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Lui & Lei

Donatori di sperma


di pimpibox
14.04.2017    |    19.784    |    8 9.3
"Solo io e lei nel rituale delle gambe sul muro..."

Lei e suo marito le avevano già provate tutte: cure ormonali, pulizia delle tube, test e contro test ma niente. Proprio non le riusciva di rimanere incinta. Quindi erano cominciati i viaggi della speranza, perché all’estero si potevano fare cose che in Italia non erano ammesse, tipo: donazione di ovociti, impianti, fecondazioni con lo sperma del marito eccetera, eccetera, eccetera. Ma niente. Soldi buttati, ferie esaurite e una seria crisi matrimoniale. Di chi era la colpa? Se di colpa poteva trattarsi. Uno non lo farà mica apposta a non riuscire ad avere figli no? Come se non bastasse sorella e cugine continuavano a sfornare figli uno più bello dell’altro e a lei lo dicevano quasi scusandosi.
-“Sai, sono incinta di nuovo….”- spiacendosi della sua sfortuna di non essere mamma.
Ma una cosa le frullava in testa da un bel po'. Una frase di un luminare delle fecondazioni assistite che avevano visitato. Costui ironizzava sul fatto che in Italia non si potessero donare gli ovociti. Strofinando indice e pollice assieme, come ad indicare qualcosa di impercettibile che nemmeno si può tenere in mano, l’ovocito appunto, diceva: “…tanto che una è costretta ad andare nel bar sotto casa…..”.
Lì per lì non aveva dato peso a quelle parole ma ora, dopo anni di sofferenze una luce, un piccolo raggio di sole illuminava debolmente il suo pesante cammino di donna.

Erano le 19 e 30 e tornava dalla palestra. Pantaloni aderenti, occhiali da sole e capelli raccolti. Prima di salire a casa si sarebbe fatta un aperitivo al bar all’angolo tanto suo marito avrebbe fatto tardi quella sera. Appena entrata qualcuno si era azzittito per godersi la visione, chi era sta figa? Qualcun altro invece tradendo nervosismo aveva alzato la voce continuando a parlare della juve.
-“Un crodino, per favore…” Sentiva gli occhi degli uomini sul suo corpo e sul suo culo. Non aveva fatto ancora niente di male ma al solo pensiero di essere lì a tastare il terreno le scomponeva il respiro e una sensazione di caldo le inumidiva la vagina. Cosa ci faceva lì da sola? Era impazzita? La zoccola del bar? La puttana del condominio? Ma no dai. Sono qui solo a farmi un crodino. Che male c’è? Mentre mangiava una patatina un giovane le si avvicinò, avrà avuto vent’anni.
“Buonasera..” le disse “…aperitivino eh?...”
Carino, del sud. Le goccioline di vernice nei capelli indicavano che probabilmente era un’imbianchino, odorava di sudore. “Una volta ogni tanto..” rispose. E poi al barista “Quanto devo?”.
Se ne uscì senza salutare, cosa ci faceva in quel posto. Ma dai, farsi scopare dall’imbianchino e poi saluti e baci?? No, non lei.
Quella sera fece l’amore con suo marito. Per poco non l’aveva tradito, almeno col pensiero. Lui le venne dentro copiosamente avendo cura di non fare uscire dalla moglie neanche una stilla di seme. Si addormento beata e farcita di sperma, sognando di avere tanti bambini coi capelli neri. Visti da vicino avevano delle minuscole macchioline di pittura bianca nei capelli.

Il mattino dopo cominciò a considerare sotto una nuova luce i colleghi di lavoro, insegnanti come lei. Cultura superiore, persone serie nel pieno delle forze e quasi tutti padri di famiglia. Esclusi a priori il professore di Diritto, scapolo noioso se non l’aveva voluto nessuno ci sarà un perché e quello di Religione , laico ma una palla ragazzi, restavano quello di Italiano, quello di Inglese e quello di Ginnastica. Tre begli uomini tra i trenta e i quaranta, padri di famiglia, appassionati di sport e amici tra loro, il che non guastava.
Bisognava trovare le parole giuste. –“Sai, mi dovresti scopare per favore non riesco a restare incinta”-
Vabbè, non proprio così insomma ma il succo era quello. Che palpitazioni, come faccio a dirglielo?
Dopo circa un paio di settimane mise in atto il suo piano e li invitò a bere qualcosa dopo la palestra. Condusse il discorso su una ipotetica amica, sua conoscente alla lontana che non l’aveva detto a lei per carità, comunque lo sapeva da fonti certe, insomma per farla breve questa amica aveva chiesto a tre conoscenti di cui si fidava di farsi fecondare laddove il marito non riusciva… Dovette bere un sorso di drink prima di continuare, poi fattasi coraggio continuò. A quanto pare si sarebbero incontrati una volta alla settimana per un mese intero poi ognuno per la sua strada. L’aveva detto, si sentiva avvampare. Non era sicura che ce l’avrebbe fatta, probabilmente era rossissima in faccia, ma finalmente l’aveva detto. Ci fu silenzio, anche chi non l’aveva inizialmente presa sul serio si era appoggiato al tavolo prestando tutta l’attenzione. Ci fu una domanda:
“Ma scusa perché tre, non ne bastava uno…?” Chiese quello di Ginnastica.
“Eh no” rispose lei, “ voleva essere assolutamente sicura della riuscita perché poi non avrebbe più voluto avere niente a che fare con loro, in più non voleva sapere con precisione chi fosse il padre di suo figlio, amava suo marito lei….”
I tre uomini si guardarono senza dire niente, il ragionamento non faceva una grinza e ormai avevano mangiato la foglia.
“In più” aggiunse, ormai era lanciata, “tutti tre erano anche ricattabili, in quanto sposati. Non volevano mica che lo sapessero le loro mogli no?”. Macchiavellica e diabolica.
“Devo andare ora, pagate voi?” con un piglio che non ammetteva repliche.
“Tenetevi liberi per giovedì pomeriggio” concluse, sarebbe stata in piena ovulazione.

Vabbè che la realtà talvolta supera la fantasia, però questa non se l’aspettava proprio. La poverina doveva essere disperata se era arrivata al punto di chiedere a lui e ad altri due colleghi di inseminarla. Ora si spiegava quelle domande sulla sua famiglia, da quanto era sposato, la salute dei figli, se crescevano bene, l’accenno all’amica che aveva dei figli con malattie ereditarie…
“No, i miei no per fortuna sono sani come pesci, ringraziando il cielo..”
Ora capiva. Probabilmente aveva fatto lo stesso con gli altri due, si era informata sulla salute dei figli, qualche domanda sulla moglie. Avrebbe indagato coi colleghi ma anche no, si sentiva un po' usato ecco.
Poi venne giovedì. Il posto era un motel per coppie con entrata esclusiva. Lui sarebbe entrato con lei e gli altri due, figura da ricchioni, avrebbero preso un’altra camera per poi incontrarsi dopo. Durante il viaggio lei non parlò per nulla, si capiva che lo faceva per estremo amore verso il marito, l’imbarazzo era palpabile, rifiutò la sua mano.
Arrivati in camera si rifugiò subito in bagno poi arrivarono gli altri due.
“Si sta preparando….” disse e da come lo disse anche gli altri persero il sorriso. Non c’era divertimento, era un lavoro….
Uscì in autoreggenti color carne e le scarpe coi tacchi che le avevano visto tante volte a scuola. Era senza mutandine. Sibuttò sul letto. Imbracciato un cuscino se lo mise sui seni e sul viso. “Allora siete pronti?” chiese allargando le gambe.
Vincendo l’imbarazzo gli uomini si spogliarono e cominciarono a toccarla tra le cosce, era un lago e scottava ma con un verso simile a un lamento li fermò subito. “Non c’è tempo per queste cose, prego.”

Dovetti scoparla con il cuscino tra noi. Tentai più di una volta di toglierglielo con delicatezza ma vi si aggrappava come se fosse un salvagente in mezzo al mare. Scostandolo per guardarle il viso notai che stava piangendo. Che brutto, era proprio un lavoro quasi mi diventava molle. Dovevo concentrarmi su altre cose. La figa, strettissima. Suo marito ce l’ha anche piccolo come se non bastasse. Morbidissima e caldissima. Mentre la scopavo accompagnavo con la mano il mio cazzo sule sue grandi labbra per poter leccare un po' di nettare dalle dita. Delizioso. Dolce e pungente come immaginavo poi, dimentico degli altri due seduti sulle poltroncine venni copiosamente spingendo a fondo fino a sentire il collo dell’utero. Tò, tutto dentro. Con le mani mi stropicciai il cazzo per fare uscire ogni goccia. Se si fa un lavoro bisogna farlo bene e quindi sotto un altro. Anche gli altri la scoparono con cognizione senza provare a toglierle il cuscino.
Appena il terzo finì lei si mise con le gambe su per il muro, voleva che anche la gravità contribuisse a riempirla per bene. “Grazie” ci disse, ”a giovedì prossimo”. Il trucco colato in una maschera grottesca

Ma come si faceva. Davanti ad un caffè nessuno di noi parlava. Era come un lavoro. Bella scopata? Ni. Ci eravamo divertiti? Ni. Non ci poteva mettere un po' di impegno, di voglia? Magari il bambino veniva anche meglio ecco… Capivamo che poverina, ma insomma sto cuscino. Una mummia.

Il giovedì seguente ripetendo il rituale mi permisi di fare alcune osservazioni.
“Sai, forse se anche te ci mettessi un po' di tuo…capiamo che non vuoi coinvolgimenti…ma insomma…”
“Si, hai ragione, ci avevo pensato anch’io. Farlo per farlo, meglio farlo bene scusate” rispose.
E cominciarono tre giovedì indimenticabili.
Ci prese in bocca tutti tre, succhiando come un’ossessa. Di tanto in tanto si sistemava i capelli e ci guardava in faccia per vedere le nostre reazioni. E come si vestiva…
Sottane in pizzo nere ultra aderenti, calze autoreggenti velatissime ma anche a rete o disegnate. Slippini ridottissimi che nemmeno si sfilava ma scostava solo per impalarsi con gridolini di soddisfazione prima sull’uno poi sull’altro. E poi scarpe con le quali è impossibile camminare ma ottime da letto. Sandali gioiello, zeppine trasparenti, tacchi vertiginosi che mulinavano nell’aria scomposti dai colpi di cazzo che riceveva la loro padrona. Quindi baci mozzafiato cercando il respiro mentre qualcuno la scopava da dietro, da sotto, da davanti. Sempre con quelle mani a dirigere cazzi nella sua figa per poi sfilarseli e prenderseli in bocca e per poi ricominciare da capo tenendoli ben stretti, schiacciandone fuori ogni goccia di sperma. Unica condizione rigorosa era che ogni minima stilla di sperma doveva finire nella sua figa senza fondo. Ebbi addirittura la sensazione che un po' si fosse allargata in seguito alle nostre cure. Una macchina del piacere. Soddisfaceva tutti e i risultati si vedevano perché sborravamo almeno due volte a testa, qualche volta anche tre. “Ma bravo, ancora, qui dai riempimi per bene….” Fino all’ultima goccia.

Era l’utimo giovedì. Mi aspettavo qualcosa lo ammetto. Un minimo di amicizia, di intimità. Solo io e lei nel rituale delle gambe sul muro. Un minimo di complicità. Le cercai una mano. Non me la diede e una lacrima le rigava il viso. Finii di vestirmi.

A scuola quasi non ci salutava o perlomeno mai per prima. Dopo alcuni mesi sapemmo che era finalmente incinta. Non si era nemmeno presa la briga di dircelo personalmente ma nessuno di noi a dire il vero se lo aspettava o almeno non lo dava a vedere apertamente. Tra di noi non ne parlavamo mai. Quando il bambino nacque le facemmo recapitare una pianta enorme, tiè alla faccia tua stronzetta.
Dopo quasi un anno ritornò a scuola tutta pimpante e più bella di prima. Possibilmente anche più loquace. Era finalmente soddisfatta come donna e madre, “Grazie” disse, ”grazie ancora”.
-“Ma di che, è stato un piacere” risposi come se le avessi prestato il tosaerba….“E il bambino come sta?”
-“Cresce che è un amore, anzi lui e il papà vorrebbero un fratellino…….cosa fate giovedì? “
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