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Debora: una vera dark lady in cerca di se stessa


di light78
28.04.2017    |    4.654    |    4 9.2
"Mi disse subito “Ciao! Sai che tra noi non potrebbe mai funzionare? Spero non ti faccia illusioni..."
Debora sedeva difronte a me, non troppo distante, osservava le papere seduta su di una panchina.
Sembrava assorta nei suoi pensieri, un po' triste, melanconica.
Aveva attirato la mia curiosità, in quel pomeriggio di Maggio al Parco, con quel suo abbigliamento e quel suo trucco: tutto attorno a lei un mondo di colori, di vita. Lei, una macchia nera, con due occhi azzurri splendidi. Una vera dark lady, sola, in cerca di se stessa.
Aveva una pelle bianca, le sue forme erano morbide ma sinuose, il viso tondo era segnato dal forte trucco: un rossetto violet intenso risaltava le sue labbra, così carnose e perfette. Gli occhi erano di un azzurro intenso, risaltati dalla matita nera.
Al collo portava uno splendido girocollo con pendaglio nero, che spalancava le porte ai suoi seni, tondi.
Un morbido vestitino nero, con dei pizzi che lasciavano intravvedere parte del suo corpo, la avvolgevano in modo sensuale. Un paio di schiave nere, con tacco medio, le davano, infine quel tocco di aggressività finale.
Pensavo che sarebbe stato splendido conoscerla, incrociare solo per un istante il suo mondo, parlare dei suoi tatuaggi, che appena si intravvedevano. Una splendida mezzaluna faceva capolino tra il vestitino e i pizzi, sopra la spalla sinistra. Un altro, sulla spalla destra, riuscivo appena ad intravvederlo.
Lei era così bella, ma così diversa dal mio mondo di jeans e polo griffate.
Avrei potuto provare ad avvicinarla io, ma con quale scusa? Forse semplicemente sarei potuto andare lì, presentarmi: ma chissà come avrebbe reagito.
Però pensai che un'occasione simile non potevo farmela fuggire: probabilmente quella splendida dama con guantini di pizzo nero non l'avrei più reincontrata da sola.
Pensai di tuffarmi, e mi alzai dal mio plaid dirigendomi verso di lei.
Si accorse di me quando ero ad un metro da lei.
Debora capì subito che stavo andando da lei, e forse per mettermi a mio agio, dalla borsettina tirò fuori delle sigarette e me le allungò. “Ciao, piacere Debora. Fumi?”. Io in contropiede “Piacere, Ale. Sto tentando di smettere, grazie.”
Cominciammo a parlare del fumo e della sua nocività, delle pubblicità allarmistiche sui pacchetti di sigarette: lei aveva una grande verve, ogni mio timore si dissolse in un istante.
A dispetto del trucco, era una ragazza molto dolce in ogni suo gesto, in ogni suo sguardo.
Passammo a parlare un po' di noi, un po' alla volta mi si componeva un tassello del suo complicato mondo. Era così bello scoprire come dietro quella donna, così dura, così diversa da me, si celasse in realtà una donna fragile, simile in tutto e per tutto a mille altre che avevo incontrato.
Debora continuava a parlare dei suoi sogni, delle sue delusioni: non mi ero mai sentito così a mio agio con una donna appena conosciuta. Sembrava molto interessata anche alla mia vita, ascoltava e domandava.
Il pomeriggio volgeva al termine, la invitai a prendere con me un aperitivo.
Mi seguì senza esitare: anche lì, scoprii di avere molte più cose in comune con lei di quanto pensavo. La serata volava via in fretta, ci raccontammo le nostre avventure.
Incredibile come sebbene abitasse così vicina a me, non avessi mai incrociato cotanta bellezza: scoprimmo di avere anche una cara amica in comune, corsi e ricorsi..
La serata volgeva al termine, la accompagnai verso l'auto. Aveva parcheggiato non distante da casa mia.
Era già il momento di salutarsi, ahimè, anche se sentivo che ci saremmo rivisti, dato che ci eravamo scambiati i cellulari.
Mi avvicinai alla portiera della sua auto, prima che lei montasse, aprendogliela per galanteria.
In quel mentre sentii le mani di Debora avvolgere i miei fianchi: lei dietro di me abbracciata dolcemente. Potevo sentire i suoi seni appoggiati alla mia schiena.
Mi girai, le diedi un bacio lungo, profondo: le nostre lingue si attraevano, sprigionando passione.
I miei respiri si facevano affannosi, era forte l'emozione. Intravvedevo i suoi occhi socchiusi, carichi di passione. I nostri corpi oramai erano un unico, caldo, groviglio.
Montammo in auto, direzione casa mia: due vie ed eravamo giunti.
Ci baciammo in parcheggio, lungo le scale, davanti il portone: le mie mani avevano cominciato ad esplorare il suo corpo. Sentivo tutto il suo piacere avvicinandomi all'interno coscia.
Potevo sentire la sua pelle d'oca in quei pochi centimetri di carne non coperti dalle autoreggenti nere: era così eccitante sentirla aprirsi così.
Le sue mani sotto la mia polo esploravano il mio torso, gli addominali che si contraevano sotto le sue unghie lunghe, nere, curate. Il sudore cominciava a correre lungo i nostri corpi, e non ancora eravamo entrati in casa.
Ci entrammo con foga: mi gettò per terra. Me la trovai a cavalcioni sopra di me, ancora vestita.
La visione di quel corpo così perfetto, così eroticamente diverso dai canoni di donna che avevo sempre inseguito, creava in me una forza unica: tuttavia volevo lasciarle fare, darle libero sfogo.
Mi incuriosiva essere da lei posseduto.
Allungai la mano per accendere lo stereo, avevo ascoltato un cd dei Metallica giusto alla mattina, e lo feci partire: ora l'atmosfera era perfetta.
Cominciò a spogliarsi sopra di me, sfilando il vestitino: rimase in intimo nero, orlettato anch'esso in pizzo, autoreggenti e le splendide schiave ai piedi.
Si alzò in piedi, ordinandomi di spogliarmi: la dolce dama si era trasformata in una mantide, in pieno possesso di me. Conduceva il gioco, e sembrava sapesse farlo molto bene.
Cominciai a spogliarmi, come ordinato, mentre lei puntava il tacco della sua schiava sul mio pene.
Ora ero in boxer anch'io: lei tornò a cavalcioni su di me, sul mio membro desideroso.
Sorrise. Mi sussurrò all'orecchio “Chi preferisci? La versione dolce..o quella cattiva?”.
Capii che Debora era speciale, era capace di giocare con il suo corpo e controllare il suo carattere, in ogni istante.
La ribaltai sotto sopra, senza rispondere. Ora ero io sopra. Le slacciai il reggiseno.
Ora potevo ammirarla nuda: era di una bellezza folgorante. I tatuaggi donavano a quel corpo un tocco di aggressività aggiunto, mai volgare.
Sentivo le sue forme sul mio corpo, i suoi capezzoli incrociare finalmente i miei.
Sfilai anche il brasiliano, oramai bagnato, intonso, mentre lei infilava le mani sotto i miei boxer.
Al solo tocco delle sue mani le mie palle si indurirono; provai un brivido forte, profondo.
Ricordo la pelle d'oca lungo la mia schiena, sensazione nuova.
Cominciammo a scambiarci dei giochi di mano: la mia affondava sempre più nella sua vagina bagnata. Prima un dito, pizzicando il clitoride, poi due, poi tutta la mano. Debora emetteva gemiti sempre più forti e sempre più strazianti: tutto ciò, unito alle sue contrazioni, ingrossavano il mio ego. Ego che era nelle sue mani: mani abili, mani che facevano oscillare sapientemente il prepuzio, che stimolavano il mio scroto, che giocavano con il mio pertugio anale.
La mia bocca si avvicinò alla sua vagina, dandole gioia, molta gioia. Ne venni contraccambiato, senza chiederlo.
Eravamo sempre distesi per terra: il tappeto persiano accoglieva i nostri corpi caldi, bagnati, sudati.
Ad un certo punto smise di succhiarlo, capii che lo voleva: voleva dentro di sé il mio membro, ora, senza esitazioni, senza titubanze.
Un respiro profondo e fui dentro di lei dolcemente. All'inizio fu una danza: in sottofondo “The Unforgiven”. Andavo al ritmo cadenzato della musica, aspra, acida, a volte violenta. Girammo più volte, lei tornò sopra di me: la ricordo al momento del ritornello, ondeggianti col bacino, lei con il collo all'insù e le mani rivolte alle ginocchia.
La osservavo e non avevo fretta: andavo al suo ritmo. Avrei voluto che quel momento non finisse mai.
Ad un certo punto lei accellerò, ne seguì una colata lunga, calda, infinitamente profonda.
Ci stringemmo forte, le sue unghie mi lasciarono qualche segno, che porto ancora addosso con piacere.
Si ricompose. Fumò una sigaretta al davanzale, indossando con un po' di disprezzo una camicia bianca che le imprestai. Le offrii una tisana, vista l'ora, che sorseggiammo assieme.
Ci addormentammo abbracciati, come due amanti.
La mattina successiva era ancora lì, le preparai la colazione, ma era diversa. Mi disse subito “Ciao! Sai che tra noi non potrebbe mai funzionare? Spero non ti faccia illusioni.”.
Capii che era un modo dolce per scaricarmi: feci buon viso a cattivo gioco, anche se avrei voluto dirle che non eravamo poi tanto diversi, che i nostri mondi si erano rivelati così simili.
Ma, inutile, era tornata ad indossare la maschera di dark lady. Arrivederci Debora.
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