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Prime Esperienze

La cugina "cozza" 2 - Umiliata


di meridiana90
11.03.2021    |    10.735    |    2 9.9
"Io lo sapevo come e quando era il mio turno, questa volta non ricevetti segnali e per tanto restai lì in disparte ad aspettare..."
Decine di volte mi unii a quei due per accendere e condire i loro rapporti, ma in realtà per loro ero solo un diversivo, un divertimento, un giocattolo sessuale per la quale dimostrarono di non portare alcun rispetto. Insomma quando stavamo insieme ero tutto, fuorché me stessa. Una sera in macchina ricevetti l'ennesima prova di questa mia sensazione. Eravamo per le zone di Monte Ortobene dopo aver visitato la Sagra, si era fatto buio ed a Luigi era venuta voglia di scopare. Guardó Annamaria, seduta alla sua destra e gli fece cenno con gli occhi indicando il rigonfiamento nei suoi pantaloni, lei sorrise in segno di approvazione, a questo punto imboccò una deserta stradina di campagna per poi accostare vicino ad un albero. Scese dalla "Regata", aprì la portiera posteriore destra, dove ero seduta io... si slacciò la cintura, aprì la cerniera e si abbassò pantaloni e mutande. Diede due menate e senza dire e chiedere nulla mi afferrò per la testa accompagnandomelo in bocca. Non opposi resistenza, pensando ci saremmo semplicemente divertiti come le altre volte, anzi mi lasciai guidare dalla sua mano che mi spingeva la testa verso il suo bacino muovendo la lingua attorno alla sua cappella per lubrificarlo e prepararlo bene alla successiva penetrazione della sua ragazza. Mentre lui ansimava di piacere immaginavo già un sessantanove sui sedili di dietro, sempre con mia cugina che pensava a dare piacere a me mentre lui se la scopava, ma finito il sensuale bocchino, colante di saliva si diresse direttamente su Annamaria che nel frattempo si era tolta i pantaloni. Anche io avevo infilato la mano negli slip per cominciare a scaldarmi. Lì aspettai un paio di minuti, poi cinque e ancora niente, i due stavano scopando appoggiati al cofano anteriore, abbracciati stretti, beatamente ignorandomi... ad un certo punto cominciai e sentirmi a disagio visto che la posizione non sembrava lasciare spazio ad intrusi. Io lo sapevo come e quando era il mio turno, questa volta non ricevetti segnali e per tanto restai lì in disparte ad aspettare. Mi ricomposi. Per quella volta tollerai. Ma stavo cominciando a farmi due domande... infin dei conti non é che prima di allora mi avessero poi dato tutta quella considerazione, ma il fatto di essere perlomeno cercata e partecipe mi faceva apprezzare il coinvolgimento. Coinvolgimento che prevedeva non solo leccate alla fica di mia cugina, ma anche seghe e profondi pompini al suo ragazzo, palpamenti di ogni genere, in cambio di due dita nella fica e mai un grazie.
A proposito di seghe e pompini lui si era preso il brutto vizio che quando Annamaria aveva il ciclo, mi usava da rimpiazzo per sfogarsi, senza offrirmi nulla in cambio, si faceva segare due o tre minuti, poi me lo buttava in bocca, senza se e senza ma e per finire se era anche di cattivo umore mi schizzava tutto in gola senza chiedere il permesso. Insomma, non che la cosa mi dispiacesse, altrimenti non avrei proprio accettato un trattamento simile, però almeno un cenno di riconoscenza, non mi sarebbe dispiaciuto.
Il punto di rottura arrivò con una orrenda frase da parte di mia cugina che me la fece vedere come una persona spregevole.
Come vi dicevo erano mesi che provavo attrazione nei confronti di Sahib, un ragazzo di origini Egiziane che frequentava la classe accanto alla mia e nel tempo libero lavorava anche nelle serre, un ragazzo davvero speciale. Avevo una cotta per lui, ma vista la scarsa autostima che nutrivo nei miei confronti esitavo a fargli capire che ci stavo. Credevo impossibile io potessi piacergli, mi sentivo brutta. Un pomeriggio che mi trovavo ad oziare sotto casa di mia cugina con altre due conoscenti che ascoltavano, mi scappò un commento su come ammiravo quel ragazzo e su quanto mi sarebbe piaciuto confessargli quello che provavo per lui. Annamaria fece una mezza risatina di scherno mi guardo con aria di superiorità e disse: "Tu? Non sei buona neanche come puttana". Quelle cattivissime parole rimbombarono nelle mie orecchie come una cannonata, ragionando oltretutto rapidamente sul fatto che poteva tranquillamente fare trapelare il segreto di quello che solo io, lei ed il suo ragazzo facevamo. Rimasi di ghiaccio, non sapevo se piangere o picchiarla. Durante quel lungo silenzio di sconcerto arrivò mio padre con la macchia che era passato di lì al volo per prendermi, mi girai, diedi le spalle a tutte e tre e trattenendo le lacrime me ne andai senza salutare. Mio padre capì subito la mia espressione, ma io sdrammatizzai dicendo che non stavo bene.
Passai una settimana a piangere. Quella stronza ovviamente non provo neanche a farmi una chiamata di scuse, così premeditai vendetta realizzando che dovevo fare qualcosa.
Non senza paura, mi affidai per la prima volta ad una amica di famiglia, estetista esperta, chiedendogli consigli per stravolgermi con trattamenti talvolta rari e costosi per i tempi. Prenotai in città una depilazione a cera di oltre 100.000 Lire, corpo e viso. Mio padre mi accompagnò sospirando e dicendo di continuo che la sua bambina stava crescendo, lui certamente non mi guardava con occhi da maschio, ma solo di genitore. Inutile dire quanto piansi durante tutto il trattamento, ma la rabbia per come ero stata trattata mi fece andare avanti senza indugiare, fino all'inguine, fino all'ultimo pelo fra le mie chiappe. Poi il viso: sopracciglia, baffi, peli superflui ed anche un trattamento completo di scrub, pulizia e maschera. Come se non bastasse uscita da lì lasciai altre 70.000 lire al parrucchiere, tanti soldi a fine anni '80, volevo cambiare completamente... del tutto.
Aspettai tre giorni che qualsiasi traccia di infiammazione per la mia prima cera passasse e provai ad abbronzarmi ancora un po' meglio in veranda, infine per diventare davvero irriconoscibile chiamai anche una truccatrice esperta. Insomma consumai tutti i miei risparmi. Adesso all'attacco...
Sapevo bene dove il tardo pomeriggio Luigi andava a giocare a biliardo con gli amici e sapevo anche di solito a che ora. Entrai guardata come una star in quel bar, con un abbigliamento che non avevo mai nemmeno osato provare per scherzo ed ordinai un drink seduta ad un tavolo, facendo finta di leggere una copia dell'Unione Sarda lasciata lì per i clienti. Passò quasi un ora senza che di lui ci fu traccia poi andai via. Il giorno dopo però che era venerdì, tornai e riuscii a beccarlo. Era al tavolo da gioco vicino ai bagni che discuteva con altri due tizi, avevano appena terminato una partita... mi venne un idea... mi avvicinai a loro e, provando a parlare il meno possibile, maneggiando una stecca, dissi che ero curiosa e chiesi "ingenuamente" se potevano insegnarmi a giocare. Evitai lo sguardo di Luigi il più possibile per non permettergli di cogliere i tratti salienti del mio viso. Solo, avvicinandomi "sbadatamente" a lui feci in modo che si pronasse proprio lui su di me per insegnarmi a giocare... nel mio diabolico silenzio cominciammo una partita, io e lui, contro gli altri due. Muovendomi in modo sciatto ed imbranato cercavo sempre una scusa per sbattere il mio culo sulla sua patta dei pantaloni. Dopo la seconda o la terza volta riuscii già a sentire che gli era diventato molto duro. Lui da dietro aveva occhi solo per i miei capelli, ...prima scuri, ricci, alti e arruffati che arrivavano sopra le spalle... ora ondeggiavano mossi, a grandi boccoli, contro la mia schiena brillando di un rosso ramato intenso, servivano a confondergli le idee, esaltando l'armonia delle mie curve. Una magliettina rosa tenue, con inserti in pizzo, mi arrivava fin sopra all'ombelico, mentre sopra lasciava godere un gran bello spettacolo agli altri due giocatori che tiravano palle a casaccio per guardare in mezzo alle mie grosse e goderecce bocce strette da un costoso e pregiato reggiseno di marca, che lasciavo allargare abbassandomi fin sopra il velluto verde, facendo un sorrisino malizioso con le mie carnose labbra, che avevano solo bisogno di quel rossetto rosso scuro accuratamente applicato come mi aveva insegnato la truccatrice, per renderle maledettamente lussuriose, senza più i baffi ovviamente.... Dopo un oretta buona di insensato steccare a cazzo in mezzo a risate goliardiche e schiamazzi, che ai tre uomini stava scoppiando nei pantaloni, decisi di iniziare la prima parte del mio piano. Mi girai verso la "preda", spostandomi i capelli da gran diva, sussurrandogli piano in modo sensuale, (per camuffare il più possibile la mia voce ed evitare che la riconoscesse) che avevo bisogno di una rinfrescata in bagno. Sculettai verso la porta poi entrando, mi girai verso di lui che ovviamente mi stava guardando e gli feci cenno con le dita di venire da me. Appena entró lo afferrai per la cintura, lui si lasciò trascinare morbido, eccitatissimo per quello che stava per accadere. Lo tirai dentro una cabina wc con me e gli ficcai la lingua in bocca, cercando la sua, muovendo le mie mani, adesso curate a dovere e tinte di rosso scuro brillante come le labbra, dentro la sua maglietta. Gli strizzai il pacco, poi scivolai l'altra mano dentro le sue mutande, era così eccitato che si stava già bagnando. Lui fece lo stesso. Prima che potesse prendere il comando alzai una gamba sulla tavolozza ancora abbassata, alzai la gonnellina di jeans e spostai il tanga di pizzo, abbinato al reggiseno. Afferrandolo "troia" per i capelli lo spinsi giù con la mano destra, sbattendogli la mia bella micetta totalmente depilata a cera (non senza dolori allucinanti) in faccia e tenendogli la testa con entrambe le mani, come faceva lui con me, lo incitai a leccarmela tutta e bene, godendo già solo per averlo sottomesso. Ero eccitatissima e spaventata allo stesso tempo e quello che stavo facendo mi faceva inzuppare come una sgualdrina, resistetti a stento dal farmi chiavare a dovere, così terminai la prima parte del piano fingendo di aver dimenticato un appuntamento importantissimo. Mentre lui si era rialzato tutto sconvolto che la cosa stava finendo così in fretta, afferrai la sua mano e tirando fuori il rossetto dalla tasca della mia gonna di jeans scrissi sul suo braccio un nome di finzione ed un orario, le diciannove del giorno dopo. Dovevamo rivederci li. Scappai. Continua...
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