orge
Marta ed il suo coinquilino


09.05.2025 |
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"Intanto Ale mi trascinò verso di sé facendo fuoriuscire il cazzo di Paolo dal mio culo accompagnato da un rivolo di sperma e umori che colò fino si testicoli di Ale..."
Era ai tempi dell'università, avevo vent'anni e vivevo in un appartamento con una ragazza e Marco, che da sei mesi aveva la camera affianco alla mia.Un bel ragazzo, castano, occhi grigi, alto e fisico asciutto.
Mi divertivo a stuzzicarlo, girando per casa solo in perizoma o lasciando aperta la porta del bagno mentre facevo la doccia, ma soprattutto mi piaceva farmi sentire quando portavo a casa qualche ragazzo. Impazzivo al pensiero che lui ascoltasse tutto quello che succedeva nel mio letto.
Era arrivato luglio, gli esami erano finiti e a Roma il caldo era insopportabile.
Quella mattina entrai in cucina con l’asciugamano annodato così corto da lasciare intravedere il solco dove la pelle diventava più scura. Marco era lì, la schiena muscolosa contro il lavandino, la sigaretta accesa tra le dita.
«Hai lasciato il tuo trofeo in corridoio» disse indicando le mutandine di pizzo viola appese alla maniglia. Presi la sua sigaretta ancora accesa, aspirando il fumo che sapeva di notte insonne. «Dovevi solo bussare» sibilai, lasciando che la cenere cadesse nel suo caffè amaro.
Il mio corpo era una mappa di vergogne fresche: lividi a forma di dita sulle cosce, il rossore da barba incolta sul collo. Lo guardai fisso mentre versavo il caffè per l’ultimo sconosciuto della notte, la mano tremante che tradisce l’eccitazione di chi viene osservato.
Quando il ragazzo, di cui non ricordo il nome, se ne andò fu Marco a prendere l'iniziativa, invitandomi al mare per il giorno seguente. Accettai e subito iniziai i preparativi. Andai dalla mia estetista per una ceretta completa e già gli strappi di dolore diventavano brividi pensando alle mani di Marco al posto della tecnica indiana.
Poi comprai un micro bikini di pizzo bianco e dei sandali con zeppa di sughero e lacci di pelle viola, il pareo a rete me lo aveva regalato un ragazzo il mese precedente.
Tornai a casa e feci le prove davanti lo specchio a parete del bagno, stando sempre attenta che la porta fosse socchiusa.
Indossai il bikini che si fuse alla pelle come una seconda epidermide e salii sui sandali, ero perfetta.
I miei piccoli capezzoli neri risaltavano sul bianco delle maglie di pizzo così come il solco della mia farfallina era evidente attraverso il perizoma che a stento tratteneva le mie carnose labbra.
«Ti faccio impazzire, vero?» mormorai allo specchio del bagno, le dita che scivolavano sotto l’elastico mentre immaginavo la sua ombra dietro la porta.
Andai a letto rifiutando l'invito del commesso del negozio di costumi e aspettai la mattina.
Mi svegliai presto, doccia, olio ed ero pronta.
Marco mi aspettava in cucina con caffè e croissant, una veloce colazione ed eravamo in macchina.
Gli chiesi di fermarci in un bar alla moda per un altro caffè, ma in realtà volevo che vedesse gli altri che mi guardavano. Dieci minuti e poi via verso il litorale. Ed eccoci sdraiati al sole, lettini vicini ed io supina con le gambe appena aperte.
Chiesi a Marco di andare a prendere da bere.
Appena si allontanò, sfilai il top e mi girai. Il sole mi baciò le mammelle come una lingua esperta mentre il perizoma conteneva a fatica il gonfiore delle labbra.
Quando tornò mi alzai su un gomito e abbassai una gamba fuori dal lettino, sentii il perizoma cedere alla spinta delle mie labbra. Qualche sorso, due chiacchiere e poi «Serve olio» ordinai, stendendomi a pancia in giù. Sentii il suo respiro farsi più veloce prima ancora che le dita toccassero la schiena.
Le sue mani erano calde e morbide, le nocche che seguivano la colonna vertebrale come un coltello sulla pelle fino ad arrivare ai miei glutei e poi giù per tutte le cosce.
«Girati» sussurrò quando il costume ormai era solo un filo incastrato tra le natiche.
Il suo pollice tracciò un cerchio infinito attorno all’ombelico, scivolando sotto il pizzo come un ladro. «Stai giocando» accusò, mentre io mordevo la bottiglia di birra per non gemere. «Tu non conosci le regole» ansimai, sentendo l’olio colare lungo il solco del seno.
Cominciò un lento massaggio che mi lasciò con il perizoma avvolto nel mio bocciolo.
Poi però, come se nulla fosse si alzo e tornò al chiosco a parlare con dei ragazzi.
Perché non tornava da me?
Fumai una sigaretta, ma lui non tornava.
Allora decisi di raggiungerlo, «Ciao caro, mi presenti i tuoi amici?»
«Certo, loro sono Paolo e Alessandro, lei è Marta la mia coinquilina.»
Ci misi un po' a dare la mano a tutti, mi sedetti con loro e cominciammo a chiacchierare e bere, verso le 12:00 la birra cominciava a fare il suo effetto ed allora decisi di andare a fare un bagno, mi seguirono solo Paolo ed Alessandro.
Marco rimase al bar e ci disse di non fare tardi perché avrebbe prenotato il ristorante.
Il mare lambiva i miei fianchi e l’acqua salata aveva già reso il pizzo del bikini una seconda pelle trasparente. Paolo e Ale mi seguivano, gli sguardi incollati alle curve che il tessuto bagnato disegnava con complicità.
Sorrisi, lasciando che l’onda successiva ci separasse. L’acqua salata mi entrò nel perizoma come una carezza anonima, mentre i due ragazzi nuotavano verso di me come squali attratti dal sangue.
«Marco è il tuo ragazzo?» chiese Paolo, la voce rotta dalla corrente che ci spingeva l’uno contro l’altro. Afferrai il suo costume da bagno sotto la superficie: «Chiediglielo tu, quando ti presto il mio letto stasera». Ale rise, le dita che mi sollevavano pericolosamente contro la sua coscia dura. «Il gioco è cambiato» sussurrai, guardando Marco a riva che ci osservava stringendo il bicchiere quasi fino a romperlo.
Le onde ci spinsero l’uno contro l’altro come complici. Paolo mi afferrò la nuca, il sale delle sue labbra che si mescolava alla birra ancora sul mio respiro. Ale si insinuò dietro di me, il torso nudo che premette sulla schiena mentre le sue mani mi sollevavano i fianchi. «Respira» sussurrò prima che l’acqua ci inghiottisse, un bacio a tre corpi tra bolle e sospiri soffocati.
Emergemmo in sequenza: prima io con il costume strappato a metà seno, poi Paolo che si aggiustava i boxer aderenti, infine Ale con lo sguardo fiero di un predatore sazio. Marco ci aspettava sul lettino, l’asciugamano stretto in pugno. «Hai dimenticato di chiedere il bis» dissi scuotendo i capelli bagnati sul suo petto. Lui rispose afferrandomi i polsi, strofinando il tessuto ruvido tra le mie cosce con un movimento che non ammetteva errori.
Ale si avvicinò con un secondo telo. «La schiena è il mio territorio» annunciò, sfiorandomi le scapole con le labbra mentre asciugava. Paolo intanto mi legava i sandali, le dita che si intrattenevano sulla caviglia più del necessario. «Sembriamo un romanzo di Moravia» borbottò Marco, ma il tremito nella voce tradì la gelosia.
Il tragitto fu un corteggiamento collettivo: Ale che mi sussurrava promesse oscene ad ogni passo, Paolo che mi reggeva il pareo come uno scettro, Marco che camminava davanti a testa bassa, la schiena irrigidita dal desiderio represso. «Scegli chi ti siederà accanto» mi sfidò Ale all’ingresso. Afferrai il collo di Marco: «Lui guarda, voi agite».
Ci sedemmo io tra Paolo e Alessandro mentre Marco stava solo dall’altra parte del tavolo.
Incrociando le gambe iniziai a giocare con il nodo del mio perizoma fino a far scattare l’elastico del costume.
Il pareo di rete scivolò a terra come un’ammissione propio quando il cameriere arrivò con i nostri piatti. I suoi occhi si fermarono un secondo di troppo sul nodo slacciato del mio bikini, dove si intravedeva l’ombra rosa delle labbra. «Il suo piatto, signora» sussurrò, posando la porzione di astice con un tremito che fece tintinnare le posate.
Ale versò il vino rosso con un gesto teatrale, poi bagnò due dita e le porse alla mia bocca. Paolo, approfittando dell’ombra proiettata dal tavolo, infilò l’indice sotto l’elastico dello slip, tracciando un solco lungo l’inguine. «Dov’è finita la tua timidezza da spiaggia?» sussurrò, mentre il dito premeva un millimetro più in là del consentito.
Marco osservava mentre il suo coltello affilato squarciava l’astice con precisione chirurgica, gli occhi grigi che seguivano ogni movimento delle mani altrui sul mio corpo. «Assaggia» ordinò, porgendomi una forchetta carica di carne bianca intrisa di burro all’aglio. Quando le labbra si chiusero sull’argenteria, fece scivolare la posata lentamente, simulando un altro tipo di penetrazione.
Il pranzo si concluse con fragole intinte nello spumante, i nostri corpi sazi di cibo e tensioni irrisolte. Il cameriere, ormai complice, ci consegnò il conto con un biglietto sul quale aveva scritto un numero di telefono e la frase «per l’after». Marco strappò il foglietto con un ghigno, infilandolo nel mio costume: «Servirà per un altro gioco».
Dopo un po’ che eravamo in spiaggia Ale prese l’iniziativa. «Ho una piscina salata con vista pineta» sussurrò, la mano che mi sollevò il mento per assicurarsi che Paolo e Marco sentissero. «Voi due portate il vino. Lei verrà con me ora».
Ale guidava con una sola mano sul volante, l’altra impegnata a slacciare il mio top annodato. «Così impari a giocare con i camerieri» borbottò, mordendomi l’omero mentre superavamo un dosso. Fuori, il sole cocente trasformava l’asfalto in un miraggio, dentro di me il cocktail di alcol e desiderio ribolliva.
Paolo e Marco ci raggiunsero con bottiglie di rosso e cubetti di ghiaccio. «Dove vuoi che iniziamo?» chiese Paolo, posando il vino sul bordo piscina. Il mio bikini, ormai un accessorio simbolico, galleggiava nell’acqua come una bandiera di resa. Ale rispose al posto mio, slacciando i pantaloncini: «Da un bagno tutti insieme».
Ale e Paolo si scambiarono un sorriso complice prima di slacciare i pantaloncini con gesti teatrali, le mani che indugiarono sugli elastici per prolungare l’attesa. La luce dei faretti subacquei accarezzò i corpi mentre si spogliavano: Ale si liberò del costume con un colpo d’anca, Paolo invece lo arrotolò lentamente lungo le cosce, rivelando un’erezione già orgogliosa.
Io, intanto, galleggiavo al centro della piscina come una sirena in attesa «Vi siete fatti pregare» commenti afferrando il bordo con le dita dei piedi, i seni che sfioravano la superficie in un equilibrio volutamente precario.
Ale entrò per primo, un tuffo a coltello che sollevò onde artificiali fino a lambire il mio ventre. «Fredda?» chiese Paolo, calandosi invece a passo d’uomo lungo la scaletta, il membro che pulsava al ritmo delle gocce che gli scendevano sul petto. Non risposi e mi immersi fino alle labbra, lasciando che i capezzoli duri disegnassero scie sulla superficie.
«Adesso tocca a noi» disse Ale strappando l’attenzione di Paolo. I due ragazzi si fronteggiarono nell’acqua fino alla vita, i muscoli tesi per il gioco di potere. Approfittai del momento per scivolare tra loro, il corpo che diventava ponte e provocazione. «Chi per primo mi fa urlare, sceglie come proseguire» proposi, allungandomi sul dorso come un’offerta sacrificale. L’eco delle loro risate si perse nel clangore metallico di un secchio rovesciato a bordo piscina, dove Marco osservava immobile con un bicchiere di vino che non aveva ancora toccato.
Mi avvicinai a Marco salendo sul bordo della piscina con le cosce ancora umide, il corpo che gocciolava sul mosaico dove lui sedeva immobile. «Ti piace guardare, vero?» sussurrai chinandomi fino a sfiorargli le labbra col capezzolo. Lui non si mosse, ma le dita affondarono nel mio fianco lasciando lividi a forma di costellazione.
Ale raccolse i cubetti caduti dal cestello, ne fece scivolare uno lungo la mia schiena, il freddo trasformò il mio respiro in un sibilo. Quando il secondo cubo mi raggiunse la fessura tra le natiche, urlai.
Ale mi fece stendere sulla superficie ruvida, il cemento graffiava le scapole, ed iniziò a versare il vino rosso a filo sul mio collo. «Bevete» ordinò, Paolo iniziò a sorseggiare leccando con avidità. Marco finalmente si alzò, il ginocchio che divaricò le mie gambe con un colpo secco e versando il vino direttamente nel mio ombelico si chinò per sorseggiarlo con la lingua a punta.
«Adesso scegliete» ansimai, sollevando il bacino per strofinarmi contro il bordo della piscina.
Ale rise, infilando un cubetto di ghiaccio tra le labbra prima di baciarmi. Il freddo si sciolse in un fiume caldo che scese fino allo stomaco, mentre Marco finalmente slacciava i pantaloni con gesti da boia paziente per poi, però, tornare a sedersi su una poltrona.
Paolo mi sollevò a sedere sul bordo e si posizionò dietro di me mentre Ale guidava il mio viso tra le sue cosce. «Bevi anche qui» sussurrò, schiacciandomi la bocca contro un’erezione che pulsava prepotente. Marco osservava, il sigaro spento stretto tra i denti, mentre il mio corpo diventava un campo di battaglia di lingue, dita e denti. «Finito il preludio» annunciai alzando il bicchiere verso di lui.
Iniziai con Ale, la lingua che esplorava il frenulo con colpi delicati, il sapore salmastro del precum che si mescolava al mio rossetto smangiucchiato. «Più lenta» gemette lui, le dita intrecciate nei miei capelli senza spingere. Scivolai lungo l’asta con labbra umide, le mani che massaggiavano i testicoli come perle di vetro soffiato, ingoiandone uno alla volta con movimenti audaci e controllati.
Quando sentii le dita di Ale allentarsi, mi girai verso Paolo senza pulirmi la bocca. «Vuoi la stessa carezza?» sussurrai, accarezzandogli il glande con il mento ancora lucido di saliva. Lui rispose afferrandomi la nuca, guidandomi con una pressione che sapeva di sfida. Usai la tecnica del palato morbido, aprendo la gola per accogliere l’intera lunghezza mentre le dita gli strizzavano la base come un tubetto di vernice.
Versai un po’ di vino sul palmo della mano prima di avvolgere Paolo, unendo la fellatio a una masturbazione ritmata che seguiva i movimenti della mia bocca. Poi, senza soluzione di continuità, cominciai a passare da un cazzo all’altro, la schiena che sfiorava l’erezione di Ale mentre servivo Paolo con deep throat a occhi aperti.
Il primo fu Paolo, il suo cazzo pulsò tra le mie labbra come un secondo cuore, il sapore metallico del precum che annunciava l’arrivo dello sperma. Quando esplose, sentii i primi spruzzi caldi colpire il palato, il liquido denso che si mescolava alla mia saliva mentre contraevo intenzionalmente i muscoli della gola per amplificare le sue contrazioni. «Guarda come la riempio» ansimò Paolo, afferrandomi i capelli per costringermi a mantenere il contatto visivo mentre lo sperma colava dagli angoli della mia bocca.
Raccolsi il seme con la punta della lingua, formando un filo perlaceo che lasciai ricadere sul glande ancora sensibile. «Ti piace così?» sussurrai, le labbra che risucchiarono la miscela di saliva e sperma con un rumore umido. Ripetei il rituale tre volte – raccogliere e far colare – finché non ingoiati tutto in modo plateale stando attenta che tutti mi guardassero.
Ale trattenne l’eiaculazione afferrandomi per i capelli: «Voglio che Marco veda dove verrò». Mi sollevò di peso, appoggiandomi al bordo piscina con le gambe divaricate, la mia lingua che sostituiva la mia bocca sul suo membro ancora pulsante. «Adesso scegli» ringhiò Ale, «la gola o la figa?».
Scelsi senza parole: afferrandogli il cazzo, guidai la punta verso la bocca aperta, gli occhi che non lasciavano i suoi mentre preparavo la gola per un nuovo affondo.
L’eiaculazione fu un fiume caldo che bypassò la lingua, diretto all’esofago. «Ingoia tutto» ordinò Ale pizzicandomi i capezzoli, mentre io contraevo volontariamente l’ugola per accelerare il flusso. Quando si ritrasse, un rivolo bianco mi scappò dalla narice sinistra.
Afferrai il bicchiere di Marco con le dita ancora umide di sperma, il bordo del vetro accarezzò le labbra imbrattate di bianco. «Sa di te» mentii, lasciando che il vino mescolasse i sapori sulla lingua mentre lo trangugiavo a occhi chiusi, la gola che pulsava come dopo un orgasmo. Il rivolo rimasto sul mento lo raccolsi con un dito, offrendolo prima ad Ale poi a Paolo in un gioco di condivisione sacrilega.
«Rinfreschiamoci» proposi tuffandomi all’indietro, il corpo che squarciò l’acqua in un tonfo liberatorio. Ale mi raggiunse con un tuffo, le mani che mi sollevarono a galla per un bacio liquido dove il cloro si mescolava al retrogusto di seme. Paolo intanto nuotava intorno a noi, la lingua che intercettava i miei capezzoli ogni volta che affioravo per respirare.
Sotto la superficie, le regole cambiavano. Ale mi spinse contro il bordo, i polsi bloccati dalla sua presa mentre Paolo esplorava con la bocca il solco tra seno e ascella. «Respira quando ti dico io» ordinò Ale, catturando le mie labbra in un bacio alla francese che simulava il sesso orale, la lingua che penetrava le mie labbra.
Passai a Paolo con un morso al labbro inferiore, le dita che gli serrarono le natiche per avvicinarlo al mio bacino. «Ricominciamo da dove eravamo rimasti» sussurrai, accogliendo la sua lingua con movimenti a spirale che imitavano quelli pelvici. Ale intanto mi massaggiava la nuca, i muscoli addominali che sfioravano la mia schiena come un secondo partner.
Si immersero insieme lasciandomi per un attimo solo a guardare Marco che ci osservava da bordo piscina con un sorriso da regista soddisfatto. Quando riemersero i loro corpi erano mappe di desiderio riattivato.
Ale e Paolo si scambiarono un’occhiata complice prima di piombarmi addosso in un turbine di labbra, dita e morsi calibrati.
Ale e Paolo mi sollevarono dall’acqua come un’offerta sacrificale, le loro mani che scivolavano sulla mia pelle lucida e bagnata mentre mi adagiavano sul lettino accanto a Marco.
L’aria era carica dell’odore di desiderio e passione, il tessuto ruvido del lettino che graffiava la schiena in contrasto con la morbidezza delle loro lingue.
Paolo si posizionò sotto di me, le mani che divaricarono le natiche con un movimento esperto mentre Ale mi sollevava le cosce all’altezza delle sue spalle. «Prima il culo, poi il resto» sussurrò Ale, la punta del pene che cercava l’ingresso anale lubrificato dai miei umori e dalla sua saliva. Marco, nudo , seguiva ogni movimento con gli occhi grigi che riflettevano il nostro groviglio ed iniziò una lenta masturbazione.
Ale penetrò lentamente, le sue mani che mi tenevano i fianchi sollevati mentre Paolo, che si era spostato, guidava il mio viso verso il suo membro. «Respira con la pancia» borbottò Ale, sincronizzando le spinte con i movimenti della mia bocca su Paolo. La posizione ricordava la Daisy Chain dei manuali, ma reinventata in un ritmo più feroce, ogni gemito che diventava carburante per l’altro.
Quando Ale riversò in me la sua essenza, l’onda bollente che invase il mio retto si propagò alla gola, costringendo le labbra a una stretta famelica sul membro di Paolo. Lui rispose con un’ondata che ingoiai a occhi chiusi, le dita di Ale che continuavano a massaggiare il clitoride come per estrarre ogni ultima scossa. Marco intanto accelerò la masturbazione, il pollice che premeva sul frenulo con precisione da chirurgo.
Ma i due non avevano ancora finito, Paolo mi rovesciò a pancia in giù sul lettino, il viso schiacciato contro il tessuto ruvido mentre Ale allargava le mie gambe. «ora il doppio gioco» sussurrò Ale, lubrificando la figa con due dita intrise del suo stesso sperma rimasto dall’eiaculazione precedente.
Salii sopra a Paolo che introdusse il cazzo nella mia figa con un solo movimento, le dita che mi allargavano le natiche per agevolare l’ingresso. Ale attese che Paolo stabilizzasse il ritmo, poi infilò la punta nel culo, i due corpi che si sincronizzarono in spinte alternate per non sovrapporsi.
«Cambio» annunciò Paolo, estraendosi dal mio bocciolo. Ale mi sollevò a cavalcioni, guidando il mio bacino sul cazzo di Paolo che sparì completamente nel mio culo, mentre lui si infilò tra le labbra della mia figa.
Iniziai un lungo orgasmo che oscurò la mia vista ma sapevo che Marco mi stava guardando.
Intanto Ale mi trascinò verso di sé facendo fuoriuscire il cazzo di Paolo dal mio culo accompagnato da un rivolo di sperma e umori che colò fino si testicoli di Ale.
La posizione a sandwich invertito permise a Paolo di penetrare la figa dall’alto, il suo pene che sfiorava quello di Ale attraverso il setto vaginale. «Senti quanto siamo vicini» gemette Ale, aumentando l’angolo per massimizzare l’attrito interno.
Mi fecero inginocchiare sul bordo del lettino, il seno appoggiato alle ginocchia di Marco che continuava a masturbarsi. Paolo entrò nella figa da dietro, afferrandomi i capelli per controllare l’inclinazione del bacino, mentre Ale mi offriva il cazzo in bocca. «Eccezionale la tua coinquilina!!!» ridacchiò Paolo verso Marco, accelerando le spinte vaginali in contrasto con le leccate lente che dedicavo ad Ale.
Ale fu il primo a eiaculare, lo sperma che mi riempì la gola mentre contraevo volontariamente i muscoli vaginali per stimolare Paolo. Lui rispose con un’ondata che riempì la figa, il liquido caldo colò sulle mie cosce mentre Ale cominciò a massaggiarmi il clitoride. «Non muoverti» intimò Ale, infilando due dita nella figa impregnata per raccogliere lo sperma di Paolo e spalmarlo su tutta la mia figa per poi iniziare una profonda masturbazione che mi portò all’estremo del piacere con tutte le fibre del mio corpo che vibravano come corde di violino.
Mi girai, le gambe divaricate oltre il limite del lettino, la lingua che raccoglieva il miscuglio di fluidi dai loro corpi. Ale si inginocchiò per offrirmi il cazzo semi-floscio, ancora lucido dei miei succhi vaginali. «Pulisci» sussurrò, guidando la mia testa con una mano possessiva. Paolo intanto tracciò una croce di sperma sulla mia fronte, il gesto sacrilego che fece eccitare al massimo Marco.
Quando finalmente Marco raggiunse l’orgasmo, il suo sperma schizzò sul mio seno in archi perfetti. «Ora pulisco anche te» sghignazzai indicando le sue cosce, dove gocce bianche brillavano come perle sudaticce. Leccai ogni centimetro della sua pelle mentre Ale e Paolo applaudivano ironici.
Afferrai il bicchiere di Marco con le dita ancora appiccicose di sperma, il vino rosso che si tinse di bianco opalescente quando vi immersi le labbra. «Sa di te» sussurrai ad Ale, passando il bordo umido a Paolo che lo finì con un ghigno. Il miscuglio di tannini e sperma mi bruciò la gola, il retrogusto salato che si fissò sulle papille come un promemoria della notte.
Marco guidò in silenzio, la mano destra che occasionalmente sfiorava il mio ginocchio nudo sotto il pareo strappato. «Dormiamo» mentì quando mi accompagnò alla porta della mia stanza, il bacio sulla fronte che profumava di vino e fumo. Mi spogliai lasciando i vestiti in un mucchio fetido, il corpo coperto di croste bianche che luccicavano al chiaro di luna filtrato dalle persiane.
Mi svegliai con un nodo di capelli induriti dallo sperma secco, le ciglia appesantite da residui cristallizzati. In cucina, Marco mescolava caffè con la stessa precisione con cui aveva controllato i nostri corpi. «Ale e Paolo organizzano una cena stasera» annunciò senza alzare gli occhi, «serve la loro puttana personale».
Mi avvicinai al lavandino, lasciando che l’acqua fredda rinfrescasse i miei polsi. «Mi preparo» dissi sfregando deliberatamente il seno nudo contro la sua spalla, «ma tu mi aiuterai a lavare via solo ciò che non serve». Lui annuì, versando il caffè in due tazze.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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