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Avventure pericolose in Estremo Oriente (II Parte)


di pollicino
19.10.2021    |    9.943    |    0 9.6
"Adesso era lei che voleva sentirlo tutto, farsi penetrare – centimetro dopo centimetro – da quel blocco di carne durissima, e colmare con la sua ingombrante..."
6. Una inattesa antagonista.

I due, però, non immaginavano quello che stava per accadere... Infatti, all'interno della Fratellanza c'era una struttura parallela, altrettanto segreta, che si opponeva a che quella Tradizione potesse essere interrotta e che la spada corresse il grosso rischio di dover lasciare il territorio di cui era diventata un simbolo insieme al kama sutra.

Tale Struttura, perciò, si mise in azione, e prese contatto con la donna che in quel momento era la depositaria ufficiale della "Verità" connessa con la preziosa "reliquia", l’ultima di quella ininterrotta catena che risaliva fino a Lian Wei.

E un giorno, mentre lei era a lavorare come cameriera ai piani in un grande albergo, ricevette una strana telefonata da una voce ignota:
- "Nicole... La spada è in pericolo... Devi agire!".
- "Ma chi è? Che significa? Guardi che ha sbagliato...", rispose.
- "È la Commissione che mi ha mandato... Sappiamo che sei tu l'ultima discendente di Chuang Mu, e che a te è affidato il compito di difendere la spada miracolosa", si presentò quella voce.
Nicole, un po' rassicurata ma ancora dubbiosa, domandò:
- "Cosa volete da me?".
- "Vedi, il Maestro vuole portare a sé la spada, ha assoldato una mercenaria, una guerrigliera, sono pronti a tutto... Ma noi, che siamo l'ortodossia della Fratellanza, dobbiamo impedirlo!", le fu spiegato per bene.
La donna, che aveva sempre fatto affidamento sul Maestro come massima guida, rimase incredula, ma si decise a collaborare:
- "E cosa dovrei fare per la spada? ".
- "Dovrai neutralizzare quella mercenaria, con ogni mezzo, e se necessario portare al sicuro la spada!", disse perentorio colui che le stava parlando.
E riattaccò.

Non appena si riprese dallo spavento, Nicole – discendente da un’antica e nobile famiglia, di lontane origini cinesi benché nativa di Bellville, negli USA, dove ormai i nomi tradizionali dei suoi antenati cominciavano a cadere in disuso – capì che doveva opporsi al sacrilego tentativo di trafugamento in atto, e si mosse per impedirlo: non voleva essere proprio lei la "custode" che se l'era fatta soffiare da sotto il naso...

Giunta, perciò, nella terra dei suoi avi con il figlio maschio più grande, non impiegò molto a calarsi nuovamente nel suo ruolo.
E siccome era sua intenzione fare di tutto per rabbonire la dea, decise di celebrare il rito ordinario in maniera straordinaria, “amministrandolo” per la quarta volta in quell'anno.

Insieme al suo ragazzo, si recò immediatamente alla grotta, si denudò deponendo gli abiti di tutti i giorni, e vestì quelli più appropriati a quel rito pagano.

Nicole, indossò un ricco diadema sul capo, e disse:
- "Questo diadema, mi dia la forza di difendere la spada di Chuang Mu".
Poi, mise un bustino di cuoio nero stretto in vita, tutto decorato in oro, con il simbolo della dea, e proclamò:
- "Il bustino che sto indossando, sia per me il segno del legame, indissolubile e fino alla mia morte, con la lunga schiera di donne che mi hanno preceduta in questo servizio".
Si infilò, ancora, una sorta di perizoma, costituito da una fascia di cuoio in vita e una perpendicolare che le copriva completamente i genitali. E mentre compiva quel gesto, pronunciò l’invocazione:
- "Questa cintura, sia per me protezione, pegno del mio sacrificio e della mia dedizione completa alla causa della spada".
Indossò, quindi, un gonnellino a strisce – sempre in cuoio – a metà coscia, a somiglianza di una minigonna dei tempi moderni, e declamò un'altra supplica:
- "Così come questo gonnellino copre le mie nudità, così tu, o Chuang Mu, aiutami a prendere, accumulare e conservare tutta l'energia necessaria al combattimento fisico e spirituale".
Infine, si infilò due bracciali a fasce – a mo’ di ornamento agli arti superiori, e calzò un paio di stivali alati di pelle, appena sotto il ginocchio, guarniti con sette nappe. E pronunciò questa formula:
- "Siano questi calzari alati rappresentazione della mia capacità di muovermi nella direzione di esperienze sempre nuove".

Robert, il figlio, invece, era vestito con un paio di pantaloni marrone di grezzo camoscio, mentre sopra era avvolto in una casacca rosso scarlatto, bordata di nero sia sul fondo che sulle maniche, e stretta ai fianchi da una cinta con una borchia riproducente anch’essa il logo della dea.
Alle braccia, indossava – come la madre – degli inserti protettivi, mentre ai piedi indossava delle scarpe basse di morbida tela, alte fino alle caviglie.

Preparati, entrarono – fianco a fianco – nella grotta, accompagnando il loro incedere con un arcaico mantra della dea Chuang Mu.
Nicole era avvezza a quel buio, prima di rimanere colpita dallo sfavillante chiarore che emanava dalla spada.
E quel silenzio, che "urlava", fu rotto solamente dai loro passi, e da un muto e sconosciuto ansimare che proveniva dalla parte più interna...
- "Cos'è stato? Qui c'è qualcuno... Aspetta, non ti muovere", sussurrò Nicole, sospettosa, a suo figlio, che immediatamente arrestò i suoi passi.
Al contempo, anche dal cuore di quella caverna le voci si interruppero, quasi simultaneamente con quelle dei due “officianti”.

Dentro la grotta, Susan e Jonathan avevano appena iniziato il loro di rito, secondo quanto gli era stato “richiesto” sui graffiti interpretati dal giovane archeologo.
Sentito prima lo scalpiccio dei passi e poi la voce di Nicole, ed avendo l’uscita della grotta bloccata dall’altra coppia, di corsa presero le loro cose e si nascosero in un cantuccio in penombra della stessa, a guardare ciò che stava accadendo.

7. Il “sacrificio” per la dea.

Dopo aver perlustrato ben bene la grotta, Nicole si tranquillizzò, convincendosi che quei “rumori” che aveva udito erano stati solo una suggestione frutto del turbamento che aveva nell'animo per ciò che si accingeva a compiere.

Lei e suo figlio Robert, con passo rituale, si avviarono verso l’ara dove era piantata la spada, ad espletare i preparativi per il culto: la adornarono di rovi spinosi, tanto cari alla dea Chuang Mu, e cinsero l’arma con sette candele color blu, che provvidero ad poi ad accendere secondo una successione antioraria.
Mentre compivano questo gesto, i due proclamarono, rivolti verso i quattro punti cardinali:
- “Per la sacra spada, o Grande Dea, concedi fecondità alla tua serva e perenne prosperità alla sua discendenza”.
Dopo di che, iniziarono a deporre – dinanzi al cimelio – le loro vesti, offrendo la loro nudità come atto riparatorio del sacrilegio sinora soltanto progettato.

Alla sola luce delle candele, Nicole appariva ancora più fascinosa… I suoi fianchi e il suo ventre prominente si mostrarono in tutta la loro magnificenza, mentre le corpose mammelle "precipitavano" sensualmente verso il basso, pur essendo di una compattezza fuori dal comune per una femmina della sua età. Avvolto in un lussureggiante pelo irsuto, il suo ineffabile grembo accoglieva in sè una lunga e stretta fessura, palesante fiera il nobile contenuto. E il culo – grosso, rotondo, e con appena un filo di cellulite – esprimeva una autentica sinfonia di emozioni, in un autentico crescendo rossiniano…

Robert, ignudo, dal canto suo si stagliava fronte a fronte alla genitrice, di cui sorreggeva lo sguardo e le mani nelle sue, esponendo un membro che – seppur di dimensioni moderate – rappresentava la virilità del maschio.

Erano all’apoteosi, due corde di violino tese all’inverosimile, mentre la donna si stava concentrando sulla lama che di lì a poco avrebbe estratto.
Ma non era giunto ancora il momento opportuno di agire…
Afferrò, invece, un piccolo vasetto d’onice che era da sempre custodito accanto al cimelio, ne aprì il coperchio e ne riversò parte del nobile contenuto sul palmo della sua mano destra.
Poi, iniziò a cospargere di olio profumato il corpo del figlio, lentamente, con grande cura e sacralità.
E mentre gli ungeva il petto, dichiarò:
- “Per mezzo di questa unzione, ricaverai un cuore puro e generoso, capace di ascoltare il volere della dea, e di mettere in pratica il suo autentico volere…”.
Gli spalmò dell’olio il ventre, e disse:
- “Per mezzo di questa unzione, sarai un uomo forte, non avrai timore di essere avvelenato, poiché lei sarà il tuo potente antidoto contro ogni male…”.
Infine, gli unse i genitali:
- “Per mezzo di questa unzione, la tua potenza virile sarà invincibile, e darai alla dea una erede che custodirà in avvenire la sacra spada”.
Terminato questo servizio, fu la volta di lui, il quale attuò la stessa azione sul corpo della madre, non tralasciando di ungere alcun orifizio…

Con il potere magico conferito a tutte le discendenti femmine della famiglia, Nicole iniziò ad estrarre finalmente la spada dalla roccia. Era il momento più solenne, e – tenendola sollevata e ben visibile alle due estremità – pronunciò la formula di rito:
- “O spada santa, tu che nella notte dei tempi fosti la salvezza della giovane Lian Wei, dammi il vigore per vincere le avverse forse della natura e provare alla tua dea la mia fedeltà inesauribile fedeltà”.

Tremante, la depose sull’altare, dove si stese, e con il filo tagliente di essa si incise una profonda ferita – a forma di croce greca – sul basso ventre, all’altezza delle ovaie. Poi, dichiarò ancora:
- “Spada di Lian Wei, concedimi l’onore di offrirti in olocausto il mio sangue, che fluisce puro a dar nuova vita…”.
In breve tempo, da quello squarcio rituale zampillò fuori un prolungato fiotto di sangue, che la donna – intingendovi la spada – adoperò per “marchiare” (sul cuore, l’addome e il membro) il ragazzo, ad indicare la sua avvenuta espiazione e consacrazione alla dea.

Conclusa questa prima fase della cerimonia, e così purificato, Robert aiutò la madre a sollevarsi dall’altare, si stese al suo posto, e – ricevuta da essa l’arma – adempì su se stesso la medesima processo che aveva visto realizzare poco prima dalla madre: con le proprie mani, si lacerò in profondità la grossa pancia adiposa, ed esclamò:
- “Spada di Lian Wei, concedimi l’onore di offrirti in olocausto il mio sangue, per riceverne la santa benedizione di una stirpe rispettosa della dea e sottomessa alle sue future custodi”.
Anche dal corpo del ragazzo iniziò a sgorgare abbondante sangue e – senza perdere tempo – Nicole ne approfittò per sovrapporre i loro due squarci e fondere insieme il loro sangue, a significare che ormai erano – anche ritualisticamente – una cosa sola.
Poi, presa la coppa con su incisa l’effige della dea, vi fece colare una buona quantità di quel fluido rosso, e prima lei, poi il ragazzo, vi si dissetarono, non prima di aver pronunziato la formula:
- “Bevo questo sangue, offerto a te, dea Chuang Mu, e che tu mi restituisci, a imperitura memoria di questo sacro sacrificio”.

Ma c’era ancora da fare una cosa, affinchè la dea fosse del tutto placata: consumare l’amplesso prescritto…
Il rituale fece mutare radicalmente lo scenario, e l’ara si trasformò in un comodo e confortevole talamo, ricoperta di un soffice cuscino.
Poi, Nicole si stese nuovamente su di essa, e Robert le legò le mani sopra la testa, e i piedi con una corda che girava attorno all’ara stessa.
Robert fece una preghiera in latino:
- “Magna dea, suscipe hunc concubinum, pro peccato tuo commisso expia. Fac semen meum descendentem in uterum servi tui placa furorem tuum”.
Salì sopra il corpo della madre, e pazientemente iniziò a leccarle la vagina umida di voglia di sesso.
Lei, allora, lo guardò e indicandogli la sua bocca:
- “Voglio il tuo cazzo, dammelo…”.
Il giovane non se lo fece ripetere due volte… Era abituato a questo “rito” con la madre, tre volte l’anno aveva la piacevole possibilità di accoppiarsi con lei, e anche ora ne pregustava la soave leggerezza.
Si avvicinò alle sue labbra, che socchiudendosi delicatamente a tenaglia accolsero il suo glande scappellandolo e donandogli una sensazione indescrivibile.
Iniziò a praticargli un lento pompino con la bocca, mantenendo il cazzo serrato tra le sue forti mascelle
Con la lingua, solleticava il frenulo, che in breve finì per essere teso al massimo, assieme a tutto il membro che – nei suoi limiti – si ergeva in completa erezione.
Se lo tolse di bocca, si fermò un solo istante, giusto il tempo di dire, con il fiatone:
- “Bene così… Non dimenticare che questa non è una semplice scopata, lo facciamo per la dea…”.
A quel richiamo Robert capì il senso di quella promessa in latino che aveva fatto poco prima… Scese, strisciando la sua verga lungo l’addome materno, e – giunto in prossimità della sua passera pelosa – dilatandole le grandi labbra con due dita, in un gesto che ormai gli era diventato automatico, appoggiando la cappella sull’orifizio vaginale, iniziò una lenta penetrazione, finchè il pene non scivolò dentro completamente.
Nicole era così bagnata che dovette fingere per seguire meticolosamente quanto previsto dal cerimoniale…
Pertanto, gridò forte, e riaprendosi la ferita calcandoci sopra con un dito, si fece uscire nuovamente il sangue dal grembo, a significare – ritualmente – l’avvenuta “deflorazione”.
Sottolineò questo momento dicendo:
- “Mi hai lacerata in un colpo solo, senza alcun dolore!”
Per tutta risposta, lui – che la stava stantuffando vigorosamente – si lasciò andare e le eiaculò dentro tutto il seme che aveva raccolto nei testicoli:
- “La dea ne sarà contenta!”, sentenziò Robert.
Si sfilò dalla vagina della madre, la sciolse (proprio come si farebbe con un animale), e mentre lei si voltava mettendosi alla pecorina, la sculacciò sonoramente.
Poi, attingendo all’unguento del vasetto, si unse di olio due dita e senza dire niente gliele inserì nell’ano.

Era una cavità enorme, palpitante, il cui aroma acre di femmina eccitò Robert come non mai.
Nonostante cercasse di controllarsi, e fosse abituato a vedere quello spettacolo, stava andando fuori di testa.
Nicole, che era una donna tanto morigerata e rigorosa, durante questo rito si scatenava come una vera zoccola.
Ma questo era il momento in cui Robert doveva svolgere il suo compito di "officiante", e infatti - ripreso il controllo di sé -, sfilando le due dita dall'ano materno, le posò saldamente sulle chiappe di Nicole, la quale ebbe a dire:
- "Dea della camera da letto, vieni a me!".
E il ragazzo, recependo quell'invocazione come un segnale, leccò prima il suo buco del culo, e poi violò lo sfintere cacciandovi dentro, lentamente, tutti i suoi 17 centimetri fino alle palle, fino in fondo.
Poi il giovane cominciò a muoversi avanti e indietro, sempre più velocemente. E ben presto arrivò la sborra...
- "La dea vuole, attraverso di te, purificare tutti coloro che si sono macchiati del peccato di superbia verso di lei...", disse Robert, come invasato.
E gli inondo' l'intestino, tanti getti caldi che gli colpivano come dardi infuocati il retto.
Alla fine, aveva dentro tanta sborra che - ad ogni suo movimento - si sentiva il rumore di un tremendo sciacquettio di quella" crema" nelle sue viscere.

Robert era completamente svuotato, mentre Nicole non era mai stata così piena...
Si rialzarono madidi di sudore e di sperma, e la donna rinfoderò la spada nella roccia dell'altare.
Quella notte la trascorsero lì, ancora nudi, e giacendo uniti su quell’ammasso di granito.
L’indomani, alle prime luci dell’alba, si rivestirono con i loro abiti "moderni", e nel giro di poche ore erano sereni e di nuovo in volo verso gli States, certi che il loro rito avrebbe reso impossibile a dei "profani" sottrarre la spada alla sua naturale destinazione.

8. Seduzione fatale.

Susan e Jonathan rimasero nella grotta, in silenzio, nudi e infreddoliti, per tutta la durata del rito, e videro ogni cosa…
Soltanto la mattina dopo – quando la “custode” della spada se ne fu andata via con il figlio – la guerrigliera e il suo ragazzo poterono riprendere la copula da dove erano rimasti (o quasi…).

Attesero ancora un'altra ora, per essere certi che Nicole non sarebbe tornata indietro, e poi diedero libero sfogo a quel forte impulso sessuale che anche la dea – secondo l'interpretazione di Jonathan – aveva loro “richiesto”.
Non gli era mai capitato prima di dar vita a un incesto, ma siccome quel genere di congiunzione era il passaggio obbligato per acquisire il coraggio necessario ad tirar fuori (nuovamente) la spada e portarla in America al Maestro, i due si sistemarono sull'ara, con “l'oggetto della loro missione” che vigilava su di loro all'estremità opposta.

La donna, si mise a cavalcioni del masso di pietra, con le gambe larghe pendenti da ogni lato lungo, e mettendo in bella mostra la sua fica già umida di desiderio represso; poi, con un’occhiata decisa, chiamò a sè il giovane che si mostrava alquanto restio:
- "Su, lo so che non è tanto normale quello che stiamo per fare, e che saremmo certamente criticati se qualcuno lo dovesse venire a sapere... Ma non abbiamo scelta… E poi, vedrai che non sarà poi così male... Sai quanti mi si vorrebbero portare a letto ogni volta che sono in giro per il mondo?".

Ma Jony – preso in mano il suo pisello e cominciata una sega in piena regola – non era tanto attratto dalla sua passera matura che la genitrice gli stava “sbattendo in faccia”, quanto da quel paio di grosse tette rifatte.

A un certo punto – fisso sul “suo” spettacolo preferito –, si sentì afferrare per una mano, e docilmente si lasciò attrarre da quella forza misteriosa, che gli disse:
- “Non avere timore…”.
Incosciente, sentì crescere la sua eccitazione quando quella mano cominciò a fare pressione sui suoi glutei per avvicinarlo a sé.
Jonathan non seppe più come reagire, e fu proprio a allora che la voce tornò a farsi sentire:
– “Tanto tempo fa, uscisti da me, ed ora ripercorrerai la strada inversa”.
Quel viaggio simbolico era appena iniziato, quello era solamente il primo passo verso l’ignoto, verso qualcosa che Jony sentiva essere contrario alla morale…
Di nuovo, sentì dire:
- “Devi ripulire la tua mente da tutto ciò che ti porta a vedere immoralità in quello che ti accingi a compiere”.
Poi, la mano che lo stava guidando si spostò dietro alla sua nuca, e riprese a far pressione, inducendolo a piegarsi fortemente, quasi fino alla superficie di quell’altare – poiché ne percepì il freddo del porfido –, ma ad un certo momento quel “freddo” si tramutò in umido… e il piacere arrivò inatteso.
Infatti, quell’umido non era altro che gli umori intimi della madre, e quella superficie che stava sfiorando con le labbra la sua vagina.
L’eccitazione di entrambi crebbe, fino al punto che la vce suadente di prima incitò il ragazzo:
- “Dai, bacia colei che è la ragione unica dell’esistenza umana, colei attraverso la quale ogni uomo e ogni donna sono stati, sono e saranno su questa terra…”.
Il maschio rimase gradevolmente turbato da quel delicato benessere che provò grazie a quell’odore e a quel sapore, non credeva possibile sperimentare emozioni così profonde...
Jonathan si lasciò andare, e dolcemente iniziò a sfiorare con le labbra la fica leggermente slabbrata di lei, e le scostò le labbra con una lentezza quasi logorante.
Susan si aspettava che la lingua del figlio le stimolasse il suo celestiale grilletto, lo sognava così intensamente tanto che le sembrò già di averla sopra quel bottoncino di carne…
E invece quella lingua si limitava a tenere le labbra di lei divaricate, sebbene i movimenti del bacino di Susan cercavano di farla penetrare all’interno.
Allora la donna, con un movimento deciso, schiacciò il volto di Jony sul suo pube e gli urlò:
- “Ti decidi a leccare?”.

Il ragazzo, si destò finalmente da quello stato, e dopo un breve istante in cui restò inerte, cominciò a muovere la lingua dentro la vulva materna, per poi uscire e lappare piccole e grandi labbra, fino a lambire – con la sua saliva – lo sfintere.

Susan, era allo stremo, temette d’impazzire dall’intensità di quel piacere, e improvvisamente lo investì con una intensissima squirtata. I getti si assommarono l’uno dopo l’altro, fino a quando, sfinita, la femmina si sdraiò supina sul freddo blocco di porfido.

Intanto Jonathan stava lentamente tornando in sé, quando la madre gli disse:
- “Ora tocca a te… Rialzati… Avvicinati di più…”.
E il ragazzo fece come gli era stato comandato…
Al che lei iniziò una stimolazione orale dei genitali di lui, e prese a ciucciare golosamente il suo membro.
Quando reputò che ciò potesse bastare, con la mano destra aperta sul pube del figlio, lo allontanò un poco e lo incitò:
- “E’ il momento della verità, il momento in cui non solo saremo sangue dello stesso sangue, ma anche quello in cui il volere della dea si compirà”.
Infatti, l’interpretazione dei graffiti aveva rivelato ai due come la spada avesse anche un potere taumaturgico: inserendo ritualmente la punta di quell’arma nell’intimità della donna, e recitando una “preghiera”, questa – dopo un regolare accoppiamento – sarebbe rimasta certamente gravida dell’uomo che le avrebbe donato il suo seme.

A Susan, in quel frangente, balenò nella mente quella possibilità… Lei, dopo la nascita di Jonathan, aveva dovuto subire l’asportazione delle ovaie, e perciò le era stata diagnosticata l’impossibilità di procreare ancora…
Non esitò un istante a confessare al suo ragazzo quello che era il suo più grande desiderio:
- “Ascolta Jony, ti ricordi la promessa dei graffiti, quella sulla fertilità? Bene, io vorrei tanto un altro figlio, ma come sqai è impossibile… O meglio, lo è stato fino adesso! Ora, possiamo realizzare questo grande desiderio… Su, procediamo con il rito, e affidiamoci alla dea… Io non è che ci creda molto, ma… non si sa mai”.
E rise…
Tutto l’amore che Jonathan provava per la madre, in quel momento ne fu centuplicato, e il giovane non esitò ad assecondarla…
Mentre Susan si disponeva supina e si teneva aperta la vagina, lui si avvicinò alla spada e disse:

“O DEA CUBICVLI, QVAE FILIOS TVOS MOESTA HUMANITATE EXCITAS, DA NOBIS NOVAE VITAE GAVDIVM PER FERRVM HOC”

(O Dea della Camera da Letto, tu che susciti nell’umanità dolente i tuoi figli, donaci per mezzo di questo ferro la gioia di una nuova vita).

Poi, si avvicinò alla spada, e con grande apprensione la estrasse… Senza alcuna difficoltà!
Fu in quel momento che l’archeologo cominciò a pensare che quella “leggenda” fosse vera…
Con il cimelio in pugno, raggiunse la sua genitrice e puntò l’estremità acuminata dell’arma sull’orifizio che lei gli presentava – trepidante – tra le cosce.
Lentamente, la sbarra affilata si incuneò dentro di lei per tutta la sua lunghezza, come se fosse un piccolo stilo, fino all’impugnatura.
Allo stesso tempo, Susan percepì a livello dell’utero come un grande calore, molto piacevole.
Si guardarono in volto, seri, madre e figlio, e poi lui iniziò a far compiere alla spada il percorso inverso…
Estratta completamente, la ripose (come “prescrivevano” i graffiti) nella roccia, in attesa che Susan – terminato il rito – la potesse nuovamente tirare fuori per portarla con sé.

Per un tempo imprecisabile, dopo che lui fu risalito sull’ara, restarono fermi, l’uno di fronte all’altra, incerti sul da farsi…
Quindi, fu Susan a riprendere a parlare:
- “Ora diamo inizio a questo amplesso… E rilassati…”.
Non staccò gli occhi da quelli del ragazzo per un solo istante… Sorrise… Un sorriso dovuto, forse, dal grande stato di eccitazione, e invitò con lo sguardo Jony a farsi avanti, spalancando le gambe il più possibile in modo da farlo avvicinare il più possibile…
Prese le mani di lui e se le appoggiò sul seno, quello stesso che poco prima aveva fatto a Jony un effetto ipnotico.
Sotto, il ragazzo era già “pronto”, tanta e tale era l’agitazione che lo aveva preso.
Lentamente portò il membro a puntare sulla pelle del ventre di lei, scese più in basso, spinse e lo fece scivolare subito dentro sua madre, la quale lo accolse, fagocitandolo in un attimo.
Adesso era lei che voleva sentirlo tutto, farsi penetrare – centimetro dopo centimetro – da quel blocco di carne durissima, e colmare con la sua ingombrante presenza il desiderio di sesso che provava…
Finalmente aveva suo figlio nel ventre!
Cominciò a muoversi, ad occhi chiusi, lasciandosi trasportare dall’istinto e dall’esperienza, mentre lui la assecondava con uno stantuffare sempre più concitato, che sfruttava tutta la lunghezza del suo membro.
Susan spinse il suo corpo verso un orgasmo epocale, e urlò sprofondando in un senso di piacere che le stava consumando il cervello.
Un fremito colse anche Jonathan, il che indicava che l’orgasmo del ragazzo era vicino, e lei si preparò ad assecondare il suo seme che stava per diffondersi dentro il ventre.
Godette, Jony, e la femmina lo lasciò venire fino alla fine, tenendoselo ben schiacciato contro di lei e colse, nonostante la grande dilatazione, il calore del seme.
Lo lasciò godere sino in fondo, tenendoselo ben pressato contro se stessa, nel punto d’unione, per non perdersi neanche una goccia, e infine percepì distintamente il calore del seme che stava “lavorando” nel suo utero…
Spossato, il giovane si tirò fuori dalla madre, che si alzò da quello scomodo quanto piacevole “giaciglio”, e scese dall’ara, rimanendo in piedi, nuda e con lo sperma che iniziava a colarle giù dalle gambe.

A questo punto, Susan rivolse la sua attenzione alla spada nella roccia… Cercò di estrarla per condurla al Maestro, come promesso, ma…
- “Guarda, Jony, non esce più… Non esce più!!!!”, esclamò sbigottita quella femmina.
Provò e riprovò, ma non ci fu nulla da fare, e alla fine i due – amareggiati e preoccupati – si rivestirono e fecero ritorno all’alloggio…

9. Conclusioni.

Madre e figlio stavano stesi sulle loro brande che, dopo tutto quel turbinio di emozioni, gli sembravano morbidi e soffici come piume.
Si stavano riposando, e nel mentre riflettevano su quelle due giornate che si erano tramutate in una vera e propria perdita di tempo: Susan, sarebbe tornata dal suo Maestro a mani vuote, mentre Jonathan stava maledicendo il giorno che aveva accettato quella proposta, declinando l’invito per l’Egitto.

Tutto d’un tratto, la donna – non tenendosi più – esclamò:
- “Diamine… Ho visto quella fottuta spada uscire per ben due volte dalla roccia… Tu stesso l’hai presa… E allora perché io non ci sono riuscita?”.

Nel mentre, si presentò sull’uscio Wen Tian, il loro contatto cinese, il quale – avendo ascoltato quella imprecazione, seraficamente rispose:
- “Mia cara, la spada è sepolta in quella grotta da più di un millennio, e tu volevi portartela via come fosse un qualunque altro oggetto? Da quando siete arrivati, sapevo che non ci saresti riuscita…”.
Susan rimase molto colpita da quelle parole, che le parvero come una presa in giro. Domandò a quell’uomo:
- “Ma allora, perché ci hai accompagnati fin qui?”.
- “Per dimostrare a te e al tuo Maestro che la nostra civiltà sa difendersi bene da ogni pericolo… Inoltre, tu hai avuto una cosa dal valore immensamente più grande di una spada, che già è straordinaria… Hai avuto un figlio…”, replicò – con estrema pace – il vegliardo.
- “E tu come fai a saperlo?”, sgranò gli occhi la donna.
E lui:
- “Dimentichi che qui la storia narrata da quegli affreschi la conoscono tutti… E quella storia ha profetizzato che la prima donna che sarebbe entrata nella grotta, a parte la “custode”, avrebbe ricevuto il dono di un figlio… Perciò, ritorna al tuo paese, e sii grata alla dea…”.
Poi, così come era apparso, il vecchio sparì alla loro vista…

Era l’ora di rientrare… Il SUV era alla loro porta, i bagagli pronti e la voglia di dimenticare quella storia era tanta.
Nel giro di sei ore Susan e Jony erano di nuovo in America, nella loro bella e confortevole casa.

Qualche tempo dopo, la femmina iniziò a provare stanchezza, nausee, e assenza delle mestruazioni.
Si fece prescrivere un controllo ginecologico e… Era davvero incinta, come le avevano preconizzato la dea e il vegliardo.
Il bimbo, nacque con una mamma e un “padre-fratello”, e venne chiamato Tian Zi, che significa: “figlio del Cielo”.

FINE
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