Racconti Erotici > Gay & Bisex > Love is in the air - Montepulciano (Parte 4)
Gay & Bisex

Love is in the air - Montepulciano (Parte 4)


di HegelStrikesBack
14.12.2017    |    6.541    |    7 9.0
"Quando i fari da dentro il garage si accesero e mio fratello portò fuori l’auto fu come tornare indietro di almeno quindici anni..."
Il viaggio dai grattacieli in continua ascesa del capoluogo lombardo ai filari del vino nobile della mia Montepulciano non è stato semplicissimo. Vuoi perchè è Novembre e il tempo è quello che è, vuoi perchè su una Mini di quelle vecchie non si va ai duecento, ma a malapena si raggiungono i centoquaranta, per arrivare all’uscita Valdichiana dell’Autostrada A1 ci sono volute quasi sei ore. I viaggi con Sara però sono sempre piacevoli e mi ricordano sempre perchè mi sono innamorato di lei e perchè, nonostante questo periodo pieno di sorprese, continui ad amarla da cinque anni. Perchè ride di gusto, perchè quando comincia a parlare è un fiume in piena e ha la curiosità di una bambina, perchè quando mangia le brioche si sporca immancabilmente di crema e col tovagliolino mi pulisce i baffi quando la schiuma del caffè macchiato ne rimane vittima. Con lei mi diverto tanto, sono sempre me stesso. Il me stesso etero però, non il me stesso che con Sebastiano che è alla guida dell’Opel Astra dietro di me ha scoperto le gioie del sesso gay.
È già ora di cena quando arriviamo a casa Crociani, una tenuta del diciannovesimo secolo sulle prime colline intorno a Montepulciano dove ha sede l’azienda agricola dei miei genitori, ristrutturata dall’ex fidanzata di mio fratello in uno stile che oscilla piacevolmente tra il country toscano e il british.
Mia madre ci accoglie festosa, non la vedo da un po’ di tempo.
La trovo ancora più bella del solito. Papà ha qualche acciacco in più e qualche capello in meno, un po’ in disparte, vittima di sè stesso e della sua timidezza mio fratello Lucio.
Il banchetto non lascia certo a desiderare, mamma ha dato il meglio di sè: patè d’anatra, affettati delle nostre zone, i malfatti (da molti conosciuti anche come gnudi), la carne alla brace e il tiramisù, il tutto annaffiato da abbondante Nobile di produzione Crociani.
La caciara regna sovrana, Mamma è felicissima.
“Son tanto contenta che tu ti sia trovato degli amici così bellini a Milano, qua ce n’aveva tanti il mi figliolo ma oramai non sanno neanche più come l’è fatto.”
Istintivamente guardo Sebastiano e sorrido.
“Si vede che voi due vi volete tanto bene”
Arrossisco improvvisamente.
“Chi Mamma?”
“Te e l’amichetto tuo tanto bellino, come hai detto che ti chiami?”
“Sebastiano, signora.”
“Sì, sai abbiamo fatto un bel viaggio insieme.”
“Eh sì, te tu me l’ha detto che siete andati a Parigi. Com’è? L’è ancora bella come l’era quando ci si è andati col Babbo?”
“Penso di sì, Mamma”
Si inserisce Lucio, stranamente, a testa bassa sul piatto.
“Oh, allora t’ho dato una lucidata al Carrera, ho fatto il pieno, cambiato l’olio e fatto giro di prova. Sono duecento euro.”
“Sangue del mio sangue eh! Mannaggia.”
Finita la cena tra una risata e un ennesimo amaro, si va a dormire tutti.
I miei ci hanno sistemati nel fienile, una struttura adiacente la villa padronale, questa ristrutturata invece in stile modernissimo. Dovevano andarci a vivere Lucio e Michela, invece si son lasciati prima.
“Peccato però”, ripete sempre Sara entrando nella nostra stanza da letto, “questo posto lasciato sempre vuoto…”
“Chissà magari da vecchi ci verremo a vivere noi.”
“Ti è mai venuto in mente di tornare a vivere qui?”
“Sì, ma ho un ingombrante fardello riccio riccio con gli occhi chiari e un sorriso a cui non posso dire di no che non posso trapiantare dal caos dei Navigli alle silenziose colline toscane…”
“E poi come faremmo col lavoro?”
“Già, quando andremo in pensione…”
“Eh quando io andrò in pensione caro mio tu girerai già col girello!”
“Ah-ah-ah, che spiritosa”
“Comunque sai, le gambe non mi fanno più tanto male…”
“Cosa vorresti dire?”
Sara spense la luce, e aggiungendo maliziosa un ‘lo sai…’ prese in mano il mio uccello e cominciò a giocarci.
Facemmo l’amore, più delicatamente del solito e ci addormentammo abbracciati.
Evitammo la colazione il mattino seguente: le ragazze avrebbero passato la giornata alle terme di Bagno Vignoni quindi perlopiù in ammollo e io e Sebastiano ci saremmo fatti un tour della zona a suon di salumi, vini e cibo a bordo del mio vecchio Porsche.
Quando i fari da dentro il garage si accesero e mio fratello portò fuori l’auto fu come tornare indietro di almeno quindici anni. La mia macchina del tempo.
Il rombo era quello di sempre, l’odore di pelle vintage degli interni pure.
Sebastiano, ammaliato da quella visione, le girò attorno svariate volte e mi vidi costretto a concedergli in una tappa del nostro tour di sedersi alla guida.
La partenza fu da passeggero però.
Non appena lasciato il cancellone della tenuta mi prese la mano sul pomello del cambio.
“Finalmente soli”
“Sì, finalmente ti ho tutto per me e ti posso portare nei miei posti preferiti.”
Erano le nove e mezza circa quando siamo partiti alla volta della nostra prima tappa: Pienza.
Sembra di essere tornati un po’ a Parigi, quando giravamo senza meta come due fidanzatini, con la differenza che qui i posti li conosco bene e posso fargli da Cicerone.
Visitiamo Palazzo Borgia, la splendida cattedrale di Santa Maria Assunta e il Palazzo Piccolomini per poi concederci il primo aperitivo a base di pecorino locale, salame di cinghiale e un bicchiere di rosso.
Oggi Seba non è di tante parole, ha l’aria un po’ persa, frastornata. Gli chiedo se va tutto bene, ha la faccia da scolaretto all’uscita di scuola e non è da lui. Di solito è lui che mi riempie di entusiasmo. Oggi è l’inverso e va bene così.
Da Pienza ci spostiamo a San Quirico d’Orcia. Faccio guidare lui.
È sexy mentre guida, le sue mani eleganti sul volante, l’aria concentrata, l’espressione di soddisfazione quando affonda il piede sull’accelerazione.
Lo vedo felice e sono felice anche io, perchè sono insieme a lui.
Scendiamo al parcheggio di Via dei Canneti e mentre chiudo la macchina, senza un apparente valido motivo, mi abbraccia. Così, tanto per.
“Lo sai che non sono mai stato così felice nella mia vita come da quando ci sta succedendo questo?”
Ha gli occhi lucidi. Non mi commuovo facilmente, ma questa è una dichiarazione d’amore bella e buona. Sono un po’ in imbarazzo. Anche io provo le stesse cose che prova lui ma non riesco ad essere così plateale, così istintivo. Penso di poter dire di essermi innamorato, ma ancora non riesco a dirglielo. Cerco di farglielo capire però, come posso. Quando posso.
Agli Horti Leonini non c’è nessuno. Siamo davvero solo io e lui, complice anche un tempo atmosferico non dei più splendidi.
“Il cielo sembra più grande da quassù, sai?”, mi dice mentre passeggiamo mano nella mano in uno dei più bei giardini all’italiana che io ricordi d’aver visto.
“Lo dico sempre anche io. Ci si riconcilia col mondo.”
“Sarebbe bello qui, io e te…”
“In che senso?”
“A invecchiare…”
“Ma io sono già vecchio Seba!”
Ridiamo, lui arrossisce, un po’ perchè è vero, un po’ perchè vorrebbe sbilanciarsi di più ma ha il freno tirato.
“È che sarebbe bello invecchiare con te.”
“Anche per me lo sarebbe.”
Abbassiamo lo sguardo, forti sì, ma non ancora così tanto da riuscire a guardarci negli occhi mentre ci immaginiamo coi capelli un po’ argentati che camminiamo in giro per la Val d’Orcia.
Credo che se la felicità esiste davvero, per me in questo momento assomiglia davvero tanto a questa immagine bucolica di noi due anziani ma insieme.
Breve pitstop al birrificio artigianale di San Quirico e poi ripartiamo, il pranzo non può essere altro che a Montalcino dai miei amici che hanno aperto una splendida taverna in pieno centro.
Entriamo e subito sorrisi abbracci e vino che scorre a fiumi.
Inaspettatamente Sebastiano è molto a suo agio, ride e scherza con tutti ma nei suoi occhi colgo quel velo di malinconia che vidi a Parigi sulla Tour Eiffel.
Mi viene subito istintivo accarezzargli la mano, lui un po’ la ritrae e i suoi occhi si fanno ancora più acquosi.
Lascio perdere, continuo a bere, rido e scherzo con i miei amici e cerco di coinvolgerlo il più possibile anche se capisco che qualcosa non va.
Paghiamo il conto - si fa per dire - e usciamo un po’ storti diretti verso la macchina.
“Come mai mi hai portato qui a pranzo?”
“Perchè alla fine questo sono io, un grullo che non è mai cresciuto. Che da qua non se n’è mai andato del tutto, da questa maledetta provincia cronica dove non c’è nulla. Dove se a quindici anni volevi comprarti l’ultimo di Billy Idol dovevi andartene col treno a Siena per sperare di trovarlo. Dove a parte il bar in piazza non c’erano luoghi di aggregazione. Dove la droga arriva in fretta e spopola perchè ti sembra l’unica evasione possibile insieme all’alcool.
Mio fratello è rimasto qui. Non è mai stato un ragazzo forte, timidissimo, introverso, vittima delle sue paure e guarda come sta ora. Non sono mai riuscito a strapparlo a questo posto, eppure un po’ lo invidio perchè alla fine sta benedetta provincia anche se la maledici però è lei che t’ha messo al mondo.”
“Per questo allora, per entrare nel tuo mondo.”
“Sì, perchè tu nel mio mondo ci sei già dal momento in cui ti amo.”
Cazzo. L’ho detto.
Oddio l’ho detto davvero. Ho detto ‘ti amo’ ad un uomo.
La pausa di silenzio di Sebastiano è lunga e la sua guancia arata in due da una lacrima.
“Anche io ti amo Claudio, anche io…”
“Ehi, non piangere. Sei più bello quando ridi amore mio…”
Lo abbraccio forte, mi stringe forte.
In macchina Sebastiano non dice una parola, guarda fisso la strada che ci porta a Castiglione d’Orcia passando per il monte Amiata.
Sulla Rocca Aldobrandesca ci scattiamo una foto insieme, col panorama dietro di noi e un cielo che promette poco di buono.
“Non la mettere sui social questa, mi raccomando”
“No questa la tengo nel cuore e basta. Grazie per questa giornata Clà.”
“Grazie a te.”
Quando torniamo in tenuta le ragazze sono appena tornate, rigenerate e purificate, dalla loro splendida giornata alle terme di Bagno Vignoni.
Non ci fossero andate loro ci saremmo andati noi, ma ammetto di essere molto contento del nostro giro enogastronomico con tanto di smielata dichiarazione d’amore.
La cena trascorre nell’armonia della sera precedente fino a che Valeria non prende inaspettatamente la parola. È visibilmente emozionata, Sebastiano sembra nervoso.
“Oltre a ringraziarvi per la vostra splendida ospitalità, io e Seba volevamo condividere una cosa con voi…”
“Vale, smettila, non mi sembra il momento per parlarne.”
“Dai Seba, tanto Sara lo sa già… comunque aspettiamo un bambino!”
“Oh che bella notizia Valeria! Adriano, vai a vedere se c’è ancora dello champagne che qua bisogna brindare!” ribatte garrula mia madre.
“Vado io mamma, Papà stai comodo.”
Chi aspettate? Un bambino? Ma te tu lo sai che c’hai l’omo finocchio? Che mi scopa il culo come una cagna? Che m’ha succhiato il cazzo sulla tour Eiffel e oggi mentre guidavo mi toccava da sopra i pantaloni?
Questo le avrei detto, ma non potevo. Per il bene di tutti. Andai a cercare lo champagne.
Lo trovai in cantina, al piano interrato. Lo stappai, lo versai nel cesso della cantina, buttai la bottiglia dentro un bidone e salii costernato perchè lo champagne non c’era. Finito.
Finito come il mio rapporto con Sebastiano che ha avuto tutta la giornata di oggi per dirmelo, che mi ha fatto esporre dichiarandogli il mio amore, che mi ha bruciato e abbandonato così.
Sebastiano non ha il coraggio di guardarmi in faccia quando spavaldo rientro in sala da pranzo. Faccio finta di nulla, propongo addirittura un brindisi: “Alle cose belle e inaspettate che nascono e a quelle brutte che finiscono.”
Brindiamo apparentemente felici. Cerco una scusa per allontanarmi.
“Signori, io vado un attimo giù al bancomat a prelevare i soldi per quella sanguisuga di mio fratello che se parto senza avergli pagato il servizio alla macchina mi leva il saluto.”
“Vuoi che t’accompagni?” chiede Sebastiano.
“No, non occorre, so badare a me stesso.”
“Insisto dai, così prendo un po’ d’aria”
Sono costretto ad accettare, darei troppo nell’occhio.
Usciamo, nessuno dei due dice una parola. Nello Schott, lì da quanto tempo non si sa, c’è un pacchetto aperto di Marlboro, ne accendo una e salgo in auto.
Prima che Sebastiano possa aprire la portiera e salire, parto sgommando e lasciando dietro di me un’ondata di ghiaia.
Accendo la radio, non voglio sentire questo silenzio.
Il serbatoio è ancora abbastanza pieno. Sai che c’è, vado a farmi un giro.
Decido per Arezzo, che dista quarantacinque minuti di macchina con autista normale ma per un ex pilota di rally sono neanche trenta.
Da qualche parte su Facebook ho letto che al Funny Queen fanno la serata gay, che non ho idea di cosa sia ma ho tutta l’intenzione di scoprirlo.
A Sara scrivo semplicemente che ho incontrato dei miei amici di liceo in centro a Montepulciano e che si va a bere una cosa insieme a Torrita al baretto dove s’andava da ragazzi.
“Ok, non bere troppo. A più tardi” è la sua risposta.
Entrato al Funny Queen il pubblico è vasto e piuttosto transgenerazionale. Dai ragazzini alle vecchie checche tutto incluso e senza scatto alla risposta.
Ciondolo un po’, mi chiedo anche che ci sto a fare qua. Mi siedo al bancone del bar del locale e ordino un gin tonic.
Accanto a me si siede un ragazzo sui quarant’anni forse anche qualcosa meno, capelli scuri, aria distinta. Ha un maglioncino di cachemire blu navy, una camicia bianca, jeans attillati e un paio di derby color borgogna.
Ci sorridiamo, è un bel tipo. Alto, bel fisico, aria rassicurante. Lontano anni luce dallo stereotipo che qua dentro abbonda e da cui anche io mi discosto molto.
Dice di chiamarsi Federico, dall’accento non è mio conterraneo e infatti mi conferma d’essere torinese. È qui per lavoro, insegna letteratura italiana alla sede aretina dell’Università di Siena. Mi affascina per come parla, come si è vestito, come si muove.
Faccio parlare lui, io non ho nessuna voglia di parlare di me stasera.
“Che ci fa qui uno come te?”
“Uno come me? In che senso?”
“Nel senso che, prendila bene, non sembri gay o comunque non sembri uno di questi tipi di gay che girano qua.”
“Nemmeno tu, se è per questo.”
“Beh magari ho appena nascosto la fede nel taschino, che ne sai?”
Sorride mordendosi il labbro. Preso.
“Comunque mi sa che sono venuto a perdere tempo perchè come dici tu, questi tipi di gay, a me non guardano e io difficilmente guardo loro.”
“Non sanno cosa si perdono.”
Alzare la posta dell’abbordaggio da bar mi permette di seguirlo fino al suo appartamento, di entrarvi, di spogliarlo quasi strappandogli di dosso la camicia e di fare il sesso più animalesco della mia vita.
Con i calzini in misto cachemire che indossava lo lego simbolicamente alla testiera del letto e poi una volta in mio totale dominio lo tratto come una puttana.
Il tipo si fa fare di tutto, mordere, leccare, schiaffeggiare. In pratica sto riversando su di lui tutta la rabbia che vorrei sfogare su Sebastiano.
Con la differenza che se Sebastiano soffrirebbe come un cane - meritatamente, ma soffrirebbe - questo più lo sottometto e più gode. E anche io godo col cazzo piantato nel suo culo. Godo mentre mi lecca nella zona del perineo e poi l’ano, poi i piedi.
Finiamo di scopare alle quattro di mattina, mi rivesto in fretta, lo saluto dicendogli “Ciao troia” e corro verso Montepulciano.
Non voglio svegliare Sara, soprattutto perchè non sappia quanto tardi ho fatto e preferisco dormire nella mia cameretta di quand’ero ragazzo.
Mia mamma non ha mai tolto nulla di ciò che era mio.
C’è ancora il poster degli U2, le polaroid delle feste al Cherì Club durante il liceo, il modellino della Fulvia di Sandro Munari.
Prendo dal mio armadio una vecchia felpa e mi butto sul letto a dormire.
La mattina seguente quando tutti si svegliano per la colazione io sono già in cantina ad aiutare papà ad etichettare l’olio.
“Buongiorno amore, ma dove hai dormito?”
“Buongiorno! Ho dormito nella mia cameretta, ho fatto un po’ tardi e non volevo svegliarti… dormito bene cucciola?”
Cucciola? Claudio, ma stai bene? Terra chiama Claudio, Claudio rispondete. Stai diventando ridicolo.
“Dormito bene sì, ero solo un po’ preoccupata sapendoti in giro…”
“Sono un uomo responsabile, lo sai.”
“Senti noi andiamo a fare un giro per Montepulciano, tu che fai?”
“Io aiuto papà e Lucio con l’olio, ci vediamo per pranzo.”
“Ok amore a dopo.”
Sebastiano a malapena saluta. Io non rispondo al saluto.
Dopo qualche minuto lo vedo rientrare.
“Io avrei voluto dirtelo comunque. Volevo che tu lo sapessi da me.”
“Vattene.”
“Claudio ti prego non fare così. Io manco lo voglio sto figlio, io voglio te.”
“Ma ammazzati, che ci fai una figura migliore. Povero bambino, con un padre frocio e codardo come te.”
“Così mi uccidi però.”
“Magari potessi, è che per uno come te in galera non ci vado.”
“Claudio io ti amo davvero. Non posso nemmeno immaginare cosa tu stia passando, mi dispiace infinitamente. Io ti amo.”
“SPA-RI-SCI”.
Il mio urlo ha risuonato nelle volte in pietra della cantina per qualche secondo.
Quando ho alzato la testa dalle casse d’olio la sagoma longilinea di Sebastiano non c’era già più.
Ho pianto in silenzio per tutta la mattina fino all’ora di pranzo.
A pranzo ho preparato in silenzio i pici e per tutto il pranzo sono stato in silenzio, aprendo la bocca solo per farci entrare le forchettate di cibo, e in silenzio me ne sono andato a lavare i piatti in cucina.
Sara mi raggiunge immediatamente, veloce come un falco.
“Che hai.”
“Niente, Sara, è stata una mattinata un po’ così.”
“Così come?”
“Brutta.”
“Ma… hai pianto? Che ti succede amore?”
“Vedo mio fratello molto peggio dell’ultima volta, lo so che la mia presenza non risolverà nulla, però pensavo di fermarmi qualche giorno. Ho voglia di passare un po’ di tempo con lui e di assicurarmi che lui sappia che su di me può sempre contare.”
“Capisco, tranquillo, però torna presto perchè quando non ci sei mi manchi.”
Per quanto si sforzasse di rimanere positiva Sara, si capiva che soffriva di partire senza di me.
“Io allora torno su con Vale e Seba, poi quando arrivo a Milano ti chiamo ok?”
“Sì amore, va bene. Mi mancherai.”
“Anche tu…”
Baci e abbracci con Sara e Valeria, un semplice cenno della mano con Sebastiano.
“È lui il problema vero?” chiese con voce profonda Lucio.
“Sì.”
“Sono contento che rimani un po’ qua.”
“Anche se fosse un po’ molto lungo?”
“A maggior ragione.”
“Grazie fratello mio”
“E comunque lui non mi piace. Ha l’aria da grullo.”
Scoppiamo a ridere.
“Sai giocare a bestia?”
“Sì.”
“Andiamo?”
“Andiamo.”
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.0
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per Love is in the air - Montepulciano (Parte 4):

Altri Racconti Erotici in Gay & Bisex:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni