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Promiscuità - Parte Quattro e mezzo


di HegelStrikesBack
26.01.2016    |    5.098    |    5 9.8
"Ti metto sdraiato, pancia su e culo in alto..."
Dentro di te non esistono preoccupazioni, e non dovrebbero esistere neanche dentro di me visto che mi sto sfilando il preservativo dopo esserti venuto dentro, ma non è così.
Ti addormenti subito, nudo sul mio letto, privo di scuse e di giustificazioni col mondo mentre là fuori Milano tuona un temporale che lava l’anima di ogni pensiero.
Mentre ero dentro di te non esistevano preoccupazioni, ma io oggi ne avevo tante, e si vedeva che le avevi anche tu.
Ti conosco da poco ma ti so leggere come una partitura semplice, di quelle che senza grandi rudimenti di solfeggio anche il più basico dei musicisti sa interpretare.
Sei sceso dal treno e facevi fatica a salutarmi, non hai nemmeno fatto lo sforzo di venirmi a cercare tra la folla, in macchina sei stato zitto tutto il tempo.
La riunione è andata bene, e da lì ho capito che devo stare attento a te perchè sai fingere molto bene.
E poi ci siamo messi a litigare. E non lo ammetterò mai con te, perchè sono un uomo e sono orgoglioso anche io, ma mi è piaciuto fare l’offeso.
La cosa ci è scappata di mano, e per due che si conoscono da meno di una settimana ce ne siamo dette veramente tante.
La valvola a me è partita quando Elena ti ha chiamato ed eravamo a casa mia a parlare un po’ dell’organizzazione di questo esperimento giornalistico del tour.
Una telefonata con dialoghi degni di un film di Rosamunde Pilcher.
“E meno male che sei una rockstar”, ti ho apostrofato quando hai messo giù il telefono, “parli come un romanzo di Liala al telefono con la tua signora…”
La verità è che ero geloso marcio. Delle foto, del tempo che passa con te, di come ti conosce. 
Tu ti sei incazzato subito, benzina buttata su un fuoco di paglia, facendo una scena da diva di Hollywood.
Mi facevi un sacco ridere mentre sbraitavi, e più ridevo e più sbraitavi. 
Io con freddezza ribattevo appoggiato al frigorifero bevendo un bicchiere di Chianti che mi aveva regalato un caro amico toscano che ha fatto il giudice di un talent.
Volevo offrirtene un goccio qualora ti fossi calmato e avessi deciso di dialogare civilmente.
Ma mi hai fatto cadere il bicchiere, rompendolo inevitabilmente, e versando il rosso sul parquet.
Ti ho preso e ti ho spinto contro al muro.
Avrei voluto picchiarti, dartele di santa ragione perchè non ci si comporta così a casa degli altri e perchè non è ragionevole, ma io lo so perfettamente che in qualche angolo remoto del mio cuore tu sei mio e so con altrettanta impudenza che nel tuo cuore in questo periodo si sta facendo posto anche per te e sembri fare tutto per negarlo. Ma quando mi sono trovato i tuoi occhi davanti che brillavano nel semibuio dell’angolo cottura, il polpastrello del mio pollice sinistro ha sfiorato la tua guancia destra e la mia bocca ha riconosciuto la tua.
Da lì non c’è stato più nulla che potesse fermarci. Divano, libreria, tavolo e finalmente letto.
Un lampo illumina la stanza e ridisegna i tratti del tuo torace nudo seduto sopra di me mentre, finalmente, ti togli quell’inutile dolcevita beige.
Ti ributti su di me, mi hai perquisito come un terrorista, le mani ovunque, ma l’unica cosa che avrei voluto fare esplodere erano le tue palle in quel momento. 
Voglio tutto di te, ogni cosa anche la più intima e la voglio ora. E l’avrò.
Volano le scarpe contro la lampada Artemide, volano i tuoi calzini, volano i pantaloni blu e i tuoi slip.
Siamo nudi. Non possiamo nasconderci nulla.
Ricominciamo daccapo, dalla cosa che sappiamo fare meglio.
Stare nudi e complementari su un letto.
Ci siamo baciati come se il mondo dovesse finire o come se un boia domattina ci dovesse tagliare la lingua e non potessimo mai più usarla per assaggiarci, poi tu hai preso l’iniziativa e hai cominciato a succhiarmelo con foga, poi un sessantanove per non farci mancare niente ma lo sai che a me piace stupirti e piuttosto che farti la “solita” pompa ho optato per una rimmata, che hai dato segno di aver gradito con un gemito che penso abbiano sentito anche le caselle della posta nell’androne condominiale.
E da lì a farti il culo è un attimo, lo sai.
Ti metto sdraiato, pancia su e culo in alto.
Mentre entro ed esco, esco ed entro con il tuo baffetto beffardo mi hai chiesto quello che non avresti mai dovuto chiedere.
“È così che ti sei scopato la tua amichetta l’altro giorno? O sono ancora io il tuo giocattolo preferito?”.
Perdo il lume della ragione. Ti sputo in bocca e ti giro su un fianco e ti fotto come una bambola gonfiabile. La cosa non sembra infastidirti, anzi, dopo poco vieni senza nemmeno toccarti.
Raccolgo tutto con un dito e assaggio, come uno chef, mentre continuo la mia cavalcata dentro il tuo culo.
Vengo in un grido strozzato, tu mi guardi e mi dici: “L’hai capito che ti amo, vero?”.
Io rimango interdetto, se non sai cosa dire stai zitto. Tu sorridi a metà e nel tuo non capire la mia reazione ti addormenti come un infante.
Dormi, dormi amore mio, mentre la pioggia scende tutta uguale come i giorni che abbiamo passato lontani.
Dormi, mentre il grano nei campi matura, mentre la primavera gioca a nascondino ed io aspetto il tuo risveglio per poterti sorridere di nuovo.
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