Gay & Bisex
La semifinale


12.09.2013 |
9.900 |
18
"Lui fece gli ultimi due tiri, spense la sigaretta, mi guardò dritto negli occhi e disse: “Domani alle 22..."
Ci conoscevamo da una vita. Giocavamo insieme quando eravamo bambini e ci prendevamo in giro: lui lo spavaldo asino a scuola, io il bruttino e secchione. Il tempo passava e noi crescevamo distanti. Lui, in paese, imparava il suo mestiere, io in città studiavo, conoscevo volti nuovi, mi scoprivo gay. Lui si innamorava di una mia amica; io vivevo la mia sessualità, sotto le lenzuola, innamorandomi di quello, di quell’altro, di quell’altro ancora. Trascorse qualche anno. Lui era cambiato: non più spavaldo come da ragazzo. Io ero cambiato: non più timido come una volta.Arrivò Giugno. Entrambi al mare e sotto lo stesso ombrellone: un ombrellone di dimensioni giganti, tanto da “ospitare” una cerchia di amici larghissima, quelli di una vita, quelli nuovi, quelli che quel mare non l’avevano mai abbandonato, quelli che quel mare avevano deciso di portarselo nel cuore, altrove, per poi tornarlo ad assaporare nei mesi estivi.
E’ stato un lunghissimo corteggiarsi: un corteggiamento silenzioso, fatto di sguardi, di sorrisi, ma più loquaci di qualsiasi parola. Non si poteva parlare, non più di tanto, non più di una chiacchierata amichevole. Perché lei, la mia amica e la sua donna, era lì. Io non volevo tradirla. Lui non voleva farle male o forse non voleva fare male a quella storia che tanto l’aveva maturato, l’aveva fatto crescere e al quale si sentiva indissolubilmente legato e infinitamente grato.
Gli sguardi, però, son più veloci delle parole, i sorrisi più eloquenti di un confronto e quella timidezza che ci accompagnava più dolce di qualsiasi effusione.
Non potevo parlargli: in fondo io ero consapevole della mia sessualità, lui forse no ed era fidanzato. Qualsiasi gesto concreto sarebbe dovuto partire da lui. Non potevo permettere il contrario: forse perché lo temevo, forse perché lo trovavo scorretto.
Non potevo però fare a meno di guardarlo: bello come il sole, scuro come l’ebano, luminoso come una serena giornata di luglio. E lui percepiva che sotto il mio silenzio, il mio imbarazzo, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Finché non ho incrociato i suoi, che cercavano i miei sotto gli occhiali, quasi a sfidarmi e chiedermi “cos’è che vuoi?”. Avrei voluto rispondergli:" voglio te".Il tutto passava attraverso gli occhi e nulla di più.
Quanto avrei potuto resistere? Quando avrei smesso di farmi del male?
Non so perché ero così fissato dall’idea di possederlo. Non lo so. Continuo a non spiegarmelo. So solo che fremevo dalla voglia di toccarlo, di assaggiarlo, di sentirlo.
Lo guardavo fra le gambe. Non riuscivo a non farlo, era più forte di me. Mi si avvicinava e il mio sguardo era lì. Conoscevo ogni angolatura di quella protuberanza, che poi non era così abbandonate, ma intuivo che era della misura giusta: quella che ti permette di farlo scivolare bene e di godere. E non c’era volta, in cui non mi beccava e poi sorrideva.
Abbiamo continuato così per tanto. Era un continuo scambio di sguardi, un perenne comunicare di desideri, un lungo dialogo di passione, mortificazione e sorrisi. Quel grosso nodo che si era creato nelle trame delle nostre vite andava sciolto. Subito.
L’occasione fu una banale partita di pallone. Lui il giocatore, io lo spettatore . Lui sul campo verde a correre dietro il pallone; io sugli spalti con la birra in mano, a far finta di interessarmi, osservando i suoi movimenti, le sue prodezze, i suoi errori, fingendo l’ansia del tifoso e sentendo dentro solo il desiderio crescere. Quel giorno la ragazza non c’era, perché all’estero per lavoro. La partita terminò e la squadra perse ai rigori. Che disdetta.
Nel frattempo i miei amici erano tornati anzitempo a casa, a prepararsi per il dopo-partita: se si vinceva si sarebbe festeggiato tutti insieme (tifosi e giocatori) e se si perdeva, si sarebbe festeggiato comunque. Ogni occasione era buona per divertirsi.
Rimasi dunque nello stadio, aspettando che l’intera squadra si docciasse, per poi tornare insieme con il bus che li trasportava in occasione delle partite fuori casa. L’aria non era allegra come le altre volte: la partita era persa. E non era una partita comunque. Era la semifinale.
Attesi la squadra che nel frattempo era sotto le docce. Lo immaginavo mentre si arrabbiava con i giocatori meno fenomenali della squadra, che avevano proprio sbagliato all’ultimo, sul più bello. I toni si sarebbero accesi ma sarebbe finito lì: il mio lui, in fondo, era buono. Lo immaginavo rasserenarsi dopo la sfuriata: il viso si sarebbe di nuovo rilassato, lo sguardo si sarebbe rasserenato e gli occhi sarebbero tornati di nuovo a sorridere, avvolti in quella scintilla che li distingueva fra mille.
Sarebbe tornato ad insaponarsi, a togliersi di dosso gli odori della fatica appena passata. Avrebbe passato le sue mani tra le gambe, fatto scorrere l’acqua sul suo sesso e chissà…forse l’avrebbe sentito indurirsi un po’.
Ad attenderlo fuori dagli spogliatoi, c’ero io insieme a qualche altro tifoso che come me aspettava il passaggio per tornare a casa. Uscì l’intera squadra: i volti erano stanchi. Salirono sul bus, ma lui no: era arrivato con la propria macchina. Non era l’occasione migliore per avvicinarlo né il momento giusto per riderci e scherzarci, ma l’idea di percorrere quei 20 chilometri insieme a lui, anche se in silenzio, era più forte di qualsiasi altro ragionamento. Dopo la squadra salirono i tifosi, tanto da riempire quasi completamente il piccolo bus. Mancavo io. Se fossi montato anch’io, sarebbe stata l’ennesima occasione mancata. Ma…
“Luca, torni da solo? Me lo daresti uno strappo in macchina?”. Montai in macchina e iniziammo a percorrere insieme il tragitto che ci avrebbe portato a casa. Alla radio passavano i radiohead , lui indossava la tuta della squadra, i capelli erano ancora un pò umidi. Emanava il buon profumo del doccia schiuma. Per un po’ continuammo a guardare dritti, senza dirci nulla.
“Marco come va il lavoro?”, fu lui ad interrompere il silenzio.
“Non male. Mi annoio un po’ ultimamente, ma non mi lamentoì: mi pagano abbastanza bene, quindi anche quando mi annoio, va bene lo stesso. Devo risparmiare in questo periodo”.
“E che ci devi fa con tutti sti soldi, ché devi risparmiare?”
“Vorrei partire. Vorrei trasferirmi. Ma non posso farlo senza una base economica solida”.
“E dove vorresti trasferirti?”
“Non lo so. Ma devo partire, trovare un lavoro . L’aria di casa è bella, mi fa rilassare, ma già sto soffocando. Non ho più una privacy: se uno vuole farsi i cazzi propri, non può farseli. Se uno vuole farsi una storia…”
“Ah ah ah…dì la verità: non scopi da una vita!!”
“Peggio..sto tornando vergine”…
Ridemmo un po’ e scherzammo. La tristezza legata alla mancata vittoria della partita era sparita e il silenzio era ormai spezzato.
“Mi fermo a comprare le sigarette. Hai un pezzo da 5 da prestare?” “Sì”. Gli prestai 5 euro e uscì a comprare le sigarette. Tornò, mi diede il resto e mise in moto. Qualche moneta cadde. “Aspetta, che la raccolgo io”, ma per raccoglierla avrei dovuto infilarmi tra le sue gambe. Lo feci in maniera del tutto naturale. Fu mentre mi rialzai che notai che si era tirato avanti sul sedile e dai pantaloni della tuta era lampante che non indossava gli slip. Di nuovo colse il mio sguardo.
Tornai a posto. Mancava solo qualche chilometro alla meta quando svoltò con la macchina, imboccando una strada di solito deserta. Era ormai sera e in quel viottolo non passava davvero nessuno. Spense la radio. Fermò la macchina. Scese il silenzio ed era imbarazzante.
“Cosa succede?” chiesi.
“Marco, smettila. Non fare il finto tonto. Cos’è che vuoi da me? Perché mi guardi sempre?”.
“Non penso che abbia bisogno di dirti che sono gay. E non penso nemmeno che debba ricordarti che sei un bel ragazzo. E i bei ragazzi li guardo. Ecco, tutto qua.”.
“Sai benissimo che non sono gay e mi imbarazzi”
“Guardare non è un peccato. Non penso di aver mai oltrepassato il limite”.
“Mi spiace che sia così, perché soffri..perché..”
“Perché?”
“Perché non possiamo lasciarci andare”
“Possiamo?”
“Toccami il cazzo… ora e mai più”.
Ero sconvolto ed eccitato. Presi a toccarlo. Sentivo dalla tuta che era ancora morbido…iniziai ad accarezzarlo ed evitavo di guardarlo. Questa volta l’idea di incrociare i suoi occhi mi metteva paura. Continuai a toccarlo, e con le mani entrai dentro i pantaloni. Sentivo il suo cazzo crescere e il suo respiro diventare più ritmato. Lo presi in mano ed iniziai a masturbarlo.
Aveva un bel cazzo. Più grande di quello che pensassi. Largo e peloso. Lo presi in bocca dopo poco. Con le labbra lo scappellai, e con la lingua iniziai a disegnare dei cerchi attorno alla sua cappella. Aveva un buon odore. L’odore di maschio. Mi disse “Spogliati”.
Mi spogliai e con la mano prese la mia testa e la tirò giù verso il cazzo. Iniziai a spomparlo per bene. Era ormai durissimo. Labbra e lingua, labbra e lingua. Mi disse “Sali su”. Ci ritrovammo faccia a faccia. Iniziò a baciarmi e a limonarmi duro. Mi abbracciò e iniziò a palparmi il culo. E con il dito iniziò a spingere sull’ano. Io avevo il cuore a mille. Stranamente sembrava che fosse gay da sempre: sicuro e duro. “Siediti sul mio cazzo” mi disse. E poggiai il mio sedere, attento a far combaciare il mio buco con la sua cappella. Con le mani mi strizzava i capezzoli, poi mi baciava e dopo iniziò a segarmi un pò. “Voglio scoparti ma non ho il preservativo”. “Sei sicuro di volerlo?” - “Sì” -“allora facciamolo”. Iniziò a penetrarmi a pelle. Con lentezza. Mi morsi le labbra quando lo sentii dentro e poi pian piano scesi col culo fino alla base del pene. Lo avevo tutto. Iniziò a scoparmi duro. Ci guardavamo negli occhi, i baci si confondevano con le carezze. Gli leccavo le labbra e le orecchie. Lui intanto aveva preso a sfondarmi. Spingeva forte e velocemente, schiaffeggiandomi il sedere.
Mi venne dentro, senza preavviso e sentii il suo seme caldo colare pian piano dal buchetto ormai dilatato. “Così lo ricorderai per sempre”, disse. Tornammo ai nostri posti, tutti e due stanchi e nudi. Restammo in silenzio per un pò. “Adesso è il tuo turno”, mi disse, “scopami anche tu” continuò.
Ero agitato... Non avevo mai penetrato un uomo. “Proprio con lui!!!Cazzo!” pensai. Non potevo tirarmi indietro. Gli chiesi di allargare le gambe. Se doveva essere la prima e l’ultima volta che ci incontravamo lo avrei fatto godere come nessuno mai.
Iniziai a leccargli il buco del culo. Le sue natiche erano rigide, il suo ano stretto. Con una mano lo segavo e con la bocca saziavo il suo culo. Lo sentivo fremere: era la prima volta che lo faceva e son sicuro che lo avrebbe ricordato. Gli dilatai il buco con le dita e dopo poche resistenze era pronto ad accogliere il mio cazzo. Entrai prima con la cappella e rimasi per un pò così, per abituarlo. Quando lo sentii rilassarsi del tutto, glielo infilai per bene. Gridò e i suoi muscoli si irrigidirono. “Continua, mi piace”, bisbigliò. Iniziai a scoparlo. Lo misi a pecora, la sua schiena era completamente inarcata, il suo sedere apertissimo. Gli passai le dita in bocca, le succhiava, e godeva. “Vienimi in bocca”, sussurrò.
Lo accontentai: la sua bocca fu inondata della mia sborra, le sue labbra sporche continuavano a cercare le mie palle e lui completamente in estasi.
Tornammo ai nostri posti, stanchi e sudati. Lui si pulì il viso per bene e si accese una sigaretta.
“Mi è piaciuto”, accennò. “Anche a me”, risposi e aggiunsi “E’ l’ultima volta vero?”. Lui fece gli ultimi due tiri, spense la sigaretta, mi guardò dritto negli occhi e disse: “Domani alle 22.00, ci vediamo qui”.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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