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Lui & Lei

La rompipalle stagionata


di ettoregrem
23.07.2017    |    21.724    |    6 9.8
"Capiamoci ero stato con tanti tipi diversi di donne, anche più vecchie, ma avevo sempre provato una sorta di trasporto, c’era sempre stato un elemento una..."
Era una donna bassa e pienotta, più vicina ai settanta che ai sessanta, con culo largo e tette piuttosto abbondanti e un po’ abbassate sul ventre rotondo, però aveva belle gambe, caviglie sottili e polpacci nervosi e ben disegnati. Aveva un viso rotondo con piccoli occhi scuri, un caschetto tra il castano ed il biondo ed un’espressione perennemente corrucciata che si apriva a rapide schiarite.
Parlava rapidamente, gesticolando spesso, perennemente accanita nei confronti di vicini e parenti che, a suo dire, le facevano subire ogni sorta di sopruso approfittando della sua condizione di vedova.
La caratteristica che la definiva meglio di ogni altra era la sua natura di ”rompipalle”. Si lamentava di continuo, polemizzava su ogni argomento e appariva perennemente insoddisfatta. Sempre brusca al limite della maleducazione, piuttosto rozza nei modi , in definitiva, sgradevole.
In sostanza era una donna antipatica, inelegante e bruttina, tuttavia era una cliente per giunta non più giovane, pertanto quando dovemmo recarci in sopralluogo per visionare la proprietà agricola, oggetto delle sue lamentele nei confronti del parentado, mi parve naturale proporre, per pura cortesia:
Se vuole ci potremmo incontrare fuori dal casello dell’autostrada e andare insieme…-
Accettò la proposta senza complimenti, con il suo fare spiccio e poco cortese.
Era una mattina di fine giugno, da poco erano passate le nove e il termometro dell’auto segnava già ventotto gradi, la giornata si prospettava caldissima e io avrei dovuto trascorrerne una buona parte in macchina con una vecchia rompiscatole.
Mentre stavo lì a rimuginare infastidito dalla prospettiva, eccola arrivare. Indossava una gonna di jeans appena sopra il ginocchio, una leggera camicetta senza maniche con una fantasia floreale e un paio di sandali dorati con zeppa di sughero che donavano alla sua, tutt’altro che generosa, statura non più di tre centimetri.
Stringeva una borsetta colorata e un fascio di documenti che, presumevo, fossero relativi all’oggetto della nostra uscita.
- Buongiorno signora… -
- Buongiorno dottore… che caldo… se penso che ci tocca andare fin laggiù perché quei disgraziati…-
E fece partire la tiritera di recriminazioni e insulti contro il mondo che ce l’aveva con lei e contro il caldo.
In viaggio cercavo di immaginare il costante chiacchiericcio proveniente dal sedile passeggero come un fastidioso rumore di fondo, non avevo la forza né la voglia di seguire il filo logico delle sue elucubrazioni, mi limitavo ad assentire col capo e a monosillabi di tanto in tanto.
Appena mezz’ora di viaggio avevo bisogno di una pausa, proposi di fare una sosta e prendere un caffè.
Fu al bancone dell’autogrill che notai il particolare capace di dare una svolta alla giornata.
Dopo aver bevuto il contenuto della tazzina, mentre lei naturalmente seguitava a lamentarsi, gettando il tovagliolino appallottolato nel cestino, lo sguardo mi cadde sui suoi piedi.
Notai una pedicure che strideva in modo evidente con il suo aspetto e con l’immagine che mi ero fatto di lei: sugli alluci smaltati di un laccato lucido color pesca, spiccavano dei sottili disegni nail art color prugna e strass.
Sono fatto così: quando un particolare di una donna stuzzica la mia immaginazione, è come se si attivasse un interruttore e inizio a considerarla come un potenziale oggetto di interesse sessuale.
Le unghie inspiegabilmente curate di quella signora, altrimenti rozza e insignificante, accesero la mia immaginazione e da quel momento iniziai a guardarla in modo diverso.
Risalendo in auto diedi una buona sbirciata alle sue cosce quando la gonna si sollevò mentre si accomodava sul sedile.
Cercavo di sbirciare nella scollatura, avevo notato che le tettone erano contenute in un reggiseno nero, ma avrei gradito una vista più generosa: un paio di bottoni slacciati in più sarebbero stati quello che serviva.
Ridussi l’effetto del condizionatore, senza far notare la cosa, e la temperatura dell’abitacolo iniziò gradualmente a salire.
Il mio piano stava funzionando: la signora sbottonò la camicetta e fece salire la gonna di tre buone dita, iniziò a sudare:
- Madonna che caldo… è insopportabile… non si può accendere l’aria? –
- E’ accesa signora… che vuole… fa caldo!-
Mamma! Mi tocca sudare… poi magari prendo un colpo d’aria…-
Così dicendo si girò per prendere la borsa sul sedile posteriore e nell’allungarsi mi mostrò, suo malgrado, una abbondante porzione di decoltè.
Dalla borsa prese un paio di fogli plastificati ed iniziò a farsi aria usandoli come ventaglio. Mentre sollevava il braccio per spostare i capelli dalla fronte, notai che le sue ascelle non erano depilate e ostentavano un rigoglioso cespuglio bruno.
Nel frattempo l’odore del suo sudore iniziava a solleticarmi le narici.
Mi ritrovai a pensare alla foresta che doveva ospitare tra le gambe e, in breve, ce l’avevo duro come il marmo.
Arrivammo alla casa di campagna, immersa in una pianura arroventata.
Malgrado cercassi di prendere debita nota di quanto riguardava il mio lavoro, durante il sopralluogo presso la casa colonica disabitata e la campagna, una parte della mia mente era alla continua ricerca di spunti erotici che quella donna poteva regalarmi.
La feci salire per prima al piano superiore, mentre io fingendo di controllare il cellulare mi attardavo dabbasso. Per chiamarmi lei si sporse dal ballatoio del vano scale, dandomi la possibilità di dare una bella sbirciata sotto le sue gonne mentre teneva le gambe leggermente dischiuse: non mi sbagliavo, a poco più di due metri vidi per un lungo istante un paio di mutande bianche incapaci di contenere i ciuffi di pelo scuro che sfuggivano ai lati.
- Allora dottore? Sale? Che facciamo restiamo qua tutto il giorno?– Mi sollecitò con la solita malagrazia.
- Arrivo… signora… - risposi ingoiando a vuoto.
Per tutto il resto della mattina cercai di mantenere un atteggiamento professionale, sperando che gli occhiali da sole ingannassero sulla reale direzione dei miei sguardi e che i pantaloni, abbastanza stretti, che indossavo, non rivelassero lo stato di erezione costante.
Ripartimmo poco prima di pranzo.
Per quanto avessi cercato di parcheggiare l’auto all’ombra di un filare di pioppi, nel tempo trascorso il sole era tornato a colpirla, quando risalimmo era un forno.
- Santo cielo… ma non la poteva lasciare all’ombra? – Si lamentò lei.
- Guardi che era all’ombra… è il sole si è spostato…-
- Mah… se lo dice lei…-
Piegando la bocca per il disappunto sbottonò un altro poco la camicetta e allargò le gambe sul sedile mentre si sventolava. La posa era scomposta, inappropriata e, per me, terribilmente erotica.
Goccioloni di sudore le scivolavano nell’incavo tra i seni, la camicetta era talmente zuppa da risultare a tratti quasi trasparente.
Feci un esperimento mettendo improvvisamente al massimo l’aria condizionata, l’efficienza delle berline tedesche non si smentì: in pochi secondi dalle bocchette usciva aria gelata.
In men che non si dica due protuberanze ragguardevoli tesero la stoffa della camicetta della signora: là sotto ci dovevano essere due bei capezzoloni…
- Ma cos’ha sta macchina? Che freddo! – protestò lei.
- La sistemo subito… a volte fa così… mi perdoni. Che dice signora… è ora di pranzo… ci fermiamo a mangiare qualcosa da qualche parte? – Chiesi io speranzoso.
- No no, per carità! Non ho mica tutto il giorno io… torniamo subito. – Mi stroncò senza riserve.
Il mio primo tentativo di approccio era fallito, evidentemente la signora non era sensibile al mio fascino e la situazione non era la più favorevole.
Il viaggio di ritorno volò, mentre lei si prodigava in un involontario spettacolino di scollature e scosci fradici di sudore.
Una volta tornati ci congedammo:
- Allora come restiamo d’accordo dottore? –
- Mi lasci qualche giorno per predisporre le mie considerazioni e poi la chiamo…-
- Va bene, ma faccia in fretta… che qua ho già perso anche troppo tempo! Buona giornata.-
Si girò e se ne andò senza lasciarmi quasi il tempo di rispondere al saluto.
Quella donna insignificante e antipatica, però, rimase nei miei pensieri per un bel po’.
Una decina di giorni più tardi avevo terminato il lavoro, la chiamai:
- Buongiorno signora, dovremmo vederci, ho i documenti che le servono. -
- Facciamo venerdì pomeriggio? Domani e dopodomani sono impegnata. -
- Venerdì pomeriggio alle sedici sarebbe perfetto. –
- Puo’ venire lei da me? Alle cinque e mezza deve venire mio figlio, devo essere a casa. –
- Sì, nessun problema… -
- Bene allora: ci vediamo venerdì. La saluto. –
Riattaccò con la solita maleducazione, senza attendere la mia risposta e lasciandomi con la cornetta in mano: la solita stronza.
Alla data fissata giunsi a casa sua, mi accolse un piccolo cane rompiscatole che abbaiando forsennatamente si intrufolò tra i miei piedi non appena varcai la soglia dell’appartamento: antipatica la padrona, antipatico il cane.
- Basta Pippo… fai cuccia… - Cercò di tranquillizzarlo lei.
- Buongiorno, che bel cagnolino…-
Per la prima volta da quando la conoscevo mi sorrise, il suo volto si fece per un istante quasi grazioso.
- E’ un rompiscatole… ma è la mia compagnia. Si accomodi.-
Mi invitò a sedere ad un tavolo da pranzo di noce, scuro e piuttosto pretenzioso, come tutto il resto dell’arredamento che potevo vedere.
Lei si sedette difronte a me, indossava una canottiera blu in maglia grossa di cotone, un paio di bermuda chiare e zoccoletti bassi da casa. I suoi alluci esibivano la solita elaborata pedicure, anche se con colori diversi rispetto all’ultima volta e le sue ascelle erano ornate dai soliti cespugli scuri.
Il mio uccello fremette mio malgrado.
Estratti i documenti dalla ventiquattrore, esposi i contenuti della mia relazione. Avevo fatto un buon lavoro, le mie conclusioni sostenevano in pieno la posizione della signora: sarebbe riuscita ad accordarsi con gli odiati parenti in modo molto conveniente.
- Lo dicevo! Vede dottore… avevo ragione… Mi trattano come una cretina, ma li conosco i miei diritti! Pensano che sia una povera ignorante… di farmi accettare quello che vogliono…-
La lasciai finire un monologo di cinque minuti livido di rancore, poi intervenni:
- E, naturalmente, poi c’è la questione del mio onorario…- dissi mentre facevo scorrere una busta chiusa verso di lei.
Sapevo di aver chiesto una somma piuttosto alta, ritenevo di meritarmela: il lavoro era stato impegnativo, si era resa necessaria una trasferta e le mie conclusioni si erano rivelate risolutive.
Mentre scorreva il contenuto della busta vidi il volto rabbuiarsi:
- Tutti questi soldi! Ma scherziamo! –
- Prima che salti alle conclusioni, mi permetta di mostrarle questo… - un secondo documento, che avevo preparato appositamente, spiegava nel dettaglio le mie prestazioni, giustificando l’importo chiesto all’euro.
- Ma sono un sacco di soldi… non me lo aspettavo… -
- Signora, lo sa che è stato un grosso lavoro…-
- Grosso lavoro... Si, per carità, non dico di no… ma non si potrebbe avere uno sconto? –
Iniziammo a mercanteggiare, mi resi conto che oltre che antipatica era anche tirchia. Io ho sempre detestato quelle situazioni, non mi piace chi tira sul prezzo come al mercato.
Improvvisamente mi venne un’idea:
- Basta signora… va bene. – Sfilai dalle sue mani il foglio con la parcella e cancellai il totale con un rapido segno di penna, poi sotto scrissi un nuovo importo più basso anche dello sconto che lei stava chiedendo.
- Facciamo così… contenta? – le allungai il nuovo totale, la vidi rasserenarsi. Prima che potesse rispondere aggiunsi:
- - Però mi offre una cena… -
Certo… si… va benissimo…-
- Guardi che non scherzo sulla cena… -
MI guardò, io le sorrisi alzando un sopracciglio, lei aveva un’espressione strana, era evidente che non sapeva cosa rispondere.
- Ho detto che non sto scherzando sulla cena… con lo sconto che le ho fatto, praticamente, non guadagno nulla, mi pare che una cena sia il minimo…-
- Va bene… non so che dire… io non esco mai… dove vuole andare? – Chiese arrossendo.
Le accennai ad una trattoria che conoscevo, un posto carino, non troppo sofisticato, con prezzi ragionevoli e dove non andavo troppo spesso… non mi andava di incontrare gente che frequentavo abitualmente accompagnato da lei.
Ci accordammo per l’indomani. Ovviamente sarei passato a prenderla. La lasciai leggermente imbarazzata e piuttosto stupita della piega presa dagli eventi, aveva persino smesso di lamentarsi.
Le strinsi la mano sulla soglia di casa, il palmo era sudato:
- A domani allora, buona sera. –
- Si… a domani… -
Avevo un appuntamento, bene. L’avevo destabilizzata e spinta in un terreno sconosciuto, molto bene.
All’ora fissata, puntuale come un orologio svizzero, l’indomani ero da lei.
Suonai e mi rispose il solito abbaiare del cagnolino rompipalle.
Mi aprì lei. Indossava un abito a maniche corte blu con motivi floreali panna, che le arrivava al ginocchio, sandali neri con un tacco basso e un filo di perle, era leggermente truccata e percepii l’aroma di una colonia. Restava una donnina insignificante e troppo in carne ma si era preparata con cura, come per un appuntamento galante, era evidente. Ottimo segno.
- Signora è veramente elegante… -
- Oddio… grazie… non so che dire… - Arrossì come un’adolescente.
La scortai alla macchina, le aprii la portiera con il duplice intento di compiere un atto di galanteria e di darle un’occhiata alle gambe mentre sedeva.
Il mio comportamento la stava confondendo, era impacciata e aveva perso l’arroganza che la caratterizzava.
Riconobbi a stento il suo carattere, soltanto in alcuni momenti durante la cena, mentre la conversazione si spostava sul nostro rapporto lavorativo, vidi uscire la vera lei, la stronza incattivita che ce l’aveva con i parenti e col mondo.
Fui molto attento nel contenere quegli istanti di livore, alleggerendo la conversazione, chiedendole dei figli, del nipotino appena nato, del suo cane e di tutte le cose che, pareva, le dessero un sincero piacere.
Beveva poco, ma ebbi cura di mantenerle il bicchiere pieno e di invocare più di un brindisi. Dopo il secondo, mentre attendevamo il dolce, era ormai sciolta e suo agio.
Rimaneva una compagnia poco piacevole ma, per lo meno era sopportabile.
Cercai di portare i la conversazione a un livello più intimo:
- Signora, le posso chiedere una cosa? –
- Cosa? –
- Non ho potuto fare a meno di notare la sua splendida pedicure…-
- Cosa vuole che le dica… - arrossì per l’ennesima volta quella sera - … me la fa mia nuora… è estetista… -
Svelato l’arcano, in effetti era un vezzo che non riuscivo a coniugare col carattere della donna.
- Beh… sua nuora è una ver artista… - aggiunsi enfatizzando la mia ammirazione e spostandomi sulla sedia in modo da guardarle i piedi - … i disegni sono così particolareggiati… raffinati… -
I disegni erano il contrario della raffinatezza e dell’eleganza, ma mi ero accorto della sua sensibilità ai complimenti. Proseguii:
- Non vorrei sembrarle sfacciato… posso guardarli un momento? – Lei mi guardava con espressione interrogativa -… intendo guardarli da vicino… potrebbe sollevare un po’ il piede? –
Era una richiesta strana, indubbiamente, ma lei si prestò al gioco: non sapeva che altro fare.
Accavallò le gambe e distese quella sopra verso di me.
Mi avvicinai al piede, non troppo per non allarmarla, e mi profusi in complimenti e ammirazione apparentemente autentica.
- Incredibile… è bravissima… poi con i brillantini… complimenti…-
- Beh… grazie… sa, io non vorrei… sono vecchia… ma lei ci tiene… -
- Ma cosa dice? Lei vecchia? La prego… è una signora nel fiore degli anni… elegante… ha dei piedi molto belli... e non solo quelli...-
- Ma va là… non è vero…-
- Glielo assicuro… sono convinto che parecchie persone stasera stiano invidiando la mia compagnia…-
Così dicendo sfiorai leggermente la caviglia del duo piede ancora rivolto verso di me con la punta delle dita.
Ebbe un brivido, abbassò la gamba e fece una risatina nervosa mentre arrossiva come un peperone.
- Mi prende in giro dottore…-
- Non mi permetterei mai… sono assolutamente sincero…ma lo saprà anche lei, chissà quanti spasimanti avrà… -
- Su… non scherzi… sono sola… -
- Incredibile… non me lo spiego. Cioè… anch’io sono solo… sa com’è, il divorzio un anno fa, il lavoro che impegna molto… a volte mi ritrovo la sera e sento una specie di vuoto… Ma lei.. non l’avrei creduto…-
Non era facile essere naturali mentre creavo un terreno di sintonia comune fatto di bugie e falsi complimenti… Non c’era nulla di vero in quello che le stavo dicendo, a parte la storia del divorzio.
Da quando avevo rotto con mia moglie (e anche da prima, per la verità…) avevo scopato, in via continuativa, ogni genere di donna.
Comunque l’approccio funzionava, così un po’ alla volta passammo alle confidenze intime. Lei non era molto a suo agio nel parlare di certi argomenti, per cui fui molto attento ad usare un tono allusivo e non esplicito. In sostanza, da quando il marito era morto circa quattro anni prima, non era più stata con nessuno e, anche prima, la sua vita sessuale era pressoché assente.
L’idea che quella donna matura fosse digiuna di cazzo da un secolo mi stuzzicava molto.
La serata scorse via in chiacchiere e confidenze, lei si sbottonava via via di più e si lasciava andare. Dopo caffè e amaro restammo ancora al tavolo: non aveva alcuna fretta di andarsene.
Poco dopo mezzanotte eravamo rimasti i soli avventori, il cameriere iniziava a lanciarci occhiate piuttosto esplicite, lei colse il messaggio.
- Oddio… ma è tardissimo… Mi scusi! – Alzando la voce e facendo cenno all’uomo – Mi porta il conto? –
Come d’accordo le lasciai pagare la cena, la ringraziai e la condussi alla macchina.
Percepivo chiaramente, da parte sua, l’imbarazzo di trovarsi in una condizione che non riusciva a decifrare: la mia era solo cortesia? Le stavo facendo veramente la corte? Se sì, come doveva comportarsi?
Sapevo che forzare la cosa avrebbe potuto farla irrigidire, la dovevo mantenere in quello stato di incertezza il più a lungo possibile, in modo da scardinare le sue difese naturali di pudore e abitudine e sferrare l’attacco nel momento più opportuno.
Per tutto il tragitto di ritorno seguitai a farle complimenti velati, a farla ridere e a ridere del suo (dubbio) umorismo.
Giunti che fummo sotto casa sua le dissi:
- La ringrazio, di nuovo, per la cena squisita… e soprattutto per la serata splendida…- la guardai fisso negli occhi.
- Si figuri… è stato un piacere… - mi parve di notare in lei un certo affanno, doveva essere agitata, non sapeva cosa aspettarsi. Tenendole lo sguardo fisso negli occhi aggiunsi:
- Davvero… davvero… sono stato proprio benissimo… era da tanto tempo…-
- Si… anch’io…-
- Mi permetta… le slaccio la cintura… - mi avvicinai a lei e la baciai sulle labbra.
Lei non si ritrasse, ma nemmeno rispose con passione. Dischiuse appena a bocca e io le succhiai dolcemente il labbro inferiore. La cosa non dovette durare più di qualche secondo.
Poi, come colpita da una scossa elettrica si irrigidì:
- ….d…devo andare.. – Balbettò scendendo precipitosamente dall’auto.
La vidi illuminata dalla lampada sopra l’ingresso di casa cercare le chiavi nella borsa, mentre tentava di infilarle nella toppa le caddero e le raccolse: era sconvolta.
Varcata la soglia si girò a guardarmi, da dietro il finestrino le salutai con un sorriso e un gesto della mano, abbassò lo sguardo, non mi rispose e chiuse rapidamente la porta.
Sapevo di non esserle indifferente, tuttavia mi rendevo conto dei suoi dubbi e delle incertezze che la animavano. Ero molto più giovane, non avevamo nulla in comune, cosa avrebbe detto la gente? Cosa avrebbero pensato i suoi figli?
La lascia a rimuginare un paio di giorni, poi la chiamai.
- Signora… sono io… posso chiamarti Elisa? –
- Si… -
- Sai ho pensato molto a quello che è successo l’altra sera…- Dall’altro capo della linea silenzio… proseguii:
- Non vorrei che pensassi male di me… non vorrei davvero… è che sono stato così bene… io… non ho saputo resistere, a dire il vero non ho nemmeno pesato…. – ancora silenzio - … sei arrabbiata con me? Ti prego dimmi qualcosa… ci sto troppo male… -
- Io… non so che dire… non so che dire… cosa vuoi? –
- Ti ho offesa? –
- Non lo so… -
- Ce l’hai con me? Ne sarei distrutto… -
- No… non ce l’ho con te… io… io… forse è stata colpa mia… -
- Ne possiamo parlare? Un momento… un caffè… -
- Credo… meglio di no… io… no, no… meglio di no… -
- La sentivo esitare:
- Sono solo da tanto… mi piace parlare con te… la tua compagnia… concedimi un caffè… voglio scusarmi…-
- Non c’è bisogni che ti scusi… vabbè un caffè… -
- Quando vuoi e dove vuoi tu… -
- Non voglio che… non voglio che ci vedano… insomma… insieme… -
- Capisco… -
- Sai la gente… poi parla in paese… e i miei figli… -
- Non preoccuparti… capisco perfettamente… se vuoi vengo a trovarti un momento… beviamo un caffè e poi me ne vado… -
- Io non so… non so… -
- Non lasciarmi sulle spine… -
- Oddio… va bene… -
- Stasera? –
- No… viene mia cugina a cena… vieni domani… -
- Alle sei? –
- Si… -
- A domani allora… -
- A domani… -
Non era stato affatto facile, ma avevo spuntato un appuntamento. L’esito era molto incerto.
L’indomani tardai volutamente un quarto d’ora, ma mi presentai con un mazzo di fiori.
Il solito cagnetto rompicoglioni rispose al suono del campanello.
- Ciao, scusa il ritardo... – le dissi allungandole i fiori, lei arrossì:
- Non dovevi… -
- Mi volevo scusare per il comportamento dell’altra sera… non vorrei ti fossi fatta un’idea sbagliata di me… -
Lei si era preparata per l’appuntamento, era truccata, indossava una gonna nera e una camicetta di seta bianca smanicata, gli stessi sandali con tacco del nostro ultimo appuntamento e sfoggiava una nuova pedicure.
Si accorse che le osservavo i piedi e nascose il viso fingendo di odorare i fiori.
- Non devi scusarti… io… forse, come dire… ti ho incoraggiato… oddio… non so cosa dire…-
- Non dire nulla, facciamo conto che non sia successo… ok? Torniamo ai momenti piacevoli prima di quell’episodio… vuoi? –
- Si… si… lasciamo perdere… - annuì sorridendo.
Il caffè fu una mezz’ora piuttosto difficile: lei, dall’inizio, era a disagio, rispondeva a monosillabi, e non riuscivo ad instaurare quella complicità che aveva funzionato la volta prima.
Inutile insistere, ad un certo punto guardai l’orologio e mi alzai:
- Beh, grazie del caffè… e di avermi permesso di chiarire tutto… ora ti lascio ai tuoi impegni. –
Era un’ombra di delusione quella che coglievo sul suo viso? Non ne ero certo.
Si alzò anche lei.
- Beh… allora vado… -
Mi avvicinai per salutarla con due baci sulle guance, le poggiai le mai sulle spalle: tremava.
Le diedi il primo bacio, poi avvicinai la guancia sull’altro lato per darle il secondo, indugiai respirando il profumo della colonia nell’incavo del suo collo. Un secondo, due, tre… non si muoveva.
Ruotai il capo e posai le labbra sulla sue, percepii un brivido e la sua bocca si dischiuse lasciando entrare la mia lingua a cercare la sua.
Sentivo il sapore di caffè, fu un bacio delicato. Mi scostai e la guardai negli occhi, i suoi erano lucidi.
La baciai di nuovo, una, due, tre volte sempre con maggior decisione.
Alla fine limonavamo come sedicenni in piedi nel suo soggiorno, la abbracciai schiacciandole il seno su di me: avevo l’impressione che se l’avessi lasciata andare le sue gambe non avrebbero retto.
- Questo ti è dispiaciuto? –
- Ti prego… non dire niente… -
- Posso baciarti ancora? –
Non rispose, le presi la mano e la condussi verso il divano.
La seta della camicetta era quasi forata dai grossi capezzoli che pareva volessero uscire di lì, era evidentemente eccitata.
Seguitammo a baciarci a lungo sul divano, mentre con le mani delicatamente sfioravo quelle due protuberanze invitanti.
Le carezze si fecero più audaci e ne pizzicai uno per sondarne la consistenza, era grosso, duro e carnoso, probabilmente più grosso di quello che appariva attraverso la stoffa. Le strappai un gemito e la sua mano allontanò la mia dalla zona delicata, senza interrompere le evoluzioni della sua lingua attorno alla mia.
Il mio cazzo stava esplodendo nei boxer, ma ogni tentativo di rendere il contatto più intimo si risolveva in un nulla di fatto: nessun contatto con le tette sotto la camicia e quando provai a insinuare la mano sotto la gonna trovai le cosce serrate.
Non volevo forzare la cosa e, mio malgrado, seguitai a lavorare di lingua palpeggiando dove era consentito. Infilai indice e pollice sotto la sua ascella sentendo la consistenza crespa dei peli, si ritrasse.
- No scusa… non mi sono depilata… -
- Stai scherzando? Io penso che una donna al naturale sia quanto di più erotico ci possa essere…-
- Mi prendi in giro… -
- No.. te lo assicuro… - le dissi guardandola serio e baciandole le labbra -... non raderti… fallo per me… posso?- le sollevai il braccio e la bacia sotto l’ascella.
- Ma che fai? E’ sporco…-
Non era vero, si era lavata e profumava di talco con un lievissimo sentore del suo odore naturale.
Non c’è niente di sporco… mi piace tutto di te… anche il tuo odore…-
Riprendemmo a baciarci con passione, lei si lasciava andare un po’ di più, infilai una mano tra i bottoni della camicetta, raggiunsi un seno e lo raccolsi nel palmo: non ci stava tutto. Il mio pollice iniziò a stuzzicarle il capezzolo turgido, era senz’altro il più grosso che avessi mai sentito, volevo disperatamente poterlo contemplare ma spogliarla l’avrebbe messa di nuovo sulla difensiva, dovevo avere pazienza.
Limonammo un’oretta, avevo le palle viola ma mi comportai come un ragazzino al primo appuntamento. Lei era eccitata ma visibilmente combattuta, mi abbracciò stretto e mi sussurrò:
- Non so cosa sto facendo… è meglio che vai… -
- Certo… - risposi.
Ci baciammo e abbracciammo come fidanzatini ancora un po’ e poi me ne andai.
Risalito in macchina mi chiesi cosa cazzo era successo. La situazione era surreale, lei non mi piaceva, non provavo davvero nulla. Capiamoci ero stato con tanti tipi diversi di donne, anche più vecchie, ma avevo sempre provato una sorta di trasporto, c’era sempre stato un elemento una particolare forma di bellezza (magari non canonica) ad intrigarmi.
Lei non aveva nulla di nulla, ciò nonostante il mio uccello mi stava dolorosamente rammentando la voglia che avevo di farmela.
In breve mi trovai invischiato in una delle situazioni più inverosimili della mia esistenza: per le successive due settimane ci trovavamo ogni altro giorno da lei, limonavamo come adolescenti e poi a casa. Il fine settimana la variante era una cena al ristorante prima della solita limonata con palpeggio.
Non ne potevo più.
La sera del terzo sabato filato che uscivamo insieme, dopo la consueta manfrina della trattoria (durante la quale mi sorbivo ogni volta le sue chiacchiere piene di livore e le sue lamentele), una volta giunti sul divano dove lei pregustava l’ennesima serata da fidanzatini, decisi di tentare il tutto per tutto:
- Senti Elisa… io sto bene con te… -
- Anch’io… -
- Mi piaci molto… e ti rispetto… cioè, non so se mi capisci, ma non ho mai voluto forzarti…-
- Me ne rendo conto.. sei stato molto carino…-
- Ma vedi ecco… io… io… non ce la faccio più…-
La vidi farsi seria:
- Non mi vuoi più vedere? -
- No… no… anzi… insomma, io sono un uomo di quarant’anni, non un ragazzino… ho bisogno di un rapporto più intimo… mi capisci…- annuì, proseguii -... solo che ogni volta che cerco di avvicinarmi a te mi sento respinto… ti irrigidisci… cosa c’è che non va?-
- Io… non so… ho paura… è tanto che non vado con un uomo… poi mi vergogno…-
- Di che? -
- Dai, lo so che non sono bella, sono vecchia… ho paura di deluderti… che tu non mi voglia…-
Le presi le mani e mentii spudoratamente:
- Chiariamo una cosa: io ti trovo bellissima -
Falso.
- Ti desidero più di ogni altra cosa, non penso ad altro… non è possibile che tu mi deluda, perché mi piaci come persona, ti rispetto e voglio entrare nella più completa sintonia con te… -
Falso.
- Poi… sai ho le mie esigenze… - le presi la mano e me la posi sul pacco, lei diede una timida strizzata - … mi fai diventare pazzo, io tutte le sere vado a casa in questo stato… nelle ultime settimane mi sono dovuto masturbare come a sedicianni… -
Falso… cioè, qualche sega me l’ero fatta... ma la domenica precedente, per esempio, mi ero scopato una zoccoletta ventitreenne conosciuta quello stesso giorno nel bagno del ristorante, durante la cena di pesce seguita ad una giornata con amici in barca sul lago a base di prosecco… viva la libertà di costumi delle nuove generazioni!
- Ma a te non piacerebbe lasciarti andare? - le chiesi in coclusione.
- Oddio… - nascose il viso nelle mani - … si… credo di si… ma… non posso, non me la sento…-
Mi avvicinai sussurrandole nell’orecchio:
- Non ti piacerebbe che ti dessi… più piacere? Farei solo le cose che ti piacciono… non serve che tu me le dica… le scopriremmo insieme… vorrei vederti godere… -
Le infilai la punta della lingua nell’orecchio, lei ansimava.
- Non dirmi di no… lasciami fare… se mi vuoi bene lasciami fare… -
- La mia mano si insinuò tra le sue gambe, stavolta si dischiusero leggermente.
- Vedrai.. sarà fantastico… vedrai… mi pensi quando sei sola?-
Annuì.
- Ti tocchi quando pensi a me? -
Un’esitazione, poi di nuovo un cenno affermativo col capo.
- Adesso voglio toccarti come fai tu quando sei sola… -
Un brivido la percorse, per me era un sì.
La mia mano risalì lentamente l’interno coscia sollevando la sottana e scoprendole le gambe, erano toniche e muscolose, piuttosto belle, probabilmente la sua parte migliore.
Raggiunsi gli slip di cotone bianco assolutamente anonimi che indossava, alzai ancora un po’ la sottana per scoprirli: ecco di nuovo i ciuffi scuri di pelo fuoriuscire ai lati del tessuto. Notai che aveva una patata bella piena, un’evidente macchia bagnata e l’odore muschiato che si propagava da là sotto rivelavano ancora una volta la sua eccitazione.
Infilando le dita sotto l’elastico resi evidente il mio intento di sfilarle le mutande, esitò un istante ma poi sollevò il bacino per agevolare la manovra.
Alzai lo sguardo, per sorriderle e rassicurarla, il suo viso avvampava, il petto le si alzava e abbassava in una respirazione convulsa, mi guardò un istante con espressione indecifrabile e poi chiuse gli occhi e ruotò il capo come a dire “fai quello che vuoi, io non ne voglio sapere”.
Rivolsi di nuovo la mia attenzione a quello che c’era più in basso: tra due abbondanti labbra carnose, ancora ripiegate perché sino a poco prima costrette dagli slip, stillava una generosa quantità di secrezioni lucide e filanti, il tutto incorniciato da una rigogliosa foresta di peli marrone screziati di grigio.
Dischiusi la sua fica allargando quegli impressionanti labbroni. una cosa incredibile, parevano due cotolette, carnosi e spessi quasi un centimetro fuoriuscivano per almeno quattro dita. Erano scure, quasi nere sul bordo esterno e degradavano sino al rosa alla base.
Le spalancai bene: la loro estensione raggiungeva l’interno coscia e rivelava l’interno di una figa di un intenso rosa, bagnata e pulsante. Sulla sommità un clitoride rosa simile al gommino di una matita faceva capolino.
- Wow! - esclamai - … guarda che roba ….-
- No! - protestò lei cercando di serrare le gambe - … non mi guardare li! -
Tenendole le cosce spalancate e vanificando il suo tentativo dettato dal pudore replicai:
- Perchè non ti dovrei guardare lì sotto? E’ da settimane che penso alla tua passerina… -
“Passerina” era il termine meno adatto a descrivere quella figona, quella specie di taco di carne bollente che si ritrovava tra le gambe.
- Perché sono… perché non sono bella… lì… non ero così… ma dopo i figli… -
In effetti le quattro gravidanze avevano senz’altro slabbrato la caverna, ma quella era indubbiamente già dotata di suo.
- Scherzi? Io vedo un fiore… molto invitante… sei… sei… bellissima… una cosa unica… -
“Bellissima” era, ovviamente una discreta cazzata… però sul concetto di “una cosa unica” ero stato assolutamente sincero.
Scattai una foto mentale dello spettacolo e affondai la faccia in quella caverna.
Leccai e succhiai a lungo, stimolandola con una, due, tre e quattro dita. Le tormentai il clitoride, che ora pulsava gonfio e lucido. Dedicai tutta l’attenzione possibile ai due labbroni, gonfi e spessi, che non riuscivo quasi a tenere in bocca contemporaneamente.
Si era completamente abbandonata alle mie manovre, restando a gambe aperte, gonna arrotolata ai fianchi e scarpe ancora indosso, col capo ribaltato indietro, gli occhi chiusi e il viso rivolto al soffitto, non emetteva alcun suono, fatta eccezione per una sorta di rantolo sommesso e qualche roco gridolino.
Doveva essere venuta già un paio di volte, lo aveva fatto in modo silenzioso, me n’ero accorto perchè avevo sentito la sua fica pulsare e secernere una generosa dose di liquido nel momento in cui le sue mani strette a pungno affondavano di più nell’imbottitura del divano e le sue gambe appoggiate alle mie spalle si erano irrigidite tremando.
Continuai imperterrito, scesi con la lingua e le dita sino al buco del culo grinzoso, peloso e scuro. Lo stuzzicai con le dita, lo penetrai lentamente mentre sollecitavo la fica. Lei era stravolta.
- Ti piace quello che ti faccio? - chiesi.
- Ah… ah… - solo ansimi.
- Ti ho chiesto se ti piace… voglio sentirti… rispondimi… - la incalzai.
- Ah… si… si… -
- Continuo? -
- Ah… si… siiiii… -
Seguitai ad alternare la manovra tra culo e fica, succhiando, leccando ed impastando quelle due labbrone carnose che mi piacevano parecchio, poi risalii, la baciai a lungo e profondamente per rassicurarla, poi presi a sbottonare quel che rimaneva della camicetta e gliela sfilai.
Feci una nuova visitina con la lingua alle ascelle pelose, dove ormai il suo odore era divenuto intenso e pungente, e poi sganciai il reggiseno.
Le sue tette, per quanto abbastanza abbondanti, erano molto cadenti. Flaccide, pallide e sgonfie, se fosse stata in piedi le serebbero senz’altro arrivate all’ombelico. A compensare quello spettacolo sconfortante, però, c’erano due montagnole di carne rosa puntate verso il basso che sporgevano da areole spesse e grinzose.
I capezzoloni, che sino ad allora avevo solo intuito al tatto, erano assurdi. Più spessi del mio pollice e quasi altrettanto lunghi, avevano una punta che si ingrossava rispetto alla base, facendoli somigliare a due funghetti.
Mi avventai su quelle protuberanze turgide mentre seguitavo a penetrarla con le dita, con un ritmo crescente.
Lei era come in trance, completamente abbandonata. Decisi di provare a giocare un po’.
- Hai la fica fradicia… lo sai? -
I soliti gemiti ma nessuna risposta. Morsi un capezzolone per richiamare la sua attenzione:
- Ahi! mi fai male… -
- Rispondi quando ti chiedo qualcosa… hai la fica fradicia, ho detto… lo sai? -
- Si… si… lo so… scusami… -
Per sottolineare la cosa, accentuai gli umidi gorgoglii che le mie dita provocavano mentre penetravo la sua tana.
- Non ti ho chiesto di scusarti… ti ho solo chiesto se lo sapevi… ti piace se ti scopo con le dita?-
- Si… si… ahhh… -
- Dimmelo allora… -
- Mi piace… mi piace… -
- Ti piace cosa? - le morsi ancora il capezzolo.
- Ahi! se… se lo fai… -
- Dimmi… se faccio cosa? -
- Se lo fai… con le dita… quello che stai… facendo… ahhhhhh…-
- E cos’è che sto facendo?... Voglio sentirtelo dire…-
- Mi… mi… scopi… -
- Con? -
- Mi… scopi con le dita… ahhhhh… ahhh… ahhhhh… -
Era venuta di nuovo. Le piaceva stare al gioco.
- Certo che le dita sono un po’ poco… ti pare? - dissi mentre estraevo una mano ormai fradicia e gliela passavo sul viso. Non si ritrasse.
Rapidamente mi spogliai della camicia e dei pantaloni. Mi avvicinai col pacco che gonfiava i boxer al suo viso.
- Guarda un po’... cos’ho per te… -
Le sfoderai l’uccello davanti al naso a due centimetri dalle sue labbra.
- Apri la bocca… da brava...- obbedì e io lo infilai dentro. Prima la punta, poi visto che sentivo la sua lingua reagire positivamente, iniziai ad affondare di più.
Era una pompinara scadente, ma quello che volevo era usarla portandola al suo limite.
Iniziai a scoparle la bocca, scendendo con i colpi sempre più verso la gola. La sentivo irrigidirsi per i conati, le lacrime le rigavano il viso disfacendole il trucco, ma non si sottraeva, restava a subire.
Sfilai il cazzo filante di muco e saliva, le alzai il mento con la mano, in modo da guardarla bene negli occhi e le chiesi:
- Lo avevi mai fatto? -
- No… non così…-
- Brava… sei stata brava… - la gratificai con un bacio a fior di labbra.
- Ti è piaciuto essere trattata così? -
- Io… non so… a te piace? -
- Ti ho chiesto se è piaciuto a te… rispondimi… -
- Io… io… è strano… ma penso … di sì…-
- Bene, bene… ora alzati, sfilati la gonna… ti voglio nuda, tieni solo le scarpe… -
Obbedì, la vidi nuda dinnanzi a me, nella impietosa luce del lampadario: una donna matura qualunque, spettinata, trucco sfatto, sgonfie tette cadenti che sfioravano un ventre prominente. Cercò di coprire pube e seno con le mani.
- Non ci provare… - le ordinai - … voglio guardarti… sei molto bella, hai delle gambe splendide… hai una fica e due capezzoli favolosi… -
Ovviamente il complimento sulla sua bellezza era l’ennesima cazzata, a parte le gambe in effetti accettabili, considerando l’età e la scarsa altezza, ma quei due funghi di carne e quelle due bistecche carnose che penzolavano tra le sue cosce mi mettevano ancora l’acquolina in bocca.
- Vieni, dai mettiti così… -
La feci girare attorno al divano la piegai a novanta gradi sullo schienale imbottito, con le tette che sballonzolavano e il suo culone peloso esposto ed alla mia mercè.
Mi inginocchiai e ripresi a lavorare di lingua e dita la sua fica e il buco del culo, quando mi parve cotta a puntino, mi rialzai ed iniziai a strofinare la cappella in mezzo a quei labbroni roventi.
Lei spinse il bacino verso di me, per agevolare la penetrazione, io mi ritrassi: la volevo tenere sulla corda un altro pò…
- Cosa vuoi? - le chiesi.
- Voglio … te.. ti voglio… -
- Vuoi il mio cazzo? -
- Si… -
- Allora dimmelo, dimmi che vuoi il mio cazzo… - dissi seguitando a strofinare il glande lungo lo spacco fradicio.
- Voglio il tuo… cazzo… -
- Beh… non è una richiesta da signora… è un po’ una richiesta da puttana… è questo che sei? Sei un po’ puttana? -
- No… si… si… sono un po’... puttana…-
- Bene, in questo caso… -
Affondai l’uccello in quella fica bollente, iniziai con calma, con colpi via via sempre più profondi.
Lei non capiva più nulla.
Presi a sbatterla in modo più violento, con foga, le schiaffeggiai il culo, la presi per i capelli, le tirai i peli delle ascelle e i peli pubici, la chiamai puttana, troia, lurida zoccola. Ogni volta che usavo un epiteto del genere le chiedevo di confermare la sua qualifica, lei rispondeva, immancabilmente qualcosa tipo:
- Ahhh… ah… si… si! Oddio… lo sono lo sono! -
Le volevo fare il culo. Ma volevo che lo sapesse.
- Ti hanno mai inculata? -
- Cosa? -
- Tuo marito, o qualche altro, te l’hanno mai messo nel culo? -
- Cosa… o mamma.. no! Certo che no! -
- Ma pensa… vergine di culo alla tua età… bene, stasera mi prenderò la tua verginità anale…-
- Cosa… no… non voglio… -
Per la prima volta la sentii irrigidirsi sotto i miei colpi.
- Come, non vuoi? Non vuoi che tra noi ci sia un legame speciale? -
- Si… io… si… ma non quello… ho paura… mi fai male… è sporco… -
Rallentai il ritmo, presi a fotterla dolcemente, cinandomi su di lei, le baciai il collo e le spalle, poi le sussurrai all’orecchio:
- Questo gioco che stiamo facendo… è meraviglioso… io sto godendo come mai nella vita e… e tu sei una compagna fantastica… - si girò per cercare la mia bocca, le concessi un bacio romantico poi aggiunsi:
- Sento di volere qualcosa di tuo… qualcosa che tu mi possa donare e che sia mio per sempre… qualcosa di intimo ed eccitante… che mi faccia rabbrividire al solo ricordo… capisci?-
- Si… si… ah… ah… -
- Vorrei essere stato il tuo primo uomo… ma non è possibile… ma quello che ti chiedo sarebbe ugualmente magnifico…. sarebbe un grande regalo… -
- Si… va bene… -
- Posso? davvero? - Le bisbigliai mordicchiandole il lobo.
- Si… puoi… ma… fai piano…-
- Certo… certo… tesoro… io voglio che tu goda, non che tu soffra… vedrai che ti piacerà… voglio che tu me lo chieda…-
- Cosa? -
- Voglio che tu mi chieda di mettertelo nel culo… - sussurrai di nuovo.
- Si… ah… mettimelo nel culo…-
- Per favore… -
- Cosa? Ahhhh…-
- Chiedimelo per favore… -
- Ah… ah… per favore… mettimelo nel culo… -
- Come la signora desidera…-
Senza uscire dalla sua fica presi a lavorare lo sfintere. Il buco era abbondantemente lubrificato dalle sue secrezioni, ma cercai di rilassarlo infilando la prima falange del medio, aiutandomi con un po’ di saliva, e ruotando dolcemente, quindi feci penetrare il dito più a fondo iniziando ad andare avanti ed indietro e poi infilai anche l’indice.
L’anello del suo sedere ora era elastico, decontratto e pulsante, sfilai il cazzo dalla vagina e lo puntai sull’altro buco, lubrificai ancora e poi iniziai a spingere.
Lei non fece una piega, solo un gridolino quando la cappella varcò la soglia dell’anello di muscoli dell’ano, entrai ancora e poi iniziai a pompare con calma.
Con la sinistra le cercai il clitoride ed iniziai a masturbarla.
- Ti piace? -
- Ahhh…. Ahhh… Oddioooo… fa maleeee… -
- Devo smettere? -
- No… no… fa pianooo… ah…-
Obbedii e, per un po’ feci piano. Poi venne: improvvisamente sentii lo sfintere contrarsi ritmicamente attorno alla mia asta e lei proruppe in una specie di ululato:
- Oooooodddiiiooohhhhh! -
Era venuta col culo, la troia, la prima volta che qualcuno glielo infilzava.
Come un toro che vede rosso inizia a pompare duro:
- Cazzo… sei venuta? Adesso ti do il resto della dose… -
La sbattei più forte che potevo e lei lasciava fare, presi a insultarla:
- Che vacca rotta in culo che sei… che troia… ti inculo fino allo stomaco… -
Ah… ah… si… si… inculami…. si… ahhhhh…-
Quando sentii che stavo per arrivare la presi per i capelli, le feci alzare il capo e le ordinai:
- Tira fuori la lingua… cagna… te la voglio ciucciare mentre ti sparo nel culo un clistere di sborra… -
Lei obbediente come sempre puntò la lingua verso di me e io, dando seguito alla promessa, gliela succhiai mentre le scaricavo una schizzata memorabile nell’intestino.
Mi sfilai da buco accompagnato da un gorgoglio umido, tra le sue cosce iniziava a colare un misto di sborra e qualcosa di peggio.
Lei, ancora piegata sul divano non si alzava.
La sollevai e la presi tra le braccia, iniziò a singhozzare.
- Che c’è? Che c’è ora? -
Nessuna risposta, il pianto seguitava.
Senza dire nulla la condussi per mano in bagno, aprii l’acqua della doccia, non appena raggiunta la temperatura desiderata le sfilano le scarpe e la attirai, sempre piangente, nel box.
La lavai accuratamente, con dolcezza, carezzandola e masturbandola dolcemente. Il mio cazzo si era ridestato e puntava sulla sua schiena. Le presi una mano e la accompagnai sull’asta rigida dicendole:
- Lo vedi l’effetto che mi fai? -
Lei mi guardò e sorrise, il pianto si era calmato, la baciai.
Preso un telo di spugna la asciugai, poi la accompagnai in camera e la feci distendere sul letto, adagiandomi in fianco a lei.
Presi a giocare col suo pelo pubico e carezzarle le grandi labbra.
- Per me è stato meraviglioso… -
- Anche per me… - rispose.
- Avevo paura che questo… diciamo “gioco”... un po’... rude, ti avrebbe spaventata…-
- Beh… si… un po’... all’inizio… -
- Ma poi ti è piaciuto? -
- Humm… sì… - mi rispose sorridendo e arrossendo.
- Ti piacerebbe giocare ancora… qualche gioco nuovo? -
- Si… -
- Penso che mi darai grandi soddisfazioni… - Le dissi, mentre affondavo un dito dentro di lei e mi infilavo in bocca uno dei suoi incredibili capezzoloni.










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