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Lui & Lei

Il farfallone e la farfallina


di Zindo
27.11.2023    |    4.537    |    4 9.3
"Cercò le sigarette, ne accese una e sedette, a gambe divaricate, con un gomito poggiato sul tavolo e lo sguardo perso nel vuoto come a rivedere, proiettate..."
“Ora vado. Devo andare, lo sai” -Un bacio sulla guancia una manata sul sedere e poi: “Tu pensa a quello che ti ho detto. Non stavo scherzando”.

Queste le parole pronunciate da Augusto prima di varcare la soglia, con un sorriso ampio stampato sulla faccia da indisponente canaglia, mentre lanciava la giacca su una spalla, tenendola per il bavero.

Marialetizia non era riuscita a dire neanche uno “ciao” o un ancora più breve “va”. Era rimasta attonita alle parole dette da Augusto prima di quelle con le quali si era congedato.

La donna, tutta nuda sotto la leggera vestaglia da poco indossata, aveva forti timori di non essere effettivamente sveglia; sospettava di aver sognato tutto quello che le era successo nelle ultime dodici ore.

Strinse il risvolto della vestaglia più vicino al collo, tirando su le spalle, come se sentisse freddo ma l'ambiente era ad una temperatura ottimale anche per quel suo vestire leggero; i suoi brividi non erano dovuti alla temperatura.
Versò il caffè rimasto nella moka dentro la tazzina dalla quale aveva bevuto Augusto e lo mandò giù in un solo sorso, senza zuccherarlo. Cercò le sigarette, ne accese una e sedette, a gambe divaricate, con un gomito poggiato sul tavolo e lo sguardo perso nel vuoto come a rivedere, proiettate sul nulla che lei osservava, le scene vissute nelle ultime ore.

Erano state circa le sette di sera del giorno prima quando, uscendo da una delle sale nella palestra del Fitness club, dopo aver praticato un'ora di aerobica, si era trovata innanzi al più odioso dei suoi colleghi di lavoro: Augusto.
Lui usciva dalla palestra attrezzata. Aitante e sudaticcio, con un asciugamano di spugna messo a mo' di sciarpa sul collo e tenendo le estremità di queste con le mani.
Indossava una maglietta nera aderentissima come i pantaloni da fitness corti fino alle ginocchia e scarpe da ginnastica. Era un gran figo.
Che Augusto lo fosse non era una novità per Marialetizia.
Lavoravano negli uffici della stessa azienda da oltre tre anni e il collega godeva più fama di piacente dongiovanni che di solerte impiegato, anche se le sue mansioni le svolgeva bene. Mancava di ambizioni carrieristiche e non faceva nulla per mettersi in mostra professionalmente.
Al contrario faceva di tutto per attirare l'attenzione delle colleghe, riuscendoci senza troppa fatica.

L'antipatia di Marialetizia per Augusto non era nata d'istinto ma si era generata nel tempo e non era dovuta a questioni lavorative, ma proprio ai modi con cui Augusto si proponeva alle donne e di come le trattava.
Tra quelle che lavoravano ancora e quelle che avevano lavorato in passato nei loro uffici con contratto a termine o indeterminato, quasi nessuna era sfuggita alle attenzioni di Augusto e, stando ai “si dice”, le aveva portato quasi tutte a letto e le altre poche...se le era fatte in macchina o in qualche anfratto in mezzo alla natura, ma nessuna o quasi gli era sfuggita.

Probabilmente c'era anche della leggenda in questa diceria, ma non molto, forse non le aveva scopate proprio tutte ma una elevata percentuale si.

Tra donne si parla e tra chi negava con poca convinzione, chi ammetteva e chi addirittura se ne vantava, molte colleghe avevano confermato di aver ceduto alle lusinghe "dell'adorabile canaglia”, come tutte lo definivano.
Adorabile perché oggettivamente era fascinoso di aspetto e garbato nei modi. Canaglia perché non faceva mistero né della sua passione per le donne, né per la sua allergia ai sentimentalismi.
Il suo motto non era proprio “una botta e via” ma era peggio :“ farlo tutte le volte che ci va ma poi ognuno con i suoi a casa sua”
“Ma tu chi hai a casa?”
“Nessuno, vuoi venire? Ce la spassiamo un poco ma poi te ne vai, o se vuoi ti riaccompagno io. A casa mia si transita, non ci si ferma”
Alcune spudorate colleghe si vantavano di essere state con lui non una ma più volte, come se essere “richiamate a vivere altre esperienze” fosse un apprezzamento alla loro bellezza o alla loro capacità di fare all'amore.
Altre non parlavano mai dell'argomento Augusto, ognuna per una ragione tutta sua che poteva essere la riservatezza, il pudore, il disgusto per quel genere di discorsi o altro ancora.
Marialetizia era tra queste ultime. Non fuggiva quando le altre ne parlavano, ma non partecipava alla conversazione, si limitava ad ascoltare senza far trasparire un particolare interesse neanche al sentire. Era come se in lei non ci fosse né curiosità, né fastidio. Come se quei discorsi la lasciassero indifferente.
Marialetizia professionalmente era laboriosa e preparata, il suo ruolo era di medio livello burocratico. Le persone a livelli subalterni la vedevano più come collega esperta ed amica che come “capo”, i suoi superiori la rispettavano come donna e come professione. Lei era garbata con tutti e non dava eccessiva confidenza a nessuno.
Tutte erano solite parlare delle beghe in famiglia, lei no. Però tutti sapevano che era una ragazza madre che aveva rapporti “rattoppati”, dopo anni di rottura totale, con la famiglia di origine la quale non le aveva mai perdonato né quella gravidanza avuta da chi solo lei sapeva, e che non aveva mai voluto rivelare a nessuno chi fosse, né di non aver voluto interrompere la gravidanza quando sarebbe stato possibile.
Aveva cresciuto da sola quella figlia che adorava più della sua stessa vita e tutti pensavano che fosse felice del suo stato, e alcune l'accettavano così come era, altre l'ammiravano pure.
Proprio felice come lasciava apparire Marialetizia non lo era, anzi. Basta pensare che si faceva chiamare solo Maria non perché fosse più corto del nome intero Marialetizia, ma perché quella seconda pare strideva con la sua realtà, tutt'altro che lieta, non c'era alcuna letizia nella sua vita. Invece Maria da sola le piaceva di più perché foneticamente somigliava alla parola “amara”: amara come la sua vita.
Una figlia è una figlia e riempie davvero la vita non solo di gioie ma anche di apprensioni, specie nell'età adolescenziale alla quale era arrivata la sua Martina. Le preoccupazioni colmano i vuoti più delle soddisfazioni, perché queste passano subito, le altre invece si annidano dentro e martellano la mente mentre si veglia e mentre si dorme, quando il telefono tace a lungo o quando squilla in ora inattesa.

Apprensioni dovute non solo ai pericoli del mondo attuale ma anche perché oggi se ne sa molto di psicologia infantile ed adolescenziale e lei era consapevole di quanto siano importante fosse per la formazione di una fanciulla sia la figura materna che quella paterna.
Ecco, Marialetizia aveva avvertito sin da quando sua figlia aveva pochi anni di vita, la mancanza di un uomo al suo fianco, innanzi tutto perché preoccupata della figura paterna che mancava alla sua bambina, poi però....
...Poi però era stato corto il passo dal pensare “Se ci fosse un uomo a fargli da padre”(pensando alla figlia) al “Se ci fosse un uomo a farmi compagnia”(pensando al posto vuoto, accanto al suo, nel letto).

Da allora aveva cominciato a sentirsi solo Maria. Non perché come un altra più nota Maria aveva concepito senza essere sposata, ma perché foneticamente somigliava alla parola “amara” come amare erano le sue notti, i suoi momenti di solitudine, le ore passate da sola con i suoi desideri di donna ed i suoi doveri di madre con funzioni anche di padre, Amare era stato rinunciare alla vita di una normale giovinezza fatta anche di discoteca , dim viaggi, di svaghi per vegliare, educare, crescere quella figlia concepita accidentalmente ma poi fortemente voluta, da crescere meglio degli altri a dispetto di coloro che le avevano detto “Non ce la farai”.
Per farcela quanta caparbia ostinazione, quante rinunce, quante mortificazioni inflitte ai suoi istinti naturali di donna giovane e sana.
Incapace di prendersi distrazioni aveva impegnato ogni attimo in altre cose per non pensare alla sua solitudine, tuffandosi anche nel lavoro, nella carriera e senza arrivare nelle alte sfere, era comunque emersa dalla massa salendo posizioni su posizioni solo per meriti, senza farsi nemici ma anche senza coltivare amicizie.
Il suo tormento peggiore era stato proprio quel maledetto Augusto, con il quale doveva collaborare e allo stesso tempo competere sul lavoro, e che era ai suoi occhi maledettamente bello, affascinate, istigatore di pensieri e desideri indicibili ma che dedicava le sue attenzioni a tutte tranne che a lei.
A lei mai un complimento, una battuta scherzosa, un gesto fuori dalle buone maniere o dalle formalità, solo freddo rispetto tra buoni colleghi, usuali comportamenti tra persone civili.
Più lui l'aveva ignorata, più lei l'aveva desiderato, soffrendo per le vanterie di quelle stupide altre donne che si vantavano invece di essere state non solo coccolate e vezzeggiate da lui ma addirittura di esserci andate a letto. Davanti a loro aveva fatto sempre l'indifferente ma dentro di se le aveva giudicate troie, zoccole che tradivano i mariti o i compagni per “divertirsi e distrarsi” addirittura una aveva detto “per ravvivare il rapporto con il marito”. Allora lei che non aveva un rapporto da ravvivare perché non ne aveva affatto, che doveva dire? Che doveva fare? Doveva subire la condanna ad una vita senza sesso per espiare la “colpa” di aver fatto sesso con la persona sbagliata in età troppo precoce? Non disposta ad accettare questo, coltivava una crescente antipatia, anzi acredine, per quel bellimbusto di Augusto che la ignorava, che ignorava solo lei.
Quanti desideri aventi per oggetto proprio Augusto, aveva avvertito, coltivato prima, represso dopo.
Quanti tagli di capelli e fogge di vestiti aveva provato nella speranza di farsi notare da quel bastardo che notava tutte, tranne lei, che insidiava tutte senza regalare a lei neanche un sorriso che non fosse di formale buona educazione.
Ci aveva messo del tempo, tanto tempo a rassegnarsi, o meglio a farsi meno illusioni perché la speranza che prima o poi quel bastardo si accorgesse anche di lei la covava ancora in qualche angolo recondito del suo inconscio.
L'acredine e l'antipatia svanirono in un baleno quando, alle sette di sera del giorno prima si era trovata faccia a faccia con lui, in quel look così diverso dagli abbigliamenti che sfoggiava in ufficio.
Per Marialetizia fu come se lo vedesse uscire dalla doccia, e non solo per via di quell'asciugamano poggiato sulle spalle, ma per quelle perle di sudore sulla fronte, quella maglietta e quei calzoncini attillati (o almeno a lei sembrarono esserli) che non coprivano ma mettevano in risalto il corpo dalle forme scultoree. Nel vederlo era rimasta senza respiro.
“Ciao, anche tu qui? Non ti avevo mai incontrata prima”
Le aveva parlato! Che emozione! Come in trance aveva risposto “Ho cambiato giorno perché questa sera sono libera,. Mia figlia è andata in gita scolastica fino a domani sera, e così ne ho approfittato. Tu vieni spesso qui?”
Anziché rispondere alla sua domanda Augusto finalmente aveva pronunciato delle parole diverse dal solito, non proprio come quelle che tante volte Marialetizia aveva sperato, ma su quella direzione. Guardandola dalla testa ai piedi e viceversa, disse “Non pensavo che sotto i vestiti eleganti che indossi di solito celassi tanta bellezza”.
Senza pensarci un attimo, avvezza a preservare la sua immagine di “mamma per bene” istintivamente rispose “Guarda che con me non attacchi come con le altre” pentendosi già mentre pronunciava l'ultima parola.

Cribbio aveva desiderato da una vita quel genere di parole da quell'uomo e nel momento in cui le aveva dette lei aveva sbagliato parole ed atteggiamento.
Sì, anche atteggiamento perché evidentemente aveva assunto anche una espressione destabilizzante per il pur navigato Augusto, il quale, ripiegando in rapida ritirata, facendosi serio in volto, con un atteggiamento umile le aveva detto “Lo so come sei fatta tu, scusami. Volevo solo farti un complimento, peraltro meritatissimo” e aggiungendo un “Ci vediamo domani, ciao” si era diretto verso lo spogliatoio dei maschi.

“Cretina, cretina, cretina” aveva detto mentalmente a se stessa Marialetizia, incapace di rispondere anche con un solo "ciao". Se non fosse stata per quella grande emozione che l'aveva pervasa avrebbe rincorso Augusto o almeno chiamato, anzi gridato il suo nome ma, in quel momento la voce non le uscì e le gambe non si mossero. Ebbe bisogno di molti secondi prima di riprendersi e mentalmente dirsi di nuovo “Cretina, cretina, cretina”.
Aveva ripetuto queste parole infinite volte, cambiandosi nello spogliatoio, lasciando la palestra, viaggiando verso casa, rientrando, facendosi la doccia...
...e sotto la doccia ebbe l'idea di come riparare all'errore.
Senza neanche asciugarsi del tutto, nuda, era andata al telefono e composto il numero di Augusto che conosceva per ragioni professionali.
Si meravigliò da sola nel sentire quanto ora la sua voce fosse ferma e sembrava sicura: “Ciao Augusto, sono Maria, Marialetizia, ti disturbo?.... Volevo scusarmi per prima. Ho risposto da idiota. I complimenti fanno sempre piacere, specie se non si ricevono spesso.... No, non ho chiamato per questo ma perché ho ripensato a quando mi hai detto che ci vediamo domani in ufficio,... ecco volevo dirti che domani io non ci sarò, ho preso un giorno di ferie perché ho alcune cose da sbrigare e siccome Martina, mia figlia è in gita scolastica, approfitto del mio essere sola per pensare anche alle faccende personali una volta tanto. ...Ti ho disturbato? Stavi facendo qualcosa di importante?... No?..Allora, beh forse sono sfacciata ma sai, è la prima volta che sto senza Martina e cenare da sola mi fa tristezza, ...ti andrebbe di cenare insieme? Offro io ovviamente, sei mio ospite, da sola non mi va e.... davvero? Ma certo! Tempo venti minuti e sono pronta!...ti aspetto.”
Augusto aveva accettato il suo invito.
Marialetizia si era sentita euforica come mai era stata. Anziché affrettarsi per prepararsi ad uscire si era messa davanti allo specchio a parlare con il suo riflesso: aveva bisogno di dire a qualche altra persona la sua gioia. Del suo riflesso si poteva fidare ciecamente e, ad alta voce aveva esternato i suoi pensieri: “Non me ne frega niente di come mi giudicherà, non credo che mi capiterà ancora di poter stare con lui o con un altro, senza Martina. O questa sera o mai più. Me lo spupazzerò, lo strapazzerò, voglio sfinirlo, rifarmi di tutte le privazioni del passato. O adesso o chissà quando. O adesso o forse mai. E' questo il momento, sarò troia come lui neanche immagina che una donna assetata di cazzo possa essere... Ho detto cazzo, si l'ho detto, ne ho voglia...lo voglio qui...”. Aveva battuto la mano sulla figa, poi l' aveva fatto scorrere sopra il pelo e un dito si era abbassato più degli altri per infilarsi tra le grandi labbra dischiuse e si inumidì. Non era acqua residua della doccia, ma i suoi umori sgorgati dall'interno a lubrificare già la parte vogliosa.
Le lancette dell'orologio correvano ma Marialetizia aveva perso la cognizione del tempo, attardandosi a guardare se stessa nello specchio, toccandosi i capezzoli con una mano e stuzzicando il clitoride con l'altra, pregustando tutti i piaceri che si aspettava da quella serata.
Il trillo del campanello l'aveva riportata al mondo reale.
Augusto era già arrivato, lei era ancora nuda.
Non si scompose.
Dal citofono aveva detto:” Scusami ma non sono ancora pronta, sali sopra, sono al terzo piano, prendi l'ascensore e vieni su”

Del tutto fuori di testa, Marialetizia, vestita solo con le ciabatte di spugna che aveva ai piedi, si era messa dietro il portoncino del suo appartamento. Aveva osservato dallo spioncino l'arrivo dell'ascensore al piano. Quando aveva visto le portiere aprirsi ed era apparso, bello come un dio greco, il suo (per quella sera) Augusto, riparando il corpo dietro l'anta, sporgendo solo il capo, aveva aperto all'ospite.
Era elegante lui, come sempre, più affascinante del solito agli occhi della donna che l'accolse con “Scusami se non sono ancora pronta”.
Appena Augusto ebbe varcato la soglia, lei aveva richiuso porta mostrandosi nella sua nudità integrale. Questa volta era toccato ad Augusto restare attonito, a bocca aperta per lo stupore, incapace di pronunciare neppure uno striminzito “Oh!”.
Marialetizia non gli aveva mai visto quella faccia stupita e forse da quella espressione si era reso conto del suo stato, cioè del suo essere vestita di niente ed aveva esclamato un “Oh mio dio!” ponendo un braccio a coprire i seni ed una mano sulla parte più intima del suo corpo.
Gesta che avevano sortito l'effetto di una secchiata d'acqua in faccia per Augusto, il quale, ritrovando la capacità di parlare disse solo “Sei stupenda!” allungando le mani sulle spalle della donna.
A volte è difficile capire i comportamenti umani. Per lo stesso meccanismo che porta un bimbetto ad aggrapparsi alle gambe della propria madre, per difendersi proprio dai rimproveri che la madre gli sta muovendo, anche Marialetizia per nascondersi alla vista di Augusto si aggrappò a lui, stringendosi al suo corpo, lasciandosi cingere dalle sue braccia e proprio con modi infantili si giustificò con “Scusa, scusa, non capisco come sia potuto succedere, ero convinta di essere in vestaglia, scusami, scusami”.
Augusto tenendola stretta a se con un braccio le aveva accarezzato i capelli con una certa pressione della mano, tanto da indurla a sollevare il capo, fino al doversi guardare occhi negli occhi.
A quel punto anche le braccia di Marialetizia avevano stretto il massiccio torace di Augusto e mentre le palpebre si abbassavano le bocche si avvicinavano, le labbra si dischiusero, le lingue si cercarono, si incontrarono, lottarono tra loro.
Augusto sentiva i seni di Letizia premere sul suo petto, Marialetizia percepiva il rapido lievitare del sesso di quell'uomo spinto contro il suo ventre.
Lo aveva già detto a se stessa poco prima davanti allo specchio, se lo ripeté di nuovo: “Non mi frega niente di quello che penserà di me, l'ho tanto desiderato e non voglio più aspettare, non posso, non ce la faccio” e distaccandosi da lui, aveva preso Augusto per una mano. Lo aveva letteralmente tirato verso la camera da letto ripetendo lo stesso concetto ma a voce alta, perché anche Augusto sentisse e capisse senza possibilità di dubbi le sue vere intenzioni: “Pensa di me quello che ti pare, anche che sono una gran troia se vuoi, non me ne frega niente, l'importante è che adesso tu mi scopi, adesso, subito”.
Augusto senza rispondere, aveva cominciato a spogliarsi mentre ancora camminavano. Appena in camera da letto, quando Marialetizia si era lasciata andare di spalle, adagiandosi trasversalmente sul letto, lui si era lanciato sopra di lei a peso morto nonostante fosse ancora vestito. Aveva premuto il suo bacino contro quello di Marialetizia e cercato di baciarle i capezzoli turgidi dimenandosi per liberarsi dei vestiti, almeno dei calzoni.
La donna lo aveva sollecitato con: “Spogliati adesso, spogliati tutto, subito” e anche lei si era adoperata con frenesia per sfilargli qualche capo vestiario dalla parte superiore del corpo.
Quando, ben presto, Augusto si era trovato integralmente nudo, si era abbassato sul corpo della donna come a voler dedicare qualche attenzione “linguistica” alla figa, tra le gambe già ampiamente divaricate, ma Marialetizia ancora una volta lo aveva sollecitato: “Lascia i fronzoli per dopo, ti lascerò togliere tutti gli sfizi che vorrai ma dopo, ora scopami come si deve, entrami dentro, riempimi di te...”
Lui non si era fatto supplicare ulteriormente.
Era abituato a riscaldare le donne con le quali faceva all'amore con un vasto repertorio di giochi preliminari, per riscaldare la femmina di turno e poi arrivare al “sodo”, dopo un percorso di raffinatezze erotiche. A volte gli era capitato di dovere anche insistere un bel po' prima di ottenere lo scopo principale, per questo l'insolita frenesia di Marialetizia rendeva più eccitante il rapporto anche per il navigato Augusto.
Aveva assecondato la donna con immediatezza, adeguandosi alla sua stessa foga e dopo averla penetrata aveva cominciato a martellarla con colpi a ritmo serrato, con affondi poderosi, come se anziché farci all'amore volesse distruggerla sotto la sua irruenza, ma non c'era alcuna cattiveria in questa sua foga, solo passione sprigionata con irruenza, con totale trasporto, col desiderio di fondere i due corpi in uno. Lei sembrava delirare di piacere per quel trattamento da domata e dominata e sollevava il bacino per consentire penetrazioni ancora più a fondo, si aggrappava alle braccia di lui, faceva leva sui talloni, cercò, riuscendoci, di sincronizzare i piccoli movimenti del su corpo con quel più poderosi ed energici del maschio. Aveva chiuso gli occhi, serrato le mascelle e si era sentita risarcita della pluriennale astinenza. Era stata fiera anche dei suoi comportamenti spregiudicati di quella sera, dalla telefonata all'accogliere tutta nuda quel maschio. Aveva percepito con un misterioso sesto senso che anche Augusto si sentiva appagato di quella loro prestazione, aveva capito che a lui piaceva il suo provar piacere, per questo non aveva nascosto la sua enfasi, il piacere che provava, la sua goduria, ma lo aveva detto, lo aveva gridato Augusto l'aveva tacitata tappandole la bocca con un bacio.
Lei aggrappandosigli al collo lo tenne aveva tenuto stretto per un poco, poi aveva fatto scorrere le sue mani su quel corpo maschio come se stesse modellandolo, restando congiunti anche con le bocche battagliere,
Quando presero una pausa per respirare lei aveva detto: “E' fantastico”, lui aveva risposto “Di più, molto di più”.
Avrebbero voluto stare in eterno così. Ci sono momenti nella vita che hanno il sapore dell'eternità, loro ne ebbero una serie infinita di questi momenti e si erano sentiti come esseri unici nel tempo e nello spazio, si erano sentiti felici, si erano sentiti....bagnati quando, senza parsimonia i loro corpi avevano sprigionarono a fiotti liquidi di se stessi. Nonostante fossero esausti, si erano posti l'uno sul corpo dell'altra, per potersi nutrire ognuno degli umori altrui, leccandosi a vicenda dopo l'orgasmo. Gustarono l'assaggiare e l'essere assaggiati, il ripulire ed il risentirsi ripulire, l'annusare e l'essere annusato. Poi finirono con il farsi dei complimenti con un linguaggio assurdo, che in altre circostanze sarebbe stato offensivo, in quell'occasione fu romantico. Fu quando si dissero “Che porco che sei” , “E tu una gran maiala”, un attimo prima di baciarsi e restituirsi i reciproci sapori conservati sulle lingue e che avevano racimolato l'uno dal corpo dell'altra dopo l'orgasmo simultaneo.
Augusto guardando Marialetizia le aveva sorriso; un sorriso bello, espressivo, che manifestava soddisfazione, compiacimento, ammirazione ma anche divertimento.
“Che hai da guardarmi così?”
“Pensavo che il tuo è stato il più gustoso menù di tutte le cene che mi sono state offerte”
“Oddio! La cena! Che sbadata...comunque non è tardi, ci metto un attimo a prepararmi”
“Ehi! Che fretta! Torna a distenderti, voglio guardarti ancora. Mi frega niente della cena”
“No, no... ti ho invitata io e ti porto a cena io...oppure....Ho un'idea: sono bravina e veloce in cucina. Se mi dai un piccolo aiuto ad apparecchiare, preparo qualcosa in casa e mangiamo qui...così poi, se ti va...puoi toglierti lo sfizio facendo quei giochetti che volevi fare prima....o hai fretta di andar via?”
Insieme avevano preparato e consumato la cena.
Augusto, come i single che vivono da soli se la cavava bene anche lui ai fornelli. Una volta trovati gli ingredienti disponibili nella fornita dispensa e nel frigorifero avevano gareggiato tra loro, scherzando, a chi preparava il piatto migliore, ma poi si erano scordati di giudicare i piatti che consumarono imboccandosi a volte l'un l'altro, tra risate, scherzi, provocazioni verbali e toccatine maliziose e tracannando vino direttamente dalla bottiglia.

Marialetizia non aveva invitato Augusto a fermarsi per tutta la notte, non ce ne era stato bisogno, perché a lui l'idea di andarsene non lo sfiorò neppure e lei neppure prese in considerazione l'ipotesi che potesse andar via per quella notte.
Avevano invece fatto ancora sesso prima di prendere sonno abbracciati l'uno all'altro.
Era già di nuovo giorno quando si erano svegliati aggrappati l'uno all'altra. Si sorrisero, si baciarono incuranti degli aliti mattutini, che comunque non erano pesanti e si concessero un ulteriore rapporto sessuale,. Questa volta uno di quelli tranquilli, sereni, senza troppe stravaganze.
Alla fine, mentre si pulivano con i fazzoletti e scendevano per recarsi insieme al bagno ebbero un breve dialogo:
“Allora oggi tu non vieni in ufficio?”
“No, ho tante cose da sbrigare”
“Oggi sarà dura per me starti lontano”
“Non dire idiozie, ti conosco abbastanza per saper che sono parole che dici a tutte”
“No. Devo dirti una cosa. Ho detto anche ad alcuni amici che mi rimproverano di essere ancora scapolo che solo quando avrei incontrato una donna come te forse mi sarei convertito al matrimonio e, scusami per quello che sto per dire ma lo pensavo, ho anche detto che era un vero peccato che tu fossi frigida...”
“Io, cosa??...”
L'abbracciò, la strinse e proseguì “Scusami amore mio, lo pensavo davvero”
La baciò “Questo dimostra che di donne non capisco un tubo”
La baciò di nuovo “Chi poteva immaginare che sei un vulcano?”
La strinse più forte “Io devo vestirmi ed andare perché è quasi ora di timbrare il cartellino, mentre mi vesto...me lo faresti un caffè?”
Lui si vestì, lei mise sul fornello la mola. Il caffè salì. Marialetizia ne verso parte in una tazzina e chiese a voce alta “Quanto zucchero vuoi?”
Dall'altra stanza Augusto rispose: “Non sto scherzando. Mi vuoi sposare?”
“Che scemo sei, quanto zucchero vuoi?”
“Lo prendo amaro” disse Augusto arrivando. Prese la tazzina che Marialetizia gli porse, bevve con tre sorsi. Poi aggiunse “Ora vado, devo andare, lo sai” -un bacio sulla guancia una manata sul sedere e poi “ Tu pensa a quello che ti ho detto. Non stavo scherzando”.
Queste le ultime parole dette da Augusto prima di varcare la soglia, con un sorriso ampio stampato sulla solita faccia da indisponente canaglia, mentre lanciava la giacca su una spalla, tenendola per il bavero.
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