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Fraternamente


di carisbo
18.06.2019    |    16.244    |    13 9.9
"«Che facciamo?», disse dopo un paio di minuti..."
Cominciammo a fingere di essere una coppia al liceo, io ero più basso della media dei miei coetanei e un po’ cicciottello, mia sorella alta e magra come un chiodo, non incontravamo i gusti del sesso opposto, dopo le medie andammo in due scuole diverse, io allo Scientifico lei al Classico così dopo le prime traumatiche esperienze in festicciole dove finivamo per fare tappezzeria, complice il fatto che nessuno sapeva che eravamo fratello e sorella, cominciammo a coprirci l’un l’altro presentandoci come fidanzatini alle rispettive feste, facendo ben attenzione a non far mai venire in contatto i gruppi di amici per non svelare l’inganno; diventammo parecchio bravi nella finzione, riuscivamo anche a fare finta di pomiciare.
Dividevamo anche la stessa stanza e quindi eravamo abituati all’intimità, mia sorella fu la prima donna nuda che vidi e io il primo uomo nudo che vide lei e anche il primo uomo con un’erezione.
Accadde quando io avevo 15 anni e lei 17, eravamo abbastanza grandi per rimanere in casa da soli e i nostri genitori decisero di concedersi un weekend fuori, mia sorella uscì con le amiche e io rimasi da solo, mi feci una doccia, era estate e me ne andai in giro nudo per casa come chiunque avrà fatto qualche volta; era quella l’epoca delle cassette VHS e un amico me ne aveva data una particolare, giudicai che fosse il momento di approfittarne, fino a quel momento mi ero fatto solamente seghe a fantasia sotto le coperte facendo attenzione che mia sorella non se accorgesse, così la infilai nel videoregistratore del salotto e mi stravaccai sul divano per godermi la serata, pochi minuti ed ero già in piena azione, così preso da quel che stavo facendo che non udii la chiave girare nella porta.
Vidi un ombra davanti al televisore, mi girai e mia sorella era lì, con la borsetta in mano a guardarmi, ero nudo e mi stavo masturbando e per inerzia non smisi appena la vidi, ma solamente qualche secondo dopo.
Rise in maniera ironica, «Fai pure», disse, «Io me ne vado a dormire», e sparì, mi voltai osservando la porta della camera che si chiudeva, attesi diversi minuti, non sapevo cosa fare, tornare in camera in quel momento sarebbe stato troppo vergognoso, quindi decisi di darle retta e concludere, le avrei dato il tempo di addormentarsi e la mattina dopo avremmo fatto di niente, così ripresi a smanettarmi.
Ancora una volta non percepii alcun rumore e così quando la sentii dire: «Fammi posto», trasalii nel vederla in piedi a lato del divano completamente nuda; il divano era a due posti ed io ero perfettamente al centro, scivolai verso la mia sinistra e lei si sedette alla mia destra, non mi guardò, aprì le gambe e cominciò ad accarezzarsi con la mano sinistra, ancora oggi mi stupisco nel pensare che l’unica cosa che notai e che il tono della sua voce era strano, infastidito.
Mi ridestai dal mio stupore grazie ai mugolii che provenivano dallo schermo e vista la situazione ripresi a masturbarmi, non passarono molti minuti prima che la sentissi emettere dei mugolii anche lei, la sua mano prese a muoversi più rapidamente, i mugolii divennero più udibili, poi più rapidi, infine una specie di soffio, vidi le sue gambe tremare e improvvisamente fermarsi, il braccio che aveva lavorato così bene si afflosciò di colpo sulla coscia e lei sembrò essersi spenta, gli occhi chiusi, la testa reclinata di lato, apparentemente svenuta, in quel momento persi il controllo e venni anche io, vigorosamente, anche troppo, il primo schizzo mi colpì al collo, il secondo sulla guancia destra e il terzo si infilò per metà nella narice sinistra e per metà appena sotto l’occhio, detti gli ultimi colpi mentre lei si rianimava, si sedette, tenendo la mano bagnata lontana dal divano per non macchiarlo, mi guardò con aria assonnata, poi sgranò gli occhi, rise, «Ma ti sei venuto in faccia da solo?», scoppiò in una risata fragorosa e risi anche io.
Si alzò, io rimasi lì, tornò dopo secondi allungandomi un asciugamano con un sorriso, lo presi e se ne andò, mi ripulii per bene, mi alzai e andai in bagno per riporlo nel cesto dei panni da lavare, lei era lì, a cavalcioni del bidet, con la spugna tra le gambe, chiuse l’acqua si alzò, prese un asciugamano pulito e cominciò ad asciugarsela di fronte a me, «Guardo che me ne accorgo quando ti fai le seghe sotto le coperte, non sei così discreto», ripose l’asciugamano e si mise addosso l’accappatoio, «Tu invece non si sei mai accorto di quando mi sditalino».
«No», ammisi.
«Perché sono discreta», chiuse l’accappatoio, «Hai mangiato?».
«Non ancora», risposi.
«Preparo qualcosa».
Non mi venne in mente di vestirmi e quando mi chiamò mi presentai in cucina ancora nudo e mi sedetti accorgendomene solamente al contatto del metallo freddo della sedia sulla pelle, feci finta di niente.
Per un po’ mangiammo in silenzio ma la vedevo triste, «Qualcosa non va?», le chiesi.
Dapprima non rispose, poi si aprì.
«Volevo dargliela sai», posò la forchetta, «La mia prima volta volevo fosse con lui, questa sera, ero pronta», dette un pugno sul tavolo, non sapevo cosa dire la fissai, «L’ho beccato con la lingua in bocca a Livia e una mano in mezzo alle sue cosce», le luccicarono gli occhi.
Andammo a dormire e la mattina dopo gli eventi del giorno prima erano stati archiviati ma qualcosa era mutato nel nostro rapporto, non mi preoccupai più di farmi le seghe in camera, anche senza nascondermi sotto le coperte e lei non fu più così discreta facendosi i ditalini.
Poi le nostre vite andarono avanti, io trovai una ragazza e smisi di farmi le seghe, lei trovò un ragazzo e andò a conviverci.

Quindici anni dopo ci trovammo nuovamente nella stessa camera in un hotel di Valencia, entrambi single, lei con una brutta storia alle spalle, tanto che le avevo proposto quel viaggio per svagarsi e stava funzionando.

Quella sera, come tutte le precedenti, stavamo sulla terrazza panoramica dell’hotel a goderci la brezza della sera osservando le luci della città quando una coppia venne a sedersi nella altre due poltroncine del nostro angolino privato, un uomo sulla quarantina, alto, prestante, ben pettinato e una donna forse di poco più giovane, lunghi capelli castani, volto serafico, si presentarono, fecero due vane chiacchiere sul tempo e sulla città, poi lui prese l’iniziativa.
«Vi abbiamo osservati in questi giorni e sia ben chiaro che non voglio offendermi, se dico qualcosa che non vi piace basta un “no grazie” e ce ne andiamo senza dire altro», attese una qualche nostra reazione ma nessuno dei due comprese bene quel che stava accadendo, l’uomo riprese, «Ecco … ci piacete e vorremmo proporvi un gioco a quattro …», abbassò il tono, «… particolare», ancora una volta attese e ancora una volta nessuno di noi due fu pronto a cogliere i sottintesi, ancora una volta l’uomo riprese a parlare, «Uno scambio “blindato”».
«Prego?», disse mia sorella che forse cominciava a capire, io ero sempre stato un po’ tardo in certe cose.
«Uno scambio blindato. Due coppie. Ci scambiamo i partner. Facciamo l’amore nella stessa stanza, Nello stesso letto. Ognuno con il partner dell’altro senza avere nessun contatto con il proprio».
«Che senso ha?», dissi io.
«E’ un gioco», rispose l’uomo, «Lo scambio di coppia in genere finisce in una volgare ammucchiata, lo scambio blindato è un gioco diverso», prese per mano la sua compagna, «In cui i coniugi possono prendersi una vacanza dall’altro rimanendo nel contempo insieme mentre ciò avviene».
«Quindi lei sta proponendo a me di fare l’amore con lei mentre la sua signora lo fa con lui, nello stesso letto ma indipendentemente?», chiese mia sorella.
«Esatto!», rispose con soddisfazione lo sconosciuto.
«Guardi …», mi intromisi io.
«Nessuna forzatura», mi interruppe, «Vi abbiamo fatto la nostra proposta, la nostra stanza è la 317, vi aspetteremo fino a mezzanotte, poi usciremo per conto nostro. Se verrete ne saremo ben contenti, se non verrete ci dispiacerà ma il bello del gioco è la libertà, giusto?», ci salutò cordialmente e si allontanò tenendo la compagna per mano.
Nessuno di noi due disse nulla.

Un’ora dopo io ero già a letto, controllando i messaggi sul cellulare.
«Non ti piaceva la signora?», alzai la testa dallo schermo dello smartphone.
«Dici sul serio?»
«A me lui non dispiaceva».
«Ribadisco: dici sul serio?»
«Che male ci sarebbe, tu ti diverti con lei e io con lui»
Posai il cellulare sul comodino e mi tirai a sedere.
«Vorresti fare l’amore con uno sconosciuto davanti a me?»
«No, quello sarebbe un effetto collaterale»
«Collaterale?»
«Dai abbiamo passato l’adolescenza a masturbarci insieme!»
«Non è la stessa cosa!»
«Io ti ho visto fare sesso», rimasi interdetto, «Nella casa al mare, con Paola, ero tornata per prendere il portafoglio che avevo dimenticato sul mobile dell’ingresso e te la stavi scopando sul divano, lei mi ha visto e con la mano mi ha fatto cenno di sparire», rimasi in silenzio per qualche istante.
«Anche io ti ho vista»
«Quando?»
«Ti ho vista fare un pompino a Giulio nella macchina parcheggiata in garage, ero sceso a prendere la cassetta degli attrezzi», scese un gelido silenzio.
«Che facciamo?», disse dopo un paio di minuti.
«A te va di fare una cosa simile?»
«Non vado con un uomo da 18 mesi, male non mi farebbe».
Alle 23.55 eravamo davanti alla camera 317, ancora indecisi sul da farsi, ci guardavamo e nessuno dei due prendeva l’iniziativa, i minuti passarono e la porta si aprì da sola.
«Oh, eccovi, proprio sul filo di lana, è appena scattata la mezzanotte, stavamo per uscire, prego entrate», si fece da parte.
Era fatta.
«Siamo nuovi a questo tipo di cose», precisò mia sorella.
«Lo avevamo intuito», si voltò sorridendo alla compagna, «Per questo vi abbiamo invitati, siete così freschi».
Ci offrì da bere, chiacchierammo qualche minuto e infine ci spogliammo, noi con qualche imbarazzo, lui cominciò a toccare mia sorella, ad accarezzarle il seno, la compagna mi lisciò i testicoli e i glutei.

Erano loro a condurre il gioco, sapevano esattamente cosa fare e lo facevano a specchio; lui si inginocchio, divaricò leggermente le gambe di mia sorella con le mani e vi infilò dentro la faccia già con la lingua di fuori, la signora si inginocchio e me lo prese in bocca.

Procedette tutto con molta calma, ad un certo punto eravamo tutti sul letto, le donne sotto e noi sopra, di tanto in tanto gettavo l’occhio a mia sorella che ansimava con gli occhi chiusi mentre l’uomo se la scopava energicamente.

La sincronia si interruppe quando la donna mi girò e mi salì sopra, in quel momento l’uomo stava scopando mia sorella a pecorina, per un istante mi trovai con il viso di lei a pochi centimetri sopra il mio, vidi lo sconosciuto fare un movimento strano, vidi la punta del suo pene lucida per i fluidi di mia sorella scivolarle tra le natiche, lei emise un grido, aprì gli occhi e mi fissò per alcuni secondi, non capii se con stupore o terrore: se la stava inculando.

Saltai su, afferrai la donna per i fianchi, la girai e glielo infilai nel culo anche io, fissando negli occhi il suo compagno che mi rispose con un ghigno beffardo mentre aumentava il ritmo dei colpi.

Poi accadde.

La signora era sdraiata sul letto, io in ginocchio sul pavimento stavo lavorando di lingua tra le sue gambe, alzai lo sguardo e tra i peli castani vidi mia sorella, sull’altro lato del letto, nella stessa identica posizione mentre succhiava il pene dell’uomo, i nostri sguardi si incrociarono e non si lasciarono più.
Io leccavo, lei succhiava e ci guardavamo senza sbattere le palpebre, sentivo il mio pene diventare sempre più duro, talmente duro che quasi mi faceva male, mi alzai, lo strinsi alla base senza interrompere il contatto visivo e guardando negli occhi mia sorella penetrai la donna, le alzai le gambe e iniziai a pompare, mia sorella si alzò anche lei, si mise sull’uomo, prese il suo pene e fissandomi se lo infilò e cominciò a cavalcarlo.
Non smettevamo di guardarci e capimmo “il gioco”, quei due corpi estranei erano un tramite, ci stavano permettendo di fare quel che non potevamo, stavamo facendo l’amore tra di noi, quel contatto visivo che non si staccava ci estraniava dagli altri presenti, il mio pene era fisicamente nella signora ma idealmente in mia sorella e quel pene estraneo che mia sorella teneva dentro di se era idealmente il mio.
Infine ci trovammo in mezzo alla stanza, le due donne in ginocchio lo sconosciuto ed io fianco a fianco, il suo pene nella bocca di mia sorella il mio in quella di sua moglie, ci sincronizzammo perché, ci disse: «Il gioco riesce meglio» e a quel punto sapevamo cosa intendeva.
Schizzai sulla faccia della signora guardando negli occhi mia sorella che a sua volta mi fissava mentre riceveva i copiosi getti del suo momentaneo compagno, non li chiuse mai, neppure quando uno schizzo la colpì direttamente sul dotto lacrimale e quando finirono lo prese in bocca e lo succhiò dolcemente continuando a guardarmi intensamente, con un luccichio negli occhi che non le avevo mai visto.

La mattina ci svegliammo e ci comportammo come se non fosse successo nulla, tornammo a casa e ognuno riprese la propria vita, nella sua ci furono fugaci storie e occasionali compagni di viaggio, così come nella mia.

Passarono tre anni in questo modo e quell’estate eravamo nuovamente entrambi single e fu lei a proporre di tornare a Valencia, accettai sperando che quel periodo apatico delle nostre vite subisse una sferzata, all’arrivo in hotel il caso, forse il destino, forse una regia superiore, ci vide salire in ascensore con in mano la chiave della camera 317.
Era identica a come l’avevamo lasciata, posammo le valigie ed uscimmo senza voltarci, come se non volessimo ricordare, andammo in giro tutto il giorno e tornammo solamente alla sera, stanchi e disfatti ci lasciammo andare a una notte di sonno lunga e pesante.
La sera salimmo sulla terrazza e ci sedemmo a quello stesso tavolino e così fu per le tre sere successive, chissà cosa stavamo aspettando? Che quella coppia si ripresentasse per darci l’opportunità di rivivere quelle sensazioni?
L’ultima sera era arrivata, avevamo il volo alle 10, quindi avremmo dovuto lasciare l’hotel entro le 8, non potevamo permetterci di fare tardi, alle 22 eravamo già in camera, uscii dalla doccia, gettai l’asciugamano per terra e mi diressi verso la valigia per prendere le mutande, lei era sul letto, nuda, guardava la televisione, con il telecomando in una mano scanalava, con l’altra si stava grattando l’ombelico, poi scese in basso e cominciò a giocare con i peli del pube, avevo visto quella scena centinaia di volte ma questa volta sentivo qualcosa di diverso dentro di me, sentii l’erezione montare, lei si accorse che ero rimasto fermo in mezzo alla stanza, abbassò lo sguardo e la vide, lo alzò e mi guardo negli occhi, rividi quel luccichio di tre anni prima, nella mia testa ci fu un vortice di pensieri incontrollabili e sconnessi, non presi una decisione vera, il mio corpo mi bypassò, mi gettai sul letto, le aprii le gambe e infilai la mia lingua nella sua fessura, non mi respinse, la leccai quasi con rabbia, affondavo i colpi, succhiavo il clitoride, poi tornavo a infilare la lingua, sentivo i suoi mugolii sommessi e assaporavo la sua eccitazione, ad ogni colpa di lingua quel meraviglioso fluido biancastro mi colava sulle guance, non ce la facevo più, sentivo il pene schiacciato sul bordo del letto farmi male, mi inginocchia tra le sue gambe, il pene in mano, occhi negli occhi, «Fallo», mi disse, esitai, non avevo ancora il coraggio, «FALLO!», urlò.
Lo feci.
La penetrai con un solo colpo alzandole nel contempo le gambe sopra le mie spalle, emise un verso che non avevo mai sentito, non era un gemito e neppure un grido, uno specie di rantolo e immediatamente sentii le contrazioni intorno al mio pene, era venuta per il solo effetto della mia entrata, la cosa mi eccitò a tal punto che venni anche io, dentro di lei, fu un orgasmo violento, le caddi sopra e rimasi così, respirando affannosamente.
Ci riprendemmo lentamente, sollevai un po’ la testa per guardarla negli occhi, me la prese tra le mani, «La nostra prima scopata è durata meno di un secondo», disse con un sorriso e mi baciò.
Fu un bacio lungo, appassionato, che non sapeva di sesso.

Cambiammo città, andammo a vivere insieme, nessuno seppe mai più che eravamo fratello e sorella perché in effetti non lo eravamo più.
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