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La camera rossa dell’Artemide – Parte II


di RANDELLONEMAIALONE
20.05.2025    |    774    |    0 9.7
"Quando mi avvicinai e le infilai due dita nell’ano, lei non si oppose..."
La osservammo riprendersi, il suo petto che si sollevava ritmico, le cosce ancora leggermente divaricate, brillanti dei nostri umori. Io la conoscevo bene. Sapevo che quello sguardo a occhi chiusi, quella respirazione lenta, erano il segno di un piacere reale, non recitato. Il tipo di piacere che arriva raramente, quando il corpo si svuota del controllo e si lascia abitare dal desiderio.
Andrea la guardava con un misto di soggezione e fame, ancora nudo, il cazzo ancora duro. Era giovane, e in quella giovinezza c’era anche quella forza straordinaria che non conosce la stanchezza.
Mi alzai, le accarezzai i capelli umidi di sudore e poi le baciai la fronte. Lei aprì gli occhi, sorrise e ci fissò entrambi. “Non abbiamo ancora finito,” disse, con una voce roca, profonda. E si mise a carponi in mezzo al letto.
Il suo culo era perfetto così: pieno, invitante, oscillava leggermente mentre si sistemava in posizione. Io mi avvicinai alle sue labbra, lei prese il mio cazzo ancora bagnato di lei e cominciò a leccarlo di lato, lentamente, mentre Andrea si avvicinava da dietro e le accarezzava le natiche con entrambe le mani. Lei si voltò appena. “Lentamente,” gli disse. “Voglio sentirti entrare poco alla volta.” Lo guardai infilarsi in lei, prima con la punta, poi con piccoli affondi. Il suo viso era contratto dalla concentrazione. Lei gemeva piano, ondeggiava appena, come per accoglierlo meglio. Io, nel frattempo, le infilavo il mio cazzo in bocca. Era calda, viva, affamata. Alternava succhiate profonde a movimenti rapidi di lingua sulla cappella.
Andrea cominciò a prenderle il ritmo, e la stanza si riempì di suoni: i colpi umidi del suo bacino contro il suo culo, i miei gemiti spezzati, il respiro di lei mentre ci prendeva entrambi. La guardai mentre si lasciava dominare da due uomini, e la trovai bellissima. Totalmente libera.
Ma non ci fermammo lì. Cambiammo posizione più volte. Andrea si stese sul letto, e lei gli si sedette sopra, di schiena, facendoselo scivolare dentro lentamente. Io le misi un cuscino sotto le ginocchia e le offrii di succhiarmelo ancora. Vederla cavalcare quel ragazzo, le sue mani sulle sue cosce, mentre il mio cazzo spariva tra le sue labbra, era pura estasi.
Ogni tanto lei si fermava, ci guardava entrambi e ci chiedeva cosa volessimo. Non era più solo nostra. Era padrona del momento, regina e schiava insieme, guida e offerta. Quando Andrea venne una seconda volta, lo fece dentro di lei. Lei non si mosse, restò sopra di lui, lasciando che il suo seme scendesse lentamente lungo le sue cosce.
Io mi avvicinai, le sollevai il mento e la baciai con tutta la passione che avevo in corpo. Poi la presi di nuovo, da dietro. Lei era completamente aperta, calda, bagnata. Entrai dentro e sentii subito che sarebbe stato breve. Affondai più volte, forte, afferrandole i fianchi, finché non venni dentro di lei con un gemito strozzato. Lei gemeva con me, lasciandosi andare.
Crollammo tutti e tre sul letto, stanchi, madidi, appagati. Nessuno parlò per qualche minuto. Solo i respiri, il battito ancora accelerato, il silenzio del dopo.
Poi lei, con la voce di chi ha appena riscoperto se stessa, sussurrò: “Domani… voglio ricominciare da capo.”
E io e Andrea ci guardammo. Non servivano promesse. Quel viaggio a Roma non era stato solo una trasferta. Era stato un nuovo inizio.
La mattina seguente fu stranamente silenziosa, quasi sospesa. Ci svegliammo tardi, abbracciati, con le lenzuola appiccicate addosso e l’odore di sesso ancora nell’aria. Il sole filtrava tra le tende pesanti, disegnando linee dorate sul corpo nudo di mia moglie, distesa tra me e Andrea. Lui dormiva ancora, una mano posata leggera sul fianco di lei. Io li guardavo entrambi, nudo, rilassato, svuotato ma mai così vivo.
Quando aprì gli occhi, lei sorrise. Non fu un sorriso qualsiasi. Era pieno. Soddisfatto. Un sorriso che diceva “ce l’hai fatta”, ma anche “ne voglio ancora”. Andrea si stiracchiò, imbarazzato solo per un attimo. Ma non c’era più bisogno di maschere. La notte ci aveva trasformati.
Ci alzammo, ci lavammo. Nessuno parlava troppo. Colazione in terrazza, con i vestiti addosso e le mani che cercavano ancora il contatto, anche sotto il tavolo. Ogni tanto uno sguardo, un dito che sfiorava il ginocchio. Il desiderio non si era spento, si era solo fatto più profondo, più denso.
Il giorno passò tra meeting e chiamate, ma la testa era sempre là. A quel letto. A quei suoni. A quelle bocche. E quando, in un momento di pausa, lei mi mandò un messaggio semplice — “Stanotte, ancora” — io risposi solo con un cuore. Non servivano parole.
La sera, tornati in camera, ci spogliammo senza parlare. Lei indossava una vestaglia di raso nero, senza nulla sotto. Io accesi le luci basse, preparai tre calici di vino. Quando Andrea bussò alla porta, era già pronto. Nessun imbarazzo, solo occhi che brillavano. Entrò, le si avvicinò e la baciò. Lei rispose subito, affamata. Io li guardai, bevvi un sorso, poi mi avvicinai anch’io.
La spogliammo insieme, lentamente. Il raso cadde, e il suo corpo si mostrò di nuovo a noi. Andrea si inginocchiò, cominciò a baciarle l’interno coscia, mentre io le tenevo i fianchi. Quando la sua lingua toccò la fichetta, lei emise un gemito che mi fece indurire all’istante. Mi misi dietro di lui, lo guidai, gli dissi dove le piaceva essere leccata, cosa la faceva tremare. Era come danzare in tre.
Si mise a quattro zampe. Io davanti, lei che mi prendeva in bocca, Andrea dietro, che la penetrava lentamente. Le mani correvano ovunque, le nostre bocche anche. Il letto cigolava, la stanza si riempiva di gemiti. Nessuno contava più il tempo.
A un certo punto, volli guardarla. Le dissi di cavalcarlo. Andrea si sdraiò, lei si mise sopra, le mani sulle sue cosce, e io dietro, a baciarle la schiena, ad accarezzarle il culo mentre la osservavo muoversi su quel cazzo giovane e duro. Era meravigliosa. La donna che amavo, nuda, libera, selvaggia.
Quando mi avvicinai e le infilai due dita nell’ano, lei non si oppose. Anzi, si aprì di più. Le baciai il collo, le dissi quanto era bella. Lei si voltò e mi disse: “Prendimi anche lì”. Era la prima volta che me lo chiedeva così, con quella fame. Così lo feci. Lentamente, con delicatezza, glielo infilai mentre lei ancora cavalcava Andrea.
I gemiti diventarono più intensi, più sporchi, più veri. Lei si muoveva tra di noi come se fosse nata per questo. Quando venne, lo fece urlando, tremando tra le nostre braccia. Andrea la seguì a ruota, e io dopo di lui, riempiendola ovunque. Nessuno di noi voleva fermarsi.
Restammo lì, sudati, esausti, stesi. Tre corpi nudi, uniti. Lei ci prese le mani, le strinse. “Da domani non saremo più gli stessi,” disse. Ma sapevamo già che era così. Avevamo attraversato un confine, e non volevamo più tornare indietro.
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