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Lui & Lei

L' imprevisto


di giadastefano
22.11.2016    |    6.282    |    3 9.1
"Mi sfila il vestito, lo butta a terra e mi lascia così, con indosso solo il reggicalze, le autoreggenti e i tacchi..."
I vetri sono completamente appannati.
Tutto ci che riesco a intravvedere è la siluette della campagna circostante attraverso una finestrella che ho aperto spannando il finestrino, ma ormai è buio e l’unica luce è data da una luna brillante, piena.
Sento il suono del cofano che ricade al suo posto, l’apertura della portiera, Stefano che entra rapidamente in auto con le mani ben sollevate per non sporcare gli interni.
«Niente da fare. Non funziona».
«Si è fuso il motore?»
«Non ne ho idea. Mi passeresti una salvietta? Grazie. Ho chiamato il carroattrezzi. Ci vorrà un bel po’ prima che arrivi».
Sospiro sconsolata, senza dir nulla. La serata era partita così bene: cena a casa, graziosa e leggera, giusto per metterci nelle condizioni adatte; una doccia calda, abbastanza lunga per permetterci di stuzzicarci senza tuttavia concludere; la scelta dei vestiti, del trucco, delle scarpe, tutto perfetto per la festa esclusiva alla quale eravamo stati invitati.
Stavamo scherzando, preparando segnali per un’eventuale fuga, quando l’auto aveva cominciato a singhiozzare, fino a fermarsi, lentamente e inesorabilmente, nel bel mezzo della campagna.
«Che sfortuna».
Stefano sospira, appoggia la testa contro la testiera del sedile e fissa il vuoto.
Lo lascio così, osservandolo. Non ha senso che dica qualcosa. Siamo troppo lontani dalla villa e da un qualsiasi centro abitato e fuori, nel freddo di Dicembre, si gela. Inoltre la strada è deserta, ed è stato così sin dagli ultimi dieci chilometri.
Qualche minuto di silenzio, in cui solo il nostro respirare lentamente sembra fuori luogo, quando Stefano si risveglia dai propri pensieri e si volta verso di me.
«Ehi».
«Ehi».
«Mi dispiace».
Sgrano gli occhi senza capire.
«Mica è colpa tua!»
«L’auto è la mia e non so sistemarla. Ci perderemo sicuramente la festa. Sono settimane che ne parliamo».
Scuoto la testa, avvicinandomi per accarezzargli il volto abbattuto, posandovi sopra un bacio. Lo faccio una, due, tre volte, su di una guancia, sulla fronte, sul naso.
Senza aggiungere nulla mi tolgo le scarpe, lasciando che mi osservi, mi porto in piedi sul sedile e mi getto sul retro dell’auto.
«Vieni?»
Non se lo fa ripetere e in pochi istanti è accanto a me.
Mi appoggio a lui, le dita di una mano a giocare con il tessuto della sciarpa. Lo bacio dolcemente, assaporando le labbra morbide, togliendogli il cappello per poter andare ad accarezzare le ciocche corvine.
Passerei ore a fare così e glielo sussurro fra un bacio e l’altro.
«Visto quanto ci metterà il carroattrezzi potrai farlo senza problemi».
Lo colpisco sul petto e lo bacio con più forza, mugolando uno “scemo” fra le labbra.
Continuo per quelli che potrebbero essere minuti come ore, alternando baci a carezze e sguardi di che cercano il suo, avvilito. All’improvviso mi afferra il volto, mi porta verso di sé, baciandomi come se volesse divorarmi. Mi spinge verso il basso, la schiena sul sedile, spostandomi le gambe per portarne una oltre la sua testa e l’altra in basso. Sento l’attacco per le cinture nel fianco ma la sensazione di fastidio svanisce non appena Stefano scende su di me. Mi bacia con forza, insinua prepotentemente la lingua dentro la mia bocca, mentre una mano cerca la mia e l’altra va a stringere il seno da sopra il vestito.
Gioco con lui, lottiamo, famelici, sino a che entrambi non ci fermiamo, il fiato corto, le labbra sanguigne.
Mi rendo conto solo in questo istante del freddo che regna nella macchina. Lo dico a Stefano ridendo, baciandolo ancora fra una parola è l’altra.
Immediatamente un mezzo sorriso si forma sulle sue labbra, ma posso goderne per poco tempo, dal momento che affonda il volto nel mio collo, sussurrando e lasciandomi una scia di baci umidi.
«Dobbiamo scaldarci allora».
Lo afferro per i capelli con la mano libera e lo porto a me, mordendogli la lingua, già pronta a cercare la mia.
Mi porta nuovamente a sedere, tenendomi con una mano per la schiena mentre con l’altra fa scorrere la zip, lasciando mi la schiena nuda. Mi abbassa le spalline, le fa scivolare, lasciando che il vestito vada a tenersi su solo grazie al seno. Va a mordere la pelle del collo, mi lascia marchi temporanei e continua così sino a che il vestito no è a coprire unicamente i fianchi. Mi bacia ancora e ancora e dopo avermi lanciato una lunga occhiata va ad occuparsi dei gancetti del reggiseno, che in pochi istanti svanisce nell’oscurità dell’auto.
Sono eccitata e ho freddo.
E Stefano lo nota.
Porto indietro le braccia, per reggermi al meglio e permettergli di osservarmi.
Lui è fra le mie gambe, in ginocchio nel poco spazio dei sedili posteriori. È ancora completamente vestito e glielo faccio notare.
«Non correre. Fammi godere questo spettacolo».
L’unica luce è data dalla luna, che lascia penetrare qualche raggio all’interno dell’auto, permeando il tutto di un blu opalescente che illumina la mia pelle nuda, in particolare il seno, rendendola ancora più morbida allo sguardo.
I capezzoli sembrano invece svettare, turgidi e desiderosi di essere toccati, leccati, morsi.
Le autoreggenti strusciano contro la stoffa dei suoi pantaloni e avverto i lacci del reggicalze tirare, mentre sento chiaramente l’intimo inumidirsi un poco di più. E tutto ciò solo perché mi sta fissando come se volesse farmi sua anche solo con lo sguardo.
Mi spinge nuovamente con la schiena sul sedile e si piega su di me, cercando le mie mani, facendo intrecciare le nostre dita. Sobbalzo leggermente quando avverto il ginocchio premere contro la mia intimità e strusciare contro il clitoride attraverso il pizzo delle mutandine.
Va a cercare i capezzoli con la bocca, li prende fra i denti, dedicando loro la piena attenzione, leccando l’areola con la punta della lingua, in cerchi concentrici, fino a giungere alla punta. Sospiro, resa ancora più sensibile dal freddo, e lascio che giochi.
«Ste, ti voglio».
Si ferma, solleva lo sguardo per cercare il mio e in pochi istanti si sta togliendo la maglia, seguita rapidamente da pantaloni e mutande. Faccio per domandargli come mai tutta quella fretta quando cambia posizione: mi ritrovo la testa bloccata fra le sue cosce e la sua a baciarmi le gambe, lo stacco fra la stoffa delle calze e la pelle, la lingua a tracciare percorsi sul pizzo del perizoma. Mi tortura così per troppo tempo, stuzzicandomi senza andare mai a toccare le labbra, neanche per sbaglio. Finché si ferma. Mi rendo conto di essermi incantata sul suo tocco e di non aver ancora giocato con la sua erezione, così vicina al mio viso che mi basta estrarre di poco la lingua per poter sentire il sapore della sua pelle. Lo lecco così, lentamente e dalla base sino alla punta, finché non avverto la sua frustrazione. Lo prendo in mano, lo abbasso e, portando indietro la testa, me lo spingo in gola. Amo questa posizione: riesco a sentirlo arrivare sino in fondo a soffocarmi, e lui può muoversi dentro di me come se mi stesse fottendo la bocca. E così comincia a fare, lentamente, mentre io succhio con ingordigia, godendomi finalmente il suo tocco sulla mia parte più sensibile.
Mi lecca prima da sopra la stoffa, allargando le labbra con due dita per mettere bene in mostra il clitoride sotto il pizzo nero. Gioca con la punta, un tocco diretto e rapido che mi provoca brividi di fastidio e piacere. Vorrei implorarlo di toccarmi di più, di strapparmi le mutandine e di leccarmi con forza, ma non posso, soffocata dalla sua erezione.
Succhio con vigore, sperando di spingerlo a fare lo stesso, ma ciò che ottengo è un aumento dei suoi movimenti nella mia bocca e presto non respiro più, sento le lacrime salirmi agli occhi e i suoi gemiti e incitamenti.
Si ferma all’improvviso, scostandomi con forza il perizoma e affondando la faccia dentro di me, soffocando a sua volta nei miei umori.
Il mio gemito di piacere esce mitigato dal suo cazzo, ma non mi fermo e muovo la testa il più possibile per dargli piacere mentre lui fa lo stesso su di me con la lingua.
Continua fino a portarmi al limite, provocandomi spasmi, ma si ferma prima che possa venire. Mi libera la bocca e si alza, ruotando per finire nuovamente fra le mie gambe, sfilandomi il perizoma, il cazzo in mano a strusciare contro di me.
«Lo vuoi?»
«Sì, ti prego», miagolo.
«Dillo».
«Voglio il tuo cazzo, ti prego. Non ce la faccio pi—AH!»
Mi entra dentro con un unico colpo di bacino, sino in fondo, completamente, mozzandomi il fiato. Cerco di sollevarmi un poco e in tale modo riesco a farlo entrare ancora di più, per quanto possibile. Con una mano mi afferra per una coscia, mentre l’altra si porta in avanti, a reggersi sul finestrino. Ci guardiamo negli occhi mentre mi penetra, strappandomi gemiti e suppliche quando rallenta apposta per farmi ammattire.
Senza alcun preavviso scende su di me, mi bacia appassionatamente e si ferma, immobile, non un centimetro di erezione fuori. Amo sentirlo così dentro, caldo ed eccitato, aspettando il momento in cui comincerà a scoparmi con forza.
Ma questa volta non fa così.
Esce da dentro di me e si tira su a sedere, appoggiandosi sui talloni. Mi sfila il vestito, lo butta a terra e mi lascia così, con indosso solo il reggicalze, le autoreggenti e i tacchi.
«Esci».
Sgrano gli occhi.
Ha uno sguardo che non ammette repliche e mentre mi parla continua a toccarsi.
Non ho un attimo di esitazione e rapidamente mi sfilo le scarpe e scendo, seguita da Stefano. Mi è subito accanto, la bocca a cercare la mia e le mani ad afferrarmi il sedere.
Si gela ma non mi importa. Mi inginocchio, la bocca subito a cercare il mio sapore sul suo cazzo, ma non mi permette di giocare a lungo.
Mi solleva tirandomi per i capelli e mi spinge in avanti, dal cofano.
Non c’è bisogno che mi dica cosa fare.
Si posiziona immediatamente fra le mie gambe non appena mi appoggio al metallo ancora tiepido. Le divarica al massimo, lasciando che mi metta supina, appoggiata sui gomiti per osservare i suoi movimenti.
Con due dita mi apre completamente, osservando la mia fighetta bollente i confronto al gelo che ci circonda. Vi sputa sopra. Mi afferro per le caviglie, mostrandomi a lui nel modo più osceno possibile, e la cosa gli piace.
«Lo vedi che sei proprio una troietta?»
«Cosa aspetti a trattarmi come tale?»
Prende la mia frase come una sfida e la poca distanza che ha mantenuto svanisce. Mi afferra per le cosce, mi fa scivolare verso di sé e mi entra dentro. Se poco prima poteva esserci un po’ di dolcezza adesso è scomparsa: mi scopa con forza, lo sento riempire ogni centimetro di me e sbattermi dentro con violenza come se volesse farmi male, ed è così, e lo imploro di farlo, urlandolo nel silenzio della campagna.
Sento il suo cazzo toccarmi un punto nascosto dentro di me e ciò che provo sono dolore e piacere immenso al tempo stesso, come se il mio corpo fosse confuso, anche se dalla mia bocca escono solo gemiti di piacere, risa e incitamenti perché mi scopi ancora e ancora e ancora, fino a che non mi ritrovo a pregarlo di riempirmi di sborra.
«Non ci pensare neanche. Non ho finito con te. Toccati».
Annuisco e subito mi ritrovo con le dita a stimolare il clitoride, ma sono così bagnata e i suoi movimenti così forti che mi viene difficile concentrarmi solo su di lui. Ma l’orgasmo mancato di poco prima e il suo cazzo mi portano presto di nuovo all’apice.
«Sto per venire», gemo senza fiato. Sento l’orgasmo montare, ma questa volta è diverso. Mi bagno completamente, gli umori cominciano a colarmi lungo le natiche e lo vado a bagnare completamente.
«Dio, ti eccita proprio farti scopare così».
Non voglio ancora venire, voglio continuare a sentire questo piacere sempre più vicino, ma sento un suono in lontananza e fa lo stesso anche lui, ma non si ferma, anzi.
«Sta arrivando un’auto dalla direzione opposta. Non dovrebbero notarci, a meno che non rallentino per vedere se siamo in difficoltà. Ti piacerebbe farti vedere così, vero? Completamente eccitata e nuda, mentre ti fai scopare e ti tocchi. Dio, stai anche squirtando».
Mi mordo le labbra per trattenere i gemiti ma non smetto di toccarmi, non voglio.
«Magari, se stessi zitta mentre passano…»
Annuisco, cerco di trattenermi e spero che non si fermino, mentre noto i fari illuminare la strada accanto a noi. Son certa di poter resistere quando Ste comincia a muoversi con ancora più forza di prima, artigliandomi la carne ed entrandomi completamente dentro ad ogni colpo.
Non resisto. So che lo sta facendo apposta ma il piacere è troppo forte e lascio che i gemiti e le grida di piacere escano, senza fermarli. Sento piccole gocce amare schizzare sulla nostra pelle ogni qual volta mi sbatte contro e questo mi porta al limite.
Vengo nel preciso istante inl cui l’auto sfreccia accanto a noi, senza rallentare, senza fermarsi.
Ste non è da meno: riprendo a toccarmi pochi istanti dopo, voglio venire di nuovo e glielo dico quasi implorando. In tutta risposta non rallenta, mi prende con la stessa forza di prima e in pochi istanti, insieme, veniamo.
Mi godo i suoi commenti eccitati al venirmi mentre stringo il suo cazzo con gli spasmi dell’orgasmo, ma subito, sfiancata, butto la testa all’indietro, respirando a pieni polmoni.
Sento il tepore del motore sotto la mia schiena e la brezza invernale sul seno, sull'addome. Comincio nuovamente a sentire il freddo che ci circonda, ma mi ritrovo seduta sul cofano, circondata dalle braccia di Ste e dal calore del suo corpo, mentre le labbra sono dolcemente posate sulla mia fronte.
«Sei fantastica».
«Tu lo sei».
Mi accarezza i capelli, sollevandomi il volto per cercare le labbra.
Sto per dire qualcosa, felice di essere in una situazione del genere con lui, per quanto inaspettata, quando sento salirmi al naso uno starnuto e allontano Stefano da me.
«Sei riuscita a reffreddarti? Di già?»
Un brivido mi coglie e lui lo nota, abbracciandomi con forza.
«Piccina! Dai, fila in auto e vestiti. Non credo che ci vorrà molto prima che arrivi il carroattrezzi».
Mi infilo in auto, scossa da brividi di freddo che sento sino nelle ossa, quando lui mi raggiunge.
Ci rivestiamo in fretta, comprendoci il più possibile.
«Certo che sei un danno. Sei riuscita a raffreddarti stando fuori quanto? Una decina di minuti?», scherza Stefano.
«Una decina?! Saranno stati almeno venti e siamo a tre gradi!»
«Su, cosa vuoi che sia. Sei tu che fai tanto la forte e poi invece ti ammali su--»
Due starnuti.
Si volta verso di me, incontrando uno sguardo vittorioso e vendicativo.
«Taci».
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