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Musica e amore fra balconi


di Pillonamanna
17.03.2020    |    5.533    |    5 9.9
"Sentivo quasi impercettibilmente il suo odore di bagnoschiuma e di pulito, che andava a mescolarsi con quello dei cibi che provenivano dalle cucine di tutto..."
LA VICINA DI BALCONE
Mi accesi una sigaretta anche se non ne avevo davvero voglia. Oggi ne avevo fumate troppe, nella vana convinzione che ognuna di esse potesse smorzare un po’ la noia della quarantena.
Ma era una convinzione stupida, avevano tutte lo stesso sapore e anche la vista dal mio balcone era sempre la stessa: una muraglia di palazzine che nascondeva tutto il resto della città al mio sguardo, come un pigro e ottuso gigante di cemento che se ne sta lì seduto a fissarmi senza interesse.
Tuttavia stava calando la sera, e a poco a poco si nascondevano dietro i palazzi anche gli ultimi raggi di sole, che sparivano via nel crepuscolo. Questo è il momento della giornata che preferisco, il cielo si fa indaco e il blocco di palazzi di fronte a me si trasforma da quel noioso gigante grigio che è durante il giorno, in un’enorme lanterna che lascia trasparire la sua luce dalle centinaia di piccole finestrelle che si aprono sui suoi lati. E ogni finestrella ha un che di misterioso, perché è abitata da piccole sagome nere che improvvisamente fanno brulicare di vita tutto il blocco, che ora pare trasmettere tutta quell’energia verso il cielo slanciandosi attraverso le decine di sottili antenne televisive che vi stanno in cima.
Questo spettacolo mi rasserena sempre, e rimasi a guardarlo fumando la mia sigaretta con un leggero senso di pace a farmi compagnia.
In quel momento sentii aprirsi la porta finestra del balcone accanto al mio, e fui stupito nel vedere che non era la mia vicina di casa abituale, ma una ragazza che non avevo mai visto prima, e non so perché ma ne rimasi da subito folgorato. Aveva un asciugamano arrotolato in testa a coprire i capelli ancora bagnati e imbracciava una chitarrina classica che aveva iniziato ad accordare distrattamente. E’ assurdo da dire, ma in un momento ebbi l’assoluta certezza che mi piaceva tutto di lei, dal modo in cui si era seduta e aveva accavallato le gambe, a come le sue mani tenevano delicatamente la chitarra e pizzicavano le corde. Mi piacevano le sue mani, mi piacevano i suoi piedi nudi: uno poggiato a terra incurvato sul dorso, e uno che ondeggiava leggero a ritmo di musica sulla gamba a penzoloni. Mi piacevano i suoi occhi castano-verde e il suo sguardo semplice e luminoso, il suo nasino piccolo e la curva perfetta delle sue labbra lievemente aperte per la concentrazione. Mi piacevano i suoi capelli anche se erano nascosti dall’asciugamano, mi piaceva il suo asciugamano perché era suo e perché i suoi colorati motivi africani erano in perfetta armonia con la sua pelle olivastra.
Era vestita semplicemente, un paio di shorts grigi e una canottierina verde da cui si intravedevano due piccoli seni visibilmente non coperti. Al collo aveva un paio di piccoli ciondoli in legno e al polso qualche braccialetto di tessuto intrecciato.
Per me era una visione perfetta, e pareva dare armonia a tutti i colori e gli odori della notte, che all’improvviso erano più dolci, rassicuranti e in qualche modo sensuali.
Sentivo quasi impercettibilmente il suo odore di bagnoschiuma e di pulito, che andava a mescolarsi con quello dei cibi che provenivano dalle cucine di tutto il palazzo e a quello dell’umidità della notte fino a quello dei cassonetti nei parcheggi di sotto. Per me era un profumo magnifico, essenza di vita, serenità pura.
Intanto la ragazza aveva iniziato a cantare, la sua voce era lievemente roca ma delicata allo stesso tempo, intonava un motivetto raggae accompagnandosi con accordi di chitarra.
I rumori della città si legavano alla sua voce come un coro: l’ululare di un cane, i suoni di stoviglie, il vociare della gente nelle case e il lontano pulsare dei bassi di uno stereo nella palazzina affianco.
Ero così incantato che non mi accorsi che la sigaretta si era consumata fino alla fine arrivando a bruciarmi le dita. Ebbi un lieve scossone e imprecai per il dolore, gettandola via.
La ragazza evidentemente mi sentì perché smise di suonare e si voltò verso di me -Hey tutto bene? Ti ho visto fare un balzo!-.
Io arrossii violentemente, mi ero talmente immerso nello stare a guardarla che non mi ero neanche preparato all’idea di parlarle. –Hey ciao! ehm, oh eh si tutto bene, mi sono solo bruciato per sbaglio con la sigaretta- balbettai con un sorriso imbarazzato.
Lei spalancò gli occhi e rispose: -Cavoli! Ma tutto bene si? Accidenti poi a proposito di sigarette, ho dimenticato di comprarle, e ormai credo tutti i tabacchini siano chiusi- sbuffò.
– Oh non c’è problema, io ho un pacchetto pieno, posso offrirtene una?- le risposi subito.
–Oh grazie! Sei gentilissimo, la accetto volentieri!- disse lei con un gran sorriso.
Mi sporsi al lato del balcone e le lanciai il pacchetto, lei lo afferrò al volo, estrasse una sigaretta e la mise fra le labbra. Era davvero bellissima, ma non era una bellezza sovrastante che metteva a disagio, e l’imbarazzo iniziale parve scivolarmi via.
-Grazie ancora- mi disse lanciandomi indietro il pacchetto.
Al che mi accesi un’altra sigaretta anch’io e ripresi: - E’ la prima volta che ti vedo, non sapevo Barbara avesse una coinquilina- dissi riferendomi alla vicina di casa.
-Sì infatti sono appena arrivata, sono una cara amica di Barbara e mi sono trasferita ieri qui, ma solo per questo periodo di quarantena. Così almeno ci facciamo un po’ di compagnia a vicenda, sai che palle stare da soli a casa, io non ce l’avrei fatta.-
-Non me lo dire, il mio coinquilino è tornato giù a casa sua appena hanno chiuso le università e sono qui da solo. Sono passati solo quattro giorni e già mi viene da spararmi- risposi abbattuto.
- Cavoli mi dispiace! Però il balcone può essere un grande punto di forza come unica finestra sul mondo. Pensa che c’è chi non ha neanche quello, vedila in questo modo.- Rispose lei aspirando una grande boccata di sigaretta e facendomi l’occhiolino.
-Beh si, Dio benedica i balconi- risi io. –Comunque piacere, io sono Fabrizio -.
-Piacere mio, io sono Rita -.
- Woha che strano nome- dissi io d’impulso
Lei rise, -Trovi il nome Rita strano? Dai ce ne sono tanti molto più strambi!-
Io arrossi di nuovo: -no, no, è che ora è un nome che non si sente tanto in giro-.
-Vuoi dire che è un nome da vecchia?- disse lei senza smettere di ridere
-Beh ecco, forse un pochino, ma in senso buono-.
Ridemmo entrambi come scemi. Cavoli se era carina quando rideva.
Aspirai una gran boccata di sigaretta e soffiando fuori il fumo le dissi: -comunque canti davvero bene, e anche con la chitarra non sei male!-
-Graaazie, ma in realtà sei tu troppo gentile, non sono tanto pratica di chitarra e la strimpello solo ogni tanto. Tu suoni qualche strumento?-
-Mmh suono un po’ le percussioni ma anch’io così a tempo perso, non sono un granchè-.
-Daai allora proviamo a suonare qualche pezzo insieme, facciamo un concerto balconaro!- esclamò lei con entusiasmo.
-Dico sul serio, non sono un granchè, probabilmente rovinerei tutti i pezzi che suoni- replicai.
-Ma che dici! Secondo me stai solo facendo il modesto. Hai tutta l’aria di uno che ha il ritmo nel sangue, si vede chiaramente. Dai ci suoniamo un paio di pezzi in tranquillità e alla fine saremo applauditi da tutto il vicinato-. Disse allargando le braccia e accennando un elegante inchino verso i palazzi di fronte.
Non riuscivo a resistere a quello sguardo, la verità è che avrei acconsentito anche se mi avesse chiesto di improvvisare un concerto lirico dal balcone. Dunque acconsentii e andai in camera a prendere i bonghetti da sopra il mio armadio.
Tornai in balcone e mi sedetti posizionandomeli sulle gambe.
- Davvero non aspettarti chissà cosa, solitamente suono quando sono un po’ sballato per rilassarmi, ma niente di più- Le dissi.
Lei si illuminò: -Wooh ma quindi fumi? Potevi dirmelo prima! Se ti va di là ho una cannetta d’erba, potrebbe darci la giusta ispirazione-.
Io accettai, anche se in realtà stavo benissimo così e un po’ mi metteva a disagio il pensiero di sballarmi e magari entrare in una bolla, con la paranoia di non riuscire più a parlare e che lei se ne andasse lasciandomi lì come un cretino.
Lei parve leggermi nel pensiero e disse: - Comunque non preoccuparti, non è ganja olandese che ti stende, è un’erbetta molto leggera che coltiva un mio amico, ti fa solamente ridere un po’, zero paranoie-.
-Wow, così perfetto!- risposi con un sorriso, – anche perche sì, onestamente non avrei tutta questa voglia di collassarmi-.
Lei accese la canna, sbuffò qualche tiro e me la passò. Fumammo e per un po’ restammo in silenzio, c’erano solo scambi di sguardi e qualche risatina. Anche se cercavo di non darlo troppo a vedere, i miei occhi non riuscivano a smettere di guardare ogni particolare del suo corpo. Poi distoglievo in fretta lo sguardo voltandolo verso i palazzi, ma lei se ne accorgeva e accennava un sorrisetto misto di dolcezza, imbarazzo e una puntina di malizia.
Anche lei mi guardava fugacemente, apparentemente concentrata sulla canna e sul panorama, e la cosa non mi dispiaceva affatto.
Non ci fu una parola, ma quel gioco di sguardi ne valse più di mille. Era come se fra noi si fosse creato un sottilissimo filo rosso d’intrigo che partiva dallo stomaco e finiva sulle labbra, che non volevano parlare per paura di spezzarlo, e che ora la notte e l’ebbrezza dell’erba avvolgevano come un caldo drappo di seta.
Sempre senza parlare, Rita fece l’ultimo tiro, spense la canna e imbracciò la chitarra.
Dopo qualche accordo iniziò a intonare una lenta canzone che non avevo mai sentito, era in spagnolo e aveva una melodia misteriosa e ipnotica che ricordava quasi l’antica musica di qualche tribù sudamericana, e senza neanche accorgermene iniziai ad accompagnarla col ritmo dei miei bonghi: le mie mani si muovevano da sole.
La guardavo incantato mentre cantava con gli occhi chiusi, e mi trovai a invidiare profondamente la chitarra che imbracciava, posata sulla sua gamba, e su cui muoveva dolcemente le dita al ritmo della sua voce.
Suonammo per non so quanto, mi sembrava di aver perso la cognizione del tempo. Lei continuava a cantare passando per i generi più diversi: dal blues, al soul alle canzoni popolari italiane.
Al termine di una famosa canzone di Lucio Dalla posò la chitarra e mi sorrise: - Lo vedi che facevi il modesto? Sei davvero bravo a suonare!-
Io risi e le risposi imitando un tono da poeta: – Sì, ma il merito è tuo mia adorata, mi hai fatto da musa ispiratrice-.
Lei rise e mi mostrò il dito medio.
Ridemmo di nuovo entrambi e ci fu nuovamente un momento di silenzio in cui i nostri sguardi si incrociarono. Parve durare un’eternità.
Fu lei a romperlo dicendomi: - beh so che il grande fratello Giuseppe Conte ci sta guardando, e anche se non dovremmo te lo chiedo lo stesso: vuoi violare la quarantena e venire a bere una birretta qui da me?-.
Il mio cuore prese a battere velocemente: l’avrei incontrata, avrei messo piede nel lontano pianeta “balcone accanto” abitato dalla ninfa con la chitarra, che fino a quel momento era sembrata solo un sogno. Era come se tutti i miei sensi si fossero risvegliati e si fossero amplificati a mille.
-Beh, se non sbaglio l’ultimo decreto non dice nulla contro le birrette fra vicini di balcone, dunque accetto volentieri la sua offerta- le risposi.
Andai un attimo in bagno per pisciare (e mi lavai le parti intime con tanta cura che mi parve quasi un gesto scaramantico portafortuna) e uscii nel pianerottolo.
Lei mi aspettava sulla porta, mi salutò con due baci sulle guance e mi invitò ad entrare.
Il suo profumo che avevo sentito in maniera sottile dal balcone ora era così intenso che pareva avvolgere tutta la casa, sembrava di essere davvero in un altro pianeta, con un’atmosfera tutta sua molto più densa di quella terrestre.
Mi invitò a sedermi in cucina e tirò fuori due birre fresche dal frigo.
Iniziammo a bere e a parlare un po’ delle nostre vite: cosa facevamo, dove studiavamo, insomma le solite cose.
Poi ben presto le birrette divennero due, poi tre e gli argomenti iniziarono a divagare nelle direzioni più disparate, sparando cazzate e raccontando gli aneddoti più assurdi.
Non so come arrivammo a quell’argomento, ma fra una cazzata e l’altra ci trovammo a parlare di astrologia, segni zodiacali e chiromanzia.
Mi disse che aveva un’amica che sapeva leggere la mano e che aveva insegnato un po’ a farlo anche a lei. Mi mostrai subito curioso e le chiesi se fosse capace di leggere la mia.
Lei rispose che ci avrebbe provato. Così avvicino la sua sedia alla mia e mi prese delicatamente la mano. Quel tocco mi mandò in estasi, la mia mano in quel momento era diventata il centro di tutti i sensi del mio corpo, sentivo il tocco della sua mano calda e lievemente sudata che sfiorava la mia con leggerezza, arroventando ogni punto in cui si posava.
Iniziò a parlarmi piano della mia linea della vita, di quella dell’amore e della ricchezza, ma io non ascoltavo. Sentivo solo il suo viso sempre più vicino al mio, il calore del suo respiro e il suo profumo che ricordava quello del mare e delle piante della macchia al sole.
Un po’ per l’alcol, un po’ per l’erba, un po’ per le mille sensazioni che provavo, mi sentivo totalmente inebriato e avevo solamente voglia di ubriacarmi totalmente di lei. Di bere il suo corpo partendo dalle sue labbra.
Lei parve accorgersene, di quella forza magnetica che tirava le mie labbra verso le sue. Mi guardò negli occhi e vidi i suoi ardere come il sole, ne rimasi accecato. E come un uomo arroventato dal sole che cerca l’acqua ebbi l’irrefrenabile voglia di cercare le sue labbra. Ormai i nostri volti erano a pochi centimetri, sentivo l’aria calda che entrava e usciva dal suo naso e piccole scosse elettriche che partivano dal suo viso al mio.
Chiusi gli occhi e lentamente le nostre labbra si toccarono.
Esplose un bacio sempre più passionale, le nostre lingue si intrecciarono e fummo presi da una passione selvaggia, incontrollabile. Sentivo il bisogno di unire immediatamente i nostri corpi, di sentire la mia pelle nuda contro la sua, di spogliarmi subito di ogni barriera superflua che ci separasse. Lei intanto continuava ad accarezzarmi con forza la mano, e presto me la pose sul suo seno, invitandomi a stringerlo.
Non resistetti più, la sollevai di peso e la misi seduta sul tavolo senza mai staccare la mia lingua dalla sua. Lei mi tolse subito la maglietta e iniziò a leccarmi il collo e il petto. Io sospiravo dal piacere e intanto facevo scendere sempre più in basso la mia mano fin sotto le sue mutandine. La sua fica era bollente e già bagnata fradicia, vi strofinai tutta la mia mano e in quel momento mi parve la cosa più bella che avessi mai toccato.
Lei si sfilò la canottierina esibendo i suoi piccoli seni nudi, che iniziai subito a mordere e leccare come se volessi mangiarne tutto il calore e il profumo.
In breve tempo lanciammo via tutti i vestiti e fummo completamente nudi. Intanto lei continuava a leccarmi il collo e a limonarmi con forza, e io non desideravo altro che la sua fantastica bocca scendesse ad avvolgere il mio cazzo eretto, che puntava verso di lei fremente di voglia.
Lei se ne accorse e volle stuzzicarmi un po’ – Come sei eccitato- mi disse – si vede che ti mancava il corpo di una donna. Cosa vuoi che ti faccia?- sussurrò guardandomi con i suoi grandi occhi luminosi. Quell’immagine mi fece impazzire, la afferrai delicatamente per il collo e le risposi: - voglio che me lo prendi tutto in bocca, adesso-.
-E quanto lo vuoi?- mormorò lei.
– Lo voglio tantissimo, voglio sentirlo dentro la tua bocca, voglio che me lo prendi ora-.
Lei scese dandomi qualche bacio sull’addome per poi prendermi completamente in bocca. Ebbi un brivido di piacere incontrollato e un sommesso gemito uscì dalla mia bocca, era una visione stupenda. Vederla lì con gli occhi chiusi che si assaporava il mio cazzo mentre con una mano mi massaggiava delicatamente le palle… Ero in estasi totale.
Le levai l’asciugamano da sopra la testa e affondai le mie mani nei suoi capelli ancora umidi, nei quali era ancora più intenso quel suo odore di mare. Fu come immergerle nella sabbia di un bagnasciuga, con il corpo accarezzato dalla freschezza di leggere onde che vanno e vengono lentamente.
Restai con quella sensazione paradisiaca fin quando lei non si staccò, mi baciò e mi condusse per mano nella sua stanza da letto.
Accese una lampadina al lato del comodino che emanava una cupa e densa luce arancio-rossastra, e si buttò sul letto disfatto senza mai smettere di baciarmi con ardore.
Stavolta ero io sopra di lei, e percorsi tutto il suo corpo con la lingua: partii dal collo e scesi fino a leccarle l’inguine, poi risalii appena e iniziai a baciare e leccare appassionatamente le sue grandi labbra. Era già bagnatissima, e chiudendo gli occhi immersi completamente la mia bocca in quello splendore, leccandolo come se volessi coglierne a pieno l’essenza.
Se il suo profumo era magico, il suo sapore lo era ancora di più: era il sapore di un altro mondo dove adesso c’ero solo io, e nella cui oscurità viaggiavo sempre più in fondo verso il suo centro caldo, assaporando, toccando e sognando avvolto da mani di donna che mi tiravano e accarezzavano i capelli.
Lei aveva iniziato a gemere e a scoparmi letteralmente la lingua con sinuosi movimenti del bacino sempre più veloci, il suo respiro era ansimante e le sue mani tormentavano con furia i miei capelli.
Non resistetti e alzai lo sguardo per vederla: era così bella che avrei voluto fotografarla con gli occhi.
Il suo corpo era lievemente incurvato lateralmente, e io percorsi con gli occhi tutta la linea che partiva dal suo ombelico alle forme perfette dei suoi piccoli seni, risalendo per la pelle liscia del suo collo fino al suo viso.
Aveva gli occhi chiusi e la bocca semiaperta e ansimante, in quell’espressione di concentrazione quasi lievemente corrucciata che aveva quando cantava. Una ciocca di capelli bagnati le ricadeva sul viso andando a sfiorarle le labbra.
Era una dea.
Volevo adorare il suo corpo col mio, volevo celebrare quella bellezza divina.
Ripercorsi con la bocca tutto il suo corpo fino al suo viso, di cui iniziai a baciare ogni centimetro. Le baciai le palpebre chiuse, il collo, le orecchie per poi tornare assetato alle sue labbra.
Lei sondava la mia schiena con le mani affondandovi le unghie, si staccò dal mio bacio e mi disse con tono deciso e ansimante dall’eccitazione: - Ti voglio dentro di me ora, voglio che mi scopi adesso-. Mi afferrò l’uccello e se lo posiziono sulla sua apertura già fradicia.
-Sì, ti scopo tutta, ti do tutto il mio cazzo dentro- le risposi io leccandole il collo e spingendoglielo dentro con una mossa decisa.
Lei affondò nuovamente le unghie nella mia schiena e riprese a gemere e ansimare sempre più forte.
Era come aver immerso il mio cazzo nel posto più caldo e accogliente dell’universo: versi di piacere uscivano involontariamente dalla mia bocca e aumentavo sempre più il ritmo dei colpi.
Facemmo una capriola laterale e lei si trovò sopra di me, rimettendosi con ansia il mio cazzo dentro di sé e iniziando a cavalcarmi con forza.
Esploravamo avidamente con le mani ognuno il corpo dell’altra, come se ogni curva e ogni centimetro di pelle fosse un preziosissimo tesoro da cogliere e di cui godere subito, e intanto le nostre lingue rimanevano intrecciate in un bacio indissolubile che non pareva mai saziare abbastanza nessuno dei due.
Presto lei mi bloccò le mani sul cuscino e iniziò a dimenarsi sempre più forte sul mio cazzo presa da tremiti incontrollabili. – Continua ti prego! Sto venendo! Ti prego scopami forte!-
Mi disse urlando ogni parola con tono sempre più acuto. Quella sua espressione di godimento ora era di estasi totale: la sua bocca era spalancata in un urlo muto e i suoi occhi erano chiusi con le sopracciglia aggrottate quasi in un’aria di sofferenza.
Non resistetti, mi incurvai su di lei, la strinsi per i capelli, avvicinai le mie labbra al suo orecchio e le sussurrai forte: - Sei bellissima! Sei una dea, sei troppo bella cazzo! Mi fai uscire di testa!-. Lei per tutta risposta si irrigidì, prese a tremare sempre più violentemente ed esplose in un orgasmo fragoroso. Sentivo rivoli del suo succo colarmi lungo le palle e le sue unghie ancorate energicamente alla mia nuca.
Lei si abbandonò su di me sfinita ma ancora vogliosa, e io continuai a scoparla lentamente.
Scopammo per ore o forse per giorni, scopammo finchè lei non raggiunse altri due orgasmi, scopammo fino allo stremo, scopammo finchè il mio corpo mi disse che dovevo venire e lasciarmi andare.
Io continuavo a scoparla posto lateralmente dietro di lei, eravamo entrambi sudati fradici e parevamo reduci di una maratona. Con voce ansimante le dissi che stavo venendo e non riuscivo più a trattenermi.
-Oh sì vieni! Vienimi dentro, sono protetta- mi disse lei con voce roca, -vienimi dentro, voglio sentirti che mi schizzi dentro-.
Non resistetti più, aumentai sempre più il ritmo dei colpi finchè le riversai dentro tutto il mio piacere emettendo gemiti incontrollabili, era un orgasmo così intenso che era quasi doloroso, e lei mi accompagnava spingendosi forte verso di me e continuando a limonarmi intensamente.
Alla fine mi accasciai stremato e restai dentro di lei, pensando che sarei voluto rimanere così per sempre.
Lei mi si sfilò con delicatezza e si girò verso di me, guardandomi negli occhi con un sorriso stanco. Il suo viso era esausto e sudato, in contrasto con i suoi occhi che emanavano luce solare pura. Sorrisi anch’io e restai perso a guardarla, sentendomi in totale pace con l’universo.
Restammo abbracciati e in poco tempo ci addormentammo, scivolando nei sogni del blu di una notte di velluto.


Dedicato a tutte le persone in quarantena e soprattutto a quelle senza un balcone.
Torneremo a fare l’amore più forte di prima
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