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Siediti qui, cara


di DanielaMI
21.12.2017    |    21.425    |    9 9.2
"Quell’attività mi porta a concentrarmi sul cazzo che ho di fronte..."
Lui non sa, anzi non sapeva. Poi un giorno gliel’ho detto. Ma non è stato facile.
Ho perso molto tempo a pensare come dirglielo o, al limite, a come farglielo capire. Ma non c’era verso. Non mi decidevo.
Tutte le modalità mi sembrano goffe e quello che volevo evitare era ogni genere di imbarazzo. In fondo tutto questo è un gioco e nessuno deve rimanerci male. E, comunque vada, la vita deve continuare come prima. Se non meglio di prima.
Insomma io sono Daniela da diversi anni. Un po’ per divertimento e un po’ per noia.
Lui invece è A. ed è uno di quei classici amici che conosci in quei contesti all’interno dei quali non sembra sensato pensare a nulla che non siano le solite cene in compagnia e poco più.
Ci stiamo simpatici e questo è senza dubbio un buon punto di partenza. Però rimaniamo fermi lì per molto tempo.
Poi tanti viaggi insieme da pendolari e qualche cena quando, insieme ci si ritrova in giro per la città. E lì qualche sguardo sembra dire qualcosa, ma forse anche no, chissà. Anche qualche gesto strano, ma che faccio fatica a interpretare.
Come quella volta in un bar affollato, quando, alla mia ricerca di una sedia, mi fa il gesto di sedersi in braccio a lui.
E, a pensarci bene, ci sono state qua e là anche numerose battute a sfondo sessuale, garbate quanto esplorative, poi qualche allusione al mio fisico o il gioco di mettere a confronto i rispettivi bicipiti: longilinei e sottili i miei, possenti e vigorosi i suoi.
Ma forse c’è stato anche tanto altro che io, stupidamente, non ho colto.
Insomma così è andata avanti per un po’, anzi, forse, per un po’ troppo.
Molte occasioni quindi sono passate sotto i ponti senza che nessuno abbia mai osato fare il primo passo. A volte succede così, fino a quando non ce la fai più e devi far esplodere tutto in qualche modo. A me, almeno è successo così. Cioè iniziavo a pensarci troppo e la cosa stava diventando un’ossessione. Ero arrivata al punto di pensare di organizzare un rischiosissimo incontro al buio. Ma, fortunatamente, poi ho voluto affrontare la questione nel modo più naturale e meno traumatico possibile.
Così una sera in cui eravamo fuori a bere qualcosa, dopo il secondo bicchiere ho trovato il coraggio di scoprirmi:
“Allora cosa fai a capodanno?”
E lui: “Solita cena in famiglia e tu?”
“Io farò qualcosa così”
E senza titubare gli porgo il mio cellulare con un selfie che ritrae Daniela al meglio delle sue possibilità: sexy ma elegante (che poi è anche il mio stile). Quindi cerco di non perdermi ogni sua minima reazione, cercando di studiare il suo sguardo nei dettagli. Il cuore inizia a tambureggiare. Ecco – mi dico – ormai è fatta. Siamo al punto di non ritorno. Negare ora sarebbe da idioti.
Lui fa un piccolo balzo sulla sedia, sgrana gli occhi, accenna con enfasi un esagerato stupore ma poi esplode in un sorriso. Sono esageratamente curiosa di sapere che dice. Sono passati pochissimi secondi ma sembra un’eternità.
Poi serenamente esclama:
“Però! Bella topa...”
Allora anche io scoppio a ridere e rilascio un po’ la tensione, mettendomi al gioco.
Si passa la serata. In allegria, come al solito. E senza però entrare troppo nei dettagli della rivelazione. Lui sa e io so. Questa è la cosa importante per ora.
Per non lasciare tutto troppo in sospeso gli propongo in modo quasi indifferente:
“Se vuoi un giorno te la presento...”
Passa del tempo e finalmente arriva la serata perfetta, quella in cui entrambi siamo liberi da tutto e da tutti.
Al telefono però gli chiedo una conferma:
“Allora ti presento la mia amica?”
“Sì certo, sono curioso” – risponde lui, mettendo un malizioso accento sulla frase.
A fine chiamata inizio a chiedermi perché abbiamo aspettato tanto per arrivare fin qui, ma ormai non è il tempo dei rimpianti, bensì quello di preparasi.
Al solito decido per un look elegante, ma voglio anche stupirlo con qualche underwear che la moglie non mette più, come qualcosa di pizzo, certamente un po’ osé. Poi una mini molto corta, degli stivali neri e una maglia con un bel décolleté e spalle a nudo. Speriamo che lui arrivi in giacca e cravatta. Mi piacciono gli uomini che si svaccano sul divano slacciandosi l’ultimo bottone della camicia e lanciando la cravatta come se fossero a casa loro.
Sulla soglia l’incontro è ricco di reciproca curiosità, ma privo di quella tensione che avrebbe potuto esserci in una situazione non predeterminata. Lui mi guarda un po’ impalato, non sa bene che fare, così prendo io l’iniziativa e gli allungo un bel bacio sulla guancia, dandogli il benvenuto e facendolo accomodare, dimostrandomi così fin da subito la perfetta padrona di casa.
Un prosecco e qualche salatino in queste occasioni possono fare miracoli, specie se c’è da sciogliere un iceberg: se si è in due a farlo non c’è ghiaccio che tenga.
Così anche inizio a sentirmi a mio agio, come, del resto, è sempre stato con A. anche prima che mi infilassi la minigonna.
“Come mi trovi?” – chiedo ormai spavalda.
Lui non azzarda più un commento come quello del selfie e dice semplicemente, in modo quasi serio: “Ti trovo interessante!”
Beh – penso io – d’ora in poi sarà tutto in discesa.
Come avevo previsto, si entra in una fase di relax, salta la cravatta, iniziano le chiacchiere vere. Scaturiscono anche alcune confessioni, stimolate dal prosecco. Ora non c’è più alcuna barriera. Possiamo dirci tutto. Anche quelle cose che sapevamo da molto tempo. Ad esempio che ci piacciamo.
“Anche come Daniela?” – chiedo.
“Sì, sopratutto così”
Poi come d’incanto i discorsi cessano. Inizia una pausa che sembra infinita.
Io mi do una sistemata ai capelli, lui getta un rapido sguardo intorni quasi per raccogliere gli ultimi pensieri prima di mettermi una mano sulla gamba e di baciarmi sul collo.
Enfatizzo un piccolo fremito. So che queste cose creano delle immediate accelerazioni e così avviene.
In breve mi ritrovo la sua lingua nella mia bocca e il suo corpo sopra il mio.
Da sotto, completamente sovrastata dalla sua mole cerco di sbottonargli la camicia e a fatica ci riesco. Voglio sentire tutto il suo calore su di me. Poi passo ai pantaloni. Fortunatamente lui mi viene in aiuto. Così ho modo di sentire finalmente il suo membro a contatto con il mio corpo. Stiamo così per un po’. Io senza fiato per il peso (e forse non solo quello), lui in mutande a muoversi tra le mie gambe, quasi grugnendo. Sento il suo cazzo crescere e cercarsi spazio tra gli slip.
Sono troppo curiosa di sentirlo e metto una mano per sostenere il deciso rigonfiamento. Il momento è maturo. Gli sussurro dolcemente all’orecchio di mettersi seduto e lui obbediente si riposiziona come prima. Gli sfilo diligentemente le mutande e mi siedo sopra di lui.
Amo questa posizione, anche se non finalizzata. Mi piace sedermi sopra un cazzo in tiro mentre due mani mi strizzano le chiappe. E’ una di quelle posizioni che farebbe sentire femmina chiunque. Almeno, a me fa questo effetto! So però che non può durare a lungo e così inizio il consueto bacio lungo, che parte dalla nuca e, passando dal torace, si direziona, indugiando tra qualche piccolo morso sulla pancia, verso l’uccello che mi aspetta.
So che ad A. piacciono i pompini. So che li considera una cosa importante. Così mi ci dedico con passione. E’ arrivato il momento di dimostrare quello che valgo, ma voglio anche creare un solco tra chi si dedica con rispetto e devozione al proprio uomo, e chi non lo fa più…
Ma che pensieri ti passano per la testa Daniela? Meglio lasciar perdere e lavorare, con passione, con la testa sgombra, la lingua fuori e qualche verso da porca che non fa mai male.
Quell’attività mi porta a concentrarmi sul cazzo che ho di fronte. Un cazzo perfettamente in linea con ciò che gli sta intorno: presente, reattivo, tozzo e generoso. Un cazzo che va benissimo per me.
Mi ci perdo per interi minuti, sollecitata anche dall’espressione abbandonata di A. che ha un mezzo sorriso stampato in faccia e gli occhi quasi completamente chiusi. Chissà, magari pensa a un’altra. Poco male: lui fa i suoi viaggi, io faccio i miei.
Morirei in effetti dalla voglia di raggiungere il letto e iniziare un’altra danza, ma preferisco non forzare le cose. Andiamo avanti così che va benissimo e sembra che, anche su questo, siamo d’accordo.
Il suo cazzo non accenna a recedere, la mia bocca non pare stanca, così passano dieci minuti, forse venti. Poi arriva il momento cruciale, senza, che mi sia preparata nulla per contenere il getto abbondante che A. si appresta a donarmi. Così accovacciata sulle sue gambe inizio a menarglielo in modo sempre più energico, avvicinandolo pericolosamente al mio décolleté che, di lì a breve, sarà completamente inondato.
Poi un semisoffocato muggito di piacere, affiancato da tutta la mia soddisfazione per il lavoro portato a compimento.
Dopo certi momenti ci si blocca per qualche istante, finché qualcuno non dice: “non ti muovere” e torna con un rotolo di fazzoletti.
Come è normale fare, ci si ridà un contegno molto complice, pur nell’apparenza totalmente sbracata, rifacendoci la bocca con un sorso di vino tiepido, meno gradevole di prima, ma molto più appagante.
Io lì in piedi, lui ancora seduto sul divano.
Poi, in modo del tutto inaspettato, ripete quel gesto che mi ha sempre fatto impazzire. Quel toc toc sulle gambe con quell’amorevole aria malandrina che vuol dire: “siediti qui cara”.
E finalmente lo faccio, perché ora possiamo farlo. Prima lo volevamo soltanto.
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