Annunci69.it è una Community rivolta ad un pubblico adulto e maggiorenne.
Puoi accedere solo se hai più di 18 anni.

SONO MAGGIORENNE ESCI
Racconti Erotici > Prime Esperienze > La fioritura del silenzio – Capitolo 1
Prime Esperienze

La fioritura del silenzio – Capitolo 1


di Membro VIP di Annunci69.it BigBambiSub
31.05.2025    |    68    |    2 8.0
"Disse solo: «Tranquillo, piccolo..."
Il profilo era attivo da pochi giorni, ma i messaggi cominciavano già ad arrivare. Alcuni diretti, volgari, subito a caccia di carne. Altri più lenti, curiosi, con domande, osservazioni, promesse. Era strano leggere uomini maturi – cinquantenni, sessantenni – che parlavano con naturalezza del piacere, della sottomissione, di quello che cercavano e che volevano far provare. A me.
Non rispondevo a tutti. Alcuni li cancellavo subito, altri li rileggevo più volte, immaginando se la voce fosse roca, decisa, oppure ironica e indolente. Un uomo, di 64 anni, scrisse solo una frase: Ti ci vedo, inginocchiato, con la bocca aperta e lo sguardo che prega. Non lo dimenticai più.
Nel frattempo, esploravo. Non solo gli annunci, ma anche i profili più ambigui. E lì iniziò qualcosa che non avevo previsto. Le prime curiosità verso i crossdresser, i profili di ragazzi effeminati, quelli con seno rifatto ma ancora il cazzo duro in mezzo alle cosce. Alcuni si truccavano, indossavano lingerie, calze a rete, parrucche. Altri erano più semplici, solo bocche e culi da prendere. Il mio sguardo si posava su quelle immagini e non sentivo confusione, ma attrazione pura. Bruciante.
E non potevo non collegarlo a una parte di me che conoscevo bene.

La passione per l’Oriente, per il Giappone. Gli anime visti da ragazzo, dove alcuni personaggi maschili sembravano più sensuali delle protagoniste. Le figure degli otokonoko, ragazzi dai tratti femminili, spesso vestiti da ragazze, che nei manga hentai prendevano cazzi in gola e nel culo con una grazia che sembrava irreale. Ma era proprio quell’estetica – quella tensione tra maschile e femminile – a eccitarmi.
C’erano immagini, gif, video brevi in cui femboy e trans si inginocchiavano, si lasciavano prendere con naturalezza. Gole profonde, occhi lucidi, sorrisi passivi. Guardavo tutto e sentivo il mio corpo rispondere. Mi immaginavo al loro posto, ma anche sopra di loro. Con una voglia che alternava dominio e desiderio di abbandono. Di farmi usare, ma anche di scopare una bocca come quelle. Esploravo, aprivo, archiviavo.
E poi c’era Sergio.

Non c’era giorno in cui non lo incrociassi almeno una volta. Un caffè veloce, una battuta. Ogni tanto mi appoggiava una mano sulla spalla, o sul collo. Non diceva nulla di esplicito, ma i suoi occhi parlavano. C’era qualcosa lì. O forse ero io che lo volevo vedere. Ma lo sentivo. E quando mi disse, con quel mezzo sorriso: «Hai un’aria strana, tu… da uno che nasconde qualcosa di interessante», mi venne duro in meno di due secondi.
Passarono i mesi. Il suo pensionamento si avvicinava. Ne parlavano tutti. Lui scherzava: «Finalmente libero». Io ridevo con gli altri. Ma dentro… dentro covavo una fantasia.
Ricordai che tempo prima, per una sciocchezza legata a dei turni, Sergio mi aveva chiesto il numero. Me lo aveva salvato. Non lo aveva mai usato. Ma l’aveva. E io ce l’avevo il suo. Così, negli ultimi giorni prima del suo ritiro, preparai un piccolo biglietto di auguri. Niente di speciale. Ma dentro, oltre la classica frase, infilai qualcosa di mio. Stampai un bacio con rossetto su un angolo del foglio, e scrissi: “Per la tua libertà. Se vuoi un regalo vero… sai dove cercare.”
Lo piegai bene. Lo consegnai insieme a quelli degli altri, fingendo nulla. Ma dentro ero in fiamme.
Quella bocca che nessuno aveva ancora preso… stava bussando.
Eppure, il passaggio dalla fantasia alla realtà non fu immediato.

Ci furono alcuni incontri. Appuntamenti fissati, con uomini che mi avevano attratto attraverso lo schermo. Ci davamo un luogo, un’ora, un minimo scambio di dettagli. Alcuni li raggiunsi. Altri li annullai all’ultimo, preso dal panico. Ma ce ne furono un paio in cui mi presentai davvero.
Ricordo bene il primo bacio. Non fu romantico, né cinematografico. Fu umido, caldo, sorprendente. Ero rigido, trattenuto. Lui cercò di guidarmi, con calma. Ma la mia lingua tremava. Il mio respiro era incerto. Lui se ne accorse, ovviamente. Disse solo: «Tranquillo, piccolo. Non devi dimostrare niente.»
C’era in ballo una penetrazione. Lo avevo capito, anche se nessuno dei due lo aveva detto apertamente. Avevo provato a lavarmi prima. Avevo cercato online come si faceva, come ci si preparava. Ma nulla era davvero chiaro. E io, mentre lui mi accarezzava il fondoschiena, cercavo di sembrare pronto. Sapevo di non esserlo.
Finsi sicurezza. Ma dentro, tremavo. Cercavo di camminare come se nulla fosse, mentre ogni gesto tradiva l’inesperienza. Anche solo quando mi toccò con due dita, percepii quanto il mio corpo non fosse pronto. Lo capì anche lui. E forse mi fu grato per averci provato, senza finzione.
Non successe nulla di più quella sera. Mi salutò con un bacio sulla guancia e un sorriso quasi paterno. Tornai a casa sentendomi piccolo, ma non umiliato. Solo consapevole di quanto fosse reale tutto quel mondo.
Non era più una fantasia. Era vita. Era carne.
E io stavo imparando a respirarla. E poi ci furono quelli che mi fecero tirare indietro.

Uomini sicuri, esperti, decisi. I loro messaggi avevano qualcosa di magnetico. Sapevano cosa volevano e come ottenerlo. Mi chiamavano "piccolo", "tesoro", "la mia bocca", e a volte anche "la mia troia". Bastava un aggettivo, un tono, e sentivo una scarica elettrica corrermi dentro. Eppure… bastava poco per farmi fuggire.
Alcuni appuntamenti li vidi da lontano, senza farmi avanti. Stavo lì, fermo in auto, osservavo da dietro il volante l’uomo che mi aveva scritto per giorni, e non trovavo il coraggio di scendere. Altri mi videro presentarmi, con le mani fredde, il fiato corto, ma bastò uno sguardo troppo diretto, una mano sulla cintura, e con una scusa me ne andai.
Era come se stessi cercando un varco tra la paura e l’abbandono, ma il mio corpo ancora non si fidava. Sapevo che lo volevo, che avevo bisogno di quel passo. Ma era difficile. Ero nudo dentro prima ancora che fuori, e quello spaventava più di tutto.
Ma ogni volta che tornavo a casa, ogni volta che mi chiudevo la porta alle spalle, mi dicevo: “La prossima volta resterai.”
Ed era proprio quella promessa a tenermi vivo.
Eppure, tra quegli uomini che avevo lasciato andare, ce n’erano alcuni che tornarono. Un uomo di nome Claudio – almeno così si firmava – aveva quasi sessant’anni. Mi scriveva da settimane con costanza, delicatezza e una punta di sadismo verbale che mi lasciava ogni volta col cuore che batteva.
Quando gli diedi buca al primo appuntamento, non mi insultò, non sparì. Scrisse solo: "So che tornerai. Le labbra che voglio devono imparare a tremare prima di aprirsi." Non gli risposi. Ma salvai quel messaggio. Lo rilessi molte volte nei giorni successivi.

Un altro, che si faceva chiamare VeroPapàBS, aveva un tono molto più diretto. Una volta mi mandò solo una foto del suo cazzo appoggiato sul bordo del lavandino e il messaggio: "Questo ti aspetta. Quando smetti di fare il bambino, chiamami." Mi spaventò. E mi eccitò. Cancellai tutto. Poi due mesi dopo cercai tra i vecchi messaggi e gli scrissi solo: "Sono cresciuto."
Alcuni si ripresentarono mesi dopo, trovandomi online. Altri li cercai io, con una scusa. Fingendo di voler chiarire, di scusarmi. In realtà, volevo solo sentire se la loro voce aveva ancora quel potere su di me. Alcuni sì. Altri no. Ma ogni incontro mancato lasciava un seme.
Un giorno, di rientro da una sera passata a osservare – senza agire – gli uomini nel solito punto della zona industriale, ricevetti un messaggio da uno di loro. Non ci eravamo parlati, solo incrociati. Ma lui aveva capito.
"La prossima volta non scappare. So che eri tu. E mi piacciono quelli come te."
Quelle parole mi fecero chiudere gli occhi. Perché sapevo che non si può tornare indietro da un riconoscimento del genere. E cominciai a pensare che forse alcuni incontri erano destinati solo a fallire la prima volta. Perché tornassero più forti.
E così, iniziai a tenermi pronto. A non cancellare più quei numeri. A non fingere che non mi interessassero.
Perché forse… una di quelle voci sarebbe stata la prima davvero a possedermi.
E poi, un giorno, il suo nome comparve sullo schermo.

Sergio.
Un messaggio secco. Nessuna immagine, nessun tono esibito. Solo parole che, proprio nella loro semplicità, mi fecero tremare.
"Ho trovato il tuo biglietto. Non sono sicuro di aver capito… ma se era un invito, potremmo parlarne. Davanti a un caffè. O in un posto dove non servono parole."
Rimasi paralizzato. Il cuore si strinse in un battito lungo, profondo. Avevo lasciato quel biglietto quasi come un gioco, un gesto provocatorio e poetico, colmo di desiderio ma sepolto nella quotidianità. Non mi aspettavo davvero una risposta. E di certo non dopo tutto quel tempo.
Era passato quasi un anno. Nove mesi, forse dieci. Abbastanza perché tutto cambiasse dentro di me. Avevo attraversato nuove fantasie, sfiorato desideri ancora più chiari, mancato incontri che sembravano promesse. Avevo risposto a messaggi, ricevuto foto, perfino accettato di trovarmi con qualcuno – salvo poi ritirarmi all’ultimo, bloccato da quella vergogna senza nome che ti afferra quando il corpo vuole ma l’anima trema.
E ora, quando meno me l’aspettavo, Sergio tornava con quella frase.
Ripensai a tutte le volte in cui ci eravamo trovati da soli in laboratorio, a quegli sguardi fugaci ma carichi, a quella frase sulle mie labbra che ancora mi accendeva: "Hai un’aria strana, tu… da uno che nasconde qualcosa di interessante." Non era solo un ricordo. Era una scintilla.
Gli risposi con un semplice: "Forse non servono parole, no." Poi, con un gesto lento e studiato, mi alzai dalla scrivania, andai in bagno e scattai una foto. Le labbra appena lucide, gloss trasparente steso con cura, la luce del neon che rifletteva un tremolio appena percettibile. Nessuna nudità. Solo quella parte di me che parlava da sola.
Sotto, una frase scritta in piccolo, a mano, sulla cornice dello specchio:
"Per la tua libertà." Premetti invio.
Per un attimo, il mondo si fermò. Avevo smesso di rincorrere fantasie, di immaginare padroni anonimi. Avevo offerto qualcosa di vero. E stava a lui, ora, scegliere se accettarlo.
Quel messaggio non era solo una risposta.
Era un ritorno. Un seme sbocciato.
Una porta che si apriva.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Voto dei Lettori:
8.0
Ti è piaciuto??? SI NO

Commenti per La fioritura del silenzio – Capitolo 1:

Altri Racconti Erotici in Prime Esperienze:




® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni