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Sui Pinenei


di reveur
27.11.2018    |    8.530    |    3 8.6
"“Anche se scopro di te attitudini di cui mai ho sospettato l’esistenza..."
Gli ultimi bagliori del sole di un freddo pomeriggio d’autunno si stavano spegnendo dietro le cime delle alte montagne dei Pirenei.
François guidava lentamente, anche se gli mancavano ancora 40 km per raggiungere l’albergo. Aveva poca voglia di arrivare molto prima di cena perchè non avrebbe saputo come impiegare il tempo, in quella piccola cittadina frontaliera, che di sera era quasi sempre deserta. Non era la prima volta che vi si recava per motivi di lavoro, quindi sapeva che lì le serate erano una vera e propria agonia.
D’altronde la guida lenta conciliava i suoi pensieri pregni di ricordi dolorosi, di nostalgia, di solitudine: da quando la moglie lo aveva lasciato, quasi un anno prima, non era più lo stesso; aveva perso la sua allegria, la sua capacità di relazionarsi con gli altri e soprattutto con le donne.
Poco prima aveva lasciato addirittura la statale, per il gusto di variare il percorso, ad aveva imboccato una stradina secondaria. Ben presto però si rese conto che non era stata un’idea molto felice… Infatti si ritrovò a percorrere una straducola stretta ed accidentata, piena di buche e di curve insidiose. Per altro non c’era anima viva: nessun distributore di benzina o centro abitato interrompeva la sequela continua di alberi e costoni rocciosi e solo di tanto in tanto s’intravedeva qualche rara fattoria.
Sarebbe stato un bel guaio rimanere in panne su quella strada, pensò François, ma il suo pensiero a dir poco premonitore non riuscì a completarsi perché in una curva ceca una mandria di mucche gli si parò innanzi all’auto… Con una brusca sterzata riuscì ad evitare l’impatto con la mucca più vicina, ma non con l’albero al lato della strada. Lo schianto fu disastroso, la zuccata contro il parabrezza dolorosa…
L’uomo restò immobile ed incredulo per alcuni minuti, per riprendersi dallo stordimento e dallo spavento, mentre dalla fronte il sangue gli colava sul viso e sul collo imbrattandogli la camicia.
Le mucche lo stavano a guardare con aria di disapprovazione e sembravano dirgli: “Scemo! Cosa combini?....”
“Maledette bastarde…..” impreca il giovane e giù una serie nutrita di considerazioni poco onorevoli a proposito delle escrescenze che ornavano i capi delle imperturbabili mucche.
François scese dall’auto per constatare i danni: parabrezza in frantumi, un’accentuata rientranza del cofano in corrispondenza del tronco dell’albero e vapor acqueo che fuoriusciva dal radiatore, tutti segnali che la dicevano lunga sulla gravità dei danni. Rientrò in auto e provò a mettere in moto: nulla... Provò a chiamare in albergo per farsi mandare un carro attrezzo, ma non c’era campo. Era praticamente isolato, tra i Pirenei, mentre stava facendo buio, su una stradina dimenticata da Dio e dagli uomini. C’era da stare poco allegri.
Senza ulteriori indugi François chiuse l’auto e si avviò a piedi sperando che sopraggiungesse qualche auto a cui chiedere un passaggio, ma non ci credeva molto perché da quando aveva imboccato la deviazione non ne aveva più incrociato alcuna.
“Se ci sono delle stramaledette mucche dev’esserci pure una fattoria…..”, si diceva ottimista il giovane.
Man mano che procedeva, iniziò a fargli male la caviglia. Il dolore, dopo alcuni chilometri, divenne atroce, rendendo arduo il suo procedere, ma non poteva fermarsi, il buio lo stava sempre più avvolgendo in un’inquietante e ferale coltre di ombre.
Dopo più di un’ora di cammino vide in lontananza le luci di una fattoria filtrare attraverso la fitta boscaglia. Tirò un sospiro di sollievo…
Poco dopo però, mentre si apprestava al cancello della fattoria, un’orda di cani inferociti lo accolse in malo modo.
“Oddio, che faccio adesso?” si chiese allarmato, mentre cercava con gli occhi una via di scampo, un rifugio o un albero su cui arrampicarsi e contemporaneamente prese a gridare aiuto con quanto fiato aveva in gola.
Subito dopo s’udì una voce femminile richiamare con autorità i cani che, come d’incanto, si acquietarono.
“Chi è là? Cosa volete?” chiese poi la donna con tono perentorio, avvicinandosi al cancello con in braccio un fucile.
“Aiutatemi per favore ho avuto un brutto incidenti con l’auto, sono ferito ….”
“Perché non chiamate il pronto soccorso e un carro attrezzo, invece di aggirarvi nella notte come un malfattore, a rischio di prendervi una fucilata” obiettò minacciosa la donna.
“Non c’è campo! Il mio cellulare non prende.”
“Ah, già, dimenticavo che in questa zona i cellulari non valgono un gran che” borbotto la donna e subito dopo con voce alta e risoluta: “Avvicinatevi! Fatevi vedere!”.
Il giovane pur con qualche timore e cautela si avvicinò zoppicante alla donna che, sicuramente, al primo segnale di pericolo, avrebbe fatto uso del fucile che stringeva nervosamente tra le mani.
La donna verificò che il giovane aveva effettivamente una ferita sanguinante alla fronte per cui mise da parte i timori, aprì il cancello e lo invitò in casa.
Dopo avergli medicato la ferita alla fronte ed applicata una fasciatura alla caviglia gonfia, la donna sottopose il giovane ad un rigoroso esame obiettivo, con tanto di manovre diagnostiche, per verificare eventuali fratture o altre patologie che avrebbero richiesto il ricovero immediato in ospedale.
La donna intuì la perplessità dell’uomo e lo tranquillizzò dicendogli: “State tranquillo! Date le circostanze non poteva capitarvi di meglio, perché sono un medico e lavoro al pronto soccorso dell’ospedale di L….., siete quindi in buone mani.”.
Finita la sua ricognizione medica la donna concluse dicendogli: ”Non ci sono problemi tali da richiedere il vostro ricovero in ospedale. D’altronde l’intervento di un’ambulanza di notte, a tanti chilometri di distanza dalla città, avviene solo in situazioni di una certa gravità, cosa che nel vostro caso escludo categoricamente. Ora, però, preoccupiamoci dell’auto.”
Ma nessun carro attrezzo fu disponibile a fare un recupero su quella stradina, a quell’ora della sera ed a quella distanza.
Il giovane in tutto quel tempo non aveva profferito parola, mentre aveva seguito tutte le manovre professionali della donna ed osservato con attenzione il suo viso e l’aspetto in generale: corporatura regolare, tonica, come chi è abituato a frequentare assiduamente la palestra, ma nel caso di quella donna, evidentemente, era dovuto anche ai lavori manuali che faceva nella fattoria; capelli lisci, castano chiaro, tendenti al biondo, che gli scendevano fin alla base del collo; bocca grande con labbra carnose, di quelle che fanno fare cattivi pensieri a gran parte degli uomini francesi; età oltre la cinquantina; gli occhi anch’essi castano, ma profondamente tristi, cosa che, aggiunta alla voce sommessa ed un tantino roca, stava ad indicare uno stato di profondo malessere.
François di sofferenze di un certo tipo ne sapeva qualcosa, per questo si predispose verso la donna come verso un compagno di sventura, trattandola con molto garbo e sensibilità.
“Bene! A quanto pare non ho altra scelta: sono obbligata ad ospitarvi, perché è evidente che non siete in condizioni di cercarvi qualsiasi altra sistemazione, ne ho alcuna voglia di accompagnarvi, a quest’ora, da qualsiasi parte” disse ad un certo punto la donna con una nota di forzata ironia e senza nascondere lo scarso entusiasmo ad avere un estraneo tra i piedi.
François se n’avvide per cui si alzò e si diresse senza tanta convinzione verso la porta dicendole:
“Madame, intuisco che non desideriate avere estranei tra i piedi e vi comprendo, per cui tolgo il disturbo e riprendo il mio cammino per cercare nel buio della notte un’improbabile sistemazione… Vi ringrazio comunque di esservi presa cura di me.”
“Accidenti, no! Vi prego ignorate le mie parole. L’amarezza offusca la mia mente e la mia sensibilità, oltre che il mio senso etico. Vi prego di credere che non sono così insensibile, ma in questo periodo molti problemi gravano sul mio animo facendomi assumere comportamenti riprovevoli. Restate vi prego… Mi sentirei terribilmente in colpa pensarvi a gironzolare lì fuori, di notte e con la caviglia in quelle condizioni” e nel dire ciò la donna allungò il braccio e posò la mano sul braccio dell’uomo, per sottolineare il suo rammarico per essersi dimostrata così astiosa.
“Credetemi, vi affrancherei ben volentieri della mia scomoda ed indesiderata presenza, ma non ho alternative, non sono in grado di camminare… Vi prometto però che farò di tutto per non farvi avvertire la mia indesiderata presenza …..”
Poi, dopo qualche minuto di silenzio e di esitazione il giovane riprende con voce triste: “Intuisco la natura del dolore che opprime il vostro cuore ed offusca i vostri occhi e la vostra mente…”.
L’asserzione stupì la donna, ma le fece intendere di trovarsi in presenza di un giovane alquanto sensibile; probabilmente anche lui era alle prese con qualche problema sentimentale.
“Beh, anche i vostri occhi non trasmettono gioia… e non credo d’ingannarmi” ribatte la donna.
“No, madame, non si inganna affatto” rispose il giovane con un sorriso triste.
Erano due naufraghi sospinti dalle onde furibonde di un oceano di tristezza. Una coltre di sofferenza li avvolgeva entrambi, facendoli sentire inermi, impotenti, sconfitti, in balia degli eventi….
A questo punto la donna prese da un mobile una bottiglia di liquore e due bicchieri, li riempì e ne porse uno al giovane dicendo: “Mandate giù un gocciò perché oltre ad essere scosso siete alquanto infreddolito… Salute! Benvenuto nel ”“Club dei cani abbandonati””.
“E’ esattamente così che mi sento” convenne il giovane.

Il liquore produsse subito i suoi benefici effetti concorrendo a rilassare entrambi, a farli abbassare la guardia, per cui la diffidenza venne pian piano accantonata, i toni divennero più pacati, il senso di estraneità, di fastidio o avversione si stemperarono, cedendo il passo alla curiosità. Lentamente e con delicatezza si aprirono l’uno all’altra, valutarono il grado di affinità e le capacità di entrambi di capire le ambasce dell’altro e di portare un po’ di conforto.
Venne naturale a François confessare che circa un anno prima la moglie lo aveva lasciato per un altro. Lui già da diverso tempo aveva intuito come sarebbero andate a finire le cose fra loro, perché conosceva molto bene la moglie ed aveva imparato a leggere nei suoi stati d’animo. Egli sapeva che la moglie cercava in lui o in qualsiasi altro partner la capacità di darle emozioni continue, di sorprenderla, di abbagliarla: la moglie era affamata di novità, amava la ribalta, pendeva dalle labbra di qualsiasi bellimbusto che aveva la capacità di apparire interessante, divertente….
La moglie di François non era da meno delle teenagers degli anni ’70 che andavano ai concerti dei loro idoli disposte a tutto, a darsi ad uno o a tutti i componenti di una band; era uno di quegli esseri sempre pronti a salire sul carro dei vincitori e dal carro ai loro letti.
Il modo di fare della donna, sempre pronta a prestare ai suoi interlocutori maschi la massima attenzione e confidenza, portava a credere agli uomini con cui lei, anche casualmente, si trovava a discorrere di essere disponibile, di essere una preda facile, un frutto maturo pronto ad essere colto. Quegli uomini di conseguenza si davano subito un gran da fare per portarsela a letto, anche se poi, non necessariamente ci riuscivano. Restava in ogni caso in loro la convinzione che la donna fosse una facile preda.
Tutto questo naturalmente offendeva crudelmente il giovane François, che agli occhi degli altri uomini appariva non meno che un cuckold che si compiaceva a cedere la propria moglie a tutti gli uomini che la volessero.
François, da parte sua pensava che il rapporto tra un uomo ed una donna non fosse fatto solo di “faville, di scintille, di scoppietii”, che nel rapporto di coppia ci fossero anche i momenti di dolce e quiete rilassatezza, di voglia di vivere la dolce monotonia della vita quotidiana, fatta di piccole cose, di piccoli baci, di sguardi d’intesa ora complici e ora allusivi ora portatori di semplice e banale serenità. François avvertiva con dolorosa lucidità l’ineluttabile tracollo del loro rapporto a causa dell’insoddisfazione della moglie, della sua smania di attaccarsi a qualsiasi novità ed a qualsiasi bellimbusto capace di ammannirle nuove e diverse emozioni…..
La padrona di casa al termine del racconto allungò una mano e la posò con dolcezza su quella del giovane per fargli sentire la sua vicinanza, dopo di che anch’ella raccontò la sua storia, molto più recente, a dire il vero, ma dai contorni molto simili: il marito cinquantenne, dopo trent’anni di matrimonio, era scappato con una trentenne divorziata, lasciandola sola, con la fattoria da mandare aventi e con il suo lavoro in ospedale. Per evitare che tutto andasse in malora aveva dovuto prendere un anno di aspettativa non retribuita ed affidarsi ad un certo numero di operai che le costavano una fortuna.
Per lei l’azione del marito era stata come un fulmine a ciel sereno, perché non aveva minimamente intuito cosa passasse nella sua mente; perché pensava di bastargli in tutto e per tutto, sia sul piano affettivo che su quello fisico, del sesso.
Eppure lei era una donna desiderabile e ciò glielo facevano sentire gli uomini che quotidianamente incontrava in ospedale sia con schietti e fugaci complimenti, sia con assidui corteggiamenti. Se solo lei avesse voluto avrebbe avuto ai suoi piedi un nugolo di spasimanti, ma ciò non rientrava nel suo “sentire il matrimonio”, lei era sempre stata fedele al marito e desiderava arrivare alla fine dei suoi giorni con il suo uomo accanto.
La donna in quei giorni di solitudine e sofferenza aveva scavato a fondo nel suo cuore per capire in cosa avesse sbagliato, cosa non aveva fatto per poter giustificare l’azione del marito, ma non seppe trovare in se stessa colpe o gravi mancanze, se non che all’amore scoppiettante dei vent’anni era subentrato un amore più maturo, più pacato, una comunione profonda, intima e rassicurante. Lei nel loro matrimonio aveva cercato e trovato la stabilità dei sentimenti, la serenità, la certezza del loro rapporto e del loro futuro, ma evidentemente lo stesso non era stato per il marito.
Tutto ciò era naufragato miseramente di fronte alla fuga del marito con un’altra e il suo essere proiettata un oscuro e periglioso “mar delle tempeste”.
Il racconto della donna si concluse con delle lacrime che lei nascose mettendo sulla fronte una mano a fare scudo dei suoi occhi.
Fu la volta del giovane ad allungare la mano e posarla su quella della donna, con dolcezza e delicatezza tale che non potesse essere scambiata per un’avances:
“E’ pensare che gli ho dato tutta la mia vita, la mia fedeltà, la mia schietta sincerità…. ”
“Non ti meritava! Non una donna come te… Solo uno stupido ha potuto non rendersene conto…” la consolò il giovane, dandogli del tu.
“Già!” convenne la donna, ma senza compiacenza.
“Bene, andiamo sul pratico e pensiamo a come sistemarti per la notte: ci sarebbe il fienile o la stalla, cosa preferite?” riprese la donna sforzandosi di essere spiritosa.
Il giovane restò per un attimo perplesso, cercando di capire dal tono di voce se la donna diceva sul serio o lo stava semplicemente prendendolo in giro, al che la donna gli rispose con una schietta ed allegra risata.
“Siete meravigliosa quando ridete… Qualcuno dovrebbe pagare il fio d’aver spento il sorriso sulle vostre labbra meravigliose” gli fece eco il giovane sorridendo a sua volta.
“Benedetto giovane, siete così giovane eppure così avvezzo alla galanteria, cosa che normalmente appartiene agli uomini di epoche passate. Ma, fate bene, alle donne piacciono gli uomini galanti…” osservo tra il serio e l’allegro la donna. “Piuttosto qual è il vostro nome?”
“François!” rispose l’uomo allungando la mano e stringendo quella della donna.
“Gisele!” disse a sua volta la donna rispondendo alla stretta con altrettanta convinzione.
Dopo di che, senza rendersene immediatamente conto passarono a darsi del tu.

“Seguimi!” disse la donna offrendo il braccio per aiutare l’ospite a salire al piano superiore e, quando furono sopra, lo guidò verso la camera degli ospiti. “Puoi fare la doccia, se vuoi, ecco qui gli asciugamani, io intanto preparo la cena. A dire il vero ultimamente ho dimenticato cosa vuol dire “cenare”, ma ora, data la presenza di un ospite, devo assolutamente fare gli onori di casa e non lasciare che soffra la fame”.

Più tardi il giovane scese al piano terra e trovò la donna alle prese con i fornelli. François notò anche che la donna si era cambiata d’abito, si era data una ripassata al trucco ed una ravviata ai capelli. Nulla di particolare, ma sufficiente a fargli capire che lo aveva fatto per lui, per non farsi vedere sciatta ed in disordine.
Il risultato per l’uomo fu comunque sorprendente: quella donna, pur con i suoi cinquant’anni, era una donna ancora capace di far girare la testa agli uomini. “Complimenti!” gli disse, “Pochi tocchi magici e Cenerentola si trasforma in una bella principessa…”
“Su, smettila di adularmi! Mi fai arrossire! Riserva i tuoi complimenti alle “petit Chaperon Rouge” della città, mentre io, sperduta come sono tra i boschi, non posso che impersonare “sa grand-mère”.
“Non sono un adulatore di professione, anzi sono piuttosto introverso e parco di parole. Lo divento quando m’imbatto nel “fascino puro e tu ne hai da vendere” concluse il giovane con una perfetta combinazione di accenti e tono di voce.
La cosa fece molto piacere alla donna che, dopo tante settimane di lacrime, disperazione e cupa solitudine, sentiva finalmente di potersi crogiolare al dolce tepore dell’adulazione di quell’uomo discreto e galante, oltre che giovane; quell’essere che da qualche ora la stava facendo sentire di nuova donna desiderabile e non un insignificante “cane abbandonato”. In altre circostanze accettare la corte di un uomo l’avrebbe fatta sentire maledettamente in colpa, anzi, se mai avesse avuto una relazione extra coniugale ella sarebbe stata lacerata da terribili sensi di colpa, tali che l’ avrebbero indotta a porre fine alla relazione stessa. Ora le cose erano cambiate, il marito su di lei non aveva più alcun diritto, lei non aveva alcun obbligo di essergli fedele ed aveva pieno diritto di vivere la sua vita liberamente, come più gli faceva piacere. C’era si la giovane età di François che la faceva sentire un tantino inadeguata, ma, a quanto sembrava, l’uomo era sinceramente attratto da lei, il che la faceva sorvolare sulla cosa.
Durante i preparativi che seguirono il giovane aiutò ad apparecchiare la tavola, senza dimenticare di accendere una candela che aveva intravisto sulla mensola del camino e con il beneplacito della padrona di casa aprì una bottiglia di vino rosso dei Pirenei, mentre lei dava gli ultimi ritocchi alle pietanze.
Gisele avvertiva pregnante nell’aria l’atmosfera di un primo appuntamento e n’era stordita, ma nel contempo temeva che qualcosa rompesse quell’incanto. Lei voleva immergersi con tutto il suo essere in quell’atmosfera, essere protagonista in quella cena che stava assumendo sempre più i connotati di “cena romantica”, voleva le prossime ore tutte per se, lasciando fuori della sua casa i malesseri, le tristezze ed i sensi di colpa nei confronti di quell’ingrato di suo marito; voleva solo vivere, ridere e, se fosse stato possibile, amare ancora…
La cena fu deliziosa, il loro dialogo leggero ed avevano evitato entrambi accuratamente ogni riferimento alle loro dolorose vicende; alle loro labbra erano affiorati solo gli aventi piacevoli della loro vita passata, ed in particolare della loro giovinezza. Entrambi avevano riso tanto, spensierati e dimentichi di ciò che c’era al di la della porta d’ingresso di quella casa persa nei boschi, di quella realtà che li avrebbe circondati appena avessero messo il naso fuori.
La gioia di vivere sprizzava loro da tutti i pori, esaltata anche dal gradevole vino rosso che bevvero fino all’ultima goccia
Era molto tardi quando si ritrovarono davanti alle rispettive camere e si diedero la buona notte stringendosi con delicatezza entrambe le mani:
“Buona notte François! Sono anni che non vivevo una serata così serena, così magica…. .”
“Buona notte a te, dolce Gisele, la magia la sanno ricreare gli spiriti romantici come noi.”
“Sono d’accordo con te ….”.
Quando furono nelle loro stanze sia la donna che l’uomo ripensarono a lungo agli avvenimenti delle ultime ore: “Che strano? – si domandarono - fino a poche ore fa nessuno dei due sapeva dell’esistenza dell’altro. Ed ora….”.
Già, i destini degli esseri umani si combinano ripetutamente tra di loro, creando milioni di combinazioni, alcune ovvie, alcune impensabili, altre addirittura incredibili, finendo il più delle volte e nel breve volgere di qualche ora, con lo sconvolgere le loro esistenze.
Quella sera François e Gisele scoprirono che le loro esistenze erano perfettamente sovrapponibili, gradevolmente combacianti. Quella sera un’unica ed identica pagina delle loro vite era stata scritta ed era entrata a far parte del lungo romanzo delle loro esistenze.

A notte fonda una Gisele insonne e frastornata bussò timidamente alla porta di François. Quell’iniziativa le pesava sull’animo come un macigno, ma le era intollerabile il solo pensare di tornare a letto e trascorrere l’ennesima notte in solitudine. Solo quando udì il giovane rispondere “avanti”, entrò nella stanza e manifestò al giovane tutta la sua angoscia:
“Mi sento male, l’angoscia mi soffoca, il futuro mi appare fosco e denso di cattivi presagi…. Ti prego non mi mandar via, non ce la faccio a stare sola…ma… non voglio che tu pensi…”.
“Vieni, non preoccuparti, sdraiati qui accanto a me… “ la invitò il giovane girandosi sul fianco, scostando le coperte e distendendo il braccio come ad indicare il posto dove lei avrebbe potuto sistemarsi.
La donna si avvicinò incerta al letto e si adagiò accanto al giovane, posando la testa sul suo braccio, dandogli però le spalle, perché grande era l’imbarazzo. Da subito, però, avvertì un senso di sicurezza, di calore e di benessere.
Il giovane prese a parlargli all’orecchio, con dolcezza, mentre con la mano libera gli accarezzava la testa e le sue dita s’intrecciavano nei capelli della donna.
Lei si sentiva tranquilla, protetta, amata forse, e per accentuare il suo stato di grazia spinse ancor più il suo corpo contro quello del giovane per cui avvertì contro le natiche la sua erezione prepotente e ne fu compiaciuta:
“Sono ancora capace di far provare piacere ad un uomo” pensò. “Con mio marito non ci riuscivo quasi più e pensavo di esserne io la causa, che il mio corpo fosse appassito e la mia femminilità un ricordo lontano”.
Tutto quel benessere dilagò in lei, lenì le sue sofferenze, rendendola leggera come una piuma che volteggia nell’aria tiepida della Primavera….. Gisele, dopo tante notti insonni, finalmente chiuse gli occhi e dormì profondamente.
Quando si svegliò al mattino, indugiò a lungo nel letto studiando ogni particolare del viso di quel giovane straordinario nei confronti del quali sentiva un’infinita tenerezza, quasi fosse il figlio che non aveva mai avuto, ma sentì anche serpeggiare nel suo essere qualcosa di diverso….
Gisele era comunque grata al giovane di non aver forzato la mano per indurla ad avere un rapporto sessuale prematuro e che molto probabilmente l’avrebbe delusa ed allontanata da lui.

Ma le incombenze della casa e della fattoria le imposero di alzarsi, cosa che fece con molta delicatezza per evitare di svegliare il giovane e, da donna pratica e industriosa, si mise all’opera per coordinare tutte le attività che gravitavano attorno a lei e tra queste attività si ricordò di organizzare telefonicamente il recupero dell’auto del giovane.
Gisele si sentiva strana, non sapeva definire come, ma era certa che quel sottile senso di benessere era legato alla presenza del giovane.
Verso le nove, non avvertendo alcun movimento in casa, preparò una colazione principesca che apparecchiò su di un bel vassoio che portò su, nella camera degli ospiti.
Arrivata su aprì le imposte e svegliò il giovane regalandogli il suo più bel sorriso.
Quando il giovane mise a fuoco dove si trovava si tirò su e subito la donna gli pose sulle gambe il vassoio, sedendosi a sua volta sul letto.
Iniziò così per i due protagonisti una strana giornata: navigavano entrambi in un’atmosfera dolce, ma irreale, e loro vi fluttuavano dentro leggeri, senza che alcun pensiero molesto li sfiorasse.
Alla colazione seguì il pranzo, al pranzo la cena e tra una fase e l’altra della giornata lo stato febbrile nella donna che non riusciva a star lontana dal giovane infermo: gli volteggiava attorno allegra e leggera, lo coccolava, lo riempiva di mille premure.
Ancora una volta si trovarono a cena, ancora una volta si raccontarono, aumentando la loro intimità e quando François versò nei loro bicchieri le ultime gocce della bottiglia vino Gisele sorridendo ammiccante disse al giovane:
“Vuoi ubriacarmi?”
“Si!” gli rispose il giovane con seducente franchezza.
“Ah si, vuoi approfittarti di me?”
“No, non sarei un gentiluomo se io approfittassi di te. Non potrei mai estorcerti un solo bacio, una sola carezza … anche se, ti confesso… “
“Preferisco decisamente i gentiluomini, dolci e romantici come te, rispetto a qualsiasi altra categoria di uomini…” si affrettò a dire la donna, quasi ad impedire a al giovane di continuare su quel terreno alquanto scivoloso.
Ma il giovane divenne più intraprendente per cui riprese dal punto in cui aveva lasciato la sua frase a metà: “Anche se ti confesso che ti desidero follemente ed ho anche la consapevolezza che tu provi la stessa cosa per me. Se solo tu me lo consentissi, ti travolgerei d’amore …” e nel dire questo il giovane prese entrambe le mani della donna e le portò alle labbra….
Gisele era paonazza, il viso era in fiamme, ma anche il suo corpo ribolliva tutto intero. “Oddio, cosa mi sta succedendo! Non è da me…” pensava la donna tutta scombussolata e poi a voce alta: “Bene è ora di andare a letto…. Buona notte François …” e si alzò lesta dirigendosi verso la scala che portava al piano di sopra.
Ma nell’allontanarsi da François continuava a dirsi: “Sono una donna liberta. Non devo più dar conto a nessuno delle mie azioni, se non a me stessa…. Sono una donna libera….”. A metà delle scale riuscì a fermarsi, incerta su cosa fare, poi si girò ed i suoi occhi colsero lo sguardo deluso e rattristato del giovane.
Gisele restò muta e tentennante per qualche minuto ancora a metà della scalinata… Poi d’impeto scese di corsa le poche scale, raggiunse il giovane e gli buttò le braccia al collo e lo baciò con passione suggellando così la sua resa incondizionata.

Un’esplosione di passione travolse entrambi, ma non vollero consumare la loro prima volta su quella seggiola per cui il giovane si alzò, la donna gli cinse la vita con una braccio per aiutarlo a salire le scale e il giovane a sua volta gli posò il braccio sulle spalle e nel fare questo i loro corpi si trovarono incredibilmente avvinghiati, con tutte le parti che partecipavano a quell’ ossessiva fusione che esaltava ancor più i loro sensi già terribilmente esaltati. Quando arrivarono al limitare del letto il giovane nel fare l’ultimo sforzo perse l’equilibrio e cadde sul letto, trascinandosi addosso la donna che lo sovrastò interamente.
Ripresero a baciarsi appassionatamente mentre tentavano in tutti i modi di liberarsi dei vestiti, perché intollerabile era diventata la foga, l’ansia di esplodere, di liberarsi da quella frenesia ch’era nel frattempo diventata dolorosa.
Appena nudi il pene di François magicamente trovò la strada che conduceva nell’antro recondito tra le cosce di Gisele. La donna lo accolse con amore tra le braccia e le sue cosce, lo fece sprofondare dentro di se e dopo una decina di affondi micidiali ulularono animalescamente il loro sgravarsi da quella insostenibile pressione erotica.
Il loro primo rapporto ebbe la funzione di alleggerire la febbre erotica che li aveva portati al culmine della sopportazione; il secondo invece fu quello più dolce, più appassionato, lento fino allo sfinimento, in cui ogni singola parte dei loro corpi partecipò attivamente allo scambio, alla condivisione, alla fusione dei corpi, fino a portarli ad un traguardo, ad un livello di piacere mai provato prima.
Gisele avvertì chiara la sensazione di essere approdata ad una nuova dimensione, si sentiva finalmente libera, non aveva più freni ne remore e dedicò per tutta la notte la sua passione, la sua potenza erotica a compensare la dolcezza infinita del giovane.
Si, tutta la notte a donarsi l’un l’altro, incontenibili, insaziabili.
Durante i dieci giorni di permanenza di François nella fattoria, i due amanti fecero l’amore in continuazione, in ogni parte della casa e ad ogni ora del giorno e della notte.

Tra un exploit e l’altro François, man mano che i suoi acciacchi lo consentivano, prese ad aiutare Gisele nella conduzione della fattoria; lo faceva di buona volontà, divertendosi, e sentendosi parte di quel contesto che gli stava lentamente entrando dentro, conquistandolo.
Il giovane aveva trovato in quella fattoria tutto ciò che aveva sempre desiderato: una casa accogliente, una famiglia, l’amore di una magnifica donna. Sempre più spesso il giovane si trovava a fare la considerazione che non gli sarebbe affatto dispiaciuto tagliare i ponti con il passato, lasciare il suo lavoro in città per iniziare una nuova vita lì, in campagna, per dedicarsi al mestiere di fattore, ovvero un lavoro che lo avrebbe portato ad un quotidiano contatto con la natura.
Anche Gisele vagheggiava le stesse cose, ma non osava chiedere nulla al giovane perché temeva che prima o poi sarebbe arrivato il giorno della sua partenza. Evitava però che questo timore avvelenasse anche quei pochi giorni, quelle poche ore che trascorrevano insieme.
Nessuno dei due osava ancora fare dei progetti, ma entrambi consideravano quanto sarebbe stato bello vivere lì, insieme, retti dall’amore che provavano l’un per l’altra.

Il giorno in cui François si recò a L…. per ritirare l’auto, Gisele si ritrovò in casa il marito che con la coda tra le gambe le chiedeva perdono.
La donna inveì aspramente contro il fedifrago, gridò, gli battè forte i pugni sul petto , lo ricoprì d’improperi, lo scacciò in malo modo … Ma il marito non reagì in alcun modo, accettò inerme tutta la furia della donna, pianse ed implorò perdono, ma non si mosse da casa.
Gisele non sapeva più cosa fare per liberarsi di quell’uomo. Allo strenuo delle forze confessò che c’era qualcun altro nella sua avita, qualcuno che lei amava ed apprezzava tanto quanto non aveva mai amato ed apprezzato lui.
L’uomo incassò il colpo, ma restò fermo nella sua testarda determinazione.
Arrivò sera, François tornò senza l’auto perché non era ancora pronta e rimase di stucco nel trovare in casa quell’uomo, ma capì subito chi fosse.
Gisele gli corse incontro, lo abbracciò e lo baciò appassionatamente, temendo che il giovane potesse fraintendere e farsi strane idee, poi precisò immediatamente i loro ruoli con questo tipo di presentazione:
“François questo è Gerard, il mio ex marito… Gerard questo è François il mio nuovo compagno”.
I due si studiarono a lungo, ma erano alquanto confusi e nessuno dei due sapeva come comportarsi.
Gisele non voleva perdere François ed era disposta perfino ad abbandonare casa sua se non fosse riuscita a vincere l’ostinazione del marito, nel qual caso gliela avrebbe fatta pagare a caro prezzo e gli avrebbe fatto bere il calice più amaro della sua vita.
La donna rinnovò ancora una volta l’invito al marito di andare via, ma questi fu irremovibile annunciando candidamente che si sarebbe sistemato in una delle camere del piano di sopra.
Di fronte all’ostinazione del marito Gisele elaborò mentalmente un piano d’azione diabolico con il quale contava di conseguire due obiettivi: vendicarsi del crudele tradimento del marito ed urtare a tal punto il suo ego ed il pervicace spirito puritano da indurlo a scappar via sconvolto e lasciare a lei campo libero.
Intanto approfittando della momentanea uscita del marito per andar al bagno, Gisele disse frettolosamente a François che aveva un piano per liberarsi del marito e gli raccomandò di assecondarla in tutto e per tutto…
Quando il marito rientrò trovò Gisele seduta sulle gambe di François mentre lo baciava con passione, guaendo come una cagna in calore.
Gerard restò di sasso, sopraffatto da mille contrastanti sentimenti.
Ma Gisele non gli diede tregua: s’inginocchiò tra le gambe del giovane amante, gli aprì la patta dei pantaloni, gli tirò fuori il pene ancora moscio e prese a baciarlo e succhiarlo avidamente, come non aveva mai fatto in vita sua.
Nonostante l’iniziale imbarazzo il pene di François prese a crescere ed a mettere in piena evidenza la sua esuberanza.
Giselle era soddisfatta del risultato, anzi sentì serpeggiare sul suo corpo intensi brividi di un nuovo e sconosciuto piacere: quello dell’esibizionismo. Mai in vita sua aveva neppure lontanamente immaginato di potersi eccitare mostrandosi impudicamente mentre faceva una pompa al suo amante e per giunta in presenza del marito. La situazione era talmente trasgressiva che ben presto contagiò tutti i presenti, sia François che Gerard, il giovane in particolare cominciò a lamentarsi e a contorcersi sulla sedia.
A questo punto Gisele volle cogliere il risultato della sua vendetta guardando dritto negli occhi del marito, mentre con le labbra vogliose succhiava il glande paonazzo dell’amante. Si aspettava di cogliere sul viso del marito gelosia, dolore, riprovazione, ma vi lesse solo libidine e per essere certa di non sbagliare guardò anche sulla patta dei suoi pantaloni e fu folgorata nel vederne l’evidente gonfiore, indice di un’indiscutibile erezione.
Gerard, suo malgrado, nonostante il suo essere un uomo all’antica, geloso e puritano, si ritrovò ad esaltarsi alla visione della moglie mentre era posseduta da un altro uomo.

Sentirsi desiderata in quella misura e in quella condizione, ovvero in una situazione in cui il marito avrebbe dovuto solo odiarla e desiderare di strangolarla, acuì fino allo spasimo l’eccitazione della donna che venne presa da una frenesia erotica inarrestabile: si alzò in piedi , si girò, ed offrì le sue natiche al giovane che la penetrò a fondo con il suo pene.
Il povero Gerard mangiava con gli occhi la moglie, aveva dimenticato quanto fosse conturbante il suo corpo tonico e sinuoso. Egli era ipnotizzato dai gemiti di piacere della donna, dalla sua sensualità, dal modo di dimenare il bacino per impalarsi sul cazzo del giovane con movimenti sempre più incisivi e potenti. La libidine e la forte carica erotica che si sprigionava da quella “femmina” si diffondeva nella stanza come una nube tossica, ubriacando tutti coloro che ne respiravano gli effluvi.
L’uomo avrebbe voluto scappar via, ma non ci riusciva, perché ciò sarebbe equivalso ad una sconfitta e alla definitiva rinuncia della moglie. Ma, questa non era la sola spiegazione…. qualcos’altro covava nel suo animo, qualcosa che non riusciva a spiegarsi e che gli impediva di fare anche il più piccolo passo verso la porta d’ingresso. L’uomo non voleva sottrarsi alla visione sconvolgente della moglie che si stava accoppiando con un altro; anzi la cosa lo mandava letteralmente in tilt, ci prendeva gusto; una sorta di erotismo perverso lo aveva travolto come un fiume in piena, con la conseguenza che il suo pene premeva imperiosamente e dolorosamente sulla patta dei pantaloni, rivendicando la libertà di uscire allo scoperto. Lui restava soprattutto perché voleva essere parte attiva ed integrante di quel sodalizio, di quegli amplessi, per cui, messo al bando qualsiasi indecisione, tirò fuori il pene e prese a masturbarsi mentre si avvicinava alla coppia con l’intento di carpire i loro corpi.
Gisele però si negò al marito, non gli permise di toccarla, traendo da ciò una sorta di sottile piacere sadico frammisto al desiderio di attirarlo a se, ma l’ora di riceverlo tra le sue braccia e tra le sue gambe non era ancora arrivata e in segno di ulteriore provocazione accentuò il ritmo dell’amplesso.
Come di riflesso anche la mano del marito aumentò il ritmo uniformandolo a quello della donna.
I guaiti della moglie, i lamenti di piacere del giovane, i rantoli gutturali del marito si accavallarano prima discordanti, poi trovarono ritmo ed armonia e come un coro cantarono all’unisono il loro travolgente godimento.

Per qualche minuto regnò in casa il silenzio assoluto, ognuno dei presenti riprendeva fiato: Gerard si accasciò sulla seggiola che aveva accanto; François rinchiuse le gambe dove aveva ospitato la donna, Gisele sempre restando seduta sulle ginocchia del giovane, si posizionò di traverso, così da poter ritrovare le sue labbra e il suo collo su cui sprofondare il viso.
Tutti e tre pensavano allo strano combinarsi degli eventi.
Giselle in particolare più rimuginava sulle cose accadute più avvertiva dentro di se un fuoco incontenibile che s’irradiava dalla vagina lungo il perineo, verso l’ano, le natiche, le cosce, la schiena, il collo e le labbra….
Non riusciva a contenersi per cui pregò il giovane di lasciargli libera la sedia, dopodiché si sedette, si posizionò sul bordo e spalancò le gambe oscenamente, mettendo in mostra la vagina con le grandi labbra dischiuse; fece pressione con la mano sulla spalla del giovane per farlo inginocchiare tra le sue cosce, poi gli posò una mano sulla nuca per indirizzare il suo capo sulla sua fica grondante di umori.
Appena il giovane le sfiorò le grandi labbra la donna sussultò, emettendo un gemito intenso e prolungato.
Nel frattempo il marito, che seguiva con attenzione ogni loro movimento, si avvicinò e senza prendere alcuna iniziativa gli sussurrò: “Ti prego, Giselle, non mandarmi ancora via….”.
L’uomo aveva l’aria di un cane bastonato e continuava a guardarla con occhi imploranti, e lei si rese conto di non poterlo più ignorare.
Le cose avevano preso una piega inaspettata e sorprendente; la situazione era sfuggita loro di mano, senza che nessuno dei tre avesse avuto il potere di dominarla, di dargli un senso logico; tutti gli schemi erano saltati. Ella aveva scoperto di se attitudini insospettate, che non sapeva di avere... Si stava comportando come una puttana spudorata, ma stranamente non riusciva a rimproverarsi nulla. Qualcosa di nuovo e di diverso era nato in lei, qualcosa di nuovo e di diverso era subentrato nel rapporto con il marito. Lei aveva scoperto il piacere di mostrarsi al marito mentre copulava con un altro uomo, come d’altronde Gerard aveva scoperto il piacere di ammirare la moglie nell’atto di essere posseduta da un’altro uomo.
A quel punto la donna si rese anche conto di aver tirato un po’ troppo la corda nei confronti del marito e che a furia di tirarla si sarebbe potuta spezzare, con risultati imprevedibili.
Prima si era comportata con estrema spregiudicatezza nel tentativo di punire e far soffrire il marito, ma aveva alfine scoperto che aveva desiderato ardentemente di attirarlo tra le sue braccia.
“E’ ora di smetterla!” si disse. ”Ma, se perdono mio marito per il suo tradimento, mi ritroverò a dover scegliere tra due uomini … A chi dei due dovrò rinunciare?”
Ma la prospettiva di rinunciare ad uno dei due uomini le risultò immediatamente insopportabile e le risultò altrettanto chiaro che voleva entrambi, che non voleva rinunciare a nessuno dei due.
“ Come farò a gestirli?” si chiese ancora la donna.
La cosa avrebbe dovuto preoccuparla, ma la prospettiva di averli entrambi gli risultò talmente allettante che finì col far impennare parossisticamente il suo desiderio, per cui prese la mano del marito e, non più capace di porre alcun freno alla sua libidine, l’attirò verso di se dicendogli: “Vi amo entrambi e non posso rinunciare a nessuno dei due” dopo di ché gli offrì le sue labbra che l’uomo prese con ardore, come un derelitto in pieno deserto.
Il povero Gerard aveva molto da recuperare e si diede alla moglie come non aveva mai fatto in vita sua, perché festeggiava il suo ritorno al desco domestico, anche in quella strana situazione in cui condivideva la sua casa e sua moglie con un altro: un bravo ragazzo, certo, ma pur sempre uomo.

Gisele si sentiva padrona assoluta del campo, dominava i due uomini e li guidava con il tocco sapiente delle sue mani, ma ella stessa era soggiogata dal suo insaziabile desiderio e guidava i due uomini secondo i suoi impulsi sessuali che partivano a ripetizione dalla sua vagina, dalle sue labbra e dai suoi seni. Guidato da Gisele il giovane si sollevò, si liberò dei pantaloni e degli slip, ed avvicinò il suo pene alle labbra della donna che prese a pompare con voluttà; mentre Gerard venne guidato a sua volta davanti alle ginocchia della donna per riconquistare i territori che per un certo periodo aveva perduti, indi risucchiò nella sua bocca al pari di un’idrovora le grandi labbra delle moglie, il suo clitoride, le sue piccole labbra, strappandole intensi gemiti di piacere.
Un groviglio di sensi, di eccitazione, di lamenti saturò l’ambiente; ognuno di loro donava e riceveva passione, donava 10 e ne riceveva 100, in un crescendo senza fine.
Quando la temperatura giunse al punto di non ritorno, Gisele prese i suo amanti per le mani e li trascinò al piano di sopra, indirizzandoli sul grosso lettone della sua camera da letto; si spogliò completamente beandosi nel mostrare il suo corpo nudo ai due uomini che la gratificavano con accesi sguardi di desiderio e di passione; spogliò suo marito che avvertiva ancora un piccolo residuo di disagio nel denudarsi davanti al giovane, si adagiò sul letto ed attirò i due uomini sul suo corpo affinchè l’amassero, la leccassero, penetrassero ogni suo orifizio e soddisfacessero così la sua incontrollata sete di amore e di piacere.
La cosa andò avanti per tutta la notte e al mattino i lavoranti della fattoria si meravigliarono che non ci fosse nessuno a guidarli…..

Gisele si risvegliò con accanto i due uomini, ed esultò. Era raggiante per la riconquista del marito e dal ritrovarsi in casa un giovane perbene e così dolce, galante ed innamorato. Poco dopo, dopo aver dato le opportune disposizioni agli operai addetti ai campi e alle stalle della fattoria, preparò per tutti una colazione principesca. Ma il giovane dormiva ancora profondamente per cui si ritrovarono moglie e marito nuovamente assieme attorno al desco familiare, più innamorati che mai l’uno dell’altra.
Gisele si rendeva conto che le novità di quei giorni erano straordinarie ed uscivano fuori dalla normalità quotidiana di una coppia; tali novità andavano attentamente analizzate per pianificare un nuovo ordine di cose, un nuovo contesto di “vita normale”…

“Gerard!”
“Dimmi Gisele!”
“Pensi che io sia una donnaccia?”
“Niente affatto!” rispose il marito sincero. “Anche se scopro di te attitudini di cui mai ho sospettato l’esistenza.”
“Tutto questo è nuovo anche per me. In vita mia non ti ho mai tradito, ne mai ho lontanamente pensato di poterlo fare. Ero convinta che avevo tutto ciò di cui avevo bisogno; nessun desiderio extra o pruriginose aspettative rendeva inquiete le mie notti, tranne la faccenda dei figli che non sono arrivati. Ma non me ne sono fatta una malattia, ho superato la cosa riversando su di te anche l’amore che avrei dedicato loro …. Forse non è stato un bene, visto il risultato che ho ottenuto con te”.
La donna fece una lunga pausa per riassumere le idee.
“Poi un giorno tu sei andato via, mi è mancata la terra sotto i piedi, mi sono sentita morire e mi sono ritrovata maledettamente e dolorosamente sola ….”
“Lo so e mi sento un verme…” interloquì il marito.
“Non ho mai pensato a darmi alla bella vita, a renderti pan per focaccia; ero così affranta, annichilita, che trovavo requie solo quanto mi seppellivo sotto le coperte, al buio, nel silenzio assoluto della notte, a piangere disperatamente.
Poi una sera un giovane dall’aria smarrita ha bussato alla mia porta, aveva avuto un incidente d’auto, era zoppicante e sanguinava dalla fronte. Non ho potuto fare a meno di prestagli soccorso, di medicargli la ferita, fasciargli la caviglia gonfia e visitarlo da capo a piedi per verificare se c’erano fratture od altri problemi, fino a quando ho valutato che non c’era alcun pericolo per la sua salute e che non era il caso di scomodare un’ambulanza dalla città. La cosa più ovvia, dal momento che la sua auto era fuori uso, è stata quella di offrirgli ospitalità per una notte… .
Abbiamo parlato io delle mie traversie, lui delle sue, ci siamo riscoperti come due naufraghi in balìa del mare in tempesta e che nel momento della massima disperazione hanno disperato bisogno di un appiglio per non annegare, per evitare di essere ingoiati dalle gelide acque...
Di lui ho apprezzato la sua dolcezza, il suo esprimersi in modo compito, garbato, come i giovani di buona famiglia di una volta; la sua tranquilla galanteria che non mirava in alcun modo a conquistarmi e che pur ha fatto breccia nel mio cuore. Sentirlo solo, sperduto, sofferente non solo nel corpo ma soprattutto nell’anima mi fece sentire per lui un’infinita tenerezza e sin dal primo istante avrei voluto stringerlo tra le braccia come avrei fatto con un figlio in difficoltà… Già, ho visto in lui quel figlio che non abbiamo mai avuto.
Tutte queste componenti hanno fatto sì che ci siamo trovati dopo qualche giorno l’uno nelle braccia dell’altro in un modo così naturale e spontaneo che mi riesce difficile sentirmi in colpa, perché non c’è stata alcuna premeditazione, alcuna voglia di trasgressione, alcuna voglia di vendetta. Non lo abbiamo cercato, non lo abbiamo favorito, ma è accaduto…. E giorno dopo giorno questo qualcosa ha preso coscienza di se, è cresciuto, si è affermato nei nostri cuori ….
“Capisco.” gli risponde Gerard: “D'altronde l’artefice di tutto questo sono stato io e quando mi sono reso conto di ciò che avevo fatto e cosa avevo perso mi sono precipitato qui disperato, pensando che nulla fosse cambiato nel frattempo…..”
“Già, tu?” riprese Gisele, “Ora parliamo anche di te. Mi rendo conto ora di essermi comportata come una sordida prostituta, ma, cerca di capirmi, avevo bisogno di punirti. Io mi ero immolata a te sull’altare dell’amore coniugale e cosa ho raccolto? L’onta dell’abbandono. Avevo bisogno di ricambiare allo stesso modo tutto il male che mi avevi fatto, di leggere nei tuoi occhi la sofferenza e nel contempo farti rendere conto di ciò che avevi perso.
La mia stessa spietatezza, però, il mio superare spregiudicatamente qualsiasi limite, mi hanno fatto sentire a mia volta in colpa, i miei propositi di vendetta hanno iniziato a vacillare e il mio ego ferito sentirsi appagato. Ho finito con l’intenerirmi di fronte alla sofferenza che leggevo nei tuoi occhi, a rendermi conto che in fondo ti amavo ancora e che desideravo riprenderti tra le braccia.
Espiata la tua colpa i tuoi peccati sono stati messi in quarantena, in osservazione. Un’altra occasione ti è stata offerta. Tocca a te ora far si che il nostro cammino riprenda, attraverso un nuovo percorso, però, il percorso che gli avvenimenti ultimi hanno tracciato.
E’ questa la chiave di volta per interpretare questi avvenimenti e per leggere nel nostro futuro … Spero che tu sappia capire ed abbia la capacità di riedificare il nostra rapporto non più su due pilastri, bensì su tre… “
“Mi stai chiedendo che nel nostro sodalizio familiare entri a far parte anche François?” chiese Gerard con stupore. “Ma, le convenzioni sociali…. i vicini, gli amici, i parenti cosa diranno?…..”
“Chi ha mandato all’aria il nostro matrimonio? Non certo io! Non sono stata io ad aver sconvolto lo status quo ante. Ora occorre riedificare tutto daccapo, ripartire dalle fondamenta con il materiale che abbiamo… “ riprese Gisele alquanto accaldata.
Per alcuni attimi un silenzio duro ed ostile scese tra i due coniugi, facendo ripiombare l’atmosfera nel clima di aperta conflittualità del giorno precedente.
“Io non voglio più soffrire – riprese dopo un po’ la donna - Amo te, ma amo anche François, perché devo rinunciare a ciò che sento mio e di cui ho bisogno? Per quel che mi riguarda le convenzioni sociali, gli amici e i parenti, possono andare a farsi benedire.”
Gerard non sapeva sinceramente che posizione prendere.
“D'altronde ieri sera hai vissuto in prima persona, hai sperimentato con mano, ciò che potrebbe essere il nostro rapporto a tre. Non mi sembra che la cosa ti sia dispiaciuta, anzi….. ” concluse con tono velenoso Gisele.
Ma Gerard accolse queste ultime parole di Gisele con un gelido silenzio.
“Bada, Gerard, non mi costringere a fare una scelta… Potresti pentirtene e soprattutto potresti far pentire me di averti data un’altra occasione”.
A questo punto Gisele furibonda risalì in camera, svegliò François e lo ragguagliò sulle posizioni del marito, chiedendogli poi cosa ne pensasse.
François confessò candidamente a Gisele che l’amava profondamente e che quella casa gli era entrata nel cuore, sentendola come casa propria, e che s’era ingenuamente illuso di potervi rimanere, con lei accanto. Quella casa era il suo sogno inseguito per tutta la vita, perché lui una casa, in realtà, non l’aveva mai avuto, avendo vissuto fin dall’infanzia in un orfanotrofio.
“Come? Perché non me lo hai mai detto?” obiettò meravigliata Gisele prendendo tra le mani il viso del giovane per baciarlo amorevolmente.
“Non c’è stata l’occasione. E poi… mi vergognavo un po’.”
“Oh, caro François. Sono sconvolta. Ma, se tu vorrai potrai avere in me la tua famiglia e il mio amore eterno: ti faro da moglie e da mamma, da amica e da amante.”
Dopo un po’ Gisele riprese con una nota di rammarico nella voce: “Vorrei tanto che anche Gerard si convincesse a far parte di questa famiglia, saremmo tutti molto felici”.
“In cuor mio considero Gerard come il legittimo proprietario di questa casa e il tuo legittimo consorte, per cui accetto la sua presenza con rispetto, sempre che lui accetti la mia e non pretenda in modo esclusivo il tuo amore”.
“Il mio amore è talmente grande che vi avvolgerà entrambi”.

I due amanti si vestirono, Gisele preparò anche una borsa con un po’ di indumenti, dopodiché abbandonarono la casa e, a bordo dell’auto di Gisele, si diressero verso Andorra dove trascorsero una giornate di puro benessere fatto di passeggiate, buona cucina e tanto sesso.

A notte alta, avevano appena finito di fare l’amore, quando sopraggiunse la chiamata di Gerard.
“Mi manchi…. Non posso vivere senza di te”
Gisele non gli rispose neanche, voleva che si cuocesse nel suo brodo.
“Ti prego torna… “
“Da sola?” gli risponde Gisele con tono duro.
“Tornate tutti e due…”
“Stammi bene a sentire monsieur Gerard C., torno, anzi torniamo, ad una sola condizione: che tu accetti in tutto e per tutto la nostra unione a tre, che costituirà la nostra nuova famiglia, in cui tutti i componenti devono amarsi e rispettarsi, aiutarsi e sostenersi nel momento del bisogno; una famiglia che sappia condividere equamente il lavoro della fattoria e i frutti che darà, e che sappia soprattutto condividere l’amore dell’unica donna presente, senza gelosia ne antagonismi ne colpi bassi.”
Gisele non mancò neanche di riferire al marito quanto il giovane François gli aveva appena confessato, ovvero di nutrire per Gerard un profondo rispetto in quanto marito e proprietario legittimo della casa e che avrebbe fatto di tutto per costituire un clima di grande armonia tra loro e che mai avrebbe tentato di soppiantarlo.
“Fidati Gerard, saremo felici assieme. . Sei d’accordo su tutte questo?”
“Si, si, si….. Non vedo l’ora di abbracciarvi entrambi” rispose Gerard finalmente libero dai condizionamenti che avevano reso così difficile la sua decisione.
Anche Gisele non riuscì a frenare la sua contentezza e travolse il marito con parole d’amore infuocate, mentre François riprese a toccarla e baciarla. Ci volle poco perché tutti e tre prendessero fuoco come torce e si incanalassero verso l’apoteosi dei sensi…
Strano modo di fare l’amore, ma ciò che importava era il risultato finale: ovvero esplodere in un orgasmo condiviso e condito con tanto amore.

P.s.. Finito il periodo di malattia François tornò in città giusto il tempo per licenziarsi, sistemare alcune cose in sospeso, per caricare su di un furgone i suoi effetti personali e tornare con gioia nella sua nuova casa, con la sua nuova famiglia.


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