tradimenti
Il ritorno

23.05.2025 |
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"Un tubino nero semplice, senza maniche, aderente al punto giusto..."
Erano passate tre settimane. Tre settimane in cui avevo ripensato a ogni istante, ogni sguardo, ogni scatto. Tre settimane in cui avevo sentito le dita formicolare ogni volta che mi veniva voglia di scrivergli… e in cui avevo resistito. Fino a oggi.Avevo detto a Marco che uscivo per una commissione veloce. Non avevo mentito.
Non del tutto.
Quando bussai alla porta dello studio, Luca aprì con la stessa calma di sempre. Il suo sguardo, però, si soffermò un attimo più del solito sui miei fianchi. E qualcosa si accese in me.
«Beatrice…» disse, come se mi stesse aspettando. Non c’era sorpresa nella sua voce. Solo un caldo riconoscimento.
Quella volta avevo scelto un abito diverso.
Un tubino nero semplice, senza maniche, aderente al punto giusto. Sotto, niente. Né reggiseno, né mutandine. Solo la mia pelle, viva e tesa, nascosta dal tessuto come una promessa non ancora sussurrata.
Avevo anche sciolto i capelli, raccolti l’ultima volta. La mia chioma bionda cadeva morbida sulle spalle, e gli occhi – scuri, decisi – cercavano i suoi in modo diretto. Non ero più la ragazza che scattava qualche prova. E lui lo capì.
Non parlammo molto. Non ce n’era bisogno.
Mi fece accomodare nello studio, e notai che aveva già sistemato tutto: luci, fondo neutro, una poltrona in velluto color senape. C’era anche una bottiglia di vino rosso aperta, due calici già pronti. Lo stesso aroma che mi aveva stregata la prima volta. Lui sapeva.
Bevemmo in silenzio. Il vino era caldo, morbido, scendeva lento come uno sguardo che accarezza. Poi prese la macchina e iniziò a fotografarmi. Non mi disse come mettermi. Non serviva.
Mi sedetti sulla poltrona, accavallai lentamente le gambe, lasciando che l’orlo dell’abito si sollevasse appena. Sapevo che da dove stava lui avrebbe visto la curva del mio fianco nudo. Lo volevo. Lo guidavo.
Ogni click era una scintilla. Mi muovevo come danzando con il desiderio, e lui seguiva ogni gesto con una fame sottile, educata. Mi posizionai in piedi, una mano sulla parete, l’altra a raccogliere i capelli dietro il collo. Sotto l’abito, sentivo il mio corpo fremere. Ero bagnata. Ancora. Come l’ultima volta. Ma stavolta… stavolta era diverso. Non avevo intenzione di andarmene.
Dopo l’ultimo scatto, lui abbassò lentamente la macchina. Ci guardammo.
Nessuno disse nulla. Eppure c’era tutto, lì, in quell’attimo.
Lo seguii senza che mi chiedesse niente.
Salimmo una scala stretta, appena illuminata, fino a una porta scura. Aprì e mi fece entrare nella sua camera da letto. Lì non c’erano obiettivi, né luci artificiali. Solo un letto disfatto, profumo d’ambra, e una finestra aperta sulla sera.
Mi voltai verso di lui, e mi sfilai l’abito con un solo gesto.
Il tessuto cadde a terra in silenzio, come se anche lui sapesse che ormai le parole non servivano più.
Rimasi lì, nuda davanti a lui, la pelle tesa, le pupille dilatate.
Mi sentivo viva come non mai. Un fremito caldo mi attraversò il ventre quando lo vidi fare un passo verso di me. Poi un altro. E un altro ancora, fino a sfiorarmi appena con la punta delle dita.
Mi accarezzò la guancia, lentamente.
Il pollice seguì la linea delle mie labbra, poi scese, piano, lungo il collo, la clavicola, fino a posarsi sul seno. I suoi movimenti erano lenti, calcolati… ma c’era qualcosa di istintivo sotto la superficie. Una fame trattenuta troppo a lungo.
«Sei bellissima, Beatrice» sussurrò.
Lo disse come se fosse un segreto, non un complimento.
Quando le sue labbra toccarono le mie, smisi di pensare.
Fu un bacio pieno, profondo, che mi fece tremare le gambe. Mi sollevò come se fossi fatta d’aria e mi adagiò sul letto, con una cura feroce. Aveva quella delicatezza di chi sa come si tiene un bicchiere di cristallo… ma dentro, lo sguardo di un uomo che sa come romperlo.
I suoi baci scesero sul mio ventre, esplorando ogni respiro, ogni vibrazione.
Il suo corpo si fuse col mio, e ogni tocco sembrava una promessa mantenuta. C’era ritmo, ma c’era anche istinto. Era selvaggio, sì… ma mai brutale. Era il tipo di passione che ti prende con la bocca, con le mani, con gli occhi.
Che ti legge e ti scrive allo stesso tempo.
Le sue mani mi strinsero i fianchi con decisione, guidando i miei movimenti come in una danza antica. I nostri corpi si cercavano, si fondevano, si rincorrevano. Non c’erano regole, solo battiti. Solo pelle. Solo desiderio.
Per un attimo, persi la percezione del tempo.
Sentivo solo il mio respiro spezzato, il suo contro il mio collo, il letto che scricchiolava piano sotto il peso di un incontro inevitabile.
E poi, il silenzio. Quel tipo di silenzio che resta quando un fuoco si spegne solo per lasciarti sentire quanto hai bruciato.
Mi accoccolai contro di lui, la testa sul suo petto.
Fuori, la notte era scesa del tutto. Ma dentro quella stanza, il tempo non esisteva.
Solo il ricordo di un ritorno. E la certezza che non sarebbe stata l’ultima volta.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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