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Lui & Lei

Equivocando si impara


di carisbo
23.02.2019    |    5.295    |    1 9.4
"«Un po’ si» «E quando ingoi?» «Mi viene sempre un po’ da vomitare» «Io non mi sono mai posto il problema, pensavo ti piacesse», non disse nulla, «E’..."
«Speriamo non pretenda troppo», disse uscendo dalla doccia.
«Ha detto che vuole solamente guardare», risposi.
«E’ una scusa per venire a casa mia e al momento giusto piazzare la richiesta», gettò l’asciugamano nel lavandino.
La richiesta in realtà sembrava quella di un voyeur impenitente, di quelli un po’ perversi, ma nulla di così eccessivo.
Facevamo coppia da alcuni anni ma non ufficialmente, diciamo che ci frequentavamo per fini ludici, friends with benefits direbbero gli yankees, lei però aveva voluto fare la furba e mi aveva iscritto come “compagno” nel profilo aziendale per ottenere alcuni benefici, come ad esempio i doppi biglietti aerei per le trasferte di lavoro, la ditta preferiva i dipendenti accoppiati ed era disposta a spendere qualcosa in più per blandirli, il problema fu il non sapere che questo comportava un punteggio per le promozioni e quando arrivò la promozione grossa, di quelle che raddoppiano lo stipendio l’addetto alla certificazione dello status la convocò e le spiegò che lui non era affatto convinto che esistesse una vera relazione, snocciolò una serie di dubbi plausibilissimi e alla fine offrì la soluzione: avrebbe voluto assistere a un amplesso perché si piccava di riconoscere se due amanti sono avvezzi a farlo o se invece si tratta di una sceneggiata.
Lei prese tempo, l’occasione di carriera era grossa, ne parlammo, le dissi che in fin dei conti eravamo effettivamente amanti e dunque avremmo superato l’esame e che in fin dei conti se voleva solamente guardare il prezzo da pagare non era eccessivo, forse fastidioso e imbarazzante ma lei era invece convinta che fosse un espediente e che alla fine le avrebbe chiesto qualcos’altro, qualcosa che non era disposta a offrire, non frequentava quegli alti livelli aziendali e non conosceva questo dirigente in particolare ma le erano giunte voci inquietanti che si riassumevano in una singola frase udita per caso in un corridoio: “Non si lascia scappare un culo” .
E lei da quel punto di vista stava messa male, fosse stato un pompino o una scopata a malincuore non si sarebbe tirata indietro ma quello proprio no, era tassativa, in sette anni non ero mai riuscito a convincerla e infine avevo rinunciato.
Lei aveva preso la sua decisione, sarebbe stata gentile e avrebbe concesso quel che poteva ma quello no, preferiva rinunciare alla promozione piuttosto che finire nella collezione di culi di un greve funzionario.
Arrivò puntualmente, ben vestito e con una ventiquattrore, mi presentai, mi strinse la mano fissandomi dritto negli occhi con uno sguardo indagatore e disse: «Siete ancora vestiti?», si guardò intorno, «Preferite la camera da letto o un altro posto, per me è uguale, basta che ci sia una sedia o una poltrona per me».
La camera da letto ci sembrò più adatta, ci spogliammo non senza imbarazzo e iniziammo a dare spettacolo, niente di diverso da quello che facevamo di solito, dovevamo essere “credibili”, dopo qualche minuto la sentii sussurrarmi nell’orecchio con un leggero tremore nella voce: «Si sta spogliando», cercai di attivare la visione periferica e in effetti si era alzato e si stava levando i vestiti sistemandoli per bene sulla sedia, rimase nudo, il pene semi eretto sembrava di dimensioni generose, lo prese in mano e cominciò a masturbarsi esaltando la sua erezione, era decisamente enorme.
Passarono diversi minuti e fummo interrotti dalla sua voce: «Ok, basta, è evidente che siete una coppia, scendete dal letto, in piedi qui davanti», obbedimmo, si mise le mani sui fianchi lasciando il pene in mostra, si accorse che involontariamente entrambi lo guardavamo, se lo guardò anche lui, «23 centimetri !», sentenziò con orgoglio, poi proseguì, «Se non foste stati una coppia mi sarei rivestito e me ne sarei andato, ma visto che siete una coppia …», si voltò, frugò nella valigetta, si diresse verso di lei e le mise in mano un tubo nero con scritto in caratteri dorati Anal Gel, «Lo prepari», aggiunse mentre ci girava intorno per osservarci passandoci dietro, la vidi sbiancare, provò a parlare senza riuscirvi, deglutì, stava per dire qualcosa quando si udì chiaramente lo schiocco di una manata, lei rimase interdetta, io gelai, la manata era arrivata sul mio sedere e la mano rimase lì, ferma, sulla mia natica destra, «Non vedo l’ora» sentii dire alle mie spalle.
Lei si girò e lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite, mi girai anche io e li vidi fissarsi, «Cosa c’è, è gelosa che preferisca questo culetto al suo?», mi strizzò la natica.
«Non è possibile», disse riprendendosi dallo shock, balbettò, «Le faccio un pompino», propose, lui scosse la testa, «Con ingoio?», lo allettò, «Non c’è nulla che lei possa offrirmi che mi interessi», mi afferrò entrambe le natiche con le mani e le sprimacciò, ci furono diversi secondi di silenzio.
«D’accordo», mollò le mie chiappe e si allontanò verso la porta, «Vi lascio qualche minuto per discuterne», si fermò sulla soglia, «Ma non lo incremi finché non sono tornato, voglio assistere», sorrise beffardamente e si chiuse la porta alle spalle.
«Te l’avevo detto!», sussurrò arrabbiata, «Non se ne fa niente, ci siamo esibiti a vuoto», non dissi nulla, la fissai, mi fissò, «Non dirmi che ci stai pensando?».
«E’ la tua carriera, tutto quello per cui hai lavorato negli ultimi dieci anni»
«E’ il tuo culo!»
«Quante mogli hanno dato il culo per la carriera dei loro mariti? Magari ora tocca a noi ricambiare».
«Non sei mio marito!»
«Andiamo a letto insieme da 7 anni e in questi 7 anni io non sono andato a letto con nessun altra e neppure tu a quel che ne so»
Abbassò lo sguardo.
«Ha ragione lui, siamo una coppia ma non ce lo siamo mai detti»
«Non posso accettarlo»
«Io non riuscirei più a guardarti in faccia sapendo che hai buttato al vento la tua carriera per colpa mia»
«Se avesse chiesto il mio avrei rifiutato buttandola via lo stesso»
«Ma vuole il mio»
«Non è giusto», sussurrò.
«Probabilmente no, ma è l’unica soluzione», rimase in silenzio e in quel mentre rientrò il funzionario, «Va bene», dissi senza aspettare la domanda.
«Ottimo!», rispose con aria raggiante, «Si metta a quattro zampe sul letto e lei gli spalmi il gel tra le chiappe», eseguii e poco dopo sentii un intenso odore di fragola e subito dopo qualcosa di freddo e umido tra le natiche, «Lo metta bene sul buco signora, è meglio», udii e immediatamente percepii le dita che spalmavano per bene l’unguento proprio lì, «Va bene, venga qui», si spostò dall’altra parte del letto, capii dopo che lo fece perché voleva costringermi ad assistere, «Prepari per bene anche il mio arnese», la osservai spalmare il lubrificante sul quel pene enorme, «Può andare, vada a mettersi sulla poltrona», salì sul letto, si inginocchiò dietro di me e lo sentii puntare contro il mio ingresso posteriore, spinse, entrò, era una sensazione strana, pensavo avrebbe fatto male ma non fu così, quando però cominciò a muoversi le cose cambiarono, era estremamente fastidioso, soprattutto quando spingeva in fondo tutti i suoi centimetri, lo sentivo premere la punta dentro di me, contro qualcosa che c’era lì dentro e più prendeva velocità più diventava fastidioso, non so per quanto tempo andò avanti, cercavo di non pensare, fui distratto da un suono: dei singhiozzi, lei stava piangendo, anche lui la sentì, lo estrasse, con un colpo di mano mi girò su un fianco, mi alzò una gamba e mi penetrò nuovamente da dietro a forbice, aveva fatto in modo che fossimo faccia a faccia, che lei potesse vedere il suo membro che entrava e usciva dal mio buco, piangeva ormai a dirotto e si mise le mani sulla faccia.
Improvvisamente lo estrasse nuovamente, scese dal letto, «Venga qui» mi intimò, «In ginocchio», feci appena in tempo a obbedire, mi afferrò la testa e me lo cacciò in gola, una mano dietro la nuca prese a stantuffare senza pietà, contro le mie tonsille e anche oltre, facevo fatica a respirare, «Il suo compagno sembra non avere riflesso faringeo, ottimo!» e spinse ancora più a fondo, si fermò, si tirò alcuni centimetri indietro e mi bloccò la testa con entrambe le mani, capii quando percepii il primo fiotto sulla lingua, non potevo muovermi, non potevo respirare, la bocca mi si stava riempiendo, lo estrasse e parte di quello che avevo trattenuto schizzò fuori colandomi sul mento, tenendomi per i capelli continuò a venirmi in faccia e in bocca, quando fu soddisfatto ordinò: «Inghiotta!», lo feci trattenendo un conato di vomito.
Lo sgrullò sulla mia fronte e si allontanò, rimasi così, in ginocchio, incapace di muovermi, lei ormai piangeva in maniera inarrestabile, si rivestì, prese la valigetta e uscì dalla camera, mi alzai e mi sedetti sul letto, lei venne a sedersi accanto a me e mi prese una mano.
Qualche minuto dopo ci chiamò, ancora nudi e sconvolti lo raggiungemmo in salone, sul tavolo c’erano dei fogli, lui aveva una penna in mano: «Firmi qui», lei si avvicinò, dette un’occhiata e firmò, «Congratulazioni per la promozione», rimise la penna nel taschino, recuperò i fogli lasciandone una copia sul tavolo, le dette un buffetto sulla guancia, «Ringrazi il suo uomo, siete una bella coppia».
Se ne andò.
Posò il foglio sul tavolo, si asciugò la faccia ancora bagnate dalle lacrime con il polso, mi prese per mano e mi trascinò in bagno, davanti al lavandino, aprì lo sportello e mi allungò una bottiglia di collutorio, «Sciacqua bene», eseguii mentre lei prese uno spazzolino nuovo dal cassetto, lo riempì di dentifricio e me lo porse, «Strofina bene», eseguii anche questo e me mentre lo facevo mi venne un dubbio.
«Ma anche quando ti vengo in bocca io ti fa schifo?», abbassò lo sguardo.
«Un po’ si»
«E quando ingoi?»
«Mi viene sempre un po’ da vomitare»
«Io non mi sono mai posto il problema, pensavo ti piacesse», non disse nulla, «E’ questo che fai quando subito dopo vai in bagno con una scusa? Ti ripulisci la bocca?»
«Si», rispose con un filo di voce appena udibile, «Vieni», aggiunse e mi prese nuovamente per mano, mi portò in salotto, mi fece sedere al centro del divano, spense tutte le luci lasciando accesa solamente la abat-jour nell’angolo, si inginocchiò sul tappeto, mi aprì le gambe e iniziò a leccarmi i testicoli, in quel momento non ero molto dell’umore ma si drizzò comunque e lo prese in bocca, fu delicata ed energica allo stesso tempo, lo spinse a fondo come mai prima, a tratti sentivo che si tirava indietro per prevenire il famoso riflesso faringeo, ma poi spingeva nuovamente, quando capii che stavo per venire istintivamente mi mossi per tirarlo fuori, dopo quello che mi aveva confessato fu un riflesso condizionato, lei lo intuii e mi trattenne, mi cinse i fianchi e continuò senza mani, venni nella sua bocca, non la aprì, nel silenzio e nella penombra sentii la deglutizione, non accennò a fermarsi, anzi intensificò.
Una delle pochissime doti sessuali che avevo era un periodo refrattario quasi inesistente, con lo stimolo giusto totalmente inesistente, lei lo sapeva e si impegnò, in un paio di minuti l’erezione era nuovamente solida come prima, non si fermò un istante; venni nuovamente nella sua bocca e nuovamente deglutì.
Finalmente lo tirò fuori e tenendolo saldamente alla base con una mano mi fissò, ansimava ed era paonazza.
«Riprendo fiato e ricominciò», promise.
«No», risposi, le passai una mano tra i capelli, «Ho ancora in bocca il sapore del dentifricio», le dissi, «Vorrei sostituirlo con il tuo», la guardai dritta negli occhi, «A me piace il tuo sapore», gli occhi le brillarono, salì sul divano, si inginocchiò davanti a me e me la pose davanti la faccia, afferrai le sue natiche e la spinsi verso di me.
Non era mai stato così, ad ogni colpo di lingua udivo un gemito e sentivo la sua eccitazione colarmi sul mento e sul petto, spostai indietro la faccia, la osservai, rossa, gonfia, gocciolante, vi strusciai dentro il naso dal basso verso l’alto, ripetutamente, mi sfilai da sotto, la afferrai per i fianchi la feci sdraiare sul tappeto aprendogli le gambe e la penetrai rimanendo sopra di lei, immobile, mi osservò, passò le dita sulla mia faccia ricoperta dei suoi succhi, attirò la mia testa a se mi baciò in bocca. Venni dentro di lei, non senza fatica, in fondo ero alla terza in meno di un’ora.
Rimanemmo così, per terra, in silenzio, per un tempo indeterminabile, si alzò e sparì in camera da letto, rimasi sdraiato, ancora provato, tornò con qualcosa in mano, più si avvicinava più capivo cosa era: il tubo di Anal Gel evidentemente dimenticato dal funzionario.
Me lo porse, istintivamente lo presi, andò a sistemarsi sul divano, ginocchioni, con il sedere in aria proteso verso di me, «Tutto tuo», disse.
Ero tondo, bello, il buco rosato mi guardava accattivante, «Sei sicura di quello che stai proponendo?», «Si», rispose senza esitazione, «Non so se ce la faccio a fare la quarta», la informai, «Ce la farai», concluse con sicurezza, si voltò, mi guardò, «Prenditi tutto il tempo che vuoi, te lo meriti».
Inspirai, aprii il tubo e cominciai a spargere il lubrificante, con la punta dell’indice feci il periplo dell’ano, inaspettatamente lo vide schiudersi appena, un segnale rassicurante, infilai il dito con cautela, lo avvolse morbidamente e in quel momento sentii il mio pene riprendere vigore. Avrei fatto la quarta di seguito o sarei morto nel tentativo, era deciso.
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