede tutto. Ti piace provocare, anche se non lo dici.”
La sua mano mi sfiorò.
Dal gluteo passò al fianco. Poi si fermò lì.
— “Fammi indovinare… non sei proprio etero, vero?”

Non risposi.
Ma non mi mossi.

Mi girò lentamente, mi fece appoggiare al muro.
Il suo sguardo era pieno di fame.
Aprì la zip dei jeans.
E uscì.

Il suo cazzo era circonciso, spesso, teso. La cappella perfettamente liscia e nuda, già umida.
Batté contro la mia coscia.

— “Guarda com’è duro per te… guarda quanto ti desidera questo cazzo.”

Me lo fece vedere da vicino.
Mi fece sentire l’odore forte di maschio adulto.
— “Hai voglia di sentirtelo dentro, vero? Di sentirti scopato bene… come non ti succede mai.”

Mi spinse con calma, ma decisione. Mi fece piegare, poggiare sul lavandino.
Con un colpo secco abbassò i miei leggins.
— “Così… e guarda un po’. Sei già bagnato.”

Si chinò, mi leccò. Prima piano, poi con più forza.
E poi lo puntò.
Il glande rotondo, scoperto, iniziò a spingere. A entrare.
Io trattenni il fiato.

— “Apriti bene… che te lo do tutto.”

Sentii la punta entrare. Poi metà dell’asta. Poi tutto.
Mi penetrò a fondo.
Il cazzo scivolava dentro di me con potenza, senza pietà. Mi prendeva con ritmo lento ma deciso, spingendo fino al fondo.

Le sue mani mi stringevano i fianchi.
— “Lo senti? Così si scopa uno come te. Ti ci voleva un vero uomo…”

Il suo cazzo sbatteva dentro me, lungo, caldo, circonciso, perfetto. Ogni affondo era umiliante… e perfetto.
Il mio cazzo era duro, ma piccolo. Non lo toccavo nemmeno.
Ero concentrato solo sul suo, che mi faceva suo.

Poi lo sentii tremare.
Il suo respiro si fece corto.

— “Tienilo tutto dentro adesso… che ti marchio.”
E con un affondo più forte, venne.

Mi riempì.
Sentii la sborra calda che mi invadeva il culo. Lenta, densa, bollente.
Restò dentro a lungo, pulsando.

Poi si ritirò.
Mi diede uno schiaffetto sul sedere.
— “Bravissimo. Proprio come ti immaginavo. Un passivo nascosto, da farsi usare.”

Si ricompose.
Io restai lì. Con le gambe molli. Il culo ancora aperto. Gocciolante. Pieno.

E una sensazione nel petto che non potevo più negare:
ero nato per questo. Per essere scopato. Usato. Riempito.