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Gay & Bisex

Love is in the air - Paris (PARTE 1)


di HegelStrikesBack
09.11.2017    |    8.014    |    9 8.7
"“Certo che è proprio magica Parigi, ha un’atmosfera romantica anche senza volerlo…” dice trasognante Sebastiano..."
“Come sei in ospedale? Sei caduta in moto? Arrivo subito cazzo.”
Sono Claudio Crociani, ho 46 anni, sono direttore creativo in un’agenzia di comunicazione di Milano e giovedì non partirò per Parigi perchè la mia ragazza è caduta in motorino. Ah, e oggi è Martedì.
Sono nato a Montepulciano nel 1971, poi a cavallo tra gli anni ottanta e novanta sono stato adottato dalla rampante Milano-da-Bere, scambiando infaustamente le colline d’uve e vigneti e la vita rilassata della Valdichiana per il glamour, il traffico infernale e il nebiün. Ho studiato e sempre lavorato qui, all’università conobbi Barbara: bella, intelligente, ricca da fare schifo e molto impostata. Ci siamo sposati e nemmeno tre anni dopo il matrimonio l’ho trovata a letto col chirurgo plastico che le aveva pompato le tette qualche mese prima. Niente figli, per fortuna.
Dopo un lungo periodo di apatia generale - del cuore, non del pisello - ho conosciuto Sara, la mia compagna attuale. Maestra alle scuole elementari, classe 1984, frizzante, esuberante, allegra, spensierata, una ventata d’allegria che è entrata nella mia vita coi suoi occhi verdi e i suoi capelli ricci ricci e le sue tettone. Naturali.
Quando arrivo al Galeazzi, la prognosi è più tragica di quanto pensassi: frattura scomposta di tibia e perone, domani ulteriore visita per capire se Sara va operata o se il gesso basta. Se il gesso basta è comunque per più di un mese, e più di tre mesi prima che riprenda a camminare normalmente.
“Dai che per Natale secondo me sei di nuovo in pista amore” - tentai di rincuorarla.
“Eh, chissenefrega di Natale… io mi sento in colpa per Parigi, ci tenevi tanto…”
“Ma dai amore, andrò l’anno prossimo a vedere il Salone dell’Auto dai, non è così importante. Non come te”.
“Era anche già tutto pagato, mamma mia che disastro. Amore, ma perchè non vai comunque tu? Era il tuo regalo di compleanno. Con me rimane Valeria. Alla fine stai via quattro giorni, mica un mese!”
Valeria annuiva in un angolino. Quella strafica di Valeria. La trasposizione nella vita reale della “Regina del Celebrità” cantata dagli 883, quella che sembra impossibile e invece poi è più normale di quello che pensi. La migliore amica che tutte le ragazze vorrebbero avere ed è capitata proprio alla mia Sara.
“Ok, facciamo così ragazze. Se domani il medico dice che non devi essere operata, vado e ti lascio nelle mani di Vale. Ma se ti devi operare non provare ad opporti alla mia partenza, un me lèo da’ i’ cazzo ok?”
“Va bene, va bene!” sbuffò Sara
“Senti Cla, nel caso tu partissi, posso dire qualcosa a Sebastiano? Sai, è un grande appassionato di automobili anche lui e mi dispiacerebbe lasciarlo a casa da solo se mi devo trasferire qualche giorno da Sara…”
“Come no! Anzi, guarda, preavvertilo già. Tanto Sara starà benissimo presto.”
Sebastiano è una di quelle persone che potevo dire di conoscere benissimo e non conoscere affatto al contempo.
Un sacco di sabati sera e domeniche trascorse insieme, ma non l’ho mai vissuto come un’entità separata dalla Valeria. Come se ne fosse una propaggine, una parte necessaria.
Che strano tornare a casa senza Sara, approfitto della sua assenza per prepararmi i pici così non reclama che le ho sporcato tutta la cucina.
I pici sono semplici da preparare ma anche sensuali, come molti tipi di pasta.
Per il secondo appuntamento la invitai a cena da me, nel mio loft da single che è diventato loft per due, e le preparai i pici.
“Che cosa sono i pici?”
“Cosa sono i pici?! È la pasta toscana per eccellenza, lavati le mani che la facciamo insieme.”
“Uh! Sembra divertente dai!”
“Vieni qua, davanti a me. Ok così: si mette sulla spianatoia la farina, creando una collinetta. Brava. Adesso scava con le tue manine sante una buca.”
“Così va bene?” chiese la mia aiuto cuoco.
“Potevi fare di meglio, ma diciamo di sì.”
Di scatto con le mani infarinate le afferrai il mento e le sporcai il nasino.
“Ma cosa fai! Sei impazzito?” sbottò sorpresa da quel raptus.
È semplicemente splendida con le guance tutte sporche di farina, avrei voluto farci l’amore su quella spianatoia, in mezzo alla farina.
“Dài musetto, versa l’acqua nella fontana e aggiungi un pizzico di sale.”
Obbedisce. Sono molto contento, ma non voglio darle soddisfazione.
“Sei pronta per impastare?”
Mi rimbocco le maniche e insieme le infiliamo in quel Vesuvio di polvere bianca.
Il movimento delle nostre mani comincia ad unire quei tre ingredienti basici: acqua, sale e farina. Più altri due: me e lei.
Dalla sfera di pasta che abbiamo ottenuto, stacchiamo piccoli pezzi e li trasformiamo in spaghetti rustici, sfregandoli tra i palmi e dandogli una forma di cordoncino. Poi li ributtiamo sulla spianatoia e senza usare il mattarello il “picio” si allunga ed assottiglia sempre di più.
“Mia nonna diceva sempre che ai suoi tempi erano considerate brave massaie quelle che sapevano fare i pici lunghi e sottili”
Noi ci impegnammo: i miei non erano sottilissimi come quelli della mia nonna ma tutto sommato erano più che accettabili, quelli di Sara si riconoscevano perchè erano molto più spessi e rotti in più punti, sembravano delle sigarette spezzate. La rincuoro:
“Non importa è una ricetta rustica”.
Li condimmo con cacio e pepe poi facemmo l’amore due volte sul divano di design esposto anche al MoMA e una sul letto.
Mentre impasto, ridendo e ricordando quella situazione sento suonare l’iPhone dal salone. Mi pulisco le mani prima di trasformarmi in un moderno “Pollicino” e vado a rispondere.
“Sì, pronto?”
“Ciao Claudio, sono Sebastiano!”
“Hey, bello! Come stai? Che si dice?”
“La Vale mi ha detto che Sara non parte con te per Parigi, mi spiace un sacco che si sia fatta male. Senti io col lavoro riesco a organizzarmi quindi, se l’invito è ancora valido, lo accetto volentieri.”
“Certo che è ancora valido! Ti mando per email tutti i dettagli di viaggio, comunque si parte dalla stazione di Garibaldi giovedì alle 16:08 quindi, boh… facciamo che ci troviamo alle 15:30?”
“Alla Stazione di Garibaldi?”
“Sì, Sara ha il terrore dell’aereo quindi avevamo prenotato il treno. Dai, sono solo otto ore”
“Otto ore, vabbè dai, ci guardiamo un film, chiacchieriamo un po’…”
“Sì, poi ne approfitto che sistemo anche due cose di lavoro al volo, se non ti da fastidio.” 
“Ma scherzi? Va benissimo Clà. Un abbraccio e ci vediamo giovedì! Girami tutto mi raccomando eh.”
“Certo Seba, ciao, buona serata.”
Fortunatamente il mio ottimismo era sensato: Sara non doveva operarsi e io e Sebastiano potevamo partire per Parigi, alla volta del Salone dell’Auto.


Con Sebastiano ci trovammo all’orario concordato e ci accomodammo sul treno.
Salottino in prima classe con poltrone vis-a-vis, di fianco a noi due attempati signori inglesi con uno splendido Yorkshire di nome “Martha”.
Fermo subito una hostess, per chiederle ragguagli sul wi-fi.
“Non c’è connessione wi-fi sul TGV, signore, spiacente.”
“No aspetti, lei mi sta dicendo che ormai il wi-fi è anche nelle tratte più luride delle ferrovie italiane mentre sull’ammiraglia dei treni francesi non posso spedire una mail? Maremma parabolica! Ma sti francesi c’hanno i pioppini ner capo per davvero! So’ grulli.”
Sebastiano rideva a crepapelle. Non credo avesse capito, ma il fatto che io mi stessi trasformando in un toscanaccio ben rifornito di bestemmie lo divertiva immensamente.
“Bene, questo non serve”, dissi sventolando l’iPad per aria.
In realtà così un male non fu, passammo tanto del viaggio a conoscerci, a conoscerci davvero come persone, non come “fidanzati-di”.
Dimostrò un’adorazione totale nei miei confronti sapendo che per anni ho gareggiato nei rally del centro Italia a bordo di una Toyota Celica GT-Four e che giù dai miei in campagna ho ancora un vecchio Porsche 911 del 1985, comprato a fine anni 90 quando te li tiravano letteralmente dietro.
“Cioè, tu hai un 911 Carrera in un fienile in Toscana? Pazzesco!”
“Sì, all’inizio l’avevo su a Milano, lo comprai da un medico di Monza che non vedeva l’ora di liberarsene perchè aveva qualche problema meccanico, lo comprai a due lire e lo sistemai io, sono un bravo meccanico se mi ci metto… poi vedevo che a Milano era ingestibile da guidare, adesso lo tengo giù per le scampagnate, qui in città meglio la Mini”.
Dopo un po’ di chiacchiere automobilistiche, e complice il tun-tun del treno, Sebastiano s’appisolò con la testa sul montante del finestrino a lui adiacente.
Per la prima volta lo guardai come uomo.
Sebastiano, per quanto io rifugga ogni formula di giudizio universalmente oggettivo, era davvero un bel ragazzo.
Piuttosto più giovane di me, anzi, un bel po’ più giovane di me - 15 anni di meno - alto circa un metro e ottanta, peso stimato sugli ottanta chili ben distribuiti, un fisico piazzato e definito ma non da culturista, castano di occhi, di capelli e di barbetta. Folta e curatissima.
Arriviamo alla Gare du Nord che è quasi mezzanotte. Chiamiamo Uber per evitarci i mezzi e i taxi, saliamo su una Mercedes nera.
“Sai, ho un deja-vu della scena finale de ‘Il diavolo veste Prada’ quando la Streep e la Hatheway attraversano Parigi in Mercedes…”
Sebastiano mi fissa serissimo: “Claudio, non essere sciocco. Tutti vogliono essere noi.”
Ridiamo fragorosi, l’autista ci sorride ma non capisce e forse è meglio così.
Arrivati in hotel, ben oltre la mezzanotte, scopriamo che le mie tre email dove chiedevo se era possibile cambiare la stanza matrimoniale in doppia, sono state elegantemente ignorate.
“Ci tocca dormire insieme, amico mio.”
“Figurati, non è un problema. Il tempo di appoggiare la testa sul cuscino e penso che crollerò.”
“Sì pure io.”
Ci sistemiamo, gli lascio anche usare il bagno per primo.
Quand’è il mio turno, entrando noto che c’è un doppio dispenser per la carta igienica ma non c’è lo scopino per il water. E ovviamente del bidet neanche l’ombra.
“Maremma ‘mpestata quanto so’ grulli sti francesi.”
Faccio una doccia, mi sistemo ed esco. Sebastiano è già nel mondo dei sogni.
Il tempo di puntare la sveglia e anche io lo seguo a ruota.


Il venerdì è la giornata deputata alla visita del “Salon de l’Automobile”, volato tra supercar presentate in anteprima mondiale, concept-car ai confini dell’inimmaginabile, auto da città sempre più elettriche ed autonomo e strafiche in abiti quasi inesistenti a fare da hostess negli stand.
Per quanto riguarda la serata ci concediamo una steak frites in un bistrot adiacente l’hotel e una passeggiata sull’affascinante Canal-Saint-Martin.
“Certo che è proprio magica Parigi, ha un’atmosfera romantica anche senza volerlo…” dice trasognante Sebastiano.
“Eh sì, mi dispiace così tanto che Sara e Vale siano a casa… ci toccherà a portarle appena Sara si rimette in sesto.”
“Eh mi sa anche a me, vabbè però devo dire che ce la stiamo passando piuttosto bene anche tra uomini eh”
“Sì, devo dire che sei una compagnia più che piacevole, sono contento che tu sia venuto con me.”
I nostri occhi si incrociano per un secondo di troppo, un secondo lunghissimo a cui segue un attimo di silenzio imbarazzante. La cosa nasce e muore lì, su Quai de Valmy, senza troppe forzature.


Ed eccomi qua, tutta la notte sveglio con la dissenteria, il vomito e la febbre alta.
Cerco di fare più piano che posso, ma so che sveglierò quelle diciotto volte il povero Sebastiano.
E infatti si sveglia.
“Ehi, che succede? Tutto ok?”
“No, ho la febbre. E sto vomitando anche l’anima.”
“Cazzo! Vado a chiedere un termometro in reception, faccio chiamare un medico?”
“Ma figurati se in un hotel dove non c’è lo scopino per togliere la merda da un cesso hanno il termometro! No, niente medico, se te lo fanno chiedi un pulcino caldo?”
“Un che?”
“Ma sì, acqua calda e limone.”
“Ah, ok! Torno subito”
“Non scappo.”
In effetti non ce l’avevano il termometro. Sebastiano però ha rimediato il famoso pulcino e l’indirizzo della farmacia più vicina aperta in orario notturno, tornando con Tachipirina 1000, fermenti lattici, Dissenten e un farmaco per fermare il vomito di cui non ricordo il nome.
Mi ha fatto ingurgitare tutto, sistemato a letto e si è coricato.
“Oh, se hai bisogno svegliami eh.”
“Grazie Seba.”
“Ma di che? Prova a dormire anche tu Clà. A domani.”
“A domani.”
Mi sembrava di stare un po’ meglio. Nel buio pensai a Valeria, una ragazza fortunata.
Ha un ragazzo bello, sensibile, intelligente e ironico.
Mi era piaciuto che si fosse preso cura di me, non mi succedeva mai.
In genere ero io a prendermi cura degli altri. Dei miei genitori, dei miei amici, di Sara.
Certo, anche lei era premurosa nei miei confronti, siamo una coppia.
Però con Sebastiano era diverso. Mi sentivo protetto, al sicuro. Tranquillo anche se fragile.
E la cosa, per la prima volta nella mia vita non mi spaventava affatto.
Pieno di bei pensieri e di conati di vomito trattenuti a stento, riuscii a dormire qualche ora.


Sabato di pioggia sulla Ville Lumière.
“Ma vorrai mica uscire in queste condizioni?”
“Sebastiano, si sta a Parigi fino a lunedì. Ti pare che rimango chiuso in albergo? Che vuoi che mi succeda.”
Ostentando sicurezza mi preparo a uscire, mentre Sebastiano mi guarda sbalordito.
“Ma ti senti meglio? Cazzo hai una faccia che non promette niente di buono.”
“Ma sì, sì… dài, vestiti che andiamo a vederci il Musèe d’Orsay!”
Nel pronunciare la parola “vèstiti” che mi rendo conto che Sebastiano è sul letto in boxer e calzettoni di spugna.
Butto l’occhio, è proprio un bel ragazzo. Ha un corpo quasi perfetto. Definito ma non troppo, con i fianchi con una leggera rotondità e le gambe di chi ha giocato a calcio tutta la vita.
L’occhio mi cade anche sul pacco.
Anche in palestra mi era successo in spogliatoio, ma non con questa consapevolezza.
Che cazzo mi sta succedendo?
Il tempo di pensare ed effettivamente Sebastiano è già vestito e pronto ad andare.
La fila al Musèe d’Orsay è interminabile e oggettivamente troppo impegnativa sotto la pioggia per una persona sotto antipiretici. Decidiamo di fare quindi una passeggiatina, attraversiamo i Jardin des Tuileries, poi Place Vendôme, Rue de la Paix e infine Place de l’Opera.
È in Place de l’Opera che comincio a sentirmi malissimo di nuovo.
“Seba, cerchiamo un bar che ho un gran freddo.”
“Vuoi che torniamo in hotel? Chiamo un uber?”
“Ma va, no no mi basta un thè per scaldarmi e poi faccio quello che vuoi.”
Entriamo in uno Starbucks a cento metri di distanza, su Boulevard Des Italiens.
Sebastiano mi fa sedere, ordina e mi porta il thè caldo a tavola. Le sue premure mi scaldano più di quel thè - peraltro schifoso.
Sento qualcosa di strano, un’attrazione verso di lui. Mi sento guardato in un modo diverso, per la prima volta e lo guardo in modo diverso.
Sento di stare benissimo con lui, di sentirmi al sicuro, protetto.
Sento anche che mi sta salendo la febbre e glielo dico
“Ok, basta stronzate per oggi, adesso chiamiamo Uber e si torna in albergo.”
Mi guarda preoccupato, io abbasso lo sguardo e gli sussurro “Grazie.”
Sento che questo ragazzo sta diventando importante per me, anche se ancora non so come.
Mi alzo.
Maremma troia. Sento che sto per svenire.

Rumore di cocci rotti e poi il buio.
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