Prime Esperienze
Il seme nascosto – Capitolo 0


31.05.2025 |
88 |
4
"Contatti, spintoni, prese in giro mascherate da giochi..."
Non ho sempre saputo cosa fossi. Alcune cose si insinuano dentro piano, come una febbre leggera. All'inizio sembrano solo fantasie passeggere, ombre indistinte che sfiorano la pelle e svaniscono. Ma restano lì, come un seme sotto la terra, aspettando il momento giusto per germogliare. Rimangono in fondo, sotto pelle, finché un giorno iniziano a farsi sentire davvero. Questo è il racconto di come tutto ha avuto inizio. Di come il desiderio ha preso forma, ha cambiato direzione, ed è diventato parte di me. Ogni frammento, ogni ricordo, ogni sussurro nascosto ha lasciato un segno. E oggi so che tutto ciò che sono è iniziato molto prima che potessi comprenderlo. Questa è la mia confessione.Avevo tredici anni quando successe. Un'età strana, sospesa tra l'infanzia e l'adolescenza. Ero ancora un ragazzino insicuro, con la pelle troppo chiara e il corpo che non capivo. C'erano giorni in cui non mi sentivo all'altezza di nulla, come se fossi trasparente, o peggio, inadeguato in tutto. E poi c'era lui. Un compagno più grande, ripetente, con la reputazione di uno che comandava. Occhi neri, voce ruvida, un passo deciso. Era il tipo che non cercava approvazione: la pretendeva.
Aveva un modo tutto suo di imporsi. Non servivano insulti veri: bastava la sua presenza. Mi prendeva spesso di mira. Un po' per scherzo, un po' per noia. Contatti, spintoni, prese in giro mascherate da giochi. Io non sapevo come rispondere. Non ero come gli altri. Abbassavo la testa. Ma dentro... qualcosa si muoveva. Non era solo paura. Era un'attenzione che mi faceva tremare. Un misto di soggezione e attrazione.
Quel giorno rimanemmo soli nello spogliatoio. I suoni del corridoio si dissolsero, lasciando un silenzio strano, irreale. Lui si avvicinò. Era più alto, più largo. Io ero mezzo nudo, vulnerabile. Disse qualcosa a bassa voce, con un tono che non avevo mai sentito prima. Poi si fermò dietro di me. Le sue mani, prima leggere, iniziarono a toccare. Mi fece una battuta sul sedere, ridendo: disse che era "più bello di quello di [lei]", una delle ragazze più ammirate della classe.
E poi, guidò la mia mano. Prima sulle sue mutande, poi più in là. Non gridai. Non mi divincolai. Rimasi immobile, il cuore in gola. Non capivo bene, ma qualcosa si impresse in me. Non fu violenza. Non fu consenso. Fu uno squarcio. Un varco che non si sarebbe più richiuso. E da allora, nulla fu più uguale.
Negli anni che seguirono indossai la maschera della normalità. Facevo tutto ciò che un ragazzo dovrebbe fare, o almeno quello che pensavo fosse atteso da me. Le prime cotte, i primi approcci. Ebbi due ragazze prima del matrimonio. Due relazioni vere, intense, piene di scoperte. Con entrambe provavo piacere nel dare piacere. Ricordo i baci lunghi, i corpi intrecciati, il sapore della pelle, il profumo di certe notti. Quei momenti erano autentici, ma non rispondevano a tutto ciò che ero.
Una delle due amava farmi impazzire con la bocca. Mi prendeva con foga, affondava fino in fondo, mi faceva perdere il controllo. Ingoiava tutto, le mani ferme sui miei fianchi. Un'altra volta mi chiese: «Lo faresti con me, anche dietro?». Parlava dell'anale. Mi guardava con desiderio, con quella fame che avevo imparato a riconoscere. Ma io mi tirai indietro. Non per lei. Perché dentro qualcosa si bloccava.
Mi piaceva vedere il piacere sul volto di una donna. Sentirmi virile, presente, dominante. Ma ogni tanto, nei momenti di silenzio, mi veniva da chiedermi: e se fossi io, al posto loro? Se fossi io ad essere preso? Se avessi il coraggio di lasciarmi andare? Scacciavo quei pensieri. Erano disturbanti. Inammissibili. Ma tornavano sempre, più forti. Più nitidi. Come fantasmi che non accettano di essere ignorati.
Fu durante il mio periodo come agente immobiliare, tra l'autunno del 2005 e il dicembre del 2006, che iniziai a vedere affiorare in modo più consapevole certe pulsioni. Ero circondato da donne forti e sicure di sé, ma due in particolare segnarono quella fase con un'intensità diversa. Una era Laura, la segretaria dello studio, classe '81, tre anni più grande di me. L'altra era Paola, una collega di circa cinquant'anni, da poco vedova, con lo sguardo tagliente e l'aria di chi la vita l'aveva vissuta. Due presenze femminili molto diverse, ma complementari. E io, in mezzo, a divorarmi con gli occhi ogni gesto, ogni parola.
Laura era solare, maliziosa, sapeva come farmi arrossire con una battuta, uno sguardo, o un accenno di provocazione. Più volte la sorprendevo a osservarmi di sfuggita, come se volesse leggermi dentro. Un giorno, in ufficio, con Paola presente, Laura si sollevò appena la gonna, lasciandomi intravedere il bordo delle calze autoreggenti. Un gesto rapido, sfuggente, ma studiato. Lo fece come per sbaglio, ma quando i nostri occhi si incrociarono, capii che nulla era stato casuale. Paola, seduta accanto, finse di non notare, ma sorrise appena. Quel sorriso complice mi trafisse.
Ero giovane, pieno di desiderio, con il sangue che mi bruciava nelle vene. Sentivo dentro di me crescere un bisogno primitivo di possesso. Volevo farle mie. Volevo scoparle entrambe, sentirle gridare sotto le mie spinte, farle tremare, farle venire come mai prima. Le immaginavo nude, una sull’altra, le lingue intrecciate, e io a possederle, prima con la bocca, poi con il cazzo duro e affamato. Era un desiderio che mi divorava. Dominante. Violento. Naturale. Le guardavo e non pensavo solo a farle godere, ma a usarle per godere io. Per dominare, per mostrare a me stesso che potevo essere quell’uomo che fa perdere il controllo a una donna matura o a una giovane provocatrice.
Quella fase fu fondamentale. Perché in quel contesto, quel lato dominante, eterosessuale e affamato, emergeva con forza. Era reale. Sentivo di essere uomo, nel modo più fisico e selvaggio possibile. Ma proprio in quei giorni, mentre coltivavo il desiderio per loro, una parte nascosta di me iniziava a svegliarsi. Come una eco lontana, pronta a riaffiorare al momento giusto.
Dopo l'esperienza come agente immobiliare, entrai nel laboratorio qualità di un’azienda biomedicale specializzata in cateteri endovenosi per stent. Era un ambiente più silenzioso, clinico, fatto di controlli meticolosi e macchinari sterili. Ma proprio in quell’apparente neutralità, si aprì una nuova porta.
Qui ero più a mio agio, lontano dalla competizione sfacciata del mondo delle vendite. Eppure, era proprio in quell’apparente tranquillità che iniziai a sentire crescere dentro qualcosa di diverso. Passavo molto tempo in solitaria, nei controlli di laboratorio, e questo lasciava spazio alla mente. Internet, lì, era più facilmente accessibile, e fu così che un giorno, quasi per caso, scoprii Annunci69.it.
Non fu una ricerca esplicita. Iniziai guardando contenuti feticisti, racconti, confessioni. Poi i profili. Poi i luoghi. Scoprii che proprio vicino alla mia zona c’erano posti dove la gente si trovava per sesso anonimo: nella zona industriale vicino alla Motorizzazione, o nei pressi dei piazzali, dove si diceva passassero uomini e donne in cerca di emozioni forti. Ma la vera scintilla arrivò da una collega.
Era una donna espansiva, ironica, con la battuta pronta. Un giorno, in pausa, parlando per scherzo di chat e siti, lasciò cadere un commento che mi trafisse: «Io un profilo su annunci ce l’ho, eh… da singola… giusto per vedere chi gira». Rise, ma non stava scherzando del tutto. E io rimasi a fissarla. Quel mondo che fino a pochi giorni prima mi sembrava remoto, improvvisamente aveva un volto reale. Era lì, a un passo da me.
Iniziai a visitare il sito di notte. Guardavo i profili maschili. Quelli maturi. Barbuti, virili, con mani forti e sguardi decisi. Li guardavo e sentivo la pancia stringersi, il respiro farsi corto. Pensavo: chissà se anche loro noterebbero le mie labbra… Chissà se uno di loro, maturo, con la voce ruvida e le mani grandi, mi prenderebbe per il collo e mi direbbe cosa fare. La fantasia cresceva. Avevo scoperto qualcosa che non potevo più ignorare.
Mentre i turni di lavoro si facevano più regolari e le notti più silenziose, iniziai a percorrere in auto quelle strade della zona industriale che avevo visto nominare negli annunci. Era un mondo parallelo, nascosto tra capannoni abbandonati, piazzali scarsamente illuminati e vie secondarie che solo chi sapeva davvero cosa cercare avrebbe potuto notare.
All’inizio lo facevo per pura curiosità. Passavo con l’auto, lentamente, fingendo di essere lì per caso. Lo facevo dopo cena, col buio, col cuore che batteva più forte del normale. Guardavo. Cercavo di riconoscere volti, di cogliere segni. A volte c’erano auto parcheggiate, luci soffuse, ombre che si muovevano. Non scendevo mai. Non avevo ancora il coraggio. Ma l’eccitazione era reale.
Era un’osservazione silenziosa, ma carica di tensione. Mi chiedevo se qualcuno avrebbe potuto riconoscermi. Se avrebbero capito perché fossi lì. Se magari uno di loro sarebbe uscito dall’auto, avrebbe bussato al mio finestrino e detto qualcosa. Sognavo che fosse un uomo maturo, con le idee chiare, che vedendomi esitante mi ordinasse semplicemente di scendere e inginocchiarmi. Non accadde mai. Ma la fantasia era sufficiente a tenermi sveglio, con le mani strette sul volante e il sesso duro sotto i pantaloni.
Un giorno, sotto uno pseudonimo, scrissi un messaggio su uno di quegli annunci. Non lo inviai mai. Ma bastò scriverlo per sentirmi diverso. Come se stessi entrando, piano piano, in quel mondo. Un mondo che cominciava ad attrarmi non solo per il sesso, ma per ciò che rappresentava: la possibilità di essere visto. Scelto. Usato.
Quel periodo fu segnato anche da una crescente esposizione a contenuti online più audaci. Alcuni manga femboy, alcune immagini di trans femminili con corpi perfetti, seni scolpiti e un cazzo in mezzo alle gambe, cominciarono a comparire nella mia cronologia. Mi attiravano, mi confondevano. Non cercavo la femminilità come la intendevo prima. Cercavo quella zona grigia, quella promessa di un piacere ibrido, nuovo. Pensavo: e se uno di loro mi succhiasse? E se gli scopassi la gola, sentendola stringere e vibrare fino a venire dentro?
Tutto questo restava nella mia mente, ma occupava sempre più spazio. Era come se ogni fantasia precedente avesse preparato il terreno per questa esplorazione. Una tensione tra ciò che ero e ciò che potevo diventare. E intanto, bastava un passaggio in auto, una sera d’estate, per sentirmi sull’orlo di un abisso. Uno di quelli da cui non si torna indietro.
Quando iniziai il lavoro in laboratorio qualità e collaudi materiali per una metalmeccanica, pensavo che quella fase della mia vita si sarebbe quietata. Credevo che l’impegno, le responsabilità, le nuove dinamiche professionali avrebbero messo a tacere le fantasie. E invece fu lì che arrivò la scossa definitiva.
Sergio era un collega esperto. Un uomo maturo, robusto, sulla sessantina, con il viso segnato dal tempo e lo sguardo di chi ne aveva viste tante. Non parlava molto, ma osservava tutto. Aveva quella calma che solo certi uomini acquisiscono col tempo. Una sicurezza ruvida, fatta di mani grandi, voce bassa e modi diretti. Tra noi ci fu sempre un rispetto silenzioso, finché un giorno, senza alcun preavviso, ruppe la quiete con una frase che mi colpì dritto come uno schiaffo:
«Hai delle labbra… che ispirano pompini. Dev’essere interessante provare.»
Rimasi in silenzio. Congelato. Le parole mi entrarono nelle orecchie come lame, ma non facevano male. Facevano altro. Mi facevano tremare. Mi fecero diventare rosso, acceso, e allo stesso tempo mi accesero dentro. Sergio non sorrise. Non cercò conferme. Disse quella frase e tornò a lavorare come se nulla fosse. Ma io non ero più lo stesso.
Quelle parole rimasero con me. Nei giorni seguenti, ogni volta che mi guardavo allo specchio, non vedevo più solo il mio volto. Vedevo quelle labbra. Le stesse che Sergio aveva descritto come "invitanti". Mi chiedevo come sarebbe stato. Se davvero qualcuno, come lui, le avrebbe usate. Guidate. Dominate. Mi immaginavo in ginocchio, con le mani dietro la schiena, mentre un uomo più vecchio di me mi prendeva, senza fretta, senza chiedere.
Fu il momento in cui capii che non era solo fantasia. Che non era più semplice curiosità. Qualcosa era cambiato davvero. Non era un gioco. Era un bisogno. Era come se quell’unica frase avesse fatto detonare tutto quello che per anni avevo tenuto sotto controllo. Come se, dopo anni, finalmente, una voce esterna avesse legittimato quel desiderio che avevo sempre avuto paura di ammettere.
E non potevo più tornare indietro.
Dopo l’episodio con Sergio, iniziai a sentire con chiarezza che c’era qualcosa che doveva uscire, prendere forma, essere vissuto. Non era più solo una corrente sotterranea che mi agitava dentro. Era un bisogno che pulsava, che mi portava ogni sera davanti allo schermo, su Annunci69, a leggere, a desiderare, a fantasticare.
Fu così che un giorno creai un profilo. Non mi chiamavo ancora Bambi. Quel nome sarebbe arrivato più tardi, quando la mia identità sottomessa avrebbe trovato la sua piena espressione. All’epoca, scelsi un nome che raccontava molto più di quanto avrei voluto ammettere: Patroclo85. Volevo evocare qualcosa di antico, mitico, ma anche tragico e devoto. In quella figura, nel legame tra Patroclo e Achille, c’era tutto quello che desideravo: protezione, sottomissione, appartenenza.
Scrissi l’annuncio con mani tremanti, ma senza esitazione:
Cerco un Achille maturo, dominante, con voglia di iniziarmi e svezzarmi. Sono alle primissime esperienze, se non quella – unica – di aver toccato un altro cazzo duro, al di fuori del mio.
Quelle parole erano vere. Crude nella loro semplicità. Non cercavo giochi, non cercavo finti ruoli. Volevo una guida. Un uomo. Qualcuno che vedesse in me non solo un corpo da scopare, ma un'anima da forgiare, da trasformare. Qualcuno che sentisse il mio desiderio di essere usato, ma anche custodito, plasmato, guidato in un percorso che non conoscevo, ma che mi chiamava con forza.
Non ricordo se pubblicai subito quell’annuncio o se lo lasciai lì, in bozza, per ore. Ma ricordo con precisione il momento in cui lo rilesse per l’ultima volta prima di chiudere il sito. Il battito del cuore era forte. Ero ancora davanti al vetro. Ma non stavo più solo spiando. Stavo bussando.
Intanto, avevo iniziato a fare le prime foto. Scatti incerti, rubati allo specchio, con il cellulare di allora. Mi chiedevo come mostrarmi. Cosa dire di me. Quanto rivelare. Il mio corpo era ancora segnato dagli anni di nuoto: depilato con cura, anche se ormai andavo meno in piscina. Le spalle larghe, il torace appena arrotondato, le cosce forti. Avevo ancora qualcosa di giovane, ma non ero più un ragazzino. E mi domandavo se un uomo maturo avrebbe potuto desiderarmi davvero.
Provavo diverse pose: di schiena, con il viso coperto; di lato, in boxer; persino un’immagine mentre mi stavo per vestire, con lo slip ancora a metà coscia. Cancellavo. Riprovavo. Mi guardavo a lungo, chiedendomi se quello che vedevo potesse bastare. Non volevo sembrare volgare. Ma neppure banale. Volevo provocare, ma in modo che chi guardava capisse: questo corpo vuole essere usato.
In quei giorni vedevo più spesso Sergio. Bevevamo il caffè insieme, a volte scambiando parole leggere. Ogni tanto lui lanciava una battuta. Nulla di esplicito. Ma i suoi occhi, quando mi guardavano, sembravano sapere tutto. Una volta, mentre bevevamo al distributore, mi disse semplicemente: «Hai l’aria di uno che sta pensando a cose serie.»
Io non risposi. Ma dentro di me, sapevo che aveva ragione. Pensavo a me. A Patroclo85. A quello che forse stava per cominciare.
Ed era solo l’inizio.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Commenti per Il seme nascosto – Capitolo 0:
