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trans

Capocotta


di DanyeleTR
02.07.2025    |    25    |    0 8.0
"Quando l’ultimo venne sul mio viso lentamente, con un gemito profondo, mi lasciai andare sulla sabbia, come dopo una tempesta..."
Avevo ventotto anni, mi travestivo oramai da 8 anni.
Quel giorno decisi di andare al mare a Capocotta.
Ci ero stato da ragazzo, quando era ancora solo spiaggia libera, meta prediletta degli amanti della pelle nuda sotto il sole.
Chilometri di sabbia morbida, con dune che proteggevano la privacy dei naturisti.
Ci tornai perché alcuni amici mi avevano raccontato che tra quei sentieri, nascosti dalla vegetazione, avevano fatto incontri interessanti in cui era successo di tutto.
E a me piaceva l’idea che potesse succedere anche a me.
Così, quella mattina, dopo essermi depilata completamente, indossai il bikini fucsia, ovviamente perizoma, trucco deciso, pantaloncini trasparenti che lasciavano poco all’immaginazione.
Il mio corpo era un invito, e sapevo esattamente che tipo di attenzione volevo attirare.
Arrivata sul lungomare, parcheggiai la macchina.
Mentre attraversavo la strada, un clacson suonò.
Mi sentivo osservata, desiderata.
Un brivido mi attraversò la schiena.
Sorrisi al suonatore.
La cosa mi piaceva.
Mi infilai tra le dune da un buco nella rete, sculettando con la sicurezza di chi sa di essere guardata.
Il sole scaldava la pelle, il vento sollevava granelli di sabbia che mi pungevano le cosce nude.
Perlustrai il boschetto finché sentii delle voci.
Mi avvicinai, curiosa, senza far rumore, schermata da un cespuglio.
Davanti a me, due uomini, sulla sessantina, con i costumi calati, si toccavano con lentezza e complicità.
Le mani si muovevano esperte, abituate a quel gioco, e i loro sguardi si incrociavano sporchi di desiderio.
Si baciavano i maiali.
Mi eccitai all' istante.
Sentii il calore tra le gambe accendersi subito, come un interruttore.
Non feci in tempo a decidere se osservarli in silenzio o scappare via che mi videro.
Uno dei due, con la barba sfatta e il corpo segnato dal sole, mi fece un cenno, sicuro.
“Vieni qui,” disse.
Non c’era bisogno di altro.
Mi mossi lentamente verso di loro, e scavalcando un ramo mi rigirai apposta dando loro le spalle, e subito sentii gli occhi incollati sul mio culo.
Mi si fecero intorno con una fame che mi accese ancora di più.
Mi cominciarono a baciare il collo, la schiena, il petto. Le mani callose scivolarono subito sulle cosce, poi sui glutei, stringendoli, aprendoli, schiaffeggiandoli.
Il perizoma non serviva a nulla: lo spostarono senza nemmeno toglierlo.
Io, nel frattempo, affondai le mani tra le loro gambe, prendendoli entrambi.
Erano duri. Caldi. Vibranti.
Iniziai a masturbarli con calma, assaporando il potere di averli lì, completamente nelle mie mani.
Uno gemette, mentre l’altro infilava due dita decise nel mio culo.
Lì, in piedi, tra il sole e il vento, fui presa da una scarica di piacere violenta, primitiva.
Il primo venne subito impiastricciandomi la mano, mentre mi stringeva da dietro e mi mormorava oscenità.
L’altro mi rigirò con una naturalezza animalesca e mi appoggiò al ramo che avevo scavalcato, si inginocchiò dietro me e cominciò a leccarmi il buchetto affamato, come se avesse sete.
Intanto si masturbava e gemeva. Quando stette per venire, si alzo e lo fece sulle mie chiappe, ansimando.
Finito li ringraziai e mi allontanai da loro con le gambe ancora molli e il cuore in gola.
Ma sapevo che non era ancora finita.
No, non mi bastava.
Mentre mi allontanavo piano, ancora sporca del piacere appena vissuto, avvertii una presenza dietro di me.
Mi voltai con un mezzo sorriso e lo vidi.
Non era giovane. Avrà avuto una cinquantina d’anni, forse qualcosa di più. Capelli corti, brizzolati. Niente fisico scolpito: anzi, un po’ di pancia sotto la canottiera sudata, ma portata con un’aria così naturale, così padrona, che mi fece tremare le gambe.
Camminava come uno a cui il mondo non ha mai detto di no. E c’era qualcosa nei suoi occhi, uno sguardo lento, deciso, predatorio, che mi inchiodò sul posto.
Abbassai lo sguardo e vidi sotto il suo costume, il bozzo di in cazzo enorme e duro.
Si avvicinò senza parlare, mi afferrò con una mano ruvida e sicura e mi spinse verso un cespuglio.
Nessuna esitazione. Nessuna domanda. Solo una voce roca e bassa che mi sussurrò all’orecchio:
“Ti sei fatta quei due vecchi... Ma quanto sei troia, eh?”
Mi sentii bagnare di colpo.
Il cuore batteva forte, ma non di paura.
Era desiderio, puro, sporco, travolgente.
Mi mise in ginocchio, deciso, e si aprì i pantaloni. Lo tirò fuori. Enorme.
Non era solo grande, era massiccio, cicciotto, venoso, vivo.
E io lo guardai con un misto di fame e sudditanza.
Mi afferrò i capelli, mi spinse il cazzo sulla bocca e mi ordinò:
“Apri.”
E io aprii.
Senza un fiato.
Mi riempiva. Mi soffocava. Era rozzo, brutale, ma io lo volevo così.
Stavo sognando quando mi arrivo forte ed improvviso un ceffone sul viso.
Non forte ma chiaro.
“Non ti distrarre, troia, succhia bene.”
Ero in estasi.
Mi teneva per i capelli, e io ero lì, in ginocchio, mentre il suo corpo mi dominava con una calma feroce.
Ero sua.
Il suo cazzo premeva sulle mie labbra, sulle guance, sulla lingua.
Ed io succhiavo senza sosta, per paura di un altro ceffone.
Sentivo il suo odore, il sapore intimo e sporco di chi non si è preso il tempo di prepararsi.
Era autentico. Maschio.
E mi fece impazzire.
Mi sporcava con la sua presenza, e io lo volevo più di ogni altra cosa.
Volevo che mi possedesse, che mi usasse.
E lui lo capì al volo.
Mi puntò il cazzo verso la bocca aperta, la testa inclinata all’indietro, e sussurrò con tono basso e deciso:
“Non ti muovere.”
Cominciò a pisciarmi addosso.
Mi colò addosso lentamente, calore liquido, sfacciato, padronale.
E io non avevo la forza di reagire.. e neanche la voglia.
La accettai tutta, immobile, sottomessa al suo gesto.
Sentivo la mia pelle bruciare, ma non era vergogna.
Era fame. Desiderio. Sudditanza che si trasformava in piacere.
Mi afferrò di nuovo, senza una parola.
Ero in balia del suo volere.
Mi spinse giù, e mi rigirò, mettendomi a pecora. Le sue mani forti sulle anche. Sputò una volta, poi un’altra.
E senza esitazione puntò la cappella sul buco e mi penetrò.
Niente preparazione. Solo forza, pelle su pelle.
Mi sentii aprire tutta, afferrata e tenuta ferma mentre lui entrava dentro con lentezza cattiva, come per ricordarmi che ora era lui a decidere il ritmo, il tempo, la fine.
“Guarda come scivola dentro… sei nata per fartelo mettere così.” e giù uno schiaffone sulle chiappe.
Io gemevo a bocca aperta, incapace di dire una parola. Ogni colpo era una scossa. Il confine tra dolore e godimento si era dissolto.
I suoi colpi diventavano sempre più profondi, più violenti, e io lo lasciavo fare.
Sudata, sporca, usata ma mai stata così tanto viva.
Poi sentii il suo respiro farsi affannoso, tirò fuori il cazzo e mi rigirò teneromi la testa per i capelli.
Un’esplosione di calore sul viso.
Mi voltai appena in tempo per riceverlo.
Mi venne in faccia con tutta la sua forza, gli occhi chiusi, la bocca semiaperta.
Gli leccai la cappella sporca.
Mi leccai le labbra, ancora tremante. E fu in quel momento che mi accorsi che non eravamo più soli.
C’erano almeno una decina di uomini attorno a noi.
Erano comparsi uno alla volta, tra i cespugli e le dune, attirati dai miei gemiti, dall’odore del sesso, dalla vista della mia pelle lucida, bagnata di piscio e sborra, tutta aperta.
Stavano lì, in piedi, alcuni già con il cazzo in mano, altri che si avvicinavano lentamente, come animali affamati ma pazienti.
Che fare??
Fu lui a decidere per tutti!
"Sfondatela sta cagna!"
Il primo si inginocchiò davanti a me e mi offrì il suo cazzo in bocca.
Non disse nulla. Non serviva. Lo presi senza esitazione, mentre un altro mi si infilò dietro, spingendomi le gambe ancora più larghe e infilando il cazzo in culo senza chiedere permesso.
Piano piano si avvicinarono anche gli altri. I loro respiri si sovrapponevano, le mani ovunque, bocche, dita, corpi.
Non c’era più direzione, né controllo.
Solo piacere.
Mi scopavano a turno. In bocca, dietro, ovunque. I loro corpi si alternavano con una naturalezza primitiva, ognuno lasciando la propria traccia, ognuno prendendomi come voleva. E io li volevo tutti. Uno dopo l’altro.
Sentivo ogni schizzo sul ventre, sul viso, in gola, sulla schiena, sulle cosce.
La mia pelle era una tela viva, sporca, sacra.
E io lasciavo che mi usassero come volevano.
Non mi ero mai sentita così desiderata, così piena, così vera.
Quando l’ultimo venne sul mio viso lentamente, con un gemito profondo, mi lasciai andare sulla sabbia, come dopo una tempesta.
Il respiro corto, le gambe molli, il cuore che batteva ancora furioso nel petto. Il buco in fiamme.
Ero stata presa. Completamente.
E li avevo adorati tutti.
Rimasi lì ancora per qualche minuto, stesa sulla sabbia calda, con la pelle appiccicata dal sole, dal sudore, dalla sborra, dal piscio.
Il vento soffiava leggero tra le dune, portando con sé l’odore salmastro del mare e qualcosa di più animale, più profondo.
Mi sentivo svuotata e colma allo stesso tempo. Come se tutto il mio corpo fosse diventato una preghiera carnale, esaudita.
Mi alzai piano, le gambe ancora incerte, il bikini appeso a un braccio come un trofeo inutile.
I miei passi lasciavano impronte leggere sulla sabbia, mentre mi incamminavo verso la rete da cui ero entrata prima.
Un’ultima occhiata alle dune.
Alcuni uomini erano ancora lì, sparsi come statue tra la vegetazione, esausti, silenziosi.
Non servivano parole.
Non c’era niente da spiegare.
Salii in macchina col corpo sporco, i capelli scompigliati, la bocca ancora umida.
Ero satura, viva, segnata.
Ma non pentita.
Non era stato solo sesso.
Era stato un rito. Una liberazione.
E sapevo che ci sarei tornata.
E ci tornai.
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