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La taverna di Dimitra - (Prima parte)


di Membro VIP di Annunci69.it moebius
16.08.2020    |    2.198    |    1 8.7
"Dicevano che in cinque ore di cammino sarei arrivato al paese vicino, una piccola oasi immersa nella natura, fortunatamente ancora poco battuta dai turisti..."
La mia ombra si allunga e sparisce dritta oltre il manto d'erba che copre l'orlo del crinale. Sotto è solo mare aperto e ripido, musica di piccole onde bianche che si schiantano contro la roccia. A dir la verità c'è così tanto sole che la mia ombra è ridotta a un filo. Un filo che però si è aggrovigliato in una serie di nodi che non riesco a sciogliere: mi trovo in un punto indecifrato della costa sud di Creta, e mi sono perso.
La mattina presto, di buona lena, avevo deciso di seguire un sentiero di cui mi avevano parlato la sera prima dei ragazzi, mentre seduti sui gradini del sagrato della piccola chiesa in calce bianca ci passavamo una bottiglia gelata di Ouzo.
"Devi raggiungere il ruscello, e poi puntare verso sud, non puoi sbagliare". Dicevano che in cinque ore di cammino sarei arrivato al paese vicino, una piccola oasi immersa nella natura, fortunatamente ancora poco battuta dai turisti. "Vedrai, è una meraviglia".
Adesso saranno sei ore che cammino, ma del ruscello nemmeno il rumore. Sento solo il picchiettare dei miei passi, che si confonde col paesaggio coperto da un cielo immenso e muove le orecchie di qualche capra selvatica che ogni tanto mi scruta sorpresa. Riparo finalmente sotto l'ombra di un grande fico. Bevo un sorso della poca acqua rimasta, e maledico il mio pessimo senso dell'orientamento. Provo due sentimenti contrastanti, la gioia di ritrovarmi solo nel mezzo di tanta natura, e la paura di non ritrovare più la strada e morire di sete. Faccio forza sulle gambe, zaino in spalla e mi rimetto in cammino. Quasi dopo un'altra ora di strada incerta, incrocio un nuovo sentiero a picco sul mare e, con meraviglia, scorgo vero il basso una barchetta ancorata alla riva di una caletta. Ci sono due pescatori, che stanno caricando a bordo delle grandi reti, per ripartire. In un attimo mi ritrovo a ruzzolare veloce lungo la scarpata, alzando un polverone tale che i due uomini mi guardano sbigottiti, scambiandomi per una capra che ha perso l'equilibrio ed è scivolata dritta lungo il costone di terra e roccia. I due pescatori mi fissano immobili e io, sudato e trafelato, chiedo aiuto in Inglese. Non riusciamo a capirci, ma subito mi offrono dell'acqua, e con alcuni gesti delle mani mi spiegano che stanno facendo ritorno al loro villaggio, e che, se voglio, è lì che loro possono accompagnarmi. Mi sembra una notizia meravigliosa, m'imbarco senza esitazione alcuna e ringrazio i miei salvatori, sentendomi per un attimo come come Pinocchio che riesce a fuggire dal pescecane, ma questa volta scortato da due Geppetti.
Dopo nemmeno venti minuti approdiamo al centro di una baia nascosta, e appena metto piede sul piccolissimo molo di pietra saluto e ringrazio festosamente i due pescatori, che mi danno il benvenuto nel loro villaggio portando la mano al cappello e sollevandolo leggermente.
Mi giro e vedo un breve fila di case basse, bianche, immerse tra gli ulivi, mentre sul lato opposto si apre una spiaggia ampia, bellissima, popolata da grandi alberi che disegnano un'ombra fresca, perfetta per piazzarci la tenda. Monto il mio giaciglio, faccio un bagno nel mare piatto e, raggiunto il mio telo, crollo in un sonno profondo e senza sogni.
Quando mi risveglio il sole sta già tramontando all'orizzonte e, mentre la luce si fa rosa, dalle case del piccolo villaggio arriva un buon profumo di cucina… Solo in quel momento realizzo di non avere ancora messo niente sotto i denti, fin dalle prime ore della mattina. Scorgo una doccia costruita artigianalmente al fianco di un grande pino marittimo, forse da qualcuno che ha soggiornato prima di me su questa sabbia. L'acqua lava via tutta la stanchezza del giorno. Adesso ho solo voglia di festeggiare il mio arrivo.
Indosso una camicia bianca di lino, la più bella tra le due che tengo nello zaino, e m'incammino verso la luce dell'unica taverna che scorgo di fronte alla spiaggia.
Sono 5 tavolini di legno, tutti liberi, scelgo quello più vicino al mare, e mi siedo prima che il sole sparisca completamente dietro l'orizzonte. Arriva sorridente la proprietaria della taverna, una signora alta e robusta, dai modi schietti e dal sorriso simpatico. Si chiama Dimitra, parla un poco l'italiano, perché da giovane ha vissuto due anni a Bologna. È sorpresa, mi dice che sono pochi gli stranieri che si spingono fino al suo villaggio. Mi spiega che praticamente non c'è turismo, e scherzando mi dice che in questi giorni solo una coppia tedesca ha avuto l'onore di assaggiare le sue prelibatezze. Ridiamo insieme, e ordino subito un quartino di retsina fresco, per brindare al mio viaggio in solitaria.
Mentre godo in tranquillità il vino, vedo arrivare alla taverna un uomo e una donna e, dal loro aspetto, intuisco essere la coppia tedesca di cui mi accennava Dimitra, gli unici esploratori insieme a me di questo piccolo paradiso.
La donna avrà cinquant'anni, indossa un vestito leggero, bianco, che le arriva fino alle ginocchia, lasciandole libere le braccia. Ha una bella collana indiana, che risalta il suo portamento. Ha capelli chiari, portati a caschetto, occhi brillanti e una lieve abbronzatura. Ride insieme al marito, mentre prendono posto a un tavolino poco distante dal mio. Lui è un uomo dall'aria simpatica, che non arriva ai sessant'anni, o forse si. Ha capelli crespi, spettinati dalla salsedine, mi ricorda vagamente Sting, e quando sorride i suoi occhi diventano due fessure.
Ordino un'orata alla griglia, e l'accompagno con un conchino d'insalata greca. Chiedo altro vino, e mentre la signora della taverna prende le ordinazioni della coppia tedesca, vedo l'uomo indicare il mio piatto. Incrociamo gli sguardi e lui mi sorride, tirando il pollice in su, come per dire: "sembra ottimo, lo prendo anch'io!" Ricambio il sorriso, e faccio girare la mia mano in aria come per dire: "Ottima scelta, è un capolavoro!"
Anche la sua compagna adesso si è girata verso di me, sorridendomi.
Intanto la luna sta salendo e il colore del cielo comincia a confondersi con quello del mare. Ho finito l'orata e mi godo l'aria fresca della sera, centellinando il retsina rimasto nel bicchiere.
"Da dove arrivi?" Mi chiede l'uomo alzando un po' la voce per farsi sentire.
"Sono italiano, vengo da Firenze."
"Ohhh, amiamo Firenze! siamo stati almeno tre volte. Bellissimo il Chianti! Abbiamo viaggiato per tutta la toscana."
"E voi", chiedo, "di dove siete?"
L'uomo mi fa cenno di raggiungerli, se voglio, possiamo dividere il tavolino e parlare più comodamente. Prendo il mio bicchiere e raggiungo il loro tavolo. Lui si chiama Leon, e lei Sophie. Stanno insieme da trent'anni esatti, e vivono a Berlino, dove sono nati. Lei della parte est, lui dell'ovest. La caduta del muro li ha fatti incontrare. La signora della locanda viene a prendere i piatti ormai vuoti, e ci sorride festosa. "Sono felice che vi siate conosciuti, nella mia taverna si viene per stare insieme e conoscersi. Non è forse l'incontro , la meta del viaggio?" E ride della sua risata contagiosa.
"Posso portarvi altro vino?". Ci guardiamo tutti e tre sorridendo "perché no, dice Sophie, con piglio deciso. "La notte è lunga, e poi domani non dobbiamo mica lavorare!" Beati voi, esclama Dimitra, mentre porta via i piatti verso la cucina col suo passo deciso e festoso.

Fine Prima Parte
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