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trio

Non lo avevo considerato


di Alternos
26.03.2019    |    8.251    |    1 8.1
"Ed era la cosa più naturale del mondo, ma ugualmente l'ho respinta..."
La sera prima c'eravamo solo sentiti. Sera, insomma, poteva essere mezzanotte. Mezzanotte e mezza. Comunque più o meno l'ora in cui staccava dal lavoro. Faceva la cameriera nel locale di un amico e questo aveva facilitato le cose tra noi, ma Alice, questo il suo nome, mi aveva già colpito da tempo.

Rare volte la raggiungevo da Gianni, il mio amico, più spesso ci incontravamo direttamente a casa sua. Ci tenevamo buona compagnia io e Alice, anche se, smorzandone il romanticismo, un po' la incupivo. Sapevo come rimediare, almeno in parte, col sesso, ma non sono mai rimasto a dormire da lei l'intera notte. Un'intimità che non le ho mai voluto concedere, con suo grande rammarico.

Quando l'avevo chiamata non era più da Gianni, ma si era spostata in un altro locale che teneva aperto fino a tardi, in compagnia della sua collega Luisa. Mi era sembrata un tantino alticcia, non mi sono meravigliato troppo. Comunque avevo declinato l'invito a raggiungerle, sentendo nella sua voce il gusto amaro della delusione.

Così la sera seguente sono uscito dalla mia grotta e alla chiusura l'ho raggiunta da Gianni, che ha proposto di continuare la serata altrove, in un baretto in riva al mare. Sarebbe venuta pure Luisa, che mi sembrava timida, un po' inibita, anche se intravedevo nei suoi atteggiamenti, sempre assai pudici, un velato interesse nei miei confronti.

Alice al contrario era esuberante ed estroversa, a volte eccessiva. Sole e luna, anche nella carnagione. Lattea quella di Luisa, tendente al nocciola Alice. Capelli biondi, tenuti corti, Luisa, mentre ad Alice una cascata di riccioli neri incorniciano il viso intenso ed espressivo, come i suoi occhi scintillanti, specchio di molteplici turbamenti, della fiera lotta dei suoi vividi sensi, delle emozioni, una vasta gamma che va dalla cupa angoscia all'entusiasmo irrefrenabile. La bocca è invitante, le labbra tumide, africane. Tutto in lei è di una sensualità animalesca e fiera. Anche quella sera.

Luisa era un po' che non la vedevo, una decina di giorni forse. Il suo saluto mi è suonato quasi sfrontato. Almeno, questa è stata la sensazione, con un guizzo di sfida e malizia negli occhi, che non le riconoscevo. Andiamo in due macchine, le ragazze in una, io e Gianni seguiamo nell'altra. Durante il viaggio Gianni, che di alcool è già gonfio, come spesso gli capita, fa quella che mi sembra una delle sue tipiche battute in tono sardonico, alla quale non do tutto questo peso. Suona come una specie di avvertimento: Mi sa che Luisa si vuole fare Alice. Mah.

Al baretto mentre Gianni è andato in bagno a scaricare una piccola parte della birra ingurgitata durante tutta la giornata, Luisa è spigliata, usa un'espressione ammiccante, a doppio senso. Come un'oscenità pronunciata da pudiche e caste labbra. Decisamente diversa dai canoni che mi ero fatto di lei. Spiazzante. A volte basta qualche bicchiere di birra e i canoni vanno a farsi benedire, penso. E poi, chissenefrega, ho ancor più voglia di scoparmi Alice, adesso.

Quando Gianni torna non tardiamo ad andarcene, io e Alice. Non abita distante, ha una casa a picco sulla scogliera, pochi kilometri più a sud. Fino alla porta di casa è tutta una dolcezza e io già pregusto. Invece accade il patatrac. Forse stavo pensando alle braccia scoperte, bianche e tornite, di Luisa, forse no. Comunque devo aver detto qualcosa, fatto qualche commento su di lei. In tutta innocenza, credevo. E invece no. Alice si è scaldata immediatamente.

Ho pensato si fosse ingelosita e ho cercato di ammansire la gorgone, ma non c'era verso. Mi dice: Tu sei convinto che Luisa sia interessata a te, ebbene ti sbagli, perché è a me che è interessata. Non le devo essere sembrato del tutto convinto e questo non ha contribuito a smorzarne il nervosismo. Miglior effetto hanno sortito parole dolci e sussurrate, baci e carezze. Ho lasciato perdere quanto aveva appena detto e mi sono dedicato a godermela. In fondo questo doveva essere il senso della serata.

Se arrivavo a morderle il collo era fatta. Mi si abbandonava. E poi potevo scendere, scoprendole il seno, leccando in punta di lingua i capezzoli grossi e turgidi, simili ad amarene mature. Succhiandoli, mordicchiandoli. Tormentandoli. Soprattutto quello sinistro, incatenato a un'anellino, che quando tiro con le labbra, la lingua e pure con i denti, la porta a spasimare, a contorcersi offrendomi di più. Un invito che raccolgo senza indugio. Con la bocca resto all'amarena, ma una mano decisa le sbottona i pantaloni e rapida scivola sotto gli slip ad incontrare una foresta ricciuta, insidiosa e umida.

La breccia era ormai aperta e già colava il suo umore. In certi casi non è vergogna mettersi in ginocchio. Le ho tolto gli scarponcini e i pantaloni, e poi le ho sfilato gli slip. In un amen. Neppure un istante e le allargo le cosce frementi, lei mi offre la sua natura più profonda, colante. La mia lingua la schiude e si insinua, risalendo fino al clitoride eretto, mai visto uno più grosso e lungo. Un cazzetto impudico che prendo a colpi di lingua e che succhio voluttoso tra gli spasimi di Alice, che mi tira per i capelli, spingendomi ad andare più in profondità con la lingua. Le mani non restano inoperose, tormentano i capezzoli e infilano dita nella bocca di lei, che avidamente succhia.

Estratto un dito dalle sue labbra, inseguito dalla lingua, lo porto dentro di lei dalla bocca inferiore, dove il clima è equatoriale, in cerca di un maggior tasso d'umidità. Trovando ciò che in realtà cercavo, l'anima sul fondo di una piccola grotta stillante, tra umori e vapori caldi. Per lei è come ricevere una coltellata. Si abbandona con la testa che reclina sul cuscino arabo, la bocca spalancata in cerca d'ossigeno, la lingua che spunta ai suoi angoli e sembra non sapere dove sostare, irrequieta, smaniosa. Subito però si riprende e mi stacca da lei. Si alza e mi prende per mano. Andiamo, dice. Vieni. Verso la camera da letto e il talamo intagliato sulle radici di un olivastro millenario. Uno sguardo alla foresta stillante e al fiero clitoride che riesce a far capolino, la seguo.

Sul letto è il suo turno di spogliarmi, anche a lei non ci vuole tanto. Il cazzo lo trova duro, impennato, come lei già umido. Sembra non le basti o è solo golosità? Così inizia a succhiarlo, alternando qualche affondo al lavoro sulla cappella che lucida con la lingua e le labbra. Ora sono le sue dita a strizzare i capezzoli, i miei, sino a farmi male. Dolore e piacere insieme. Rilassandomi, disteso sulle lenzuola candide, mentre Alice è raggrumata, ingobbita sul mio membro, non dev'essere stata la migliore delle idee ripensare a Luisa. E soprattutto, in quella condizione, farne un accenno.
Ma Luisa... Non ho finito neppure la frase.

Poco piacere e molto dolore quando le unghie di Alice sono penetrate sotto la pelle tesa del mio uccello, la testa per fortuna l'ha sollevata dal fiero pasto, ma solo per andare a mordere un fianco. Buone le maniglie dell'amore. Saporite. Devo aver urlato, anzi, è certo. Lei mi ha tappato la bocca con una mano, senza smettere di cercare, con l'altra, di stritolarmi il cazzo, che per fortura nel frattempo si era fatto di acciaio inox.

Che cazzo vuoi da Luisa?
Ma... Niente... Solo che...
Che, cosa? Non l'hai capito, mi pare di avertelo detto, no?
Che Luisa è interessata a te? Replico incredulo, mentre penso: è gelosa.
L'hai capito ora, risponde, stringendo ancor più forte l'uccello in gabbia. Poi, con sollievo da parte mia, lo libera. Ne approfitto per tirarmi un po' su, poggiando la schiena sulla pesante testiera. Non mi è bastata, evidentemente, e chiedo.
Ma allora Luisa...
Che c'è, cosa vuoi sapere? Mi fai una rabbia...
Ma stavolta le unghie si limita a mostrarmele, minacciosa. Senza prendere respiro rispondo: No, è che Gianni mi ha detto una cosa strana, in macchina, prima. Che dovevo stare attento, che Luisa voleva... E qui ho fatto una pausa. Insomma, che voleva farti. Una roba così. Anzi mi ha detto, con quel suo tono stronzo, testuale: Mi sa che Luisa vuole farsi Alice.

Così ha detto, lo stronzo? Che Luisa vuole farmi?
Così.
Te lo dico io perché non si fa i cazzi suoi Gianni. Perché ho permesso che mi scopasse, ma è stato solo per un breve periodo, poi l'ho mollato. Quando scopavamo salivo sopra di lui, lo scopavo, venivo e poi lo mollavo, fregandomene se era venuto o meno. Si masturbasse in un angolo del letto, come un lombrico. Non mi importava.
Con me è diverso, dico, mi permetti di goderti fino in fondo.
Sì, a te sì. Anche se pure tu non scherzi quanto a stronzaggine.

Ho sfidato lo sguardo in grado di impietrire e ho osato: Ma allora Luisa? Ci sta provando con te sì o no?
Provando? Provandoo? Non ci sta provando, Luisa, risponde, inarcandosi su di me all'improvviso, e con altrettanta rapidità calandosi sul mio palo dritto e spoglio. Solo un Ahh, poi prosegue: Sei un porco. Vuoi sapere se Luisa ci ha provato con me, be' non c'ha solo provato, c'è pure riuscita. Abbondantemente riuscita. Mi ha fatto Luisa, abbiamo scopato, ieri notte proprio come ora sto facendo con te.
La guardo come se fossi venuto al mondo in quel momento. Ma come? Riesco a dire.

Ricordi ieri notte, quando hai fatto il prezioso, l'asociale di sta minchia? Ci sono rimasta male che non sei venuto, poi però mi sono divertita lo stesso. Con Luisa. Mentre ne pronuncia il nome allunga una mano a stritolarmi un capezzolo. Si china a mordermi il collo, mentre mi struscia col suo cazzetto. Mi sussurra alle orecchie: froscio bastardo. Non ho il coraggio di replicare niente o forse è più il desiderio di sapere, con un misto di terrore e di eccitazione.
Quando hai chiamato sono entrata in macchina per risponderti, troppo frastuono fuori, nel locale non ne parliamo. Con Luisa avevamo ballato e parecchi mosconi hanno iniziato a ronzarci a torno, forse è per questo che non vuoi mai venire, dice, aumentando di poco il ritmo della cavalcata. Più strusciare che sbattere.

Quando ho chiuso la telefonata sembrava non volessi più scendere dalla macchina, una tristezza, mi era passata la voglia di tornare a ballare tra i mosconi. Allora è salita a bordo Luisa, accanto a me. Abbiamo parlato, fumato, poi l'abbiamo presa a ridere, parlando dei vari morti di figa che ci capitano da Gianni. A un certo punto lei mi ha baciato, così, come se fosse la cosa più naturale del mondo mi ha messo la lingua in bocca, sapeva di fragola. Ed era la cosa più naturale del mondo, ma ugualmente l'ho respinta. Dev'essergli sembrata blanda la mia reazione, perché è piombata ancora una volta sulla mia bocca. Stavolta non l'ho respinta è ho intrecciato la mia lingua alla sua. Nel frattempo la sua mano era andata dritta tra le mie cosce, che ho rinserrato per reazione. Non ha faticato molto a forzare il blocco, infilando una mano sotto la gonna, che avevo indossato per te, sperando fossi tu a farmi quello che lei mi faceva.
Sei una spudorata, ha sibilato, quando con l'indice ha violato la mia fregna, ero fradicia. Sei la sua puttanella, lo so, ha proseguito, riferendosi a te, ma stanotte sei tutta mia.

Però c'era troppa gente in giro, per strada e nel parcheggio. Così sono partita, verso casa, verso questo stesso letto, assieme a lei. Non era proprio quella l'intenzione, ma poi, dopo una breve sosta da un'altra parte, quello abbiamo fatto. E stabilito che lei rimaneva a dormire qui da me. E questo è tutto, o no, porco?
Cazzo, e io che pensavo ti stesse antipatica Luisa! Che troie! Dico, bloccando per un soffio l'impatto di uno schiaffo sul viso. Ne approfitto per ribaltare la posizione e le gerarchie, ho voglia di pomparla forte, di fotterla a più non posso. Non mi basta, le dico avvinghiandomi, ora voglio sapere tutto, fin nei minimi particolari.
Non c'è nulla da sapere, altro che minimi particolari, ho inventato tutto, ti ho voluto prendere per il culo. Risponde e di nuovo ribalta la posizione, stare sotto non le piace.

Seee, dico, ormai ti sei ben sbottonata, non puoi ritrattare, troppo dettagliato il tuo racconto per inventarti tutto. E poi spiega molte cose. Anche degli atteggiamenti di Luisa nei miei riguardi, forse li avevo travisati. O forse no. E' un po' intrigante lei.
Intrigante lei? Una serpe, una biscia! Ma tu sei un porco bastardo. E te la stai pure godendo ad ascoltare, col bastone ficcato nella mia figa. Mi viene voglia di graffiarti.
Le devo bloccare le braccia. Su, racconta cos'altro è successo, vero o falso che sia, non puoi troncarla così.
Ti eccita perché sei porco, va bene, ti racconto il seguito. Anche se sarà tutto inventato. Nei minimi particolari. Che te ne pare?
Ora mi eccita, domattina, a ripensarci, non so. Adesso però racconta. E godi, che non ce la faccio più.
Ho il ventre fradicio dei suoi umori, l'ombelico è un laghetto. Inizio a sbatterla forte dal basso verso l'alto. Lei mi inchioda, graffiandomi il petto, e riprende: Mi ha fatto godere Luisa, ahhh, e tanto. Racconta e geme, contratta, vicina all'orgasmo liberatorio. Io ho il cazzo trasformato in pistone incandescente, prigioniero, ma resiste, beato. Continua, riesco a dire.

Tra gli spasimi, si struscia il turgido cazzetto: Mi ha fatto venire tre volte, Luisa. In tre modi diversi. La prima, durante la breve sosta, al boschetto degli eucalipti, c'era anche un'altra coppia che scopava poco lontano in un altra macchina. Ci siamo baciate e nel mentre lei ha preso a masturbarmi superbamente. Godevo, ero un lago. Sono venuta che lei mi mordeva il collo, proprio come fai tu, non so quale sia stata la causa, quale l'effetto. E se n'è approfittata per ficcarmi due lunghe dita in fondo alla figa bisognosa e per strizzarmi i capezzoli, forte. All'orecchio mi sussurava: Così, brava, puttanella.

A casa ci siamo sedute sul divano, a fumare e bere una birra, ma lei non smetteva di provocarmi. Mi ha fatto mettere a gambe spalancate, ma non le ha poggiate sulle spalle come spesso fai tu, comunque ha iniziato a leccarmi e ficcarmi le sue dita fredde dentro di me. O ero io che ero torrida? Proprio come ora. Così mi ha fatto venire per la seconda volta, le avevo lavato la faccia con i miei umori mentre mi leccava e mi infilava dentro più dita possibile. Erano quattro quando il mio godimento è imploso. Le ha cavate fuori grondanti e me ne ha ficcato due in bocca. Succhiale, puttanella, fammi vedere come fai col cazzo del tuo amichetto. Parlava di te. Me le ha rificcate nella figa, tenendo un ritmo per me insostenibile e stavo per venire un'altra volta quando lei si è arrestata, e mi ha detto: Ora tocca un po' pure a me, non credi?

Ci siamo trasferite sul letto. Mi fa: posso guardare nel tuo frigo? Certo. Pensavo cercasse un'altra lattina, ma ne torna con una zucchina e un cetriolo. Già lavati e asciugati, dice, ho le mani d'oro. Sorrido e le dico che mi pare piuttosto tardi per un minestrone. No, no, mi fa lei, sorridendo, sono per l'altra di boccuccia. Ho voglia di scopartela. Passi la zucchina, che era di quelle mini, ma il cetriolo, invece, era di quelli enormi. Lungo e grosso.

Mi tiene inchiodato e io ascolto come un cobra la musica dallo zufolo del suo incantatore. Ogni tanto tento qualche affondo, ma per lo più accetto i suoi tempi e i suoi ritmi. Il suo modo di strusciarsi con l'impudico clitoride. Prosegue, inesausta, il racconto: Ha poggiato la verdura sul comodino e si è tuffata tra le mie coscie, invitandomi a fare lo stesso a lei. Un 69 appagante, lungo, dolce. Sarei venuta ancora così, se non mi avesse chiesto di cambiare posizione. Si è seduta sul bordo del letto e mi ha fatto mettere a pancia in giù, poggiata sul suo grembo. In suo potere. Mi ha masturbato così, da dietro, con le dita e poi, con la zucchina, nel mentre mi elargiva qualche sonoro sculaccione. Mi ha fatto arrossare il culo, ma godevo anche. E tanto.

Il meglio però, doveva ancora arrivare. Ha afferrato il cetriolo dal comodino, la dannata. Stavamo sedute sul letto, una di fronte all'altra, con le gambe aperte. Anche lei aveva una figa boscosa e ricciuta, la vulva spalancata, le grandi labbra tumide e gonfie, grandi come ali di farfalla. Le ho preso il vegetale dalle mani e l'ho minacciata: Tocca a te, ora. Ha sorriso: Fai pure, ha risposto Luisa, abbandonandosi sul letto con le lunghe gambe divaricate. Ho usato un po' di cautela all'inizio, era veramente grosso. Però, quando ho spinto, è sprofondato fino in fondo, come venisse risucchiato. Ho iniziato a muoverlo piano dentro di lei, scivolava che era una bellezza. Luisa, stravolta, mi implorava di fotterla, mordendosi le labbra esangui.

Per quanto lo affondassi, un bel pezzo di cetriolo restava ancora fuori. Così ho preso la mia decisione e mi sono issata al di sopra della collega impalata, per calarmi a mia volta sul lato opposto del vegetale. Ho fatto più fatica, sai che sono stretta, ma poi anch'io ho raggiunto il fondo mio, sfondandomi e giungendo a far combaciare le nostre fighe, clitoride contro clitoride. Lì è iniziato il bello. Abbiamo preso a fotterci a vicenda, incitandoci con furia. Siamo venute assieme.

Al di sotto di lei, avevo ascoltato tutto, bevendo come un dolce veleno ogni singola parola, ma giunti a questo punto la mia resistenza era ormai al limite. Mi sono inarcato e ho ripreso a fotterla io, dal basso verso l'alto. Colpi forti e decisi, che parevano ogni volta far saltar per aria Alice come un tappo di champagne. Ma non me la sono fatta sfuggire, portandola all'orgasmo, squassante, in men che non si dica. Stavo anch'io per sborrare, le palle erano sul punto di deflagrare. Ma, no.

Alice si sfila dal palo e si propone a 90. Vieni così, montami forte, senza fermarti. Sbattimi.
L'accontento e godo. Abbrancando i suoi fianchi con una mano, con l'altra battendole il culo senza pietà. Vieni, implora. E io esplodo, facendo appena in tempo a uscire per inondarle schiena e culo con fiotti copiosi.

Esausti, ci addormentiamo, abbracciati. Io mi sveglio dopo neppure un'ora. La lascio che dorme, placida, appagata. Con uno scatto chiudo alle mie spalle la porta d'ingresso, senza far rumore. Abbandono Alice e me ne torno a casa, ancora arruffato e stravolto. Con la mente che vortica. Tutto vero? Tutto falso? Alice, Luisa. Cosa c'è di vero? Cosa di falso? il crinale è labile, tende a sgretolarsi, mentre guido alle prime luci dell'alba. Il mare è una tavola iridescente. Il sole che si alza sull'orizzonte marino non dirada le mie perplessità. Che permangono tutt'ora, a distanza di anni.
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