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Lui & Lei

Promiscuità - Parte 4


di HegelStrikesBack
30.12.2015    |    4.667    |    3 9.6
"Un veloce cambio d’abito e come dice un detto milanese “Na lavada, na sugada… la para manca adoperata” (una lavata, un’asciugata e non sembra neanche usata)..."
C’è chi dei “nonostante” e dei “malgrado” ha fatto una bandiera, un inno personale, una carriera con una canzone fortunata o un mantra di vita.
Dovrei cominciare a farlo anche io perchè nonostante il bel risveglio pigro e ozioso, malgrado la bella giornata di sole, mi è bastata la nuova foto-profilo di Nicolò a fottermi la giornata.
Eccolo lì con la bella mora dagli occhi inespressivi che è guest-star di ogni suo notturno e musa ispiratrice delle canzoni che ormai tante radio passano con frequenza: Elena.
Lo scenario è quello di casa loro, ne sono certo, ricordo la carta da parati a righe bianche e nere del corridoio: Nico fa il poser arruffandosi i capelli con la mano sinistra, nella destra regge una sigaretta e un bicchiere di prosecco. Lei, cappotto con maniche di pelle nera, fissa vacua se stessa riflessa in uno specchio e nel display retroilluminato del suo iPhone nero.
Nonostante la mia filosofia di vita me lo impedisca, ho un riflesso incondizionato e per un secondo la odio.
La odio come quando la briciola di pane ti si incastra tra i denti e con lo stuzzicadente di un pensiero bello e positivo adesso la devo rimuovere.
La odio perchè per un attimo al posto suo, in quella foto, avrei voluto esserci io.
Questo sabato comincia veramente di merda.
Mi vesto, più random che casual, ed esco a fare due passi.
La cosa che amo di più di Milano è che, in quartieri come il mio, dove dalle borse di Hermes spuntano copie del Manifesto e dell’Europeo, se ti vesti da homeless con convinzione potresti addirittura sembrare un amico di Franca Sozzani.
E così, con i pantaloni della tuta e il cappotto nero di Hugo Boss mi incammino senza meta verso un cielo che per ora non promette niente di nuovo.
Ma siccome l’imprevisto è l’unica speranza, come diceva saggiamente Montale, rispondere pacato alla telefonata di Giorgia è l’unica cosa che posso fare per provare a far sì che che questo cielo azzurro con striature bianche che mi fa da tetto non faccia a cazzotti con il mio umore che sa di nebbia fitta.
“A pranzo? Sì, certo che sono libero. Dove ci troviamo? Alla Terrazza Aperol in Duomo. Va bene, allora facciamo alle 13:15 che passo a casa a cambiarmi. Non puoi capire come sono conciato. A dopo.”
Rido per non piangere, ma va bene così e anzi, tornando a casa canticchio pure.
You should be dancing dei Bee Gees. 
Sì, lo so. Nessuno me l’ha chiesto ma mi andava di dirlo.
Il Tommi (perchè se non metti l’articolo determinativo davanti al nome, a Milano sei solo un giargiana) sembra avere tuttavia un sesto senso per l’apparire nella mia vita nei momenti meno opportuni.
E infatti ci incontriamo lungo le scale.
“Ma guarda chi c’è… il nostro latin lover di quartiere!”
“Abbassa la voce, Cristo, che ci sentono tutti”
“Allora com’è andata con la Chef [censura] ieri sera?”
“Bene, tutto nella norma”
“Nella norma che te la sei trombata?”
“Tommi, se anche la signora Guido non sa tutti i cazzi miei io sono comunque contento sai?”

“Quando vi rivedete?”

“Adesso, cioè tra poco… pranziamo all’Aperol”

“Conciato così?”

“Sto andando a cambiarmi”
“Una delle cose più sensate che ti abbia sentito dire. Sembra che tu abbia rovistato un bidone della Caritas in San Babila e puzzi di avanzo di pubblico di un programma televisivo di Michele Santoro”

“Una spia del KGB insomma”

“Peggio, una versione metrosexual di Peppone. Modernità, Pierluigi. Modernità! Scappo, vado a brunchare all’Armani/Bamboo”
“Aspetta… da quando puoi permetterti di brunchare, si dice? all’Armani/Bamboo”

“Da quando non pago io. Comunque vengo dopo mi devi raccontare tutto, saluta la signora Guido che ci sta spiando da dietro la porta. L’HO SENTITA SIGNORA MUOVERSI! SIA PIÙ SILENZIOSA LA PROSSIMA VOLTA CHE SI FA I FATTI NOSTRI”
Muoio dal ridere nel pianerottolo tra il quarto e il quinto piano.
Un veloce cambio d’abito e come dice un detto milanese “Na lavada, na sugada… la para manca adoperata” (una lavata, un’asciugata e non sembra neanche usata).
Con qualche minuto di ritardo, Giorgia fa l’ingresso nello spazio aperto della terrazza. 
La grazia della sua femminilità è esaltata da un vestitino primaverile con la gonna a palloncino. Gli occhi da bambina spaurita la rendono ancora più appetitosa mentre con l’aria persa da uscita di scuola mi cerca tra i milanesi che ammazzano l’ora di pranzo del sabato.
Faccio un piccolo cenno della mano e un sorriso si fa strada sul viso come la luce dell’alba.
Si siede, si scusa e sorride. 
E ogni volta che sorride io m’innamoro di lei e della sua bellezza disarmante.
Ieri sera è stato un amarcord dei nostri anni passati, forse più vuoti ma anche i migliori; oggi, invece, durante il pasto bilanciato accompagnato dallo spritz, come recita formale il menù, parliamo del presente, di chi siamo diventati.
Di lei so molte cose da un punto di vista professionale, lei invece di me non sa nulla.
“E così ce l’hai fatta a scrivere per vivere… bravo, io te l’ho sempre detto”
“Già, è stata una strada più che in salita ma è stata la più bella avventura della mia vita”
Sto per allungare la mia mano sulla sua quando il mio iPhone si mette a fare la papera.
Lei ride divertita da questa suoneria inaspettata, io mi scuso per non averlo messo in silenzioso.
È Nico e io, indispettito per la foto, gli chiudo la chiamata. Neanche il tempo di diventare bisex e sono già agli atteggiamenti da checca isterica. Andiamo bene.
Riprendo da dove avevamo interrotto ovvero dal mio atavico bisogno di intrecciare le mie dita con le sue.
Bisogno che, peraltro, anche lei ricambia con evidente stato di necessità.
Ci concediamo due passi per Milano, come due pigri turisti, corredati da un po’ di shopping e la voglia di stare insieme di quando avevamo quindici anni.
E la stessa voglia di fare l’amore che avevamo allora. 
E dal Duomo a casa mia sono sei fermate con la linea gialla.
Saliamo le scale ridendo, perchè alla fine ci si mette meno che con l’ascensore del palazzo d’epoca.
Dentro casa c’è un’invasione di luce totale, in fondo l’ho scelta per questo.
Ci spogliamo lentamente, dalla porta di casa al letto Ikea e al disordine di camera mia c’è un filo d’Arianna di indumenti vari ed eventuali ma sempre inutili.
Quel pomeriggio facciamo l’amore ovunque. Sul letto, in bagno, sul tavolo da pranzo, sul divano e appoggiati alla scultura luminosa che raffigura i Beatles di quel noto visual artist pavese che mi hanno regalato i miei per la laurea (e da cui la sposto velocemente per paura che si rompa).
Giorgia va via nel tardo pomeriggio: stasera ha il pop-up restaurant pieno e in cucina c’è tanto bisogno di lei.
Appagato e spaccone mi accendo un’altra sigaretta a letto. Sorrido sornione ricatalogandomi la performance fornicatoria a base di stimolazione del clitoride manuale e leccate voluttuose da parte mia e un pompino stratosferico da parte sua, come antipasto tanto per cominciare, salvo poi penetrarla frontalmente e posteriormente con foga e un certo savoir-faire. Conclude il menù delizioso di uno dei corpi più femminili che abbia visto in vita mia una degustazione di dodici schizzi bollenti sul viso che fanno felice lei e accasciare privo di sensi me.
Comincio a non avere più l’età per certe cose forse.
Fatto sta, che ormai è sera e il mio telefono conta qualcosa come 5 telefonate di Nicolò.
Già, Nicolò.
Accendo la doccia, aspetto che sia tiepida e mi accoccolo in un angolino con le gambe piegate e il Pino Silvestre in mano.
Ma davvero Pigi ti basta un colpo di Giorgia per accantonare così Nico, quel ragazzo che fino a ieri ti ha fatto provare una sensazione che non conoscevi e di cui in fondo al tuo cuore non puoi più fare a meno?
Pigi, non mentire a te stesso: da quanto non stavi così? Da quanto non avevi il batticuore nel vedere una persona? Tanto, troppo.
E oggi, quel batticuore che avevi nello scendere le scale dell’hotel quando sapevi che fuori dalla porta scorrevole c’era la persona che desideravi più al mondo che ci fosse, l’hai provato quando stavi aspettando Giorgia?
Giorgia è quello che vuoi o quello che ti fa comodo volere?
In fondo è presto per scegliere e per ora mi conviene rimanere col piede in due scarpe. E forse saranno anche di più, chi lo sa.
Esco dalla doccia e abbraccio stretto l’accappatoio di spugna bianca comprato da Frette coi saldi. È morbidissimo e mi da quel senso di conforto di cui avevo un disperato bisogno.
E fidatevi di un cretino, per trovare conforto in un accappatoio di spugna, per quanto raffinato, bisogna essere davvero messi male.
Chiamo Nicolò, sento di cos’ha bisogno.
“Hey, ma dov’eri finito… è tutto il giorno che ti chiamo, mi hai anche chiuso una telefonata in faccia!”
“Scusa ho avuto da fare.”
“Lavoro?”
Decido di vendicarmi per quella foto che mi ha fatto girare l’umore stamattina.
“No, no… mi sono visto con una ragazza”
Gelo. Silenzio.
“Pronto? Nico? Ci sei ancora?”
“Sì… no vabbè comunque avevo solo voglia di sentirti un attimo, così niente di che. Vabbè allora adesso vado. Ciao Pì”

“Ciao Nico ci sentiamo per Martedì”
Colpito, ingelosito e affondato.
La giornata è ancora lunga però, e io di meriggiare pallido e assorto (sempre per citare il mio amato Montale), non ne ho nessuna volta.
Stavolta il rompicazzo lo faccio io, basta ho deciso.
Mi copro, anche decentemente per gli standard casalinghi miei, prendo una bottiglia di Valdobbiadene dal frigo e comincio a scampanellare dal Tommi.
“Vicino, qual buon vento?”

“Hai compagnia?”

“No, solo come Bobby Solo.”

“Prosecchino e due chiacchiere?”

“Tu sì che sai sempre cosa voglio”
Lo so cosa starete pensando tutti, di tutte le persone che ci sono sul globo orbiterracqueo vai a parlarne con quel linguacciuto di Tommi? Sì lo so, però sa essere anche un bravo amico, almeno credo.
“Quindi aspetta fammi capire… tu hai fatto un’orgia con Nicolò dei [Censura]? Guarda non ci credo neanche se lo vedo”
Sorrido beffardo e gli mostro il selfie che ci eravamo incoscientemente fatti dopo l’orgia, con i visi delle ragazze deturpati dal nostro caldo seme e i sorrisi compiaciuti di noi uomini virili.
“Oh, merda.”
“E non è finita qui…”
E gli racconto dell’albergo a Roma. Tutto tutto, nei dettagli.
Tommi appare perplesso, mai schifato sebbene il mio racconto sia molto minuzioso, ma perplesso.
“Beh, wow! Direi che hai un pisello più impegnato di quello del mio editore, ed è tutto un dire… Ma… ma tu, come stai?”
“Eh, bella domanda. Sto. Diciamo che sto. Sto fermo e lascio che le cose accadano. Ho paura, questo è certo. Ho paura di Giorgia, che mi faccia comodo rivivere i gioiosi anni del liceo e dell’adolescenza spensierata perchè sotto sotto ho una paura fottuta di invecchiare e peggio ancora di invecchiare da solo. Giorgia rappresenta la certezza, la solidità, la famiglia e tutte quelle cazzate con cui ci riempiono la testa negli spot delle merendine per la prima colazione.”
“E di Nicolò? Perchè hai paura?”
“Perchè ho paura che sia quello che voglio veramente in questo momento. Ma è scomodo, necessita di spiegazioni: fino al giorno prima sei etero bello e convinto, il giorno dopo esci con un uomo. E agli amici, ai miei, alla signora Guido del piano di sotto io, che cazzo gli racconto?”

“Che sei felice?”
“E se lui poi quella là non la molla? Mettiamo anche che io mi ci butto a capofitto no? E se rimango il giocattolino milanese con cui si è tolto le voglie di culo?”

“Almeno ci hai provato e non vivi di rimpianto.”
“Sei sempre così banalmente saggio?”

“Quando devo fare il giornalista superficiale sì.”
Ci guardiamo negli occhi e ci abbracciamo. Se l’istinto mi ha portato in questo appartamento un motivo ci sarà no?
“Fregatene, Pierluigi. Lasciati andare. Per dire ho fatto la più grande stronzata della terra c’è sempre tempo.”
Mentre i milanesi, là fuori rincorrono i propri obiettivi, siano essi una babysitter che gli tenga i bambini, l’ennesimo tavolo libero per un’apericena, una coperta calda per coprirsi in corso Buenos Aires o un’altra partita di cocaina, io mi accuccio sul divano guardando un film.
Nonostante la giornata strana, malgrado tutto sembra sia architettato da un dio cattivo per confondermi le idee, il mio istinto di autoconservazione mi fa voltare la testa, scegliere l’oblio e addormentarmi con la televisione ancora accesa e i piedi scalzi.
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