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Gay & Bisex

L'estate sta finendo


di HegelStrikesBack
27.08.2018    |    15.494    |    9 9.2
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E mentre Fabrizio rifletteva sulla curiosa asimmetria che legava caos e caso - chiedendosi se ci fosse e quale fosse la relazione tra di loro e chi..."
Sabato 31 Agosto 1996.

- “E così domani torni a casa eh, piccolo?”
- “Sì, ma non mi va."

- “Come non ti va? Dovresti essere contento! Torni dai tuoi amici, a fare le partite di calcio, ricominci la scuola, ci sono i nonni…”
- “Sì, Fabri, ma non ci sei tu.”

Fabrizio rimase spiazzato ancora una volta, come accadeva dall’inizio di quel mese di Agosto 1996, dalla risposta del piccolo Gregorio. Spiazzato dalla crudele, fredda e puntuale verità delle sue parole.
Tra loro il feeling si instaurò subito, dal primo giorno.
Fabrizio, 21enne torinese, quell’anno fece la stagione come animatore per la stagione estiva in un hotel a quattro stelle dell’Isola d’Elba, a Marciana.
Qualche soldino faceva molto comodo a un giovane studente con nessun aiuto da parte della famiglia e tanta voglia di diventare qualcuno nella vita, di smarcarsi da quella mediocrità che sentiva non appartenergli.
Gregorio arrivava coi genitori da Bologna, un mese di meritate ferie per mamma e papà, un mese di tremenda noia per lui. Lui che a sette anni non legava coi bambini della sua età ma in compenso passava le giornate a parlare di cose serissime con le maestre delle elementari. Era un bambino particolare Gregorio, pensava e parlava come un adulto nel corpo di un ragazzino settenne.
Forse per questo Fabrizio rimase colpitissimo da lui.
All’inizio per Fabrizio non fu facilissimo coinvolgere Gregorio nelle attività di gruppo, nonostante lo sprono dei genitori e degli altri animatori.
Gregorio non legava più di tanto con gli altri piccoli turisti e preferiva la compagnia di Fabrizio.
Una sera, durante l’abituale animazione serale del dopo-cena, puntualmente Gregorio si isolò. Fabrizio prese coraggio e si avvicinò a Gregorio.
- “Greg, posso farti una domanda?”

- “Certo, dimmi.” disse serissimo il bambino.

- “Perchè non vuoi mai stare con gli altri bimbi a giocare e vuoi sempre stare con me. Non che la cosa mi dia fastidio eh, anzi! Mi fa tanto piacere… però non mi era mai successo.”

Gregorio si sedette su una seggiolina formato bambino del giardino del villaggio turistico e gli fece gesto di accomodarsi anche lui su una di quelle a dimensione adulto.

- “Mah, non saprei spiegarti. È che gli altri bambini mi sembrano tutti così stupidi, s’interessano a cose stupide. Tu no, con te parlo di un sacco di cose interessanti. Ad esempio, ti ricordi quando l’altro giorno mi hai parlato di quello che vuoi fare da grande? Ecco, mentre me lo raccontavi ho capito che cosa voglio fare anche io. Gli altri al massimo pensano che vorrebbero la maglia di Baggio… capisci no? Io mi preoccupo del mio futuro.”
Fabrizio lo abbracciò, divennero inseparabili durante quella vacanza.

Durante una serata di gala organizzata dall’hotel un fotografo scattò loro una fotografia: Fabrizio se ne fece stampare due copie.

- “Comunque Greg, questa è per te.”

- “Che bella Fabri. Grazie.”

Gli occhi di Fabrizio cominciarono a gonfiarsi di lacrime, ma si trattenne.
In fondo, anche se non sembrava, era lui il più grande.
- “Greg, ascoltami. Io non so cosa succederà, se l’anno prossimo sarò ancora qui, se l’anno prossimo tu sarai ancora qui… magari ci rivediamo, magari no. Io quello che voglio che tu sappia è che non mi dimenticherò mai di te e della nostra amicizia. Dietro la foto ti ho scritto anche il numero di telefono di casa mia. Ogni tanto telefonami, fammi sapere come stai, come va la scuola ok?”

Gregorio annuì e si diresse mesto verso i suoi genitori. La mattina dopo partirono presto per tornare a casa e Fabrizio non potè salutarlo un’ultima volta.
Durante i primi due anni si telefonarono prima spesso, poi ogni tanto e come accade spesso nella vita si persero.

Con un trasloco Gregorio qualche anno dopo perse anche quella fotografia, che poi alla fine non gli serviva.

Era stampata nella sua mente.
Fabrizio no, la conservò sempre dentro una scatolina di legno di cose importanti.



Mercoledì 14 Settembre 2016

Dopo la rottura del suo rapporto con Roberto, che durava da ormai quattro anni, Gregorio decise di optare per una piccola vacanza da solo a Berlino in concomitanza col suo compleanno.
Da quando si erano lasciati Greg aveva ricominciato a respirare ed ora era pronto a conquistare Berlino e a ritrovare tutte le libertà che si era negato in questi anni con Roberto: fumare, drogarsi, uscire a bere con altri ragazzi.
L’idea di cominciare daccapo e immaginare il futuro.
Quello lo aveva sempre elettrizzato fin da piccolo.
Arrivato all’aeroporto di Tegel noleggiò un’auto in car-sharing per dirigersi in hotel.
Si guardò nello specchietto retrovisore interno.
Da brutto anatroccolo, Gregorio era diventato un bel cigno, si era fatto proprio un bel ragazzo. Non altissimo, neanche magro se vogliamo dircela tutta, ma con dei lineamenti molto graziosi, i capelli mossi e scuri, gli occhi castani e un sorriso pressochè perfetto.
Si calò i Ray-Ban dalla fronte sul naso e mise in moto.
L’hotel era in pieno centro, a Fischerinsel, un quattro stelle di catena di quelli molto frequentati da businessmen per le convention aziendali.
Proprio una di queste era in corso nell’hotel, un’azienda torinese di prodotti dolciari puntava alla conquista del mercato tedesco.
Greg salì in camera a cambiarsi, pronto a tuffarsi nella capitale teutonica che non aveva mai visitato.
Optò per un abbigliamento sobrio e comodo per passeggiare un po’. Una polo bianca e dei pantaloni cargo color khaki.
Attraversò la reception dirigendosi verso la porta rotante quando una voce attrasse la sua attenzione.
Era una voce che conosceva, si fermò per cercare di capire meglio.
Non poteva essere, era sicuramente un’allucinazione sonora.
Poi, l'uomo alla reception nel suo completo blu scuro con un trolley grigio si girò e aveva il volto di Fabrizio.
Si guardarono in silenzio, per un momento che profumava di infinito.
Il momento che serve a fare matching tra i ricordi di un’estate speciale e quel viso di ragazzo ormai grande per Fabrizio.
Gregorio sorrise come a dire, che sì, sono proprio io.
Sì scusò con la biondissima receptionist, mollò tutto quello che stava facendo e senza dire una parola corse ad abbracciarlo.
Tutti li guardarono. Non capitava spesso di vedere un abbraccio così intenso e privo di parole.
I colleghi di Fabrizio pensarono che fosse un parente, un figlio, una sorpresa del genere. Che potevano saperne loro degli “indivisibili” come li chiamavano tutti al villaggio turistico.
- “Il mio Greg!” fu tutto quello che riuscì a dire.

- “Fabri…” fu tutto quello che riuscì a rispondere l’altro singhiozzando dall’emozione.
Il tempo non giocava a loro favore: Fabrizio era già in ritardo per la convention e in quella hall d’albergo avevano già dato spettacolo abbastanza.
Fabrizio tirò fuori un biglietto da visita. Amministratore delegato dell’azienda dolciaria.
- “Beh, ci sei riuscito vedo!” commentò ammirato Gregorio.
- “C’è il mio cellulare segnato, mandami un whatsapp. Appena finisco questa tortura ci vediamo. Abbiamo vent’anni da recuperare.”
Eh sì, venti lunghissimi anni li avevano separati tra Marciana e Berlino.
Gregorio uscì frastornato. 
Mai nella vita immaginò che sarebbe potuta accadere una cosa del genere, penso a quante volte avrebbe voluto cercarlo su Facebook ma non ricordava il cognome di Fabrizio.
Ricordava invece benissimo quella foto che non aveva più, quella dove sorridevano felici, il piccolo seduto sulla gamba del grande e si faceva fatica a capire che dei due fosse davvero il grande e chi davvero il piccolo.
Nell’intento di scattare una fotografia al Berliner Dom scrisse subito un whatsapp a Fabrizio. Doppia spunta blu istantanea. Fabrizio sta scrivendo.
Si scambiarono pochi monosillabici messaggi più che altro sull’orario di fine della presentazione in corso nell’hotel.
La foto di WhatsApp però tradiva quello che era il presente lavorativo di Gregorio, una cosa in meno da raccontarsi in serata.
“E così ce l’abbiamo fatta a realizzare i nostri sogni: io manager e tu col camice bianco. Sono orgoglioso di te!”
Quel messaggio fece scoppiare il cuore nel petto di felicità a Greg.
Rendere orgoglioso Fabrizio, quel Fabrizio dalle cui labbra pendeva nell’estate più bella della sua vita, che lo portava a prendere il gelato col Mehari, che lo faceva nuotare in piscina, che lo convinse persino a mangiare le verdure che detestava, era più di una gioia. Era un obiettivo raggiunto.
Gli voleva bene come a un parente stretto.
Non un padre o uno zio, forse più il fratello che Gregorio avrebbe tanto desiderato ma non ebbe mai modo di avere.
Fabrizio nel frattempo non riusciva a smettere di guardare la foto profilo di WhatsApp di Gregorio, raggiante nel cortile dell’ospedale con il camice bianco e una bella camicia azzurra. Si sentì davvero orgoglioso di quel cucciolo d’uomo che ora era diventato grande e a cui aveva voluto un bene che non pensava si potesse provare per qualcuno.
La voce della sua segretaria, Laura, lo destò da quei pensieri che lo avevano completamente assorbito:
- “Dottor Capello, tutto bene? Tra poco è il suo turno.”
- “Sì, sì Laura… non si preoccupi, ero solo sovrappensiero.”

Il nome di Fabrizio fu annunciato dal Presidente dell’azienda, si alzò, andò verso il podio e dopo un lungo respiro per cercare di mantenere calma e aplomb, fece una presentazione degna di nota in un tedesco inappuntabile.
A circa 575 km chilometri di distanza, in un taschino di un jeans color sabbia, sullo schermo di un telefonino appare un messaggio di Fabrizio con scritto “Tout c'est bien passé”.
È andato tutto bene.
Andrè estrasse il telefono, e appoggiando il bicchiere di succo sul tavolino del bistrot dove si trovava sorrise rasserenato.
Era per un sorriso di quelli che Fabrizio si era innamorato di lui, ogni volta che Andrè sorrideva sembrava domenica.
Si conobbero circa cinque anni prima durante una vacanza nel villaggio naturista di Cap d’Agde.
Un sorriso a trentadue denti, una sbronza colossale, una scopata memorabile e partì un via-vai di treni e aerei Torino-Lione per cercare di vedersi ogni volta che fosse possibile, anche se non era così spesso possibile ultimamente.
Le responsabilità di Fabrizio aumentavano e gli incontri si facevano sempre più rari. Andrè ci litigava spesso, nell’ultimo anno i weekend insieme annullati il giovedì sera o il venerdì mattina per questioni di lavoro erano stati tantissimi, ma gli occhi profondi di Fabrizio trovavano sempre il modo di farsi perdonare e il suo sorriso non poteva fare altro che arrendersi e allargarsi sulle sue guance.
Gregorio nel mentre volteggiava col naso all’insù tra le architetture varie dei siti museali di Museuminsel, goloso di arte e di un bagno di cultura; cose che Roberto non sopportava e a cui per non passare le vacanze assieme da solo, Gregorio era costretto a rinunciare.
Durante la visita la visita al museo d’arte Islamica, una notifica di Grindr fece vibrare la coscia di Gregorio. ArabTop chiedeva una sua foto.
Se ne scambiarono due, e si presentarono.
ArabTop in realtà era un ragazzo di nome Jalaal, di 24 anni che viveva in Germania da parecchi anni ma di origini persiane.
Prima di mandargli una eloquentissima foto delle sue pubenda ci tenne a specificare che in arabo Jaalal significa “grandezza” e Gregorio non potè far altro che constatare quanto a volte il destino sia scritto nel proprio nome.
Una mazza scura, venosa e completamente scappellata faceva capolino dallo schermo dello smartphone.
Preso da un improvviso imbarazzo Gregorio chiuse di scatto la schermata, assicurandosi che nessuno intorno avesse potuto ammirare quella scultura di carne che stava rinchiusa nei boxer di Jalaal.
Pur consapevole di quanto improvido fosse il suo comportamento, si disse che in fondo era andato in vacanza a Berlino, mica a Santiago di Compostela e poi in fondo che male c’era nel fare un pompino a uno sconosciuto, e gli diede appuntamento nei bagni della struttura museale.
Si mise ai lavandini, facendo finta di lavarsi accuratamente le mani. Jaalal entrò circa un minuto dopo, di una bellezza rara e indecifrabile come quella dell’arte islamica.
Sì mise a sciaquarsi le mani nel lavandino accanto a Gregorio e indicando con un cenno del capo la porta del bagno dietro di loro chiese se fosse libero.
“I think so” - credo di sì, rispose titubante Gregorio.
“It wasn’t a question” - non era una domanda, ribattè Jalaal, con una luce negli occhi che Gregorio non aveva mai visto prima.
Lo prese delicatamente per mano e si chiusero dietro la porta di quella toilette.
Jalaal lo attaccò letteralmente al muro, il rumore della testa di Gregorio contro la piastrellatura fu chiaramente udibile anche da fuori ma nessuno probabilmente vi prestò attenzione. Limonarono con foga, Gregorio più succube della situazione, Jalaal grande maestro che conduceva i giochi con sapienza. Greg lo toccava dappertutto, esplorava quel territorio inaspettato e sconosciuto.
Senza tanti preamboli nè delicatezza, Jalaal si tirò fuori il cazzo completamente eretto dai jeans attillati e spinse con poca grazia la testa di Greg fino ad abbassarlo all’altezza di quel palo di carne.
Incoscientemente, Greg fece un riepilogo rapidissimo degli uomini con cui era stato a letto in maniera più o meno promiscua e no, uno così grosso non lo aveva mai visto.
Benedisse il fatto di essere nel cesso del museo e che date le circostanze abbastanza precarie probabilmente Jalaal non avrebbe inserito quel mostro in altri suoi orifizi decisamente non preparati a dimensioni simili.
Si fece coraggio e lo prese in bocca.
Ammise a sè stesso che oltre ad essere il cazzo più grosso che aveva preso era forse anche uno dei meno puliti. Puzzava e sapeva di piscio, ma poco importava: quella cappella gli riempiva la bocca e la sua voglia di arrivare a far coincidere la sua punta del naso col pube di Jaalal era troppa.
Tentò senza successo svariate volte questa operazione, Jalaal nel mentre soffocava grida di piacere con una respirazione fortissima e talvolta mordendosi la costa del dito indice della mano destra. Più non riusciva a prenderlo tutto, più Gregorio si incapponiva nel cercare di fargli questo benedetto soffocone fino in fondo.
Provò più angolazioni mentre gli tirava delicatamente i coglioni e gli accarezzava il perineo, ma niente.
Jalaal però sembra più che contento anche così e circa quattro minuti dopo che si erano chiusi a giro di chiave dentro quel cubicolo, estrasse il suo cazzo dalla bocca di Greg e gli scaricò in faccia svariati schizzi di sperma.
Gregorio riuscì a chiudere gli occhi prima che accadesse l’irreparabile. A tentoni trovò dentro il suo zainetto Herschel color corda un pacchetto di fazzoletti con cui si ripulì alla bene e meglio. Quando riaprì gli occhi, ancora chinato a terra in posizione da pompino, Jalaal non era già più nel cubicolo.
Gregorio ci rimase un po’ male, mica che si aspettasse chissà che cosa… però almeno un bacio, un saluto, un feedback gli avrebbero fatto piacere. E invece niente.
Proseguì il suo giro per la Berlino turistica, quella di chi viene per la prima volta, mentre all’hotel si teneva la buvette post-presentazione.
Fabrizio Capello era l’uomo del momento, aveva preso in mano le redini dell’azienda dolciaria dopo la morte del figlio del presidente.
Un momento delicato da un punto di vista personale e critico economicamente per l’azienda, indubbiamente, ma le capacità manageriali di Capello, corroborate da una spiccata insensibilità quando si trattava di tagli del personale, avevano risollevato le sorti del brand dolciario torinese nel giro di pochissimi anni, dandogli poi la possibilità di assumere nuovo personale e di rivolgersi a nuovi mercati come appunto quello tedesco.
Quarantunenne torinese, dal passato abbastanza anonimo, ebbe la possibilità di frequentare la Bocconi a Milano grazie alle borse di studio basate sul merito e si laureò col massimo dei voti. Una brillante esperienza lavorativa presso il più noto brand automobilistico italiano e poi il grande successo nel mondo delle merendine confezionate.
Della sua vita privata si sapeva pochissimo, un rapporto piuttosto discontinuo con la famiglia, in particolare col fratello maggiore che non gli aveva mai perdonato di essere più brillante di lui nello studio, nelle amicizie e nelle relazioni e poi, forse, si diceva, ma sono solo voci di corridoio, nulla di confermato eh, una compagna in Francia a Lione.
Avessero saputo che era uno scrittore francese di nome Andrè Brun, alto 195, moro, barbuto, con un boxer di due anni di nome Zizou che gira per Lione a bordo di una vecchia R4 rossa sarebbero impalliditi tutti.
A Fabrizio quasi piaceva quell’alone di mistero che si era creato intorno alla sua vita e che tutti tentavano di scardinare tra ipotesi fantasiose e indizi che credevano disseminati qua e là nei discorsi che faceva.
Certo, qualche volta non poter vivere la sua omosessualità in maniera libera gli pesava, erano belli i tempi in cui poteva godersi qualche passeggiata mano nella mano con Antonio, un altro animatore del villaggio turistico dove peraltro conobbe Gregorio, o con Giacomo, il suo fidanzato degli anni di Milano.
Ora c’era Andrè, così bohemièn, libero, bello ed elegante e soprattutto lontano dalla sua vita lavorativa. Che comodità, che semplicità, prendere il volo da Torino e vivere una seconda vita, completamente libera a Lione il weekend e poi tornare ad amministrare il patrimonio delle merendine al lunedì mattina in madrepatria.
Era Andrè che cominciava a non starci più dentro, voleva di più, voleva quel piccolo casale che avevano visto insieme a Poitiers in Aquitania l’estate scorsa, voleva arredarlo insieme e andarci a vivere insieme. Scrivere lì il prossimo romanzo, fare passeggiate con Zizou e addormentarsi sul divano guardando “La mia notte con Maud” di Eric Rohmer. Era quella la vita che voleva e che Fabrizio non si sentiva pronto a dargli. Ne avevano parlato tante volte.
Che cos’avrebbe fatto poi a Poitiers o a Lione o in qualunque altro luogo? Sarebbe stato troppo difficile e rischioso reinventarsi. No, meglio così. Meglio il piede in due scarpe, se così si può dire.
Le tartine ai buffet, grazie a Dio, finiscono in fretta tanto in Italia quanto in Germania indipendentemente dal loro numero.
Fabrizio promise agli investitori tedeschi che avrebbero ricevuto una bozza dell’accordo economico nelle settimane successive, brindò col Presidente ancora una volta e si ritirò nella sua stanza per farsi una doccia e rilassarsi un attimo.
Chiamò Andrè per raccontargli tutto, gli parve pure di dimostrare un certo entusiasmo ma no, Andrè lo blocco dopo pochi minuti.
- “Che hai? Ti sento distante”.
Fabrizio rimase interdetto, non si sentiva distante, anzi… però effettivamente c’era un però.
Però Fabrizio da quando aveva visto Gregorio non riusciva a non pensarci. Parlava, rideva, faceva il businessman di stocazzo ma in un angolino del suo cervello c’era il sorriso stupito nel vederlo di Gregorio.
Un sorriso che gli ricordava tanto quello di Andrè in qualche modo.
Disse qualche frase di circostanza al povero scrittore francese, di quelle frasi pre-confezionate sulla stanchezza, e s’affrettò a chiudere dicendo che aveva solo bisogno di riposare un po’ e che magari si sarebbero sentiti dopo.
Andrè sospirò.
Un po’ se l’era bevuta, un po’ no, ma ormai ci era abituato.
Sapeva che se voleva tenerselo vicino doveva abbozzare un po’ e prendersela meno, almeno era sicuro dei sentimenti di Fabrizio.
Si fece una doccia e, avvolto nell’accappatoio bianco con il logo dell’hotel, si buttò a peso morto sul letto king size. Prese il cellulare e scrisse un WhatsApp a Gregorio.
- “Hey, che fai turista per caso?”

Di tutta risposta gli giunse un selfie dalla cupola del Reichstag con scritto “Conquisto il mondo.”
Non potè fare a meno di ridere, che sensazione di benessere gli dava Gregorio. Era così anche nel 1996, quando tutti li chiamavano “Gli Inseparabili”.
Dov’era uno, trovavi anche l’altro.
Fabrizio ci stava davvero bene con quel bambino, gli sembrava di conoscerlo da una vita, di averlo cresciuto lui. Sentiva una responsabilità nei suoi confronti, lo faceva sentire adulto e responsabile e viceversa a Gregorio piaceva sentirsi a suo pari. Maturo, responsabile e ligio al dovere.
E ridevano, quanto ridevano!
A Gregorio piaceva tantissimo l’umorismo goffo di Fabrizio e Fabrizio impazziva per la serietà con cui Gregorio parlava, da adulto consumato e vissuto.
- “Io sono stanco morto, ti va di fare una cosa estremamente rilassante stasera?”

- “Ok, hai già qualche idea?”

- “Sì sì, fatti trovare pronto nella hall alle 19 che poi a te ci penso io. Ah, mettiti il costume da bagno.”

- “A Berlino? A metà settembre?”

- “Tranquillo che non ti faccio fare il bagno nella Sprea. Fidati.”

Alle 19 in punto, Gregorio era già da dieci minuti pronto nella hall, seduto su un divanetto che aspettava Fabrizio.

Costume da bagno voleva dire estate per Gregorio, ma i 13 gradi di Berlino di sera lo fecero optare per un maglioncino di cotone e un jeans e ovviamente, come da indicazioni, il costume sotto.
L’ascensore si aprì e ne uscì Fabrizio, raggiante, con uno di quei piumini leggeri detti “cento grammi”, t-shirt, pantaloni attillatissimi che stampavano delle gambe meravigliosamente tornite dallo sport e un paio di sneakers firmate. 

Gregorio si alzò di scatto al divanetto e si diresse ammutolito verso Fabrizio.

- “Forza, forza! Che fuori c’è il taxi che ci aspetta”, disse cingendo le spalle di Gregorio col braccio.

Salirono assieme; in tutto questo Gregorio, rapito dalla situazione surreale, non era riuscito a dire una parola.

- “Bei Tempodrom, bitte.”

- “Adesso mi dici dove stiamo andando?” chiese Gregorio curioso come una scimmia.

- “Hai mai sentito parlare del Liquidrom?”

- “No, cos’è?”

- “È una SPA costruita all’inizio degli anni duemila all’interno di una ex stazione ferroviaria, l’Anhalter Bahnhof.”

Gregorio rimase basito, si sentiva coccolato da Fabrizio come vent’anni prima.
Quella sensazione di cieca fiducia, di benessere e il senso di protezione che quel ragazzo gli procurava.
Si trattenne a stento dalla voglia di appoggiare la testa sulla sua spalla.

Arrivarono, si spogliarono, entrambi avevano già il costume sotto. 

Successe qualcosa di strano in quello spogliatoio, a cui nessuno dei due diede importanza nell’immediato: per la prima volta Gregorio vide Fabrizio come un uomo e Fabrizio vide Gregorio come un uomo.

Quella forma in cui uno aveva idealizzato l’altro, quella di vent’anni prima, cadeva insieme ai loro vestiti.
Entrambi pensarono per un secondo un apprezzamento sul corpo dell’altro, ma quel pensiero osceno fu scacciato alla velocità della luce sia dall’uno che dall’altro.
Durante il bagno nelle piscine salate Fabrizio potè ammirare lo sguardo stupito di Gregorio nello scoprire che con la testa sott’acqua si sentiva musica techno e il ragazzo si beò del sorriso sornione dell’amico di vent’anni fa.
- “Che dici di un giro in sauna?”

- “Va bene, ma quel costumino striminzito devi togliertelo per entrare” lo beffeggiò Fabrizio.

Si videro completamente nudi per la prima volta.
Non che ci fosse chissà che cosa da vedere da parte di entrambi, due cazzi assolutamente nella media per lunghezza e circonferenza.
Quello di Fabrizio con la peluria molto curata, quello di Gregorio un po’ più “sauvage”.
Lo sguardo cadde a entrambi sulle grazie dell’altro, ma nessuno dei due ci fece troppo caso in quel momento.

La cosa che fece strano a Gregorio fu la sensazione di assoluta naturalezza che ebbe nello spogliarsi davanti a Fabrizio, lui che faceva l’amore con Roberto con la T-Shirt addosso per non spogliarsi mai del tutto, ma diede la colpa al tempo.
Ma sì, in fondo si conoscevano da vent’anni, doveva essere per forza quello.
A Fabrizio invece fece un effetto davvero strano spogliarsi davanti a Gregorio, sentiva come un retrogusto di pudicizia nel farlo, come spogliarsi davanti ad un bambino.
Forse perchè, in fondo, lo vedeva ancora così.
Ma guardandolo con tutta la minchia al vento si rese conto che no, non era più un bambino anzi, era proprio un bel ragazzo mannaggia a lui.
Durante la sauna nessuno parlò, poi colti da un attacco di fame uscirono di corsa a cercare l’imbiss più vicino dove sfondarsi di würstel, senza doppi sensi.
Dopo aver ordinato cominciarono col raccontarsi gli ultimi vent’anni.
Cominciò Gregorio e scattò subito la domanda a bruciapelo di Fabrizio.

- “Perchè ad un certo punto hai smesso di chiamarmi?”

- “Perchè ho perso il tuo numero di telefono durante un trasloco…”

- “Stai dicendo che hai perso la nostra foto insieme?”

- “Eh purtroppo sì, ma è stampata qua. Nella mia mente.” 

Nel dirlo, a Gregorio venne automatico abbassare la testa, come si vergognasse di aver dedicato un angolo della sua mente ad una persona che pensava non avrebbe mai più rivisto mentre Fabrizio ci rimase decisamente male ma non lo diede troppo a vedere.
Poi gli raccontò del liceo, della scoperta della sua sessualità e del primo fidanzatino, Stefano.

- “Beh questa sì che è una sorpresa…”

Lo stupore di Fabrizio era davvero genuino.
Non avrebbe mai detto che Gregorio fosse gay e si sentì improvvisamente in pericolo.
Il timore non era tanto che Gregorio ci provasse con lui, quanto che questa forma di affetto che lui stesso aveva nei confronti di quel ragazzo potesse minare il rapporto con Andrè.
E lui, a dispetto del suo non volersi impegnare, Andrè lo amava davvero.
Gregorio continuò poi a raccontare del fatto che era entrato a Medicina, che aveva mollato il calcio e di un sacco di altre cose che Fabrizio non ascoltò, assorto com’era nella sua paura di prendersi una cotta per Gregorio.
Così bello, dolce, da proteggere.
Qualche tavolo più in là Jalaal in compagnia di due amici si godeva la scena di Gregorio che gesticolava parlando con quell’altro bel maschietto al tavolo e decise di scrivergli un messaggio su Grindr.

“R u enjoying your dine out with ur sugar daddy? U get me horny.”
Il cellulare di Greg emise il suono della notifica, lo estrasse e lesse come se stesse leggendo un qualsiasi WhatsApp.
Improvvisamente avvampò di vergogna.

Jalaal chiedeva se si stesse divertendo a cena col suo sugar daddy e gli diceva di essere eccitato dalla scena.
Cercando di mantenere i nervi saldi, Gregorio si guardò attorno e incrociò per un secondo lo sguardo di Jalaal.
“Meet u at the gents bathroom in a min”
Quello spregiudicato, vedendolo a cena con un altro uomo gli dava addirittura appuntamento nel bagno degli uomini tra un minuto. 

Fabrizio vedendolo parecchio turbato chiese se andasse tutto bene.
- “Scusa Fabri, è mia mamma… vado un secondo a chiamarla”

Si diresse verso l’uscita ma imboccò il corridoio dei bagni.
Un attimo dopo s’alzò anche Jalaal e lo raggiunse.

Stessa dinamica della mattina al museo.
Una sciacquata alle mani, uno sguardo complice e via a chiudersi dentro il cubicolo.
Questa volta Greg, molto più sul pezzo che al mattino, prendeva iniziative e abbassava i pantaloni di Jalaal e gli estraeva il cazzo dai boxer come non avesse fatto altro per tutta la vita.
Non lo guardò nemmeno e se lo mise immediatamente in bocca.
Mentre quel bel cazzone arabo compiva un osceno dentro-fuori dalla bocca di Gregorio, tre bussate richiamarono la sua attenzione.
Jalaal senza nemmeno scomporsi o spostarsi allungò una mano verso la chiave, la girò e aprì la porta, senza neanche distogliere lo sguardo dal viso di Gregorio che, impaurito come non mai, non riusciva però a staccarsi da quel palo di carne.
Entrarono altri due ragazzi arabi, dell’età circa di Jalaal.
Uno, basso, tarchiato dal cazzo non lunghissimo ma decisamente largo, l’altro più muscoloso e con una dotazione molto simile a Jaalal.
Fadi e Tamam erano i loro nomi, ma questo Gregorio non ebbe mai modo di saperlo.
Anche loro, come immaginabile, si cacciarono fuori il cazzo e lo sbatterono molto poco delicatamente sulla faccia di Gregorio.
Lui che pensava di essere a cena con l’amico appena ritrovato, si era invece - suo malgrado - riscoperto una grandissima puttana succhiacazzi, con tre cappelle arabe da soddisfare in ginocchio nel cesso di un imbiss.
Nell’attesa che Gregorio ritornasse al tavolo, Fabrizio pensò intanto di farsi una salutare pisciata. Entrò nel cesso degli uomini e si diresse immediatamente agli orinatoi a muro, li preferiva decisamente ai bagni chiusi, erano più igienici a suo dire.
A cazzo in mano e pisciata in corso, sentì dei mugolii decisamente inequivocabili provenire dal cubicolo chiuso.
“Ah però, qua qualcuno si sta divertendo parecchio… beato lui!” ebbe da pensare tra sè e sè e con un sorrisetto tra il compiaciuto e l’invidioso torno a sedersi al tavolo.

Pochi minuti dopo i tre arabi vogliosi scaricano le loro sborrate sulla faccia e nella bocca di Gregorio.
Lo guardarono compiaciuti e aggiunsero:
-“That’s how we welcome bottoms in Berlin. Have a nice stay.”

Ecco come accogliamo i passivi a Berlino. Buona permanenza.
E sghignazzando uscirono tutti e tre, lasciandolo dentro una latrina ricoperto di seme.
Fortunatamente c’era un po’ di carta igienica per pulirsi, sai che imbarazzo uscire con la faccia glassata come un donut?
Si ripulì alla bene e meglio, uscì, si sciacquò il viso e tornò a tavola.

Fabrizio nulla sospettava e la cena riprese tra una chiacchiera e l’altra.
Tornarono in albergo con una lunga passeggiata, faceva freddo ma il cielo era terso e pieno di stelle.
A vederli da fuori potevano sembrare qualsiasi cosa: una coppia, padre e figlio, due fratelli.
Certo era il loro affiatamento, tangibile anche da chi li avesse visti la prima volta.
Più volte durante la passeggiata Gregorio aveva tentato di aprire un varco nella vita privata di Fabrizio, ma le risposte erano state incredibilmente evasive.
Un po’ la forza dell’abitudine, un po’ che Fabrizio sapeva di essere seduto su una polveriera. Gregorio non gli era mai stato indifferente.
Chiaro, prima era un bimbo e come tale gli poteva solo che suscitare affetto ma ora, cazzo ora era tutto diverso!
Gregorio era un uomo ormai, e che uomo, però aveva ancora dentro quelle cose, quei modi di fare che lo avevano fatto affezionare.
E come poteva fare una cosa del genere ad Andrè, che paziente come una Penelope moderna, lo aspettava a Lione per accontentarsi anche solo di trentasei ore di amore e coccole?
Scoprirono di avere la stanza sullo stesso piano, uno la 314, l’altro la 343.
Scesero dall’ascensore, Fabrizio accompagnò Gregorio davanti alla porta della sua stanza.
Non disse nulla, lo guardò negli occhi e si capirono.
Ora Gregorio non aveva più bisogno di sapere nulla del privato di Fabri. Gli sfiorò una mano e con una scarica elettrica che lo attraversava dalla punta dei capelli alle dita dei piedi lo baciò sulle labbra.
Fabrizio, anche se nella sua testa avrebbe voluto e avrebbe dovuto, non si scostò e anzi rincarò la dose.
Lo baciò, un bacio vero stavolta, appoggiati contro la porta della matrimoniale standard ad uso singola numero 314.
Sorridendo beato Gregorio disse:
- “Magari entriamo, che dici?”, l’altro rise. 

- “Sì, entriamo.”

Entrarono baciandosi ancora, ancora e ancora.
Si ritrovarono nudi come al Liquidrom, con la differenza che questa volta l’uno spogliò l’altro, senza mai smettere di baciarsi.
Fabrizio buttò letteralmente Gregorio sul letto a pancia sù, poi come un felino, gattonando gli si mise sopra, poi seduto sulle ginocchia fino a infilargli il membro in bocca.
In erezione quello di Fabrizio era curvato verso il basso e per lui quella era la posizione più goduriosa.
A Gregorio venne da ridere pensando che quello era il quinto pompino della giornata, ma alla fine gli parve che questa Berlino fosse proprio una bella città per una vacanza da single. Si scambiarono un po’ di preliminari.
Non si chiesero i rispettivi ruoli ma a Gregorio fu chiaro che Fabrizio fosse decisamente attivo data la sua scarsissima attitudine al praticare sesso orale.
Di sua spontanea volontà Gregorio si mise a pancia su e gambe all’aria come dire “forza, entra” e Fabrizio non se lo fece ripetere due volte.
Prese un profilattico dal portafogli, ne teneva sempre uno che non si sa mai, lo infilò, diede due belle slinguate al culo di Gregorio ed entrò senza difficoltà.
Ebbe un attimo di premura nel chiedergli se andasse tutto bene, ma l’espressione soddisfatta di Gregorio non lasciava spazio a repliche quindi cominciò ad affondare i suoi colpi in quello sfintere giovane e carnoso.
Fu dopo una manciata di colpi che Gregorio, disteso, appagato e rilassato si lasciò andare del tutto gemendo e toccandosi il cazzo duro.
Fabrizio, però, riconobbe quei gemiti. Erano gli stessi che aveva sentito dentro al bagno dell’Imbiss.
Si staccò di colpo, colto da un immotivato tanto quanto ingestibile attacco di gelosia.
Succede così, evidentemente, al maschio alfa quando scopre che la preda non è solo sua.
Immaginava che Gregorio avesse avuto le sue esperienze nella vita, cazzo, lo succhiava come un professionista!, ma l’idea che si fosse chiuso in bagno a scopare mentre era a tavola con lui, questo no.
Questo era davvero troppo.
Sotto lo sguardo attonito di Greg si rivestì in fretta e furia.
- “Si può sapere che succede? Va tutto bene?”

- “Beh, diciamo che scopare mentre sei a cena con me non è il massimo dell’eleganza no?”

Gregorio non si era mai vergognato tanto, doveva averlo scoperto ma non si sapeva spiegare come. Fabrizio lo anticipò.

- “Ho riconosciuto i gemiti che ho sentito quando sono entrato a fare pipì mentre eri al telefono con tua madre… spero che ti sia divertito almeno.”

E uscì sbattendo la porta. Gregorio stava per mettersi a piangere, come poteva aver rovinato tutto così, per tre sconosciuti che gli hanno sbattuto la minchia in faccia.
Poi, come ridestandosi da un sogno, da una visione, si ricordò che quello era Fabrizio e non il suo ex fidanzato Roberto e che no, non gli doveva proprio nessuna spiegazione.
Era single, era libero e poteva scopare con chi cazzo gli pareva.
Se a Fabrizio non andava bene poteva anche tornarsene nell’oblio di vent’anni da cui era venuto.
Si girò dall’altra parte e senza nessuna difficoltà prese sonno in pochi istanti, senza nemmeno mettersi una sveglia per il giorno seguente.
Chi invece non aveva affatto sonno dopo gli avvenimenti della serata era Fabrizio, che si rigirava come una polpetta nel pangrattato all’interno del suo letto queen size.
Occhi sbarrati, cellulare di fianco.
Si rese conto di essersi cacciato in un casino più grande di lui.
Un fidanzato a casa che lo aspetta, un ragazzo per cui avrebbe dato la vita che ritrova dopo vent’anni e con cui finisce a letto e senza una valida motivazione si ingelosisce per il fatto che questo ragazzo in serata ha consumato altri rapporti.

E perchè non avrebbe dovuto, in fondo? Era forse un appuntamento galante il loro? Chiaro che no. Era forse in programma di finire a letto insieme? Assolutamente no. Anzi, Gregorio non sapeva nemmeno che Fabrizio fosse omosessuale.
Tanto poco ci mise a rivestirsi in camera di Gregorio, tanto poco, dopo averci riflettuto lucidamente su, ci mise ad ammettere a se stesso di essere un coglione.
Un po’ di più gli ci volle ad ammetterlo nei confronti di Gregorio a cui mandò un laconico messaggio con scritto: “Sono un coglione. Scusa.”
La risposta fu lapidaria. “Sì.”
Non scusa, sì.
Il giorno seguente quando Fabrizio lesse il messaggio, intorno alle 13:30, si sentì morire.
Aveva rovinato tutto, proprio adesso che il fato li aveva fatti ritrovare dopo vent’anni a Berlino, dopo che il destino li aveva rimessi vicini e complici ecco che per una cazzata si rovina tutto.
Per un non-detto, per un non-chiesto.
Per una reazione incontrollata o per delle scuse tardive mandiamo tutto a puttane.
Non si perse d’animo, come mille altre volte nella vita, e si decise a fare qualsiasi cosa fosse in suo potere per riprenderlo.
Non poteva perdere Gregorio per la seconda volta.
Non servirono le scuse, non servirono i cioccolatini (“a uno in dieta? Ma come gli è venuto!”) e nemmeno i fiori (“dio quanto li detesto”) ma solo la sincerità, con un buon cavallo di Troia. Con la T maiuscola.
Due giorni dopo in tardo pomeriggio bussarono alla porta di Gregorio.
Una voce femminile ed ammaliante diceva “Room service” al di là della porta in laminato finitura mogano.
Gregorio non aveva ordinato nulla ma aprì lo stesso, forse proprio per dire alla gentile signorina che doveva esserci un errore.
Fabrizio le infilò venti euro in tasca e, una volta aperta la porta, la fece sparire ed entrò nella stanza di Gregorio.
Gregorio lo guardò allibito.
- “Esci.”

- “Adesso tu mi ascolti, cazzo” disse Fabri battendo un pugno sul tavolo-scrivania di fronte al letto.
Gregorio apprezzò inaspettatamente la mossa: deciso, sicuro, virile. Così doveva essere il suo uomo.
- “Senti, io l’altra sera ho sbagliato di grosso. Non spetta a me giudicare con chi stai, con chi vai, perchè ci vai e quando ci vai. Non dovevo andarmene, non dovevo incazzarmi, dovevo - semmai - sedermi accanto a te e parlarne.”

- “Anche perchè per tutta la cena hai omesso di dirmi che sei gay… quindi come avrei mai potuto immaginare che sarebbe finita così tra di noi? Credi che se lo avessi saputo lo avrei fatto? Di andare in bagno con quelli?”
- 
“Buon Dio, plurale addirittura…”
- “Sì erano, tre. È un problema Fabrizio? Ascoltami bene tu, io non sono più il bambino che hai conosciuto all’Isola d’Elba. Non ho più bisogno di un tutore, di un maestro o di qualcuno che mi protegga. So cavarmela benissimo da solo, come me la sono cavata benissimo vent’anni senza di te. Io voglio qualcuno che mi cammini accanto. Non davanti, nè dietro.”
- “Io vorrei solo che tu capissi…”
- 
“Cosa devo capire? Santo Cielo, Fabrizio! Ho quasi trent’anni per Dio!”
- “Io vorrei solo che tu capissi che ero geloso! Cazzo!”
Urlò di nuovo e sbattè nuovamente il pugno sul tavolo.
Si fece pure male, ma fu bravissimo a non darlo a vedere.
- “Geloso… ma… Fabrizio senti, non esageriamo dai.”
- “Sì geloso. Geloso di pensarti con un altro, anzi con degli altri, quando tutto quello che desideravo era stringerti, abbracciarti, riempirti di baci, fare l’amore. Trattarti come meriti, non come una sgualdrina.”
- “Ma la smetti di insultarmi?”
- 
“E tu la smetti di fare finta di essere indifferente a quello che ti sto dicendo, dannazione? Dammi una possibilità. Una sola.”
- “Una possibilità di cosa?”
- “Di dimostrarti che a te ci tengo.”
Gregorio sbuffò, non capiva se era il suo orgoglio a cedere o la sua pazienza che stava crollando per sfinimento.
- “Una cena. Nulla di più. Poi starà a me dirti se è il caso di separare ancora le nostre strade o meno.”
- “Ci sto, a malincuore, ma ci sto.”
- “Ah, il ristorante lo scelgo io.”
La cena alla Berlin Fernsehturm - pessima, peraltro - fu la prima di una serie di episodi di coppia in quel di Berlino.
Rimanevano solo due giorni fino alla partenza di entrambi e li spesero al meglio, tra raptus d’amore e turismo spicciolo.
Quello che non avevano calcolato è che un innamorato geloso fa pazzie.
E nella fattispecie quello che non avevano calcolato era che Andrè, non sentendo per nulla Fabrizio da tre giorni, si presentasse a Berlino nel loro hotel.
Era stato Fabrizio a dirgli in che hotel avrebbe alloggiato, ma mai avrebbe anche solo immaginato che si verificasse questa serie infinita di imprevisti.
Non si erano fatti promesse i due inseparabili, semplicemente decisero di scendere mano nella mano lo scalone dell’hotel per l’ultima volta prima che le loro vite, forse, li dividessero di nuovo.
In fondo allo scalone, con sguardo triste, Andrè li aspettava.
- “Fabri, nous avons besoin de parler, tu ne pense pas?”
- “Oui.”
Ammise colpevole a quella richiesta di parlare.
Improvvisamente Gregorio capì tutto. Pure troppo.
Avrebbe potuto fare una scenata di quelle melodrammatiche che tanto gli piacevano ma la sua dignità ora vinceva su tutto.
In silenzio, senza farsi notare salì di sopra, nella sua stanza 314, mise tutti i suoi bagagli nella valigia, la chiuse e se ne andò senza farsi vedere.
Montò sul taxi, diede direttive di andare in aeroporto, e una volta che la macchina si fu avviata, si lasciò ad un pianto silenzioso.
Il tassista, un ultracinquantenne con baffoni alla “Birra Moretti”, in un inglese stenterello, chiese cosa ci fosse che non andava.
E come glielo poteva spiegare tutto questo Gregorio? Come poteva spiegargli che l’amore è complicato, che le relazioni umane sono imprevedibili e fragili, fragilissime.
Proprio ora che erano lì per riprendersi e dovevano riperdersi.
Chissà se ci sarebbe stato un tempo, un’età tutta per loro, dove finalmente avrebbero potuto essere davvero di nuovo gli inseparabili.
Andrè non fece scenate di gelosia, tutt’altro.
Aveva un approccio molto analitico alla questione, stava cercando di capire perchè Fabrizio lo avesse tradito.
Non fu mai così sincero nella sua vita Fabrizio come quella sera con Andrè.
Gli disse la verità, che preso come era dal lavoro, dalla sua vita a Torino, dai suoi impegni… ecco, in quel frangente temporale Andrè non gli mancava per nulla.
Non sentiva la necessità di un rapporto stabile durante la settimana, poi il venerdì staccava, tornava a casa solo e allora sì, lì sì che avrebbe voluto un uomo accanto.
Uno che si prendesse cura di lui, che lo facesse sentire importante non solo per i bilanci da far quadrare, per una strategia di marketing o qualcos’altro.
Perchè era lui punto e basta.
E Dio, come gli piaceva svaccarsi sul divano con la testa appoggiata sulle gambe di Andrè e Zizou da accarezzare guardando un film.
Però improvvisamente con l’avvicinarsi del lunedì quel pensiero svaniva e anzi, Andrè e la vita che con lui conduceva diventavano quasi un intralcio. E allora che fare, come comportarsi? Andrè se la sarebbe sentita di essere la ruota di scorta del weekend? E ancora per quanto poi? Un anno, due anni, cinque anni?
Quando sarebbe capitato che sceso dal volo per Lione Andrè gli avrebbe confessato che quello era il loro ultimo weekend perchè stava frequentando un altro uomo, magari più semplice, più disponibile, presente e meno egoista di lui?
Andrè tacque per tutto il tempo che Fabrizio ebbe da parlare, facendo cenni di assenso.
Si dispiacque parecchio di ciò che aveva sentito, non comprendeva, lui non la pensava così.
- “Sarà che quando sono con te anche le cose più stupide sembrano bellissime. Mentre quando non ci sei, anche le cose che dovrebbero essere bellissime sembrano stupide. Vuote. Senza senso.”
A Fabrizio costava molto dare quel dolore ad Andrè, lo amava parecchio. Ma a modo suo e i due modi non coincidevano.
Andrè fece un respiro profondo e chiese di Gregorio.
Voleva capire se fosse importante o semplicemente un’evasione, un’ora d’aria dalla loro strampalata vita di coppia.
Fabrizio gli raccontò tutta la storia e facendolo gli si bagnarono gli occhi di lacrime. Quanto, quanto era importante per lui quel ragazzo.
Almeno quanto il dolore che provava in quel momento.
- “E adesso, che si fa?” chiese lo scrittore francese.
- “Vedi Andrè, il problema è che l’amore cammina sulle nostre gambe. E le nostre gambe sono un po’ troppo fragili. Più lui è grande, più pesa. E più pesa e più noi fatichiamo. Io non so se ce la faccio a faticare ancora e soprattutto non so se tu meriti di faticare ancora tanto.”
Andrè, nella sua giacca verde militare, non riusciva nemmeno ad odiarlo Fabrizio. Come avrebbe potuto davanti a tanta sincerità, davanti a tanta onestà?
Si congedò, si diedero un ultimo bacio lieve come un cerino che si spegne.
Fabrizio lo strinse a sè e gli diede un bacetto sulla fronte.
- “Dai un bacio a Zizou da parte mia ok? Abbi cura di te Andrè. Cerca di essere felice, lo meriti molto più di me.”
Il francese sparì nell’oscurità della sera fuori dalla porte girevole dell’albergo.
Ora veniva la parte più difficile, recuperare con Gregorio.
Fabrizio si girò e non lo vide dove lo aveva lasciato pochi istanti prima.
O almeno così lui credeva, ma quando lo sguardo si spostò sul quadrante del suo Apple Watch, si rese conto che il chiarimento era durato più di due ore.
Corse al terzo piano a bussare alla porta di Gregorio, la 314. Ma nessuno, nonostante l’insistenza, aprì.
Fabrizio, impanicato, cominciò a tempestarlo di WhatsApp per sapere dove fosse, come stesse, cosa stesse succedendo.
Nessuna risposta. 
Greg, nel mentre cercava di cambiare il biglietto con quello per il primo volo Lufthansa disponibile per l’Italia, qualsiasi destinazione sul suolo nazionale andava bene.
Si sarebbe arrangiato da lì a tornare a casa.
Il ding-ding delle notifiche cominciava ad infastidirlo, sapeva che era Fabrizio e non aveva nessuna intenzione di leggere quei messaggi e meno che mai di rispondergli.
Modalità aereo on e via.
Fabrizio nel mentre si catapultava nella hall a chiedere notizie.
Senza mai alzare gli occhi dal monitor del computer il biondino slavato della reception disse che il signor Castaldini se ne era andato circa un’ora e mezzo fa, ha lasciato anticipatamente l’hotel.
Si fece chiamare un taxi e corse all’aeroporto per cercare di fermarlo.
Non vi riuscì, quando Fabrizio arrivò in aeroporto Gregorio si era già imbarcato su un volo per Milano.
Passò la notte a cercare tutti i “Castaldini” sulle pagine bianche di Bologna per provare a rintracciare all’indomani Gregorio che - non a torto - aveva smesso di rispondere a telefonate e messaggi.

Volò fino a Torino col cuore in gola, cambiò la valigia con un borsone di cose pulite e prese il primo Frecciarossa per Bologna.
Dopo una serie di telefonate la signora Silvia Castaldini confermò che sì, il suo Gregorio abitava lì, ricordò Fabrizio e fu perfino felice di sentirlo.
La sera stessa Fabrizio era sotto il loro portone ad aspettare che Gregorio tornasse.
Lo vide scendere da un tassì, il cuore gli esplose in gola dalla gioia.
Il giovane dottore invece rimase quasi paralizzato, prese la sua valigia dal bagaglio e si diresse verso il manager.
- “Si può sapere che ci fai qui?”

- “Credo di doverti delle spiegazioni.”

Gregorio appoggiò le valigie in casa e poi scese di nuovo su Via Mazzini.

- “Che ne dici di fare due passi?”

- “Sì, mi sembra una buona idea.”

Fu una passeggiata breve la loro, si fermarono a chiacchierare sulle panchine dei Giardini Margherita dove Fabrizio diede motivazione di tante cose e Gregorio le ascoltò tutte.

- “La verità, Fabrizio, è che il tempo ci ha cambiati. Siamo cresciuti entrambi, non siamo quelli di vent’anni fa. Vedi, siamo come le foglie che sono cadute da quegli alberi sul viale: non puoi ridarle al loro ramo. È la natura. Va così. Io voglio conservare quel ricordo, quello dell’estate del novantasei. Quando io ero un bambino ignaro del mondo e tu un uomo che ancora non sapeva che cosa sarebbe diventato.”

- “Figurati non lo so neanche adesso che cosa sono diventato.”

- “Guardati dentro, tira il fiato, smettila di correre. La risposta la sai. Io ho un modo troppo diverso dal tuo di vedere l’amore e la vita in generale… e poi ho finito di soffrire da poco, non so se sono pronto a ributtarmi in un’altra relazione. Devo imparare ad amare davvero me stesso, prima di potermi fare amare da qualcun’altro.”

Fabri lo guardò e, con la stessa intensità di quella sera all’Elba, lo abbracciò fortissimo.
Entrambi si commossero, potevano rimanere amici o scomparire nella nebbia dell’oblio un’altra volta.
Solo il tempo gli avrebbe dato una risposta.

- “Ti accompagno a casa” disse premuroso Fabrizio.

- “No, non occorre. Vai a dormire, sarai stanco morto. Io mi faccio una cannetta e poi vado a nanna.”

- “Allora ci sentiamo?”

- “Può essere, chissà.”

- “Arrivederci Dottor Castaldini.”

- “È stato bello rivederla Dottor Capello.”

La schiena di Gregorio si allontanò lentamente lungo i viali di Bologna fino a scomparire del tutto; Fabrizio si riprese non senza una certa fatica poi chiamò il noleggio con conducente che lo aveva accompagnato all’Excelsior in mattinata.

Mentre la Mercedes scura scivolava nel centro storico Fabrizio ripensò a tutta questa storia strana e piena di incognite.

Troppe incognite, risolverle tutte era un lavoro troppo difficile per poter essere semplicemente opera del caso.

E mentre Fabrizio rifletteva sulla curiosa asimmetria che legava caos e caso - chiedendosi se ci fosse e quale fosse la relazione tra di loro e chi dei due determinasse l’altro - gli tornarono in mente le parole di Andrè durante una conferenza stampa. 

“Se il mondo ha una coscienza, allora deve avere anche una volontà. E, se ha una volontà, non può esistere il caso.”
"
Il caso non esiste", sussurrò. Sorrise sornione.
Guardò Via San Vitale e vide Lione, Cap d’Agde, la libreria dove gli aveva detto ‘ti amo’ la prima volta, lo sguardo spettinato di Andrè.
Sentì che lui lo afferrava e lo trascinava alla ricerca del pozzo dei desideri e avvertì un’insolita vibrazione.
Un senso di distacco.
Non dolore, ma vuoto. Assenza.
Una momentanea perdita di coscienza, come se qualcuno avesse premuto un interruttore e, per qualche secondo, lui fosse scomparso dal sonar del tempo.

“Ci siamo” pensò. “Il punto dove tutto finisce.”

Fu in quel momento che, riflesso nella filigrana scura del finestrino della Mercedes, Fabrizio ritrovò il suo sorriso.
Lo stesso che gli era caduto dalla tasca alla fine dell’estate millenovecentonovantasei.
L’auto si fermò davanti all’albergo.
Il portiere in livrea aprì la porta e Fabrizio entrò nella hall.
- “Buonasera” disse al ragazzo della reception.
- “Buonasera.”

- “Capello, c’è una prenotazione.”

- “Certo dottore, la stavamo aspettando. Un documento per favore.”
- “Certo, ecco.”
Fabrizio estrasse dal portadocumenti il passaporto, insieme ad esso uscì anche la foto di lui e Gregorio nell’agosto 1996.
- “Io quello che voglio che tu sappia è che non mi dimenticherò mai di te e della nostra amicizia. Perchè tu ti ricordi per sempre che siamo due. Che siamo noi due. Così quando ci sentiremo giù, le guarderemo queste foto e ci ricorderemo che non siamo soli… Io ci sarò, Gregorio. Sempre.”
- “Come dice, dottore?”
- “Niente, niente.”

- “Bene, abbiamo fatto. Una firma qui prego.”

Fabrizio firmò, mentre l’altro trascriveva gli estremi del passaporto.

- “Buonanotte, allora.”

- “Di nuovo buonanotte.”
La stanza era perfetta. Il panorama su Bologna sublime.
L’aria, fresca come l’aveva sempre cercata senza trovarla mai.
La città bussava dai vetri, i pensieri dal cuore.
Dormire? Un’inutile pretesa della biologia, la sua anima era altrove.
Gli occhi cercavano i led rossi dell’orologio del decoder ogni venti minuti fino alle cinque del mattino.
Fabrizio sedette sul letto, ravviò i pensieri e decise che avrebbe fatto ciò che ogni voce di quella giornata chiedeva.
Identificò il telefono, sollevo la cornetta e compose il numero.
Il telefono squillò.

- “Oui?” rispose una voce maschile rotta dal sonno.

Ci fu un lunghissimo attimo di silenzio.

- “Hallo?”

- “Ciao…”

- “Ma chi è?”

- “Sono io.”

- “Fabrizio? Ma che cosa? Che ore sono?”

- “Le cinque e venticinque.”

- “Che succede?”

- “Niente.”

- “E mi hai chiamato per dirmi questo?”

- “No, Andrè. Ti ho chiamato per dirti che dobbiamo parlare. Io e te. Noi..."
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