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MUTANDINE ALL' "ASTA"


di La_Lilla
29.05.2025    |    3.480    |    14 9.6
"“Infilali pure nella borsetta”, gli ho detto, “mentre indosso le mutandine sborrate”..."
Era tarda sera ormai ed ero riuscita a prendere l’ultimo treno per un soffio: perso quello avrei dovuto tornare a casa in taxi e la cosa mi seccava perché non volevo spendere cinquanta euro di tariffa.
Ho preso posto nello scompartimento deserto e, come faccio sempre quando sono in treno, ho tirato fuori un libro dalla mia borsa e mi sono messa a leggere.
Alla seconda fermata (era un treno regionale, purtroppo) sono salite due persone: una ragazza, che però ha attraversato tutta la carrozza senza fermarsi e un ragazzo, sui quarant’anni, alto e robusto che, appena mi ha vista, si è accomodato giusto davanti a me, dopo avermi salutata. Saluto che ho contraccambiato per cortesia.
Ammetto che lì per lì la cosa mi aveva infastidito: con tutto il vagone libero, proprio davanti a me doveva sedersi, quello? Ma ho lasciato perdere e ho continuato con la mia lettura, quando, a un tratto, ho sentito:
“Scommetto che non ce le hai”.
Ho abbassato il libro e ho guardato il tipo.
“Prego?”, ho detto.
“Le mutandine. Scommetto che non le indossi”, ha detto lui.
Ero seduta con le gambe accavallate. Leggo sempre così, con una gamba sopra l’altra. Indossavo una minigonna molto corta, niente calze e dei zoccoletti ai piedi. Sopra, una camicetta bianca.
“Be’”, gli ho risposto, “mi sa che hai appena perso la scommessa”.
A quel punto lui ha riso di gusto e poi ha continuato:
“Voglio le prove”.
“Non se ne parla”, ho ribattuto io piccata e appoggiando il libro sul sedile affianco.
“Se me le mostri, ti do cinquanta euro, okay?”, ha insistito lui.
“Non sono in vendita”, ho detto io.
“Non voglio mica comprarle”, ha fatto lui. “Solo vederle”.
“IO”, ho sottolineato, “non-sono-in-vendita. Non le mutandine. Che hai capito”.
“Facciamo cento. Tutto ha un prezzo”.
Certo, cento euro mi avrebbero fatto comodo, soprattutto in quel periodaccio. Dopotutto si trattava soltanto di mostrare delle mutandine a uno sconosciuto.
“Hai vinto”, ho ceduto.
“Bene”, ha detto lui, sfilandosi di tasca il portafoglio ed estraendo due pezzi da cinquanta.
Mentre me li passava, ho buttato l’occhio sulla sua patta: il rigonfiamento era ben evidente.
“Eccoli, prendili”, porgendomeli.
Ho preso i soldi e li ho infilati velocemente nella borsetta. Poi ho scavallato le gambe e ho cominciato ad aprirle lentamente.
“Brava, così. Mostramele”, mi ha incitato lui.
Non appena ero a gambe aperte, lui ha abbassato la cerniera dei pantaloni e ha tirato fuori il cazzo.
“Che fai”, gli ho detto io, “e se passa qualcuno?”.
“Ah, ci metterò un attimo”, ha detto lui, segandosi velocemente e tenendo sempre lo sguardo fisso in mezzo alle mie gambe.
“Senti”, mi ha detto a quel punto, “per altri cinquanta, te le sfileresti e me le daresti?”.
Ci ho pensato un attimo. Ma ero troppo eccitata, in quel momento, per rifiutare quei soldi. La vista del suo cazzo, duro e violaceo, mi aveva infoiata. Così mi sono alzata in piedi, ho infilato le mani sotto la gonna, e ho abbassato le mutandine di pizzo bianco fino alle caviglie. Poi mi sono seduta, e le ho sfilate sotto i piedi.
“Tutte tue”, ho detto.
Lui le ha prese in mano e se le è portate al naso.
“Sapevo... Quell’inconfondibile odore di troia”, ha detto, annusandole.
Poi le ha messe nel pugno della sua mano e con le mutandine nel pugno ha continuato a segarsi. Vedere quella scena mi aveva fatto sbrodolare, lo ammetto.
Tempo un minuto e se ne è venuto nelle mie mutandine, sborrandole tutte.
“Fantastico”, ha detto, pulendosi bene il cazzo con quelle.
“Sei proprio un maiale, lasciatelo dire”, ho aggiunto io.
“Lo so”, ha detto lui. “E ora toh, rimettile. Voglio che tu torni a casa con la mia sborra addosso, puttana”.
Come ho detto io ero veramente eccitata fuori misura. Il fatto di essere pagata per questo servizio, poi, aveva aumentato il mio livello di troiaggine.
“Per altri cinquanta, lo faccio”.
“Ma sentila”, ha detto lui, “quella che un attimo fa diceva di non essere in vendita!”.
“A tutto c’è un prezzo”, ho controbattuto io.
“Giusto”.
Ha preso il portafoglio e ha tirato fuori altri due pezzi da cinquanta, quelli promessi per la sfilata delle mutandine e quelli richiesti da me per indossarle sborrate.
“Infilali pure nella borsetta”, gli ho detto, “mentre indosso le mutandine sborrate”.
Mentre li infilava nella borsetta, sotto il mio sguardo attento, da seduta ho cominciato a rimettermi le mutandine. Erano davvero ben inzaccherate di sborra. Completamente. Mentre le tiravo su lungo in fianchi sentivo quella strana contrastante sensazione di bagnato e di fresco, anche se la sborra era calda.
Una volta indossate, con la pisella tutta impiastricciata della sborra, lui si è alzato in piedi proprio mentre il treno cominciava a frenare.
“Be’, mi sa che è la mia fermata”, ha detto.
“Buona serata, allora”, ho detto io.
E subito dopo lui mi ha risposto pronunciando quella dolce parola che solo una maiala come me può trovare eccitante.
“Troia”.
Poi è sceso. Quando il treno è ripartito l’ho visto abbracciare una ragazza. Chissà, mi sono detta, se dà della troia anche a lei, ma ne dubito.
E mi sono messa a ridere da sola.
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