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Promiscuità - Parte Quinta (Not the final)


di HegelStrikesBack
14.07.2016    |    4.966    |    3 9.1
"Fino all’ultima canzone, quella che io chiamo la mia canzone, perchè sembra sia stata scritta apposta per me e che tu introduci con le parole “Per l’ultima..."
Rieccoci dove tutto è partito, Roma.
Dopo aver disseminato i cestini degli hotel di mezza Italia di preservativi riempiti e i posacenere di quello che rimane di canne e sigarette torniamo al punto zero della nostra storia.
Il tour finisce qui, a casa tua, esattamente due mesi dopo quella notte che in un bilocale del quartiere Isola a Milano ci siamo detti di amarci e poi non ce lo siamo mai detti più.
È un pomeriggio di giugno dove il sole va giù ignaro di noi e delle nostre vite e del fatto che da domattina tutti e due torneremo alle nostre vite solite.
La mia, fatta di venti minuti di metro e dieci di tram due volte al giorno e la tua che non ho ancora capito bene come si svolga perchè con te c’è sempre da sorprendersi.
Siamo al giardino degli Aranci dove Luca sta facendo il servizio fotografico e tu non riesci a sorridere.
Ci mettiamo una vita, tu cerchi il mio sguardo, io guardo su per non guardare te.
Il Giardino degli Aranci è uno dei miei posti preferiti di Roma, te l’ho detto tante volte e forse per questo hai deciso di fare lì lo shooting; eppure oggi mi sembra così triste e decadente.
Sai, non te l’ho detto quel giorno ma avevo tanta paura. Una paura tangibile, concreta, viva. Quella di perderti per sempre.
Questa tortura quasi infinita per me, se Dio vuole culmina in un applauso degli addetti ai lavori. 
Luca soddisfattissimo, dice che è uno dei servizi più belli che ha fatto in vent’anni di carriera da fotografo di musica e moda.
Vieni verso di me, sei bellissimo. 
Hai la camicia bianca e i jeans tutti strappati e io ho voglia di rapirti e portarti su un’isola deserta dove non esiste nessuno per fare l'amore fino a sfinirci.
“Mi accompagni tu al Quirinetta?”
“Sì, certo. Vorrai mica prendere un taxi!”
“Eh, no… infatti.”
Per chi non lo conoscesse, il Quirinetta di Roma è un ex teatro degli anni venti nel rione Trevi di Roma da cui passano tutti i nomi più prestigiosi italiani e non della scena indie, e quindi necessariamente anche Nico.
Quatta quatta la Prius si insinua nel traffico ingolfato di questa Roma al rallenty di fine giugno.
Come tuo solito accendi la radio ed è subito un colpo al cuore.
Quell’accordo di DO suonato così lo riconoscerei tra milioni, è il primo accordo di una delle canzoni che mi ha fatto innamorare della musica: Amore Bello di Claudio Baglioni.
Cominci a cantare sottovoce, io sono stonatissimo ma mi accodo a te e piano piano ci ritroviamo a cantare come due vecchi amici in macchina.
Io ho le guance rigate dalle lacrime, tu mi tieni la mano come a darmi coraggio ma so perfettamente che ti sei sentito mancare il sedile dell’auto da sotto il culo.
Fai le prove, tutto liscio.
Faccio un paio di foto con l’iPhone da postare sui social e vedo che in platea non manca proprio nessuno: c’è tua mamma, che riconoscerei tra milioni perchè è tale e quale a te, il presidente della casa discografica, il tuo manager, il mio capo, la tua Elisa, Elena - che abbiamo conosciuto al bar e con cui abbiamo fatto l’orgia. È la conclusione di un giro di concerti fortunatissimo, amici, parenti e fans sono tutti qui per te a tributare il tuo successo e io non posso fare a meno di sentirmi orgoglioso.
Anche il concerto va tutto liscio.
Fino all’ultima canzone, quella che io chiamo la mia canzone, perchè sembra sia stata scritta apposta per me e che tu introduci con le parole “Per l’ultima volta”.
No, scusatemi, non ce la faccio.
Apro il portone antincendio più vicino a me ed esco a fumare una sigaretta. Mi accuccio per terra e piango.
Piango come il bambino che ha visto rompersi il gioco più bello ed agognato.
Mi sento stupido, sono stupido.
Vengo a farti i complimenti in backstage, ho pianto e si vede.
Mi abbracci e non dici nulla, Elisa ci guarda.
Le lancio un sorriso di circostanza, mi arrendo, alla fine ha vinto comunque lei.
I parenti vanno a casa, gli amici rimangono a festeggiare e quale modo migliore che una buona cena nel tuo locale preferito.
Non c’ero mai stato in quel posto ma me lo immaginavo esattamente così: inutilmente snob, proprio come te quando ti atteggi a quello che non sei.
L’alcool scorre a fiumi, la coca pure.
E tu sei troppo impegnato con quei due amici per curarti di me che me ne sto in un angolo con un gin tonic a sforzarmi di divertirmi.
La casa discografica, rappresentata dal Presidente in persona, tra una pippata e l’altra ti dona un Rolex, come premio per avergli fatto guadagnare una barca di soldi con cui alimentare la falsa illusione di un nuovo talent show in prime time da settembre.
Mia nonna un giorno a mia sorella disse: “Non ti fidare mai di un uomo che va a letto con l’orologio”.
Mi ridesto dalla mia tristezza e mi chiedo che cosa ci faccio lì, appoggio il bicchiere su un tavolino e me ne vado.
Ti lancio l’ultimo sguardo dalla parte opposta della sala mentre tu ridi sguaiato e vuoto come la sera dell’orgia.
Mi guardi, mi dici qualcosa che non capisco e fai cenno di venire verso di me ma c’è Elisa che ti bacia e a lei, la tua musa non puoi dire di no.
Cammino fino all’hotel, quello di quando ci siamo conosciuti.
Arrivo su in camera, accendo un porno per farmi una sega ma stasera, chissà perchè, il cazzo non mi tira.
E finisco come sempre acquattato nel piatto doccia a riflettere sulla mia vita.
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