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La trepidazione, l’attesa e l’avventura


di amoreandrogino
28.09.2015    |    6.232    |    2 8.8
"Io avevo abbassato lo sguardo con trepidazione e per paura che mio padre si potesse svegliare, ma quell’uomo sembrava non preoccuparsi di nulla se non di..."
Da tempo sentivo l’esigenza di un’avventura diversa rispetto alla normale vita che facevo all’Aquila, sebbene quella vita fosse abbastanza gratificante e, rispetto ad altre piccole città, era piena di occasioni che riuscivo quasi sempre a cogliere con soddisfazione. Anche dopo il terremoto del 2009. Certo, non tutto era positivo, soprattutto se penso ai miei compagni di scuola che mi facevano scherzi pesanti o alla gente che mi dava del frocio per strada. Che brutto epiteto, “frocio”, quando lo dicono con disprezzo, come un’ingiuria, quasi che tu valga meno di loro, umanamente e moralmente, e questo solo perché, invece di andare con le donne ti piacciono i ragazzi e, soprattutto, ti attirano gli uomini di una certa età in giacca e cravatta che sanno anche parlare, conversare, capire.
Ma all’Aquila, per fortuna, non ci sono solo gli aquilani ma anche l’Università, e ci sono tanti studenti universitari e professori che vengono da fuori e arricchiscono culturalmente il suo tessuto urbano. Il sabato sera, poi, c’è una famosa discoteca che attira molti teen-ager dalla provincia, prevalentemente maschietti carini che vengono per rimorchiare le studentesse fuori sede e a fine serata, quando verso le due di notte non hanno concluso nulla, si accorgono di me che ho ballato da sola per tutta la sera; quasi sempre succede che qualche bel maschietto mi regala quello che avrebbe voluto dare a una ragazza, costatando poi che io sono molto più femmina di quelle sgallettate che se la tirano tanto solo perché hanno le tette. Ragazze che non sanno nemmeno fare i bocchini con l’ingoio!
Non mi manca niente, quindi, per sentirmi realizzata, a parte il fatto di dover nascondere la mia vera natura in famiglia, soprattutto perché i miei genitori sono molto anziani e non potrebbero capire le mie scelte di vita: devo tenere i trucchi e le altre mie cose da femmina in tre scatoli di scarpe che nascondo sopra un armadio, in modo da poterli prendere salendo su una sedia e quando vado in discoteca non posso uscire di casa già vestita e truccata, come vorrei, da mignotta!
Oggi ho compiuto diciott’anni, sono maggiorenne!, ma ho capito che non è cambiato nulla: la libertà si conquista con l’autonomia e non con un semplice passaggio anagrafico. Roma! Potessi vivere a Roma e uscire di casa con la minigonna o i jeans a fior di culo per mettere in evidenza il mi mandolino accogliente, andando in giro con le labbra rosse che, senza parlare, dicono esplicitamente la gran voglia di succhiare il cazzo!
Qualche giorno fa, mentre stavo alla stazione ad aspettare un mio zio che doveva arrivare col treno, ovviamente in ritardo, ho conosciuto un docente di sociologia che era venuto all’Università per una conferenza sulle relazioni urbane nelle aree sconvolte da un terremoto, e ora stava per ripartire per Roma. È stato un incontro casuale, non ricordo nemmeno se mi sono avvicinato io a lui che prendeva un caffè seduto o si era avvicinato lui a me, ma ricordo perfettamente che, allo stesso tavolino abbiamo parlato di cose molto interessanti. Io gli avevo chiesto come mai prendesse il treno per Roma e non l’autobus che impiega la metà del tempo e lui mi aveva candidamente confidato che in autobus soffriva di claustrofobia e poi, in treno, poteva leggere comodamente i suoi libri. Ci davamo del lei, ma ho capito che quel Prof era un tipo in gamba, a parte la claustrofobia, quando mi spiegò il significato di “avventura” che non è solo una scappatella, ma una parentesi della nostra vita in cui mettiamo il nostro desiderio di “futuro”.
“Ad ventura” - mi aveva spiegato – viene dal latino e significa ciò che deve avvenire, o che vorremmo che avvenisse!”
Poi abbiamo parlato anche d’altro e mi sono accorto che lui si era molto incuriosito quando gli avevo detto, senza mezzi termini, che ero gay e mi piacevano gli uomini. “Soprattutto – avevo aggiunto – gli uomini eleganti di una certa età”. (Che grandissima sfacciata, stavo quasi per dire che mi piacevano i Prof di sociologia!).
“È bello costatare che in una città così piccola, meno di centomila abitanti, vi sia la possibilità di esprimere liberamente se stessi!” aveva commentato lui, senza scomporsi minimamente, ma io gli avevo spiegato che le cose non stavano proprio così e che, se avevo potuto fare quella dichiarazione, era solo perché lui non era un aquilano. Conversammo ancora per un po’ e quando arrivò il suo treno, prima di salire sul predellino mi porse il suo biglietto da visita dicendomi: “Mi chiami a uno di questi numeri di telefono o mi venga a trovare a Roma, all’Università!”. Non aveva aggiunto alcuna motivazione per quella specie di invito e io rimasi di stucco mentre la portiera si chiudeva e il treno ripartiva con un lungo fischio.
Tornato a casa con mio zio (che si sarebbe fermato qualche giorno da noi, sistemandosi nella mia stanza dove avevo le mie cose sull’armadio - fanculo!) - e costringendomi a dormire sul divano) ripensai non solo a quello strano invito di andare a Roma, ma anche a quello che mi aveva detto riguardo all’avventura. Aprire e chiudere una parentesi nella mia routine di ogni giorno, dunque, all’interno della quale sperimentare, brevemente ma intensamente, qualcosa che mi faccia capire quale potrebbe essere il mio futuro. Una vita straordinaria che non sarà mai come il mio è presente ordinario.
Quando lo zio ripartì e io ripresi possesso della mia stanza, pensai subito che quella sera mi sarei potuta dare un po’ di fard sulle guance e il mascara per allungare le ciglia per uscire all’avventura; non avrei potuto laccarmi le unghie e mettere il rossetto alle labbra o indossare una minigonna, ma era almeno qualcosa! Ma cosa? Se andava bene, un rapido rapporto sessuale con uno sconosciuto lungo la strada che portava al Gran Sasso, dove sarei andata a starmene seminascosta nel buio e nel silenzio con la paura di essere vista da qualcuno di Sulmona che mi poteva riconoscere!
Un rapido rapporto sessuale: piacere con poca allegria e, certamente, senza gioia. Poi, mentre mi stavo dando un leggerissimo velo di fard mi venne davanti agli occhi l’immagine di un treno che partiva sferragliando e si allontanava sbuffando nuvole di fumo: un’immagine assurda, una locomotiva a vapore che non avevo mai visto in vita mia se non a cinema, un’immagine nostalgica, malinconica, di partenza e di abbandono.
Eppure la partenza non dovrebbe essere mai un abbandono, ma l’avventura da cui ritornare con qualcosa in più nella mente e nel cuore! Partire non è allontanarsi da qualcosa ma avvicinarsi all’altrove! Partire, prima del tempo dei rimpianti, prima che sia troppo tardi per vivere l’avventura. La mattina dopo telefonai al prof di Sociologia: lui mi riconfermò l’invito e mi disse che saremmo potuti stare insieme, se a me faceva piacere, un’intera giornata!
Era giunto il giorno della partenza per Roma, la Capitale: ai miei avevo detto che sarei rientrato (con loro non potevo usare la desinenza femminile!) la sera tardi con l’ultimo treno ed essi, già stupiti del fatto che non andavo con l’autobus, mi chiesero perché mi portavo dietro uno zaino pieno di robe. Non so cosa m’inventai, accennai a certi libri perché non potevo mica dir loro che c’erano le mie robe da femminuccia, sia quelle che avevo negli scatoli sull’armadio, sia quelle nuove che avevo comprato apposta nei giorni precedenti, ovviamente non all’Aquila ma a Pescara: un perizoma rosso, un paio di sandali con il tacco, calze a rete, una minigonna aperta davanti come un kilt e una camicetta trasparente a fiori. Per il treno, mi giustificai dicendo che dovevo scrivere una tesina per la scuola, ma la verità era che volevo essere più libera nei movimenti e potermi cambiare nella toilette: sarei salita, o meglio salito sulla Frecciabianca da maschietto ma, all’arrivo a Roma, volevo essere una perfetta ragazza che nessuno poteva chiamare frocio per la strada.
Poco dopo la partenza, infatti, mi cambiai completamente: indossai le calze a rete che nascondevano la leggera peluria delle mie gambe, la camicetta trasparente e il kilt, fermando i lembi con lo spillone dorato col fregio di bambù. Mi spazzolai i capelli, un po’ lunghi per la mia versione maschile ma perfetti per quella femminile, e mi truccai leggermente per sembrare una studentessa ingenua, anche se la delicatezza dei miei lineamenti confliggeva con i sandali da mignotta che avevo messo ai piedi. Meglio così: doveva esserci qualcosa di ambiguo nel mio look, per sconcertare quelli che mi avrebbero osservato. Subito dopo andai a sistemarmi in un vagone diverso da quello in cui avevo preso posto alla partenza perché ora sentivo di poter dire di essermi “sistemata” e non “seduto”. E trepidai di emozione quando vidi lo sguardo ammirato di due signori di una certa età che già stavano nello scompartimento, parlando tranquillamente tra loro e che, al mio arrivo, erano rimasti per qualche secondo senza parole. Rimasi in silenzio anch’io fingendo di leggere un libro che tirai fuori dallo zaino, ma guardandoli di sottecchi e immaginandomi quello che mi avrebbero voluto fare.
La trepidazione, l’ansia di arrivare a destinazione (il destino?), la provocazione: questa fu la vera gioia, certamente più forte di quella che avrebbe potuto darmi un normale rapporto sessuale. Molto di più anche rispetto a quello che sarebbe successo concretamente a Roma, perché era il viaggio, il viaggio verso l’ignoto, lo spostamento nello spazio e quasi nel tempo che dava slancio e sapore alla mia avventura!
Provai ad accavallare le gambe ma notai che il lembo superiore del kilt si torceva e allora, uscendo fuori del compartimento come volessi osservare il panorama dal finestrino del corridoio, senza farmene accorgere sganciai lo spillone e lo richiusi solo sul lembo esterno senza fermarlo alla parte di sotto Quando andai a sedere, mi sentivo molto più libera e vidi che le mie cosce si scoprivano ogni volta che muovevo le gambe. Notai che il passeggero di fronte a me trasalì quando intravide il perizoma rosso che certamente poteva scorgere dal suo angolo visuale. Ed ebbi poi un improvviso lampo di eccitazione quando costatai che, rispondendo al suo amico che gli chiedeva qualcosa, mostrò un evidente imbarazzo, deglutendo per l’emozione. Mi immaginai che avrebbe deglutito nello stesso modo se avesse potuto leccarmelo, il perizoma rosso, proprio in quel punto lì!
Alla stazione successiva salirono altre persone e il nostro scompartimento si riempì completamente, ma a me rimase impresso quello sguardo che si era bagnato appoggiandosi sulle mie cosce scoperte e sul mio perizoma in bella mostra. Non mi ero esibita casualmente: era stato un gesto intenzionale, ero io che glielo lo avevo messo davanti agli occhi, quasi come era successo anche a me, tanti anni prima.
Avevo circa nove anni allora e tutti mi dicevano che ero un bel bambino vispo senza sapere che mi sentivo già una femminuccia. Ricordo che stavo in treno con mio padre e, mentre lui era uscito dallo scompartimento per andare in bagno, un altro viaggiatore in giacca e cravatta, seduto di fronte a me, e che mi aveva guardato per tutto il tempo in modo strano, lo tirò fuori furtivamente per farmelo vedere. Poi, quando più tardi mio padre si appisolò inclinando la testa sul petto, quel signore elegante lo esibì ancora, menandoselo lentamente, su e giù, e guardandomi diritto negli occhi. Io avevo abbassato lo sguardo con trepidazione e per paura che mio padre si potesse svegliare, ma quell’uomo sembrava non preoccuparsi di nulla se non di farmelo vedere, e dopo un po’ mi prese la manina per farselo toccare! Alla trepidazione e alla paura si unì allora un piacere sconosciuto, mentre stringevo quel membro che mi sembrava enorme, bellissimo. Non lo vidi venire perché, quando stava per godere, lo rinfilò repentino negli slip come per nasconderlo ma, cosa che capii solo dopo qualche tempo, per evitare che lo sperma schizzasse sui sedili o sui miei pantaloncini. Ricordandomi di quella mia esperienza acerba e quasi rinnovandosi in me quel piacere che avevo provato, ora volevo regalare lo stesso piacere, e lo stesso imbarazzo, a quella persona sconosciuta che avevo davanti a me, nel treno che mi portava all’avventura. Tante altre volte mi ero eccitata mostrando le mie cosce scoperte, ma in quel momento volevo offrire, allo sconosciuto, soprattutto la vista del rigonfiamento del mio perizoma, nella convinzione che la sua voglia di accarezzarmi le cosce non sarebbe venuta meno sentendo poi sotto le dita una cosa diversa da ciò che si aspettava. Non volevo sedurre un maschio, come facevo spesso appizzando il culetto, per prenderlo, ma volevo solo “sor-prendere”, esibendo il mio sesso! Il piacere era solo nell’esibizione.
Quel viaggio in treno fu bellissimo: l’orgoglio di essere una femmina che andava a Roma per conquistare una persona importante, l’attesa per quello che sarebbe avvenuto ma soprattutto il senso sfida che provai per tutto il tragitto, quell’emozione che era molto più entusiasmante di ciò che avrei vissuto realmente, avevano reso unico e irripetibile il mio viaggio, proprio perché, come un’avventura, era stato accompagnato dall’ansia, dall’attesa e dalla trepidazione.

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