Prime Esperienze

Sono morboso


di Alternos
15.03.2019    |    6.772    |    2 7.6
"Facevo così quando volevo assestarle gli affondi più profondi, quelli che squassano la figa fino all'anima..."
Sono morboso. Probabilmente lo sono sempre stato. Meglio dirlo subito. La storia che voglio raccontare penso possa esplicitare questa propensione, che spesso trascende ogni mia buona volontà.

Lia è stata la prima ragazza con cui ho avuto un rapporto duraturo, abitando per un periodo anche sotto lo stesso tetto. La prima e anche la migliore, come persona. Io invece ero abbastanza stronzo e non l'amavo, perlomeno non quanto avrebbe meritato. Però ci sono stato assieme quattro anni. Io studiavo allora, ma facevo anche altro, come tirare tardi ogni notte con gli amici, a un tavolo da poker magari, o nei locali, o in feste e festicciole private. Invariabilmente ogni notte mi infilavo nel letto che lei mi teneva caldo e la chiavavo.

Potevano essere le due, le tre, le cinque del mattino, invariabilmente la chiavavo. Anche se poi lei doveva alzarsi presto, dopo poche ore, per andare a lavorare. Lei dormiva su un fianco e io iniziavo ad accarezzarla, insinuando la mano tra le cosce, schiudendola. Si bagnava e quando iniziava sommessamente a mugolare nel sonno la penetravo e la chiavavo. Così, su un fianco, mentre dormiva. Dopo essermi svuotato mi addormentavo anch'io.

E' durata quattro anni, poi la crisi, la separazione da me voluta, le sue lacrime. Già da qualche mese si era trasferita di casa, andando ad abitare non lontano. I nuovi compagni di casa erano tre ragazzi che, vedendola così abbattuta e sofferente per essere stata lasciata, le proposero di andare con loro, offrendole ospitalità nel paese del Sud dal quale tutti loro provenivano. Quando è tornata, dopo dieci giorni, non si è fatta sentire, così l'ho cercata io. Quando ci siamo rivisti le ho proposto di tornare assieme, ma lei, che pure era ancora innamorata, si è rifiutata. Non si fidava più di me.

Così ho iniziato a soffrire nella nuova condizione, ma più piangevo più lei mi allontanava. Ho iniziato anche a essere geloso, mi chiedevo se per caso lei si consolasse già con qualcuno, magari proprio con uno dei suoi coinquilini, quei bravi ragazzi del Sud tanto premurosi. O magari con qualcuno presentatogli da quelle due colleghe di lavoro, così spigliate, con cui ora usciva, tornando a tarda notte.

Ho preso a spiarla. Come uno spettro mi aggiravo davanti alla sua casa, aspettandone il ritorno dal lavoro nascosto dietro qualche macchina del parcheggio. Quando si accendeva la luce della sua camera al primo piano io mi ero già spostato nel parchetto vicino, su una collinetta alberata che fronteggiava proprio l'appartamento di Lia.

Da lì cercavo di spiarla, di vedere chi entrava in camera sua e cosa faceva. Trepidavo, temendo anche di essere scorto prima o poi, nonostante le mie precauzioni. Vedevo le figure oltre i vetri, ma solo la parte superiore, dalla vita in su. Se compariva una figura maschile in piedi e non vedevo lei, me la immaginavo intenta a fargli un pompino. Quando si cambiava il reggiseno avvicinandosi ai vetri della finestra pensavo lo facesse apposta per me, che sapesse che io dovevo essere lì davanti, nascosto dietro un cespuglio.

Così è stato per oltre un mese, come un'automa ogni notte compivo la mia ricognizione notturna, attratto come una falena da quella finestra illuminata. Provavo i morsi della gelosia certo, ma anche una strana eccitazione, forse dovuta all'adrenalina.

Mentre aspettavo i suoi ritorni e che quella finestra tornasse a illuminarsi, passeggiavo per il parco, come un'anima in pena, cercando di evitare di incrociare la gente, temendo l'imbarazzo di imbattermi in qualche conoscente.

E' stata una di quelle notti, mentre andavo su e gìù per il parco buio, ogni volta risalendo, alla fine, sulla collinetta, per vedere se la dannata finestra si illuminava, se si scorgeva la sua Y10 nel parcheggio antistante. Percorrendo il solito tragitto mi accorgo di non essere solo: qualcuno è seduto su una panchina, proprio nel bel mezzo del parco.

Quando gli giungo accanto, e quasi l'ho superato, mi sento chiamare: Scusa, mi dice. Mi preparo a offrire una sigaretta, avvicinandomi. Che altro? Invece quello mi chiede se per caso voglio un pompino. Come un pompino?

Avevo sentito bene. Sono rimasto un po' stupito perché mai mi era capitata una cosa del genere. Che qualcuno mi si presentasse così: scusa, e poi, posso farti un pompino? Era decisamente irrituale. Però poi ho detto: ok, vieni.

Era un ragazzo orientale, molto femminile, gli ho chiesto quanti anni avesse. Da dove arrivasse. Ventuno, sono thailandese, ma vivo qui con la mia famiglia, che ha un ristorante in città. Queste le risposte.

Dove andiamo, mi ha chiesto lui. Vieni, rispondo, e ci siamo avviati verso la collinetta. Quando raggiungiamo la sommità la luce della camera di Lia è spenta, ma giù, nel parcheggio vedo subito la sua macchina, e la luce dell'androne è accesa. Lei è appena tornata. Ed io sono lì di fronte, a trenta metri, sotto un albero frondoso, con un ragazzo thailandese che ha iniziato a sbottonarmi i pantaloni. E' di poche parole, mi chiede solo se per caso io non preferisco il culo. Va bene il pompino.

E' la prima volta che mi faccio toccare da un maschio, può bastare credo. Proprio mentre lui tira fuori il mio uccello si accende la luce della stanza di Lia. Non è sola. C'è qualcuno insieme a lei, ma non riesco a distinguere chi possa essere, per quanto sgrani gli occhi.

Mi si sgrana anche il cuore: i due di fronte si sono avvicinati alla finestra, in piedi, si baciano. Il dolore del cuore si mescola al piacere del sesso. Il ragazzo sotto di me ha preso a succhiare e lo fa anche bene. Ciuccia che è una meraviglia, si vede che ne aveva voglia, si vede che gli piace.

Lia, di fronte, ha offerto un seno da succhiare al suo amante. Non riesco a distinguerne bene l'espressione, ma ne immagino il godimento, so che le piace molto farsi succhiare i capezzoli. So che è una cosa che la fa bagnare parecchio. So che è un preludio.

Il mio cazzo è di marmo duro, il mio cuore in frantumi. Il piccolo thai intanto succhia e ogni tanto fa pausa, ma solo per leccare l'asta in ogni suo punto, poi ricomincia il risucchio. Io lascio fare e osservo la scena che si svolge davanti ai miei occhi, al primo piano del palazzo di fronte.

Ora Lia è scomparsa, o quasi. Si intravede poco. E' inginocchiata, questo è certo, proprio come il thai. E sta facendo esattamente la stessa cosa, ma si vede solo una parte della testa, che si muove avanti e indietro. Anche Lia sta succhiando un cazzo, ma non è il mio.

Il mio se lo gode il ragazzo, che cerca di prenderne in bocca sempre di più, ma fa ciò che può e non riesce mai a raggiungere la base. Di fronte la scena è mutata. Lia si è risollevata e ha aperto le ante della finestra, sporgendosi con le mani poggiate sul davanzale. Chi l'accompagna è alle sue spalle. Ora tocca a lui scomparire, inginocchiato a leccare Lia, da dietro.

Dura poco, lui è di nuovo in piedi alle sue spalle. Mi si ghiaccia il sangue, oppure è andato tutto lì, a irrorare il mio membro. So cosa succederà ora. E infatti la scena di fronte si fa più movimentata, anche il thai sembra andare a tempo e ha aumentato il ritmo. Lia si sta facendo sbattere, da dietro, come una puttanella qualsiasi. Con le mani che artigliano il davanzale. Dopo tanta astinenza forzata si fa montare. Ma non è il cazzo mio a riempirle la piccola figa, stretta e cicciotta.

Mi chiedo se lei possa avermi visto, c'è la luna in cielo a illuminare la penombra. Mi avrà visto, riconosciuto? Credo di no, magari la scena sì, riesce a intravederla. Magari non ci bada neppure, è più facile, presa com'è. O magari sì, si è accorta e forse immagina o ha il dubbio sia io. Magari è questo a farle aumentare l'eccitazione all'inverosimile.

Comunque sta godendo Lia, lo capisco da come spalanca la bocca come se le mancasse l'aria, il respiro corto. Quante volte me la sono goduta così, fottendola da dietro, senza pietà alcuna. Lui, lo sconosciuto, la prende per i capelli, le fa inarcare la schiena. Facevo così quando volevo assestarle gli affondi più profondi, quelli che squassano la figa fino all'anima.

Ma non sono io a farlo. Però ho preso anch'io per i capelli il ragazzo thai, per tre volte gli affondo il cazzo in gola, spingendogli la testa con forza, per tre volte ne riemerge boccheggiante, con la saliva che gli cola copiosa dalla bocca spalancata.

Il mio sguardo è fisso su Lia, in preda all'orgasmo. Anch'io non resisto. Spingo la testa del ragazzo e la tengo premuta sul mio cazzo, fino all'attaccatura, per pochi interminabili secondi, da cui riemerge paonazzo. La bocca spalancata, spasmodica in cerca d'ossigeno, riceve invece il primo mio schizzo, abbondante, dritto in gola. Si contorce come stesse per soffocare. Gli schizzi successivi vanno a solcare il suo viso, come lacrime.

Sono lacrime vere quelle che scendono dai miei occhi mentre ancora una volta glielo spingo fino in gola, per l'ultimo affondo. In camera di Lia la luce si è spenta.
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